Capitolo 6

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Dopo l'episodio alla rosa negra, non vi aveva più rimesso piede. Come immaginava, Corine l'aveva rimproverata, dicendole chiaramente che aveva perso un'occasione per aiutare i suoi famigliari e che, essendo minorenne, difficilmente qualcuno l'avrebbe presa a lavorare da qualche altra parte. L'unica comprensiva era Tessa, che comunque l'aveva consolata e rassicurata che le avrebbe dato una mano nel trovare un nuovo impiego, anche semplice e che comprendeva poche ore del giorno.

Era stata costretta a comunicare a Kara e suo padre il suo licenziamento dagli Hamilton, trovando la scusa più credibile: non era tagliata per quel lavoro. La servitù non mancava di farle qualche scherzo o beffeggiarsi di lei e quindi ci aveva rinunciato. Non erano troppo sconvolti dalla notizia, come se l'aspettassero da un momento all'altro. Ciò la ferì, perché significava che, come aveva pensato lei, i suoi famigliari la credevano un fallimento.

Sua sorella andò a diversi colloqui nei giorni successivi e tutti le avevano dato la stessa risposta: << Le faremo sapere. >> Fortunatamente suo padre se la cavava abbastanza bene e, benché risparmiassero sul cibo, sulla luce e anche a tenere accesa la televisione più del dovuto, riuscivano comunque a tenersi in equilibrio.

Una settimana dopo, Kara venne contattata dallo studio di un Geometra e ottenne il posto come segretaria. Quando quella sera rincasò, infatti, il suo volto era illuminato da un radioso e soddisfatto sorriso. Anche James Colvin parve sorridere ma come al solito fu solo un'ombra passeggera. Edith aveva abbracciato sua sorella ed era stata contenta per lei, almeno non doveva più sentirsi in colpa per aver lasciato il lavoro al locale notturno.

Con il primo mese di salario, riuscirono a tornare definitivamente in piedi.

Ogni pomeriggio, Edith e Corine, andavano alla Cattedrale per aiutare Don Long con i preparativi della cena di beneficenza ormai alle porte. Cucivano, pulivano e decoravano la navata e la cucina della Cattedrale, che comprendeva una stanza che era rimasta vuota per tanto tempo. Lì avrebbero mangiato e su un lungo tavolo di legno olivastro avrebbero esposto le bevande e i cibi preparati. In una settimana avevano reso quella sala presentabile ad un pubblico di società elevata, che avrebbero lasciato cospicue somme alla causa di Don Long.

La sera dell'evento arrivò presto e osservando l'abito sulla stampella, Edith si convinse che, in un modo o nell'altro, si sarebbe divertita. Spesso le capitava di pensare a ciò che era successo quella sera al locale, dopo che si era licenziata che aveva finito il suo turno lavorativo, primo ed unico. Gli occhi dello zingaro tornavano ogni notte a tormentarla e non vi era sogno o incubo dove non apparisse. Iniziava ad essere stanca di quella sensazione di disagio che provava ogni volta che si svegliava in un bagno di sudore. Le sue parole tornavano a farsi vive nella sua memoria. Siete uno spirito prigioniero di una realtà che cercate in tutti i modi di accettare. Era veramente così? Più volte Edith si era posta quel quesito.

E anche quella sera, mentre si preparava, e osservava il suo riflesso allo specchio della sua toeletta. Con un gesto slegò le ciocche dalla crocchia e osservò la chioma ondulata castana ricadere sulle sue spalle, leggermente allungati. In poco tempo a disposizione riuscì a realizzare una treccia posta sul capo, grazie alla lunga frangetta riuscì ad essere anche bella doppia. Il resto dei capelli veniva lasciato al vento. Il viso era privo di ogni trucco, come volevano le rigide regole di casa.

La sala della Cattedrale era gremita di gente. Persone eleganti e distinte parlavano tra loro, con calici di vino in mano. Presente alla cena vi era anche il principale di Kara, che presentò alla sua famiglia in modo formale. Edith fece così la conoscenza del dottor Ewart Garrett, uno dei geometri più facoltosi di Chicago. La sua ditta era una delle più grandi e quasi tutti i lavori erano svolti da i suoi operai.

Aveva la stessa età di Mr. Colvin, all'incirca. I capelli corti, di colore castano scuro, con riflessi dorati. I suoi occhi, da lontano, davano su un colore marroncino e invece erano verdi, su una tonalità scura. Naso dritto e fronte alta, come la sua statura. Era un uomo che sapeva portare un'età che era evidente. Non era grasso, abbastanza in forma. A renderlo più vecchio di quello che non era, forse, era la presenza di una folta barba scura con tanto di baffi, da sembrare quasi un artista che un geometra. Gli occhi scavati sembravano avere un'aria minacciosa ma, sentendolo parlare, di minaccioso non aveva proprio nulla. Riuscì a mettere a proprio agio tutti gli ospiti. Kara, in particolare, sembrava che avesse legato molto con lui. Del resto era logico che un dipendente e un capo dovevano avere buoni rapporti. Non poté fare a meno di ripesare allo zingaro e al modo possessivo che aveva avuto nei suoi confronti. La presenza di Corine, però, la riportò alla realtà.

Pochi secondi dopo di chiacchiere femminili, una mano si posò sulla spalla di Edith, coperta dal tessuto leggero dell'abito. Quando si voltò trovò davanti a se l'espressione serena dell'agente Wright.

<< Siete incantevole, signorina Colvin. >> E forse era ciò che avevano pensato tutti nel vederla arrivare.

Il suo esile corpicino era fasciato da un lungo abito di una tonalità rosa cipria, che in alcuni punti era leggermente più scuro. L'orlo della gonna era ondulato e l'unico decoro che spiccava era un bocciolo di rosa, del medesimo colore dell'abito, posto al centro del petto, dove iniziava il seno ben coperto. Le braccia erano libere da ogni manica e sulle spalle coperte ricadeva una sorta di veli che le coprivano fino al gomito, in entrambi i lati delle braccia. Questo faceva sì che lasciasse il collo un poco aperto, che formava con i tessuti una leggera U sul davanti, di una modesta sfacciataggine contenuta. Forse era proprio per quello che Kara aveva acconsentito a farglielo indossare. Fortunatamente, l'aria di quella sera settembrina era abbastanza clemente per il tessuto che Edith portava addosso.

<< Anche voi siete molto elegante, agente Wright. >> Rispose lei con un sorriso in volto.

Peter arrossì, visibilmente imbarazzato, e si passò una mano nei capelli già scompigliati. << Ho avuto modo di assaggiare uno dei vostri muffin. Sono squisiti. >>

<< Ne sono contenta. >>

L'agente continuava a darle del voi, anche se pochi giorni fa si erano ripromessi di entrare in confidenza dandosi del tu. Ma del resto ad Edith bastò guardarsi intorno per capire. Era un evento formale quello e, come poliziotto, non poteva certo trattarla come fosse sua sorella. Doveva avere un comportamento impostato. Pochi secondi dopo fu tirato da una folla di persone che gli chiedevano dei precedenti arresi di malavitosi nel quartiere dove sorgeva la rosa negra. A quel nome, Edith si rabbuiò di colpo e si allontanò dalla folla impazzita.

Doveva sentire il nome di quel locale dalla bocca di chiunque e ciò le dava un senso di forte disagio. Fortunatamente arrivò Tony con la sua chitarra ad allietare gli ospiti, esibendosi nella sua nuova canzone, che si intitolava: Storia di un amore. Dal parere di Edith, le parole, erano un po' noiose ma ben presto agli ospiti venne voglia di ballare e quindi si esibirono in lente danze nella piccola sala.

Osservò sua sorella ballare con il suo principale, insieme alla altre coppie. Suo padre stava fumano un sigaro con il Signor Moreau. Lui e sua moglie erano stati tenuti in disparte da tutti al loro arrivo.

<< Vi va di ballare, signorina Colvin? >>

Non si era neanche accorta che l'agente era tornato al suo fianco. Solo quando sentì la sua proposta riuscì a vederlo con la coda dell'occhio. Sorrise, annuendo poco dopo. << Sì, certo. >>

Non aveva mai ballato con uomo prima di quella sera. Come la maggior parte delle cose, le era proibito. Peter la guidò per un primo momento, giusto per prendere un ritmo tutto loro, diverso da quello di ogni coppia presente su quella pista. Si lasciò stringere sulla vita dall'agente e si lasciò andare alla sensazione di agiatezza che riuscì a trovare in quella danza. Era un poco più bassa di lui ma il piccolo tacco che portava le consentì di essere abbastanza alta da arrivargli al petto. Fortunatamente la sua scollatura non era ampia e la teneva ben coperta, anche se osò pensare che lo sguardo del suo cavaliere da ballo indugiò per alcuni secondi sul suo seno, o forse sulla rosa del vestito.

<< Perdonatemi se vi do del voi, in pubblico. >>

<< Non c'è problema. L'ho capito. >>

Si sorrisero per un breve momento, prima di continuare a muoversi sulla pista da ballo. Avvicinandosi di più a lui, stretta nella sua gentile morsa, poté concedersi di respirare il suo profumo. Un buon odore di muschio bianco l'avvolse, facendole dimenticare, per un istante, il contesto in cui si trovava. La gente che li guardava, Don Long che parlava con suo padre vicino ad una finestra, sua sorella che rideva con il suo principale. L'odore di Peter era delicato, gradevole. Non le faceva storcere il naso, non aveva bisogno di abituarsi all'aroma. In qualche modo, sembrava che rappresentasse lui in tutte le sue forme. Era gentile, a proprio agio assieme a tutti quelli sconosciuti, e poi non aveva timore di lui. Non volendo si ritrovò a pensare che Peter Wright era molto diverso dallo zingaro, tenebroso in ogni sua sfaccettatura, tanto da farla tremare al ricordo della sua presa sul suo braccio per trattenerla. Deglutì, mentre un capogiro fu complice di quello spiacevole ricordo e quella sensazione di calore al petto tornò ad invaderla.

Peter se ne accorse. << Tutto bene? >> Senza chiederlo, smise di volteggiare in modo graduale.

<< Sì, perdonatemi. Sto avendo un capogiro. >>

<< Venite, vi prendo qualcosa da bere. >>

Dinanzi a quella gentilezza, Edith li sorrise grata. << Grazie. >> E si lasciò guidare tra gli ospiti che ballavano e quelli che se ne stavano in disparte a chiacchierare.

Vicino al tavolo del buffet, vi erano dei calici colmi di bevande. Peter ne svuotò uno, riempiendolo con dell'acqua e lo consegnò alla sua affascinante dama. Edith lo prese tra le dita tremanti e lo portò alle labbra, sorseggiandone la frescura dell'elemento.

<< Vi ringrazio, Peter. >> Disse, staccandosi dal bordo del calice di vetro e tornando a guardare il poliziotto.

<< Non ditelo neanche. Spero sia passato. >>

Annuì, senza pensarci veramente. << Sì. >>

In poco tempo, alcuni Signori tornarono alla carica, spingendo l'agente Wright in disparte e confondendolo con nuove chiacchiere riguardanti la sicurezza dei quartieri di Chicago. Edith, da dov'era seduta, l'osservò. Le labbra si muovevano e il suono della sua voce era schiacciato in malo modo dal suono della chitarra e dalla voce di Tony, che continuava ad intrattenere gli ospiti.

Suo padre le fu vicino quasi subito. << Se ti stai annoiando, posso comprenderlo. >>

La sua espressione, riuscì a strapparle una breve risata. << Fortuna che non sono l'unica allora. >> Edith spostò lo sguardo su Kara. Il suo principale la stava presentando ad alcune persone eleganti. << Sembra a suo agio con il principale. >>

<< Potrebbe anche essere la volta buona che trova marito. >> Quelle parole suonarono distanti, malinconiche, quasi a nascondere una muta preghiera tra le righe.

Kara aveva sempre pensato a lavorare, ad occuparsi del padre quando stava male e a sua sorella minore da crescere. Era stata madre e figlia allo stesso tempo. E, nell'alternarsi dei due ruoli, non aveva mai pensato a trovare qualcuno con cui condividere il resto dei suoi giorni. Donne come lei venivano chiamate zitelle, coloro che giunte ad un età notevole non riuscivano a trovare marito, o forse non volevano. Aveva ventinove anni ed era una donna bellissima, poteva esserci sempre una speranza per lei.

<< E' il suo principale. >> Osservò giustamente Edith.

<< E allora? E' un uomo con una posizione e una testa sulle spalle. E Kara non ringiovanisce di certo. >> James spostò lo sguardo sulla minore delle sue figlie. << Un giorno toccherà anche a te. Non siamo più in guerra e, al giorno d'oggi, è senz'altro più facile trovare marito. >>

Era abbastanza lontano dalla sua mente, quel pensiero, ma non lo disse al padre. Edith aveva in mente di finire i suoi studi, laurearsi in filosofia e magari insegnare in un'Università americana. Se avanzava del tempo poteva pensare a farsi una famiglia.

Quella conversazione, comunque, morì.

Ripresasi dal suo giramento di testa, Edith posò il bicchiere sul tavolo e si alzò dalla sedia per guardarsi intorno. L'agente Wright tornò da lei con un'espressione stanca sul viso.

<< Non immaginavo che la gente di qui fosse così curiosa. >>

Edith fece un cenno di sorriso. Iniziava ad essere stanca anche lei.

<< Volete che vi accompagni a casa, signorina Colvin? >>

<< Solo se fuori da qui tornerete a chiamarmi con il mio nome. >>

Peter sorrise, snudando le due file di denti bianchissimi e annuì.

Edith andò dal padre, chiedendogli se poteva tornare a casa accompagnata dall'agente Wright. Mr. Colvin sembrò approvare con disinvoltura. Anzi, azzardò a dire di aver visto della felicità passare sul suo volto, come se si stesse divertendo. Kara era troppo impegnata a parlare ancora con il suo principale e preferì non disturbarla.

Peter le aprì la portiera dell'auto in modo galante e andò al posto di guida, mettendo in moto. L'agente guidava un'auto modesta ma che, con la sua paga, poteva permettersi di mantenere. Una Pontiac Firebird nera lucida, e con una riga rossa vicino i cerchioni dell'auto, sfrecciò per le strade di Chicago. Sembrava confondersi con la notte se non fosse per i fari accesi.

Elegante. Costatò Edith.

Durante il breve tratto di strada, lui le parlò di alcuni sviluppi del suo lavoro, che la sua squadra era riuscita a scovare una banda di trafficanti, sulla strada adiacente al locale della rosa negra. A quel nome, Edith si irrigidì e ringraziò che fosse buio, nell'auto, e che Peter avesse lo sguardo concentrato sulla strada per accorgersene. Le chiese, poi, dei suoi studi e la giovane tornò nuovamente a rilassarsi. Gli parlò dell'indirizzo dove voleva laurearsi e cosa contava di fare nel futuro, e aggiunse che il matrimonio era un pensiero lontano. << Prima la carriera e poi l'amore. >> Concluse, ridendo divertita.

Peter accostò accanto al marciapiede che dava sul cancello in legno del cortile che portava all'abitazione della giovane.

Edith posò una mano sullo sportello. << Grazie per avermi accompagnata a casa. >>

<< E' stato un piacere. Ho avuto anche modo di scoprire qualcosa in più su di te. >>

Calò un leggero imbarazzo che colorò le guance della giovane. Rise appena, un poco nervosa. << Bene. Peter, ti auguro una buona notte. >> Disse, ignorando del tutto la sua frase precedente. Scese dall'auto più veloce di un fulmine e aprì il cancello, quando sentì nuovamente la voce del poliziotto dietro di se.

<< Mi chiedevo se ti va di rivederci. Magari in un contesto più divertente. Un caffè? >>

Quando si voltò vide che si era tolto la giacca marrone dell'abito ed era rimasto in camicia bianca con tanto di papillon color terra di Siena in bella vista. I capelli arruffati e il sorriso sulle labbra. Ad Edith parve l'essere più adorabile della terra.

<< Dopo le lezioni, domani? >> Accettò, proponendo una nuova domanda.

<< Perfetto. Buona notte, Edith. >> E detto ciò, tornò in auto, riaccendendo il motore. Ma solo quando la giovane andò dentro, sentì la macchina iniziare a fare le manovre per tornare in strada e allontanarsi dal quartiere.

Edith accese la luce del corridoio con un sorriso da ebete sul volto. Era un appuntamento ciò che aveva l'indomani? Si mise una mano sulla bocca, quanto era grande l'emozione. Diede libero sfogo ad alcuni gridolini di eccitazione, che la portarono sino alla sua stanza da letto. Si bloccò, tornando seria. Sul letto vi era il suo cardigan grigio. Credeva di averlo dimenticato alla rosa negra. Quando vide che accanto vi era un messaggio, decise di leggerlo ad alta voce. << La prossima volta cerca di non dimenticare i pezzi in giro. P.S. Quel vestito rosa ti sta un incanto. –Z. >> Sbarrò gli occhi, guardandosi intorno.

La finestra era chiusa e nella stanza non volava una mosca. Come diamine aveva fatto a sapere dove abitava? Ridusse gli occhi a due fessure e, respirando affannosamente, con il fumo che usciva dalle narici in modo metaforico, stracciò quel biglietto con ira, buttandolo poi nel cestino accanto alla toeletta.

Come aveva fatto a vederla con il vestito addosso? Era ancora in casa?

Sobbalzò nel sentire un rumore al piano di sotto. Tremò, con il cuore a mille e i piedi incollati al pavimento. Che cosa voleva da lei? Perché continuava a perseguitarla? Si guardò attorno, afferrando una scopa lì vicino e, aprendo lentamente la porta, scese nel corridoio. Era ancora tutto acceso e guardando nel salotto, dove c'era la televisione, vide tutto spento. Abbassò la guardia, dandosi della stupida.

L'occhio andò a caderle accanto al giradischi e vide che c'era un disco posto in malomodo. Si avvicinò, curiosa di sapere del perché Kara non l'avesse rimesso al suo posto con cura, visto che era una cosa che le rimproverava sempre. Inserì per bene il disco e abbassò la punta su di esso, iniziando a girare.

Le note di Diamonds are girl's best friend iniziarono ad espandersi nella stanza, come fulmini su un unico oggetto. Così improvvisamente che per la sorpresa sobbalzò e corse a levare il disco dal giradischi, prima che i vicini potessero avvertire la polizia o bussarle alla porta. Si passò una mano sul viso, stanca e divertita allo stesso tempo. Ma poco dopo fu anche infastidita. Stava continuando a lottare contro se stessa, contro qualcosa che la esortava ad abbandonarsi alle note allegre di quella canzone, magari improvvisando uno spogliarello. Al solo pensiero, il disco le cadde dalle mani e solo quel tonfo la fece risvegliare.

Se quell'uomo credeva che, per convincerla, bastasse intrufolarsi in casa sua e lasciarle dei messaggi, si sbagliava. L'indomani sarebbe andata alla rosa negra e gli avrebbe sbattuto in faccia quel disco. Arrestò i suoi pensieri. Tornare lì era fuori discussione. Doveva ignorarlo, presto o tardi si sarebbe stancato di darle la caccia.

Inutile dire che, quando si mise a letto, quella sera, fece l'ennesimo incubo. Lo stesso di ogni notte.




Wolf's note:

Anche con alcuni problemi tecnici, c'è l'ho fatta ad aggiornare per oggi.

Questo è stato più un capitolo passeggero, a dire il vero, ma è necessario ai fini della trama. Quindi ci serviva. Edith, più confusa che mai, continua a farsi domande su domande. Nel prossimo capitolo, comunque, avrà delle risposte. Sebbene non tutte ma una buona parte. Nuovo aggiornamento previsto per Domenica o, molto probabilmente, Lunedì. 

Come sempre, se il capitolo vi è piaciuto vi invito a lasciare un commento, magari un vostro parere, o/e una stellina! Però vorrei cogliere l'occasione di ringraziare voi lettori, uno ad uno è quasi impossibile, ma sappiate che questo ringraziamento è rivolto a voi. <3

Detto ciò... vi invito a mettere "mi piace" alla pagina dedicata alle mie storie, che potete trovare sulla pagina d'autore qui su Wattpad. La pagina è "Le memorie di Wolfqueens". Lì inserirò foto di prestavolti, di oggetti usati o presi d'ispirazione per le storie, citazioni, video, link e molto altro. Ed è lì che metterò eventuali ritardi di aggiornamenti delle mie storie. Quindi vi invito a tenerla d'occhio in caso vorrete essere sempre aggiornati.

Buona lettura e alla prossima con il nuovo capitolo!

Wolfqueens Roarlion.



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