Capitolo 5

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Sarebbe andato tutto a meraviglia. Era la frase che si ripeteva Edith dal momento che era uscita dalla soglia di casa con il suo vestito celeste e pois bianchi di dimensioni piccole. Benché fosse già Autunno faceva un caldo africano ma, sotto severo consiglio di Kara, si portò dietro un comodo cardigan grigio che legò alla vita, incastrandolo sotto la cintura bianca dell'abito. Quando aveva replicato a Corine che, secondo lei, quel vestito aveva una scollatura troppo "aperta" per il tipo di ragazza che era, diceva: << Lo vuoi il lavoro si o no? Allora fa come ti dico, per una volta. >>

Si era trattenuta nel dirle che l'ultima volta che le aveva dato retta si era ritrovata, all'una di notte, in una centrale di polizia a farsi interrogare, neanche fosse stata l'artefice di un omicidio. E' così aveva incontrato Tony davanti la residenza degli Hamilton. Sarebbe stato lui ad accompagnarla all'incontro di lavoro.

La tensione che aveva non diminuì neanche quando costatò che erano arrivati all'entrata della rosa negra. Il locale, di giorno, aveva un aspetto più sobrio. Avanzando nell'entrata non si sentiva più la puzza di fumo e ne il lieve rumore di vetri procurati da i bicchierini di whisky o assenzio, da i loro ospiti o dal barista. Non c'era quel chiacchiericcio di quella sera, anzi, non c'era nessuno, escluso per due donne sul palco che stavano provando una sorta di coreografia nuova da come si muovevano. Non le diedero neanche un'occhiata, ignorandola del tutto. Dentro di se, Edith gliene fu totalmente grata. Voleva evitare il più possibile di fare pessime figure al suo primo colloquio di lavoro.

Tony la portò nell'ufficio, posto in una porta nel corridoio, lo stesso che aveva varcato quella sera. Chissà perché si era aspettata tappeti di tigri sul pavimento o trofei di caccia sulle pareti, come corna di cervo o teste di orso. Magari anche una bacheca in alto dove vi erano armi di tutte le tipologie. Restò sorpresa nel costatare che, l'ufficio del capo di Tony, era sobrio. Le pareti di un color porpora, quadri raffiguranti paesaggi dalle cornici in oro, una grande scrivania in legno scuro al centro e un'elegante sedia dietro. Due poltroncine in pelle nera, poi, erano poste dal loro lato.

Edith continuò a guardarsi attorno, fino a quando non entrò un uomo alto da seconda porta, vicino alla libreria, a destra. Non appena la giovane vi posò lo sguardo sopra non ne restò così sorpresa, ma sperò vivamente che non la riconoscesse. Si trattava del barista. Venendo lì ne era stata quasi certa che doveva battersi a tu per tu con lui.

<< E' lei? >> Chiese, rivolto a Tony, che si limitò ad annuire. Con la coda dell'occhio, Edith poté scorgere nell'espressione del suo amico del timore. Doveva essere per la stazza abbastanza muscolosa del barista, dall'aria di gangster senza scrupoli. Incuteva timore anche a lei, specialmente quando prese a fissarla.

<< Salve. Edith Colvin. >> Si presentò, allungando una mano verso l'uomo. Tony fece una smorfia contraria, dandole una botta al gomito per invitarla a tacere. Ritirò quindi la mano, sotto lo sguardo divertito del barista.

<< Certo. La ragazza dell'acqua. >> Incrociò le braccia al petto, sghignazzando.

Edith avrebbe voluto nascondere la testa sotto terra, come uno struzzo, ma dubitava che le sarebbe servito per farsi assumere lì. Aveva bisogno di quel lavoro e, battutine pungenti o meno, avrebbe dovuto mandarle giù, lavorare per il tempo che serviva e tornarsene a casa con la consapevolezza di aiutare veramente sua sorella e suo padre. Magari pensare a loro, l'avrebbe aiutata ad avere più professionalità.

<< Non penso sia un ruolo adatto alla tua amica, Tony. >> Riprese la parola, spostando lo sguardo sul suo musicista.

<< Ma non è per sempre, giusto? E' una gran lavoratrice. >>

Il barista sembrava più dubbioso di prima. Ma ignorò le parole di Tony e tornò con lo sguardo su quella minuta ragazza che avrebbe dovuto servire ai tavoli. Se lui l'assumeva ovviamente. Onestamente non la credeva un tipo da quel posto e ne era rimasto leggermente sorpreso quando, entrando da quella porta, l'aveva riconosciuta. << Quando puoi iniziare? >>

<< Anche stasera. >> Rispose subito lei, unendo le mani appena sotto il grembo.

L'uomo annuì. << Va bene. Sei in prova, però. Due giorni. Il contratto prevede questo lavoro per circa tre mesi. Il tempo necessario perché il nostro cameriere possa tornare a riassumere il suo ruolo. Stasera ti verrà data un'uniforme e altre raccomandazioni. >> Si sgranchì le mani, unendole e stirandole in avanti in modo annoiato. << Sono Keler. >>

Keler non era certamente un nome americano e ciò lo aveva capito dalla sua voce. Suonava straniero, quasi ai confini del mondo. Le ricordava vagamente qualcosa a che fare con il ghiaccio. Magari veniva dalla Norvegia... o dall'Alaska?

<< Non la deluderà. Vero, Edith? >> Le chiese Tony, mettendo sulle labbra un sorriso nervoso.

La giovane annuì a sua volta. << Sì. Grazie. >> E detto ciò, fece un impacciato chino con la testa, facendole finire davanti agli occhi due ciocche di capelli lasciati liberi.

Non poteva dire quanto fosse sollevata. Per il momento era in prova, non era nulla di sicuro. Ma quella sera avrebbe dato prova delle sue qualità, a quel barista dall'aria da strafottente. In verità pensava di incontrare il proprietario del locale ma era comunque sollevata. Non le piaceva incontrare gente estranea, anche se da quella sera avrebbe sorvolato su ogni regola morale per lavorare. Perché avrebbe dovuto confrontarsi, per quel poco che era, con altri uomini di ogni tipologia e, ricordando i loro sguardi, non era proprio euforica all'idea.

Solo per Kara e papà. Solo per loro.

Si ripeteva anche quella sera, quando era uscita di casa con il vestito di quella mattina. A sua sorella aveva rifilato la scusa del nuovo lavoro di domestica dagli Hamilton e dopo aver trovato conferma con la stessa Corine, aveva accettato a lasciarla andare. Suo padre non parlava molto e di conseguenza, a quella notizia, aveva solo annuito e storto un po' il naso. Era contrario al fatto che le figlie lavorassero ma Edith lo aveva rassicurato nel fatto che era lei a volerlo fare, a rimboccarsi le maniche e arrivare stanca a fine giornata, ma felice di essere stata utile in qualcosa.

La divisa lavorativa non era poi tanto diversa dal suo vestito. Stesso modello, cambiavano solo i colori che erano un contrasto perfetto di nero e bianco. Nera la gonna e il bustino unito, bianche le spalline e la cintura in vita. L'unica cosa aggiunta erano le calze a rete. Seppur in imbarazzo, Edith non replicò e fece come le diceva. Aveva chiesto se poteva portare i capelli legati nella sua solita crocchia e Keler glielo aveva concesso, seppur quasi annoiato dalla cosa.

Si scambiavano poche occhiate e le uniche parole erano quelle di Edith che portava le ordinazioni al bancone del bar. L'osservò giocherellare con i bicchieri e le bottiglie varie che contenevano diversi liquidi alcolici. L'or più erano assenzio, whisky, cognac, vermouth e altri strani nomi che si dimenticava velocemente dopo averli ordinati, con anche alcuna difficoltà di pronuncia. Il più delle volte era il barista a farle un cenno, come per dire che aveva capito e svolgeva il suo lavoro con freddezza e naturalezza insieme.

Edith continuò il suo turno lavorativo, passando per i tavoli e segnando le ordinazioni dei clienti, cercando di ignorare i loro sguardi divertiti e maliziosi nel soffermarsi sulle gambe non troppo lunghe della ragazza, invece di concentrarsi su quelle delle ballerine che si stavano esibendo nel can-can. La danza più scandalosa che esistesse, a detta di molti devoti. Edith si soffermò poche volte a guardare le ballerine della rosa negra e ogni volta che lo faceva non riusciva a capire cosa fosse scandaloso di una gonna che si alzava. Ultimamente c'era dello scandalo in ogni cosa dove Cristo non fosse menzionato.

La musica terminò e il sipario si chiuse, dando il tempo alle altre ballerine di prepararsi per il prossimo spettacolo. Edith aveva avuto modo di osservarle nel camerino che condividevano, lungo il corridoio, accanto ai bagni. Tutte racchiuse in un'unica stanza dove le pareti erano piene di specchi incorniciati da lampadine accese. Non aveva visto la bionda che aveva spiato l'ultima volta che era stata lì e sinceramente fu grata al cielo per quello. Non sapeva se l'avesse vista o meno, ma sicuramente aveva sentito un rumore quando aveva richiuso la porta.

Quando il sipario si riaprì, ad Edith bastò un'occhiata con la coda dell'occhio per vederla. E' lei! Restò con il vassoio a mezz'aria, in piena consegna di un paio di bicchieri di whisky verso due Signori dall'aria minacciosa e di statura grossa. Tra le spesse labbra stringevano il sigaro mentre vedevano la ballerina eseguire un sensuale spogliarello. Uno spogliarello di classe, osò pensare la stessa giovane.

Il modo in cui la bionda posava la gamba sulla sedia –posta al centro del palco scenico- e il modo in cui, con entrambe le mani, lentamente faceva scivolare a terra le autoreggenti bianche di pizzo. Nel volare, una di queste, andò in un Signore seduto ai primi tavoli che sogghignava divertito, visibilmente eccitato e onorato nell'aver ricevuto un omaggio dalla ballerina in questione.

Le note di Diamonds are a girl's best friend si dissolvevano nell'aria satura di fumo e alcol. La bionda muoveva le mani, le gambe e il corpo in perfetta sintonia con la canzone, levandosi altri capi di lingerie tra cui anche il reggiseno, mostrando alla clientela in visibilio un paio di sodi seni dalla tintarella californiana. I capezzoli erano coperti da delle stelline d'argento. L'unica cosa che rimase addosso alla ballerina, che dopo aver completato il suo numero, terminò con un giro sull'asta del palco scenico, dove le altre si esibivano in spettacoli d'acrobazie. Quando la musica terminò e il sipario si chiuse, Edith fu colta da una improvvisa ondata di calore, all'altezza del petto. La bocca socchiusa, come se fosse l'unica cosa con la quale incamerare aria nuova e il seno si abbassava e alzava a seconda del suo respiro regolare.

<< Dolcezza, quei whisky li ho ordinati mezz'ora fa. Quanto ti cosa portarmeli?! >> Urlò un uomo ad un tavolo, accompagnato dall'amico. Solo allora, Edith si ricordò che stava lavorando e nel vassoio aveva ancora due bicchierini di whisky per i clienti.

Accorse al loro tavolo, iniziando ad agitarsi. << Ecco la vostra ordinazione. Scusatemi. >> Balbettò, posando il vassoio accanto al posacenere nero e mettendo davanti ai Signori il loro whisky.

<< Odio aspettare troppo. >>

<< Ne sono mortificata. >>

L'uomo che parlava fece un ghigno divertito. << Brava. >> E le diede una sonora pacca sul sedere, che fece sghignazzare l'amico che l'accompagnava e due Signori seduti ad un tavolo più dietro.

Con un gesto fulmineo, tolse la mano in malo modo dal suo sedere, con gli occhi sgranati e il cuore che martellava nel petto, ad ogni secondo sempre più forte. Temeva che potesse scoppiarle nella gabbia toracica da un momento all'altro. Fece per andarsene, subendo l'occhiataccia dell'uomo alla quale aveva rifiutato cordialmente la sua avances, ma venne ripescata da lui che la tirò a se.

<< Sei disubbidiente, ragazza. Le cameriere devono essere più disponibili verso il cliente, gentili. >> E detto ciò le accarezzò una spalla nuda.

Edith iniziò a dimenarsi e ad urlare. << Mi lasci andare! Immediatamente! >> Colta dalla paura e dalla rabbia che la risata dell'uomo che provocava, si lasciò andare all'istinto e li rifilò uno schiaffo che si sentì per tutta la sala. Tutti, infatti, si voltarono ad osservare la scena. Prima ancora che Edith potesse rendersi conto di essere sotto gli occhi dell'intero locale, il barista le andò incontro.

<< Che succede? >>

<< Questa puttana mi ha picchiato. >> Si lamentò lui, massaggiandosi una guancia, divenuta rossa per via della pressione della mano della giovane. Edith si stupì di ciò, eppure non aveva mani grandi o pesanti.

<< Il Signore qui presente mi ha palpato il sedere! >> Contestò la bruna, stufa di quelle occhiate maliziose e divertite che la gente le lanciava, neanche fosse un buffone di corte o una di quelle ballerina su cui sbavare.

Keler sembrò osservarla per un attimo, ma poi riportò la sua attenzione sul suo cliente. << Godetevi lo spettacolo e il vostro whisky, Signore. Lo zingaro ne sarà informato e saprà ripagarvi, vedrete. >>

Sulle labbra del cliente si dipinse un sorriso divertito, decisamente contento della risposta datagli dal barista e tornò a prestare attenzione al palco scenico, il quale sipario si era appena riaperto, e quando guardò la cameriera non aveva altro che disprezzo per lei.

Chi è lo zingaro? Si ritrovò a pensare, mentre Keler la fulminava con lo sguardo e quegli occhi piccoli da topo.

<< Tu vieni con me. Adesso. >> Scandì parola per parola in modo che potesse capire bene. Il suo tono non prometteva nulla di buono.

Edith sbuffò sonoramente, senza farsi sentire, e lo seguì, passando attraverso i tavoli e vergognandosi un poco della figura appena fatta. Ma non era una mica una ballerina sul quale posare le mani addosso! Se ci ripensava provava una sorta di freddo lungo la spina dorsale. Keler la portò nel suo ufficio, spalancando la porta. La bruna la richiuse, standogli dietro.

<< Dimmi come ti è passato per la mente di picchiare uno dei banchieri più ricchi e influenti di Chicago. Spiegamelo! >>

Edith era senza parole. Veniva palpata sul sedere e la colpa era sua? Era una sensazione che la faceva sentire sporca, umiliata. La ramanzina che il suo capo stava per farle, poi, sarebbe stata la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso della sua pazienza.

<< Mi ha toccato il sedere! Che dovevo fare? Restarmene ferma e sorridere? Magari incoraggiarlo?! >> Keler la guardò con un espressione neutrale. Come per dire: "dov'è il problema?"

Edith sospirò. Lo sapeva che quello non era un lavoro adatto a lei. L'aveva sempre saputo ma si era lasciata convincere che tentare non costava nulla. Ebbene, aveva tentato e avrebbe mollato la spugna. Non voleva farsi palpare per tre mesi da ogni uomo diverso. Alzò lo sguardo sul barista e quest'ultimo trovò in quello della giovane uno sguardo che non le aveva mai visto. Privo di scherzo, di vergogna, di imbarazzo. Leggeva solo delusione. Qualcosa che lo indusse a rilassare i muscoli del viso.

<< Non so a che genere di donne sei abituato, Keler, ma onestamente non sono una di quelle. Penso che avevi ragione tu. Non sono tagliata per questo lavoro e per questo mi licenzio. Appena il turno finisce me ne torno a casa e domani sera non tornerò. Non voglio che ogni uomo che non conosco si prenda la briga di toccarmi dove vuole. E onestamente non credo di potercela fare. Torno di là. >> Non gli diede neanche il tempo di replicare che aveva riaperto la porta ed era tornata in sala, dove gli spettacoli continuavano fino a tarda notte. Non si era neanche accorta di essere passata dal "voi" al "tu" mentre aveva manifestato le sue dimissioni.

Osservava tutti i clienti seduti ai loro tavoli, le ballerine che ballavano sul palcoscenico, il gioco di luci su i loro corpi. E tutto le parve terribilmente offuscato. In breve tempo sentì le guance umide e le lacrime scivolarle giù, morendo sotto l'incavo della gola. Si pulì con il dorso della mano quando tornava al bar per consegnare le ordinazioni e nascondeva i suoi occhi alla vista di Keler. Non voleva che la vedesse piangere, che sapesse quanto, da una parte, quel licenziamento era triste per lei. Non avrebbe potuto aiutare la sua famiglia e ancora una volta sarebbe stata la pecora nera. Ma a tutto c'era un limite e, certamente, non poteva continuare in quel modo. Forse era avventata ma nessuno si era mai permesso un certo approccio con lei. Sentiva sul proprio sedere l'impronta della mano di quell'uomo, come un marchio che bruciava.

Non si aspettava una paga per una notte di lavoro. Ne la chiese e ne le fu data. Andò nello sgabuzzino che le era stato dato per cambiarsi e tornò ad indossare il suo abito celeste a pois bianchi. Guardandosi allo specchio, rimise delle ciocche brune che, con la confusione e il caos dei movimenti, erano fuoriusciti dalla sua crocchia.

Ticchettando con i sandali sul pavimento del locale, si avviò verso l'uscita. La sala era deserta, benché puzzasse ancora di fumo e alcol. Quel silenzio sembrava quasi surreale ed Edith si concesse un istante per goderselo. L'unica luce accesa era quella che puntava sul palcoscenico. Qualcuno doveva aver dimenticato di spegnerla... o c'era ancora qualcuno? Se posava gli occhi sul palco dal pavimento nero poteva ancora vedere ogni singola ballerina fare il suo numero. Dall'euforico e coinvolgente can-can alla sensuale ed erotica esibizione della bionda. Erotismo. Più volte Edith si chiedeva cosa fosse. Lo definiva un modo di porsi, di comunicare, di fare. Anche la stessa ballerina bionda aveva comunicato ma con il corpo, uno dei linguaggi più complicati e pieni di doppi sensi. Sentì nuovamente quel calore al petto.

Istintivamente si levò i sandali e salì sul palco scenico, completamente vuoto se non per l'asta posta al centro. La guardò, la contemplò. Come facevano le ragazze a stare in equilibrio in strane posizioni su quell'affare? Lei non ci sarebbe riuscita di certo. Il peso del suo corpo era troppo robusto, rispetto a quello esile e delicato delle altre. E poi era scoordinata nei movimenti, specialmente con la musica. Kara la prendeva in giro, quando la beccava a ballare sulle note di qualche canzone che metteva sul giradischi. Diceva che sembrava un insetto ubriaco.

Senza rendersene conto, a spezzare quel generoso silenzio, iniziò a canticchiare la canzone che aveva ballato la stessa bionda.

I diamanti sono i migliori amici della donna. Poteva essere vero? Si ritrovò a pensare Edith, ponendo una mano sull'asta e, stringendola, fece una giravolta aiutandosi con il peso del corpo, lasciandosi andare appena. La gonna del vestito si alzò ritmicamente ai movimenti del proprietario, mentre lei teneva gli occhi chiusi. E girava, girava, girava e girava ancora. Sembrava una trottola. Sorrise, dimenticando per un attimo gli avvenimenti di quella sera, anche che a casa c'erano i suoi famigliari ad attenderla.

Ad occhi chiusi, mise una mano più in alto al palo e l'altra più in basso. Reggendosi ad esso, fece una giravolta intorno all'asta, alzando i piedi da terra. Per quel breve attimo si sentì più leggera, lo spirito più libero. La gonna del vestito che svolazzava armoniosa, più forte di prima, le ciocche di capelli che uscivano dalla crocchia, scompigliandoli, e sul viso un sorriso beato, di chi aveva appena varcato la soglia del giardino dell'Eden. Con sua somma sorpresa, si scoprì terribilmente divertita a girare intorno a quell'affare. Posando i piedi a terra, si sentì un attimo barcollante e la testa le girava. Ma fu solo un breve attimo, prima di poter riaprire gli occhi e guardare davanti a se il nero del palcoscenico. Con ancora le mani strette attorno al palo, ansimò come se avesse corso.

Le era piaciuto. Si vergognò di quella sensazione subito dopo averlo realizzato. Non poteva piacerle una cosa così immorale, così spericolata e senza pudore. Andava contro le regole di chiesa e ciò che Kara le aveva sempre detto. << Le brave ragazze non si esibiscono. >> E fu proprio come se la sua figura si materializzasse alle sue spalle e poteva sentire chiaramente quel rimprovero severo, oltre le scintille d'ira che lanciavano i suoi occhi.

Quando si voltò c'era qualcuno, in effetti, ad osservarla. Ma non era Kara, non erano i suoi occhi chiusi a due fessure e non lanciavano sguardi minacciosi. Il suono di un singolo applauso risuonò per la sala vuota e senza musica. Prima ancora di poter verificare se fosse Keler, pronto ancora una volta a prenderla in giro, si risistemò i capelli arruffati, reduci di un uragano di emozioni che non avrebbe dovuto provare. Scese dal palcoscenico e avanzò verso la figura, arrestandosi poco dopo, vedendo che fu proprio questa a venire verso di lei.

<< Scusatemi. Non credevo ci fosse ancora qualcuno. >> Provò a dire, discolpandosi già in tutti i modi possibili, mentre con una mano si lisciava la gonna dell'abito in modo da essere presentabile.

Non era lo sguardo piccolo e da topo del barista, però, a squadrarla. Ma quello glaciale e tenebroso dello sconosciuto che aveva visto riflesso nello specchio, quella sera quando era venuta alla rosa negra con Tessa e Corine. Solo quando lo realizzò, Edith provò un leggero imbarazzo, abbastanza da farle arrossire le guance di un porpora molto visibile, vista anche la carnagione chiara della ragazza. L'avrebbe riconosciuta? Se l'aveva vista era logico che l'avrebbe fatto. Strinse le palpebre.

<< Non volevo disturbarvi. >> Parlò l'uomo, manifestando la sua voce decisa e acuta.

La ragazza deglutì, guardando il suo viso indecifrabile. Poteva essere a metà tra il divertito e il serio. Ma non ci metteva la mano sul fuoco, magari era solo infastidito.

<< No, io me ne stavo andando. >> Voleva andarsene il prima possibile. Il suo sguardo la metteva fortemente a disagio, senza contare che non faceva che rivedere la scena che aveva spiato dalla porta come una guardona.

<< Non vengono molte donne qui. >> Continuò lui, come se avesse ignorato la sua risposta.

<< Infatti non lo sono. Sono la nuova cameriera. A dire il vero... ero la nuova cameriera. Mi sono licenziata. >> Rispose, chinandosi per recuperare i sandali e metterli nuovamente ai piedi.

<< Posso sapere perché? Non vi piace il posto? >>

<< Il posto è passabile ma... la clientela non è delle migliori. >>

<< Qualcuno vi ha importunato? >>

<< Diciamo palpato. >> Le parole le erano uscite dalla bocca senza che potesse controllarle e le guance tornarono nuovamente in fiamme. << Il sedere. >> Precisò, abbassando lo sguardo per la vergogna.

Con la coda dell'occhio lo vide annuire leggermente. Dedusse che la conversazione fosse terminata e si apprestò a superarlo. Non aveva voglia di parlare con lui. Era uno sconosciuto e poi non faceva che vergognarsi di ciò che aveva visto, provocandole non solo il rossore sulle guance ma anche un formicolio in mezzo alle gambe.

<< Aspettate! >> Esclamò, girandosi nella sua direzione.

Edith si fermò, stava superando i tavoli vuoti per raggiungere l'uscita. Si voltò verso di lui, notando che aveva le mani nelle tasche dei suoi eleganti pantaloni scuri, le maniche della camicia bianca arrotolate su i gomiti, e dal gilet scuro si poteva intravvedere una cravatta grigio scuro, a righe strette e bianche.

<< Non sarà facile trovare un sostituto. Vi prego, restate. Se proprio non volete servire ai tavoli, potete diventare una delle mie ballerine. >>

Sbarrò gli occhi. Come poteva pensare una cosa del genere? Provava vergogna per un sedere che gli era stato palpato e ora le chiedeva di ballare, alzando la gonna e mostrare le cosce nude e vestite di sole calze a rete ad una clientela di soli uomini eccitati?

<< No. >> Declinò in un tono deciso, respirando con la bocca socchiusa.

L'uomo le si avvicinò e quando Edith vide che stava per farsi ancora più avanti, alzò una mano per fermarlo. << Vi prego, non avvicinatevi. >>

<< Avete paura di me? >>

<< Siete uno sconosciuto. Io non vi conosco. Vi prego, parlate da lì. >>

Sulle labbra scure dell'uomo apparve un sorriso divertito. << Perché avete accettato di lavorare in un posto del genere se, da come vedo, non è uno di quei posti che in genere frequentate? >>

<< Perché avevo bisogno di soldi. Ho bisogno di soldi. >> Sottolineò la giovane, in risposta. Nel frattempo si era seduta su una sedia di uno dei tavoli.

<< Capisco. Beh... nel ballare potrei darvi qualcosa di più. >>

<< Mie, darvi, ma chi siete? Parlate come se tutto ciò vi appartenesse. >> Sbottò Edith, rialzando lo sguardo sulla sua figura. Si era seduto anche lui, più distante di lei, come gli aveva chiesto.

<< In un certo senso, mi appartiene anche la sedia dove siete seduta, signorina. >> Incrociò le braccia al petto, guardandola divertito.

Edith boccheggiò per un momento, alzando le sopracciglia, inizialmente senza capire. Ma quando incamerò per bene la sua risposta, capì che forse c'era un perché era l'unica persona a trovarsi lì. << Voi siete il proprietario? >>

L'uomo annuì. << Mi chiamo lo zingaro. >>

Zingaro. Era il nome che Keler aveva detto a quell'uomo, lo stesso che l'aveva importunata. Che strano nome. Fu uno dei pensieri di Edith, per chiedersi qualche istante dopo se davvero era il suo nome di battesimo. Realizzò che colui che aveva spiato era il proprietario di quel locale, ecco perché aveva una confidenza così... intima con quella ballerina dall'aspetto meraviglioso.

<< Ed è il vostro vero nome? >> Chiese, spinta da una strana curiosità.

<< Mi chiamano così. >> Ancora una volta sembrava che non prendesse in considerazione la domanda della sua interlocutrice, visto che lo disse in modo vago.

Edith sbatté le palpebre, alzandosi di scatto dalla sedia come se si fosse seduta su dei carboni ardenti. << Io... mi dispiace. Non sapevo che voi foste... >> Balbettò, capendosi ben poco di ciò che voleva dire. Ammesso e concesso che avesse un discorso logico da fare.

Lo zingaro si alzò dalla sedia e avanzò lentamente verso di lei, dimenticandosi della sua richiesta di starle lontano, neanche fosse un temuto serial killer di un romanzo giallo.

<< Sono troppo impegnato per presenziare agli spettacoli. >> Spiegò, avvicinandosi al tavolo dove c'era lei. La guardò attentamente. << Onestamente credevo foste una di quelle ragazze timorate di Dio, che si armano di acqua santa e bibbia, e vanno in giro a predicare il prossimo. >> Aggiunse, lasciandosi andare ad una breve risata.

La stava prendendo in giro anche lui. Edith, invece che vergognarsi, stavolta si incupì, guardandolo male. Fece per andarsene ma la trattenne per un braccio, facendola voltare verso di lui. A quella vicinanza, la ragazza respirò nuovamente quella fragranza di lavanda e gelsomino, capace di stordire anche la più vigile delle prede.

<< Quando poi vi ho vista ballare su quel palco, ho capito che non eravate una di quelle ragazze casa e chiesa. Quello è l'aspetto esteriore che una acconciatura severa e un abbigliamento austero può dare. Voi siete qualcos'altro. >> Con la mano libera, sfiorò con le dita le sue braccia nude. La sua pelle era calda e morbida. << Avete un fuoco che tentate invano di spegnere. Siete uno spirito prigioniero di una realtà che cercate in tutti i modi di accettare. Eppure sognate qualcosa di diverso. Qualcosa di forte, violento e proibito. >> Diede un leggero pizzicotto al braccio, facendola trasalire e svegliare da quel dolce e amaro torpore.

Sbatté le palpebre un paio di volte e, osservandolo negli occhi glaciali, lo spinse via con una mano. Colto dalla sorpresa, lo zingaro lasciò la presa, sbattendo il piede ad una sedia della sala. Strinse le labbra per il dolore accennato al tallone, con la quale aveva colpito il ferro nero.

<< Non toccatemi mai più! Io non metterò più piede in questo posto! Siete un essere spregevole, io vi odio! >> Esclamò rabbiosa la giovane, uscendo poi dal locale prima che lo zingaro potesse fermarla nuovamente.

Aveva il cuore a mille, mentre si allontanava nel cuore della notte, per le strade di Chicago. Ansimò rumorosamente quando si fermò ad un lampione. Posò una mano su una panchina, guardandosi le spalle come se avesse il diavolo alle calcagna.

Quell'uomo... era un demonio. Quello citato spesso nella bibbia. Di bell'aspetto, certo, ma dalla tentazione forte e violenta, che induceva lo spirito a mischiarsi nell'oscurità. Avrebbe dovuto dire qualche preghiera? Confessarsi a Don Long? Nell'ultima delle ipotesi sarebbe bastato aspettare la Domenica successiva, per poi lasciare che lo spiattellasse a tutta la comunità in vaghe parole con riferimenti a lei, anche se non avrebbe detto nome e cognome. Avrebbe detto abbastanza da farla vergognare per la vita.

Si chiese se doveva sentirsi proprio in dovere di recitare qualche preghiera. Moralmente avrebbe dovuto farlo, si sentiva sempre più fuori da quel sacro cerchio che l'aveva circondata e protetta fin dalla nascita, da quelle che chiamavano insidie velenose. Eppure, quando aveva ballato intorno all'asta, si era sentita viva, vibrante ed eccitata all'idea che qualcuno la guardasse. Quale lupo avrebbe trionfato alla fine? Quello bianco del bene o quello nero del male?

Ancora stordita e inebriata dal profumo dello zingaro, tornò a casa. Quella notte sognò un drappo rosso che svolazzava in un deserto palcoscenico nero, un'asta e una figura che ballava su di essa. Uno specchio in un soffitto le mostrò il volto della seducente ballerina: il suo. Unico spettatore, un uomo dagli occhi di ghiaccio e un sorriso malizioso sul volto.




Wolf's note:

Salve a tutti, lettori e followers! 

Sta diventando sempre più facile rispettare i tempi di aggiornamento, visto che le idee impazziscono e non perdo tempo, mettendole su Word e iniziando i capitoli. Sono reduce da un viaggio a Firenze quindi mi sono meravigliata di riuscire a finire il capitolo oggi... ma c'è l'ho fatta! 

Qui possiamo vedere Edith alle prese con sue due personalità: quella devota e tranquilla e quella più spinta verso il proibito. Come si comporterà adesso? Riuscirà davvero a tener fede alla sua promessa di non tornare più alla rosa negra? Lo vedremo nei prossimi capitoli. Per il momento vi lascio con un abbraccio e un ringraziamento speciale: la storia è sempre più seguita e grazie anche ai messaggi, pubblici e privati, che mi lasciate con i vostri pareri e la vostra voglia di leggere sempre di più di Edith e di ciò che le succederà.

Appuntamento a Giovedì con il prossimo capitolo.

Un abbraccio,

Wolfqueens Roarlion.

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