3. Un airbnb che mi cambiò la vita

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Passato

Gli donai tutto di me, troppo per sopravvivere

Una storia bella quanto travagliata: ci conoscemmo durante un viaggio a Lipsia dove andai con un'amica, Dalia;

avevamo affittato un airbnb e il caso volle che fosse proprio una camera dell'appartamento di James, precisamente la stanza della sua coinquilina trasferitasi in Cina per l'Erasmus.

Appena giunte nel quartiere, andammo a prendere le chiavi in un locale lì vicino, poi aprimmo il portone dell'edificio color senape e salimmo le scale in pietra grigie che portavano al primo piano, arrivammo a un corridoio, il cui pavimento era composto di piastrelle colorate e tante finestre, e i miei occhi presero a rimirare le numerose aperture in vetro del piano, c'era tanta luce.

E da una di queste si poteva osservare il cortile interno con alcuni alberi vestiti di giallo, marrone e arancione: l'autunno li spolverava di colore.

Guardammo i nomi sui campanelli e intercettammo la porta giusta; si trattava di un'entrata in legno massiccio marrone scuro; la chiave era vecchia e lunga, la infilammo nella serratura e dopo un giro, si aprì ed entrammo in casa.

Ci sedemmo nel giardino d'inverno, lasciammo le valigie all'ingresso, come anche le scarpe e, vedendo un posacenere sul tavolino nel quale c'erano dei filtri spenti, alcuni dei quali contornati di rosso, presumibilmente rossetto, deducemmo che si potesse fumare.

Ci accendemmo una sigaretta a testa, dopo aver aperto la finestra e all'improvviso sentimmo la porta spalancarsi.

Si avvicinò a noi un ragazzo dai capelli corvini e occhi scuri come abissi, era abbronzato e molto alto. Indossava con fierezza un naso dritto perfetto, delle labbra carnose, ma delicate e seducenti e dei denti bianchissimi. Ci salutò esclamando in tedesco:

«Ciao! Benvenute a Lipsia! Arrivate bene? Avete fatto un buon viaggio?»

Dalia e io ci guardammo e, sorridendo, rispondemmo:

«Grazie! Sì, tutto bene il volo». 

Lo guardavo, ebbene sì, lo avevo notato.

Uscimmo subito di casa, tutti e tre insieme.

Avevo una reflex Canon con me e feci foto di edifici in stile liberty, di noi e di monumenti storici, come l'Augustusplatz e la Thomaskirche. Vedemmo la città con lui come guida;

il secondo giorno andammo in un mercatino dell'usato; James e io fummo catturati da una pila infinita di vinili. Dalia si fermò, invece, a una bancarella di gioielli vintage; io e quel ragazzo guardavamo gli stessi dischi e appena lui ne trovava uno interessante me lo mostrava e ci sorridevamo affabilmente.

Pochi giorni più avanti festeggiammo anche il mio compleanno in un locale proprio in quella città; James mi fece una sorpresa con i suoi amici e io con la mia amica ci ritrovammo involontariamente in una festa privata in un bar per festeggiarmi. Ero indecisa su cosa indossare quella serata, senza sapere ancora dell'organizzazione top secret del ragazzo appena conosciuto, sapevo solo una cosa: uscita a tre per locali a bere, bere e bere; avrei compiuto ventisei anni; ero giovane e ancora all'oscuro del futuro. Feci loro una sfilata per mostrare gli indumenti che avevo scelto per quella uscita.

Optai su loro direttiva per un pantalone nero a palazzo e un top corto dello stesso colore, avevo la pancia scoperta che potevo mostrare senza vergogna perché magra e senza un filo di grasso sull'addome. Lui, vedendomi, rimase con gli occhi incollati su di me, che brillavano come comete.

Quel ragazzo sembrava essersi affezionato molto a me, la festa con i suoi amici fu il suo regalo di compleanno.

In seguito, dopo aver bevuto abbastanza, andammo in una discoteca, dove c'erano sparse qua e là delle sorta di navette spaziali arieggiate nelle quali era possibile fumare.

Mi sedetti all'interno di una e lui non perse occasione per posizionarsi accanto a me.

Si passò la mano tra i capelli spettinati, portandosi con l'altra il filtro alle labbra carnose, aspirò con avidità, e, guardandomi fisso negli occhi, sputò il fumo bianco verso l'alto, domandandomi:

«E quindi è la tua prima volta a Lipsia?» i miei occhi inciamparono sulle sulle labbra che, parlando, si mossero tra loro, toccandosi.

Cercai di spostare la mia attenzione sui suoi occhi, le pupille erano grandi e venni risucchiata dall'abisso di quell'universo buio, nero, che al suo interno nascondeva stelle a me ancora ignote.

I nostri sguardi si fusero per innumerevoli secondi di silenzio, durante i quali essi parlarono molto di più di quanto facemmo a parole.

Liberai una nuvola di fumo in aria e, sospirando, alzando le spalle, risposi:

«Sì, è così.»

«Ti piace?» Mi piacerebbe di più se mi baciassi, pensai silenziosamente.

Cominciammo a parlare indisturbati, James mi confidò di aver perso suo padre due anni prima e io feci lo stesso, ma nel mio caso erano  passati già otto.

Avevamo vissuto un lutto simile e ci ritrovammo a capirci e confortarci e fu con molta probabilità questo che lo fece avvicinare a me ulteriormente.

Dopo la conversazione mi abbracciò con affetto, sentivo il suo cuore battere forte e veloce e il mio non fece da meno. Uscimmo dalla navetta quando arrivarono i drink al tavolo.

Lui si sedette su una sedia libera, ma per me non ce n'era.

All'inizio lui mi propose il suo posto, poi con una punta di malizia mi offrì la sua coscia.

«Vuoi che mi sieda in braccio a te?»

«E che ci sarebbe di male?» domandò lui, mentre io divenni subito rossa in viso; James mi fece un sorrisetto sghembo e indirizzò gli occhi sulle sue gambe, spronandomi a compiere l'azione.

Lanciai un tacito sguardo a Dalia, che invece mi fece un occhiolino, sogghignando.

A fine serata andammo a prenderci qualcosa da mangiare in un panificio turco.

Ordinammo delle "pita", James e la mia amica agli spinaci e formaggio di capra, io alle patate. Iniziammo ad addentarle a casa quando erano ancora calde. Dalia poi andò a dormire mentre io rimasi sveglia ancora un po' per via dell'adrenalina ancora in circolo dovuta all'accumulo di emozioni provate durante il mio compleanno.

Stavo fumando una sigaretta in compagnia di James, perché anche lui era ancora troppo sveglio per coricarsi, quando lui interruppe i miei pensieri alzandosi ed esclamando:

«Vieni!» mi porse la sua mano abbronzata.

«Dove?» mi guardai attorno spaesata, poi spostai lo sguardo sul suo un metro e novanta di altezza.

«È una sorpresa!»

Se non fossi andata con lui, con molta probabilità, la mia vita avrebbe preso una piega diversa e forse in seguito sarei stata bene e sana.

Mi portò a una scaletta che tirò giù dal soffitto e mi disse:

«Sali!»

«Cosa c'è lassù?»

«Lo vedrai, fidati» e io mi fidai.

Arrivata nel sottotetto molto grande, Lo aspettai e quando mi raggiunse, mi fece strada verso degli scalini che portavano a una porta in compensato. Uscimmo fuori all'aria aperta. Un vento fresco, ma piacevole, ci travolse il viso e ci mosse i capelli in una danza liberatoria.

Ci sedemmo sulle tegole del palazzo e da lassù si poteva vedere l'intera piazza, se non addirittura tutto il quartiere. Si avvicinò a me e notai un'ulteriore volta i suoi occhi neri profondi e intensi, erano affascinanti e intriganti, avevano un qualcosa di oscuro e misterioso e allo stesso tempo di affascinante, era vestito di ombre, mi sentivo attratta da lui e allo stesso tempo impaurita di essere imprigionata da un mantello nero che avrebbe potuto avvolgere la mia anima e il mio respiro.

Qualcosa di lui non mi convinceva e non so dire cosa con esattezza; era come sapessi nel profondo di non potermi fidare completamente di lui, ma io lo feci comunque.

Posò la mano affusolata accanto alla mia, senza toccarla però; l'elettricità era palpabile, sentivo un'energia stringermi a lui e io ne ero terrorizzata; non so se i brividi fossero per via del vento fresco o dell'attrazione che ci avvolgeva, come calamite. Desideravo baciarlo e allo stesso tempo non lo volevo affatto: difficile restare calma.

Iniziai a muovere nervosamente la gamba e a mordermi le pellicine delle dita fino quasi a sanguinare.

Non mi piaceva lui, era un bel ragazzo, senza ombra di dubbio, ma non ne ero attratta del tutto, c'era una certa sensazione inspiegabile che mi faceva ergere un muro invisibile tra di noi.

Non era il sesso che cercavo e tantomeno con lui. Lo fissai e lui mi sorrise con tenerezza.

Inutile negarlo, sarebbe stato il momento perfetto per un bacio.

Il sole si stava alzando e i colori viola e azzurro ricoprivano il cielo di sfumature pastello tenui: ecco la prima alba a Lipsia. Lui mi confidò con tono insicuro:

«Sono contento di averti conosciuta, e non so dirti quanto».
Gli  sorrisi di rimando non sapendo cosa dire, ero ammutolita e forse anche un pochino in imbarazzo; arrossii, mentre lui non mostrò la benché minima esitazione o vergogna. Mi sembrava ovvio che si sarebbe avvicinato a me e avrebbe posato le labbra sulle mie.

Così ovvio che non lo fece.

Ci guardammo affabilmente e lasciammo che i nostri sguardi si allacciassero e abbracciassero con tenerezza, in seguito scendemmo di nuovo nell'appartamento.

Andammo a dormire subito dopo in camere separate.

La mia amica già dormiva e non mi sorprese affatto.

L'indomani facemmo qualche altro giro per Lipsia, era l'ultimo giorno: andammo in un museo e vedemmo una mostra di Van Gogh;

la mattina successiva saremmo partite per Berlino e di sorpresa lui venne con noi, non mi infastidì, anzi mi fece molto piacere; prendemmo il treno delle dieci, arrivammo tre ore dopo e andammo subito all'airbnb affittato per posare gli zaini; James notò il mio iPod che avevo lasciato sul letto mentre ero in bagno per darmi una rinfrescata, lo prese e cominciò a ficcanasare tra gli artisti e gli album contenuti nell'oggetto touch. Lo spiai facendo capolino dalla porta.

«Hai degli ottimi gusti musicali» urlò dalla stanza verso il bagno in cui mi ero rintanata. La sera andammo in un locale a Neukölln, il quartiere più cool, giovanile e hipster di quella metropoli, dove bevemmo delle birre; ci avevo vissuto sei anni prima con Dalia, quindi riuscivamo ancora a orientarci.

Lui mi stava sempre vicino, mi cercava sempre con gli occhi, con gli sguardi, con il respiro e, infine con il cuore.

Dalia, però quella sera non si sentiva bene, forse aveva preso freddo, così la riaccompagnammo all'appartamento, dove andò subito a dormire, mentre James e io restammo soli, tornammo al locale e bevemmo un altro po'.

Nel frattempo un dj iniziò a mettere musica e quando arrivammo, questa ci travolse del tutto.

Appoggiammo le giacche su un divano al lato del locale. Cominciammo a ballare impacciati e ridevamo, ridevamo e ridevamo più per l'imbarazzo che per qualcosa che fosse davvero divertente; stavamo soltanto passando del piacevole tempo insieme.

Non successe nulla neanche quella sera perché andammo a dormire velocemente appena rientrati.

Il giorno dopo avevamo previsto un tour della città. Dalia stava di nuovo bene, così andammo a visitare il duomo, la porta di Brandeburgo, il Parlamento e il muro, o meglio quel che ne rimaneva di quel confine in cemento imbrattato di murales.

La sera cenammo in un ristorante vietnamita, poi tornammo nel quartiere del giorno avanti in un altro locale: l'Ä.

Rientrammo a Lipsia per gli ultimi due giorni prima di rincasare. A Berlino restammo due notti appena, una toccata e fuga.

Tornati a Lipsia, cucinammo con James e alcuni suoi amici, preparammo gli gnocchi, sotto mia speciale direttiva. L'indomani avevamo l'aereo a mezzogiorno lei e io alle quindici.

James ci accompagnò fino all'aeroporto: il viaggio in treno verso quella destinazione la passai accanto a lui, dividendoci le cuffiette; io sarei tornata in Italia, Dalia a Stoccarda.

Bevemmo un caffè insieme prima di andarcene e con James ci scambiammo i numeri di telefono, facendoci la promessa di risentirci:

«Scrivimi quando sei a casa» mi disse con tono supplichevole, gli promisi che lo avrei fatto; alle diciannove, dopo un'ora e mezza di viaggio in aereo e due  in macchina, gli scrissi in maniera semplice e concisa:

Arrivata a casa sana e salva, buona serata. Un abbraccio,

Liby

Non rispose e in modo bizzarro, oltre ogni aspettativa, ci rimasi male.

Ripensai all'avventura appena vissuta e mi resi conto di essere stata davvero bene con lui e tutti quei suoi amici che mi avevano accolta con disinvoltura e piacevole cortesia; mi ero fatta dei nuovi amici e ne ero grata oltre misura; non avevo mai avuto un gruppo così affiatato come lo erano loro. Il giorno dopo il mio arrivo, tornai nella città in cui studiavo, Perugia, e mi ristabilii nell'appartamento condiviso con un ragazzo, Daniele.

Con James ci sentivamo tutte le sere, come una routine, iniziammo anche a fare videochiamate; spesso dal letto in cui ci addormentavamo in concomitanza.

Un giorno mi confidò addirittura di avermi osservata dormire per un po', il mio respiro profondo e cadenzato lo aveva cullato e trasportato in un rilassamento totale, una sorta di trance, disse di aver sognato a occhi aperti in quell'istante.

Decisi di festeggiare capodanno a Lipsia, con lui, sarei partita il 30 dicembre, ma James il primo dicembre mi sorprese con una notizia:

«Il tredici dicembre vengo in Italia e voglio vederti a tutti i costi» andai nel panico. Continuammo a sentirci comunque tutti i giorni e lui si stava avvicinando passo dopo al mio cuore; contavo i giorni che mi dividevano dal nostro rincontro. E a essere sincera, iniziavo a provare qualcosa nei suoi confronti. Non ero innamorata, ma avevo continue farfalle nello stomaco quando decidevamo di videochiamarci e lui ai miei occhi stava diventando bello, da togliere il fiato, seppure fossi sempre stata attratta da ragazzi biondi con gli occhi azzurri. Ma d'altronde che importanza hanno il colore dei capelli e delle iridi, ciò che conta davvero è piacersi e soprattutto scoprire ciò che il prossimo ha dentro di sé, il colore della sua anima, la sua era gialla e di un nero più profondo della notte. Il giorno prima del suo arrivo, pulii tutta casa e mi misi d'accordo con il mio coinquilino: ci avrebbe lasciato casa libera. Informai James di prendere la navetta dalla stazione al centro della città. Sarei stata all'università al suo arrivo.

«Ti vengo a prendere a lezione finita!» esclamò lui senza esitare.

Preparai tutto con cura, cambiai le lenzuola del mio letto, poiché avremmo dormito insieme e desideravo fosse tutto perfetto. No, non pensavo al sesso, ero così agitata da non aver neanche affatto azzardato un pensiero a tal riguardo. Il giorno previsto del suo arrivo, andai a lezione alle quattordici, mangiai un boccone al volo senza dover sporcare di nuovo la cucina. Lasciai la camera ordinata e mi avviai all'aula universitaria, dove si sarebbe tenuta la lezione di letteratura francese. Durante la spiegazione della professoressa guardavo di continuo l'orologio, ero emozionata ed emotivamente instabile, le gambe e le mani mi tremavano. Ero terrorizzata. Quando uscii dall'edificio percorsi la piccola stradina parallela alla piazzetta dove ci saremmo ritrovati e, una volta arrivata, mi guardai attorno con occhi sbarrati in cerca di un ragazzo altissimo con gli occhi come abissi; ed eccolo lì, appoggiato a un palo della luce, vestito dalla testa ai piedi di nero, che mi osservava con i suoi occhi profondi. Deglutii rumorosamente appena lo vidi, aumentò la mia salivazione per l'agitazione e avevo lo stomaco in subbuglio. Mi avvicinai con lentezza con gambe tremanti, lui fumava una sigaretta e in quel momento teneva gli occhi bassi, fissando il pavimento asfaltato; aveva un modo di fare così irresistibile, poi, come sentendo la mia presenza, alzò lo sguardo su di me e fece intravedere con un sorriso i suoi denti perfetti e la sua anima s'illuminò di giallo, uno solare, primaverile, in netto contrasto con l'inverno che ci avvolgeva con il suo rigido freddo.

«Ciao!» esclamò con tono tranquillo.

«C- ciao» balbettai; non sapevamo come salutarci, avvicinai il viso al suo per dargli due baci sulle guance, ma lui, imbarazzato, mi abbracciò; disorientata, ricambiai, diventando paonazza per il gesto inaspettato. Ci sorridemmo impacciati. Avevo il suo profumo terroso nel naso.

«Dove si va?» domandò lui guardandomi sempre con i bordi delle labbra carnose all'insù.

«A fare la spesa per cena, domani ti mostro la città» gli strizzai un occhio.

«Fammi strada» era agitato quanto me, lo notavo perché diventava insicuro man a mano che i minuti passavano. Si accese un'altra sigaretta, tirando con nervosismo da essa: era inquieto nello stesso identico modo in cui lo ero io. Andammo al supermercato a comprare della pasta fresca, poi passammo dal fruttivendolo a prendere dell'insalata. Usciti dai negozi, ci avviammo verso casa, scendemmo una grande scalinata in pietra, poi percorremmo tutta la lunghezza dell'acquedotto, su cui si affacciavano tutte casette colorate, potevamo trovarci tranquillamente a Copenhagen, se non fosse che sotto di noi non c'era alcuna acqua, ma una strada che portava fuori dalle mura della città.Arrivati all'edificio della mia abitazione, aprii il grande portone in castagno laccato, salimmo la stretta, piccola e vecchia scalinata fino a raggiungere l'ultimo piano, il terzo. Entrammo nell'appartamento e il profumo di casa mi avvolse all'istante le narici, calmandomi. Quella sera cucinammo insieme dei ravioli al sugo di gorgonzola. In casa non c'era un cavatappi, così suonai il campanello dell'appartamento vicino; un giovane ragazzo mi aprì la porta,

«Ciao, scusami il disturbo, sono la tua vicina, indicai la porta dalla quale ero appena uscita, hai un apribottiglie?»

«Sì, aspetta un attimo» fin là fuori si sentivano rumori di cassetti aprirsi e oggetti colpirsi tra di loro. Ricomparse alla porta, porgendomi l'oggetto, che gli riconsegnai pochi minuti dopo. James e io bevemmo qualche bicchiere di vino e infine andammo in camera mia. Volle sentirmi suonare e cantare con l'ukulele e intonai, quindi, un pezzo: 

Creep - Radiohead

You're just like an angel

Your skin makes me cry

You float like a feather

In a beautiful world

Tu sei proprio come un angelo

la tua pelle mi fa piangere

tu fluttui come una piuma

In un mondo meraviglioso

Lui mi guardava trasognato e con occhi sbarrati come fossi un panorama al quale non si poteva rinunciare, si tolse le scarpe e si sedette a gambe incrociate sul letto, poi appoggiò la testa sulle mani, i suoi gomiti erano puntellati sulle gambe. 

Dopo aver cantato le prime due strofe e il ritornello, si avvicinò, guardandomi, mi prese dalle mani lo strumento e lo posò sul tappeto accanto al letto, mi sfiorò il viso con l'indice sinistro e posò le labbra sulle mie come una farfalla su un fiore; le nostre lingue si erano desiderate a lungo, si strusciarono tra loro languidamente, si abbracciarono, danzarono e si unirono in un vortice di passione, quello fu il nostro primo bacio: fu diverso da come me lo ero immaginata, come se mi fossi aspettata di più, in effetti rimasi delusa. Prese a tracciare il lato del mio collo con le labbra, chiusi gli occhi e mi abbandonai a quel tocco, tracciava il suo sentiero con la lingua, trattenni il respiro, sollevò il viso per cercare il mio e baciarmi di nuovo e io allacciai le braccia al suo collo; sentii il cuore martellarmi nel petto. Ma la serata non si concluse così. Dopo poco si avvicinò al muro e ci si poggiò con la schiena, mi tirò a sé per i fianchi e io caddi all'indietro ridendo tra le sue braccia, lui come un mio riflesso fece lo stesso, eravamo felici di esserci ritrovati. Mi girò con la testa verso la sua in modo da essere l'uno di fronte all'altra, mi fissò, inoltrandosi in alto mare, il colore dei miei occhi; cercava di scorgere la mia anima, per abbracciarla, forse. 

Sfiorò con la punta del suo naso la mia e dei leggeri brividi mi attraversarono la schiena. Si avvicinò alle mie labbra con la sua bocca; prese tra i denti il mio labbro inferiore e lo succhiò avidamente, poi ci passò la lingua su tutta la sua superficie per assaporarne la morbidezza, non contento, fece scivolare una mano lungo la mia schiena, fino al bordo della maglia a maniche lunghe che indossavo, passò il dito su di esso, al confine con la mia pelle, sentii il petto svuotarsi e mancarmi il fiato, fece il passo più lungo della gamba e affondò le mani nella mia pelle calda, mi tirò ulteriormente a sé , scese con le mani fino ad arrivare all'altezza delle mie natiche sotto i pantaloni larghi e morbidi, le strinse tra le dita e le portò sopra di sé. Non fu affatto difficile percepire la sua erezione sotto la mia pelle accaldata. Cominciò a muovermi il bacino come onde, permettendo una frizione tra le nostre intimità; sentii le gambe diventare molli e iniziai ad avere difficoltà a respirare con correttezza. 

Come se non bastasse, si avvicinò al mio orecchio e passò la lingua sul mio lobo. In quel momento percepii infuocarsi il mio basso ventre, che oramai scalpitava, ignorando la vergogna e l'imbarazzo: desiderava e, vedendolo, anche la mia mente ne era attratta, tutto di lui mi piaceva. Avrei dovuto aprire meglio gli occhi...

Portò ancora una volta le mani sulla mia schiena e si addentrò nella maglia, trovò ciò che cercava poco dopo: la chiusura del reggiseno; la aprì con professionalità e fermezza, mi alzò il capo d'abbigliamento per sfilarmelo e io glielo lasciai fare con lentezza, alzai le braccia per farmi spogliare , me la sfilò e nel farlo lasciò scivolare l'indice sul mio capezzolo sinistro già scoperto, che s'inturgidì. A James piaceva provocare, con quel suo ghigno beffardo disegnato in volto. 

Rimasi nella parte alta del corpo nuda con il reggiseno aperto sulla schiena, le coppe pendevano sul seno in maniera poco elegante, ma lui, prontamente, mi fece girare di spalle e mi baciò tutta la lunghezza della schiena, dalla nuca alla parte lombare. 

Una scia di brividi mi percosse dalla testa ai piedi, solleticando i nervi. Mi baciò dietro le orecchie, proseguendo verso il collo, e, con sorpresa, prese da dietro le spalle il mio seno tra i suoi palmi caldi, unendo le dita attorno ai miei capezzoli e facendoci roteare attorno il pollice. Se lo portò alla bocca, inumidendolo di saliva e stuzzicò il centro roseo di entrambi i miei seni. Prese a baciarmi la guancia finché io non ruotai la testa verso di lui e James mi leccò il labbro inferiore, assaporandolo in seguito in maniera delicata tra i denti.

«Non sai quanto ti ho desiderata» si fece sfuggire con voce roca.

Mi fece sdraiare, spingendomi con l'indice verso il materasso e io accolsi la sua tacita richiesta, seguendo il suo facile ordine gestuale. Si alzò sulle ginocchia, si strappò di dosso la t-shirt bianca e si aprì la cintura marrone chiara in pelle che tirò in un attimo, sfilandola dalla fibbia e dallo spacchetto sartoriale la gettò a terra e in un attimo si aprì anche il bottone dei pantaloni.

«Non vuoi proprio perdere tempo!»

«Voglio gustarmi ogni attimo di te, desidero averti tutta per me il più a lungo possibile.»

Prese il bordo dei miei pantaloni tra le mani e tirò con una voracità che non gli si addiceva. Qualcuno mi disse che quando gli uomini stanno per fare sesso, si trasformano in animali. Pensai ridendo tra me e me

E la mia domanda in testa sorse spontanea: Ma non lo sono sempre? L'uomo non è un animale intelligente e sociale?

Rimasi con gli slip addosso sotto i suoi occhi scuri, tenebrosi e infuocati di desiderio. Facemmo l'amore con gli sguardi prima di unirci con i nostri corpi come due pezzetti di un puzzle erotico. Fece scivolare la lingua sui miei capezzoli turgidi, slittando con piccoli cerchi e stuzzicando quella parte sensibile con i denti. Ero eccitata, eccome se lo ero. Affondai le dita nei muscoli della sua schiena. Passai una mano sul cavallo dei suoi pantaloni, percependo tutta la durezza del suo membro, avvicinai la mia intimità alla sua, alzando di poco il bacino per sentire la frizione. Il mio centro pulsava dolorosamente. Lo volevo infine dentro di me, presi iniziativa e allungai la mano fino al bordo di essi, feci scivolare il dito lungo tutta la lunghezza della cucitura e del suo addome, in seguito ci infilai la mano dentro, toccai i suoi boxer e il suo sesso caldo e desideroso di attenzioni. Non era una situazione nella quale mi sentivo a disagio e nemmeno lui. Avevo abbastanza esperienza da farne diventare un gioco divertente. Raccolsi un po' di saliva con l'indice e la portai al suo glande, strusciandoci il dito sopra per stuzzicarlo, ma lui reagì con villlania e irruenza.

«No.» asserì.

«Non voglio venire prima di te, voglio essere lucido per osservarti esplodere»

Fece scivolare languidamente la lingua lungo tutto il mio addome fino ad arrivare alle mutandine. Baciò il mio inguine, avvicinandosi a man a man al punto di maggior calore. Posò per un attimo le labbra sulla mia intimità e io alzai gli occhi al cielo per il tremolio ai piedi che mi causò quel breve contatto. Ma lui non si fermò, continuò a farmi assaporare quel dolore e desiderio di raggiungere l'apice tanto atteso. Successe in un attimo, spostò gli slip di lato e affondò la lingua dentro di me. Mi morsi il labbro inferiore con tutte le forze. Entrò e uscì da me, poi introdusse il dito medio che iniziò a far sprofondare e fuggire a tempo sempre più veloce, mentre con il pollice e movimenti circolari massaggiava il mio clitoride. Ero a un battito di palpebre dall'orgasmo e poi... eccolo. Cominciai ad ansimare ad alta voce e delle scosse elettriche stravolsero tutto il mio corpo, scombussolandolo. Fu nel momento di massimo subbuglio, che prese dalla tasca dei pantaloni una bustina quadrata, si abbassò i pantaloni, mostrando la sua erezione marmorea; s'infilò il preservativo e in un attimo affondò dentro di me, togliendomi il respiro. Si passò la lingua tra le labbra e vidi il suo pomo d'Adamo slittare dall'alto verso il basso con lentezza. Con affanno cominciò a muoversi adagio in me con movimenti simili a onde che si infrangono contro la costiera. I nostri respiri si unirono e i nostri petti ansanti si scontravano ripetutamente.

Si mosse con vigore sempre maggiore e sentii crescere la sua grandezza in me fino a esplodere.

«Cazzo, sono venuto.»

«Direi che è un bene, no?»

«No! O meglio, sì, ma avrei preferito continuare a guardarti godere, sei bellissima»

«Grazie» arrossii senza rimedio e lui sorrise. Mi diede un bacio sulle labbra e uno sul naso.

«Adesso dormiamo, voglio vedere la città domani.»

Posai la testa sul suo petto che si alzava e abbassava come onde lente e mansuete.

Ero stata accecata dal buio dei suoi occhi e capelli neri e dalla luminosità del suo sorriso perfetto.
Il giorno successivo era domenica e andammo prima a fare colazione in una caffetteria poco lontana da casa, era molto bella, i mobili erano tutti in legno colorati e vintage, ordinammo due cappuccini e due cornetti e ci sedemmo su un grande divano di velluto giallo ocra; ero molto orgogliosa di averlo al mio fianco, era come una coppa che mi piaceva sfoderare, era bello, troppo bello e io lo baciavo! Gli mostrai a grandi linee la città, passeggiammo sull'acquedotto, camminammo per stradine nascoste che io stessa non conoscevo, poi lo portai nel mio negozio preferito di vinili. Montagne di dischi erano distribuiti ovunque e al centro un grande tavolo sul quale erano disposte scatole ricolme. Ficcanasammo nella montagna di musica.

Comprò un album degli Odesza.

A Moment apart - Odesza

I love you most, I love you more now

Successivamente, dopo avergli mostrato buona parte della cittadella del cioccolato, partimmo in macchina per andare a pranzo da mia madre, non si conoscevano, fu l'occasione per farli incontrare la prima volta. Tutto filò liscio. Ci avviammo verso mezzogiorno, io alla guida, dal momento che lui non aveva la patente e non conosceva la strada. Entrammo in casa mentre mia madre era ai fornelli. Lei è una grande cuoca e per l'occasione preparò gli spaghetti al pesce di mare. Il vino bianco allievò la tensione.

Parlarono molto e lui sembrava curioso di conoscere come mai mia madre si fosse trasferita proprio in Italia.

Lei iniziò a raccontargli la storia dei suoi genitori: erano in viaggio di nozze con una Lambretta, che si ruppe proprio a Bolsena. Erano giorni di festa quelli, perché nel paese si festeggiava la patrona. I giovani sposini dovettero aspettare, quindi, qualche giorno per portare il mezzo dal meccanico, che per ripararlo ci avrebbe messo del tempo, non restava che attendere.

Si ritrovarono in un paese sconosciuto nel quale ebbero tempo a sufficienza per innamorarsi del posto.

Al loro ritorno in Germania, il pensiero era ancora legato a Bolsena, non riuscivano a dimenticarsela; decisero, allora, di costruire casa e trasferirsi lì per l'inverno, mentre nella loro patria al nord faceva molto freddo, e così fecero. Poi, qualche anno dopo nacque mia madre e i suoi due fratelli. Lei conobbe mio padre, divennero prima migliori amici, si innamorarono e lei rimase in Italia con lui. 

Poi nacqui io lì, in quello Stato.

Fine della storia.



SPAZIO AUTRICE

Scorcio sul passato di Liberta e James. Chi sarà questo ragazzo e come si evolveranno le cose tra di loro? Prima scena spicy, contenti? Continueranno ad avere contatti? Si rivedranno?

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