Capitolo 4

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Fuori dall'ufficio trovai la signora ad aspettarmi, inchinata. - Mi scusi signorina Hagiwara, on avrei dovuto reagire così malamente, mi fido delle scelte del tenente maggiore Akito Fujii, sono certa che lei sia qui per un motivo. Adesso, mi permetta di accompagnarla nella sua stanza signorina- disse, proseguendo per un corridoio e su per delle scale a chiocciola. La signora Himari mi accompagnò davanti ad una bellissima porta in legno laccata di nero con un numero argentato inciso sopra, il cinque. - Signorina Hagiwara, questa è la sua stanza, la condividerà con Muishiro Fujii. Il suo letto, signorina, è quello superiore. Per qualsiasi cosa mi chiami-  mi spiegò, per poi lasciarmi da sola a contemplare la porta. Appoggiai una mano sulla maniglia e mi sentii leggermente emozionata, al solo pensiero di avere una camera, anche se con lui, il ragazzo dai capelli neri. Entrai e lo vidi sdraiato sul suo letto, in basso, mentre fissava quello che si ergeva sopra di lui. Mi schiarii la voce, attirando la sua attenzione e mi inchinai, per poi chiudere silenziosamente la porta e avvicinarmi al letto a castello. - Giusto, ci hanno messo in camera insieme. Beh, ho un messaggio da riferirti, devo accompagnarti a prendere la tua roba dove abitavi prima, per poi trasferirla qui- fece lui, alzandosi e stiracchiandosi. Lo guardai confusa, non capendo cosa intendesse dire, poi però scoppiai a ridere. - Dove pensi di accompagnarmi tu? non ho mica bisogno di potezio...- mi bloccai e imprecai, arrabbiandomi improvvisamente. - Non sarò io a perdere questa battaglia tenente- sussurrai, a voce un po' troppo alta. - Ma che stai blaterando? ma che battaglia e battaglia, ti devo solo accompagnare per assicurarmi che la Compagnia del Sole non ti prenda in ostaggio!- esclamò lui, facendo un passo verso di me e agitando un pugno di aria, furente. - Il tenente vuole farci diventare amici, è per questo che mi accompagni tu piuttosto che il resto della squadra!- esclamai a mia volta, afferrandolo per il colletto. Subito dopo mi accorsi che i nostri volti erano troppo vicini per i miei standard e mi allontanai velocemente, voltandogli le spalle. - Che ti prende ora?- mi chiese sbuffando. Sospirai e girai lentamente la testa verso di lui, in modo da far incontrare i nostri sguardi. - Diciamo solo che odio il contatto umano, non lo sopporto proprio... mi fa... stare male per così dire- mormorai e afferrai il mio ciondolo da sotto la maglietta, aprendolo e osservando la fotografia al suo interno. - Sai, non sei l'unica che ha perso la proprio famiglia...- mi voltai nuovamente verso di lui, e lo trovai piegato ad osservare la mia foto dalla mia spalla. Saltai di lato, chiudendo il ciondolo e riponendolo sotto la maglietta. - Non ne dubito, infatti non mi sto mica lamentando del fatto che sono tutti morti, non sto mica piangendo per la loro morte, o almeno non più. L'unica cosa che su cui devo piangere è me stessa, che da buona incapace che sono, non sono riuscita a salvarli- dissi, sorridendo malinconica e dirigendomi verso la porta. Appoggiai una mano sulla maniglia - allora, vieni si o no?- gli chiesi, uscendo dalla stanza seguito da lui. 

Per i primi dieci minuti nessuno di noi osò fiatare, come se qualsiasi cosa che avremmo detto, potesse cambiare l'atmosfera rendendola troppo pesante per i nostri polmoni. - Senti... posso chiederti come sono morti?- mi chiese lui, avvicinandosi a me per ascoltare la mia risposta. Sospirai e annuii, sollevando gli occhi al cielo. - Avevo nove anni, vivevamo fuori dalle mura, non eravamo abbastanza ricchi da permetterci una casa dentro, al sicuro. Gli attacchi in realtà erano frequenti, eravamo troppo esposti, e ogni notte, qualcuno faceva la guardia. Quella notte toccò a me. Avevo la katana sguainata, e fissavo l'orizzonte, per vedere se arrivavano dei nemici. Poi però sentii dei rumori, mi voltai e vidi un'intero esercito di demoni che ci attaccava. Feci per correre verso di loro, avvisarli del pericolo, però non mi diedero retta, credevano che anche in caso di pericolo, quello era il mio turno di ronda, dovevo pensarci io ai demoni. Così mi dovetti catapultare nella battaglia, uccidendo demoni a destra e manca, uccidendoli tutti. Due però si erano allontanati dal gruppo, si erano introdotti in casa. Quando tornai in casa, soddisfatta del mio lavoro, li trovai lì, tutti morti, in un bagno di sangue, con gli occhi aperti e i volti contorti dal dolore e dal terrore- raccontai, stringendo l'elsa della katana e reprimendo qualsiasi sentimento tentasse di sfuggirmi. - Capisco. Ma non puoi biasimarti! avevi nove anni, come potevi riuscire a sconfiggere un esercito di demoni da sola! è già tanto che tu sia riuscita a sopravvivere!- esclamò lui, allargando le braccia. Gli sorrisi, cercando di non prenderlo in giro - vorrei essere ignorante come te, vorrei essere nei tuoi panni e ridere della mia situazione guardandola da lontano, come se fosse irreale- sussurrai, fredda e triste. - Ignorante? guarda che non sono così stupido!- mi disse, offeso. Lo guardai severa - certo che lo sei. Dovresti vantarti di questa cosa finché puoi, perché prima o poi, per tutti arriva il momento di aprire gli occhi e comprendere con intelligenza il mondo che ci circonda-. Mi bloccai per un attimo, spalancando gli occhi. Lo afferrai per una mano, e cominciai a correre, trascinandomelo dietro. - Cosa stai facendo? lasciami andare!- esclamò, cercando di ribellarsi, ma lo ignorai. Mi fermai di colpo, davanti al cadavere di un piccolo bambino, sui sette anni. Mi inginocchiai al suo fianco e lo presi in braccio, proseguendo il cammino normalmente. - Come hai fatto a trovarlo? non si vede niente in questa nebbia- mi chiese, prendendo il corpo dalle mie braccia. Il contatto mi fece arrossire, ma risposi comunque - l'ho sentito-. 

Arrivammo davanti a una casetta sgangherata e fatiscente, ricoperta di piante. Entrai di corsa, afferrando una borsa e cominciando a prendere tutti i miei vestiti, e gli oggetti preziosi. Quando finii tornai da Muishiro, che però non era più lì. Mi guardai attorno e lo vidi scomparire nella nebbia. Lo raggiunsi in un attimo, afferrandogli la spalla. - E' meglio se non vedi quello che c'è oltre questa nebbia...- gli disse, trattenendolo. Lui si ribellò e continuò comunque. - Hai ragione, ma non del tutto. Sembro stupido solo perché voglio che gli altri mi vedano così, ma ti assicuro che gli occhi li ho aperti molto tempo fa e non sono mai riuscito a chiuderli-. Lo seguii, riflettendo sulle sue parole "mi dispiace" pensai, senza il minimo coraggio di dirglielo. 

Sbucammo in un cimitero molto esteso, pieno di lapidi senza alcun nome inciso sopra. - L'hai fatto tu, non è vero?- mi chiese, depositando il piccolo bambino in una delle tombe aperte, in caso di necessità. - Non mi sembrava giusto, lasciare i cadaveri delle persone cadute così, al vento- riposi, prendendo la vanga e cominciando a sotterrare il bimbo. 

Quando finimmo ce ne andammo senza guardarci indietro, e senza rivolgerci la parola.

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