Capitolo 5 - Convivenza

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Belle

«Eccoci arrivati.»

Posa il mio trolley accanto al muro e io lo seguo in silenzio, fermandomi nel bel mezzo dell'ingresso, mentre lui, dietro di me, accende la luce.

Spalanco gli occhi e sorrido, mentre Duncan si allontana per aprire le tende.

Osservo il grande open space che divide la cucina dal soggiorno con un piccolo muricciolo. Mi muovo piano, osservando l'arredamento di buon gusto e le fotografie artistiche appese alla parete.

«Queste foto sono stupende» dico, soffermandomi a guardare l'immagine di uno splendido tramonto in Sud Africa. «Come si chiama l'artista?» domando, sorridendo davanti all'immagine di un bambino africano che ride e mi stringe letteralmente il cuore.

«Duncan Jonson» sento tuonare dietro di me e mi giro, incredula, fissando lui che sorride divertito.

«Mi prendi in giro?» chiedo, alzando un sopracciglio.

Lui scuote il capo e mi sorpassa, fermandosi davanti alla foto che stavo osservando.

«'Nbele Agaku, sette anni, senegalese. Un bambino così dolce e pieno di vita. Ogni tanto sento la sua famiglia, stanno bene. Gli aiuti che arrivano loro dalla associazione umanitaria a cui sono iscritto fanno davvero tanto.»

Sono senza parole, totalmente sotto shock. Chi l'avrebbe mai detto che l'idiota che ci ha provato con me in discoteca era un fotografo bravissimo, capace di catturare l'animo umano, e, per di più, una persona dal cuore d'oro, pronta ad aiutare il prossimo?

«Io... sono stupita. Insomma... è molto bello quello che fai e... queste foto...» mi sposto, toccando con mano l'immagine di un canguro, ripreso mentre dà da mangiare al suo cucciolo. Di una dolcezza infinita. «Queste foto sono davvero stupende» concludo, scostando la mano.

«Ti ringrazio. È solo una passione coltivata negli anni, ma... mi fa stare bene» confessa e io mi volto per guardarlo.

È bello, bello davvero, e tutto ciò che mi sta, suo malgrado, mostrando di sé, lo rende, se possibile, ancora più attraente, ai miei occhi.

Scuoto di poco il capo, provando a scacciare via dalla testa un'idea che non posso accettare. Sorrido flebilmente e mi sposto a sinistra, per osservare la cucina.

Tocco i mobili, camminando piano, e sento che lui mi viene dietro.

Perché, sono qui solo da pochi minuti e già credo che questa convivenza possa diventare pericolosa?

«E che lavoro fai?» chiedo, annusando dei fiori che sono in un vaso, sopra alla penisola della cucina.

«Sono amministratore delegato di una piccola azienda che produce software» spiega e io mi mordo il labbro.

Bello, intelligente, ambizioso, con una passione meravigliosa come la fotografia. Altre qualità, campione? Cazzo, forse ti avevo giudicato male!

«Wow. Sei il C.E.O. di un'azienda, quindi. Un pezzo grosso» dico sorridendo, continuando a esplorare la stanza, spostandomi nuovamente nel lato soggiorno.

«Già» lo sento rispondere, con un tono che sembra leggermente imbarazzato.

Tocco la spalliera del divano e poi prendo un libro, posato su di esso.

«I dolori del giovane Werther» leggo, nuovamente stupita. «Ti piace Goethe?» domando, incredula.

«Lo conosci anche tu?» ribatte, e mi sento leggermente offesa.

«Certo!» replico, piccata.

«Bene. Ad ogni modo, per rispondere alla tua domanda... sì, mi piacciono tutti i grandi autori» risponde, togliendomelo dalle mani. Mi giro per guardarlo dritto negli occhi e scopro i suoi che mi fissano, compiaciuti e divertiti.

«Pensavi fossi uno sciocco senza né arte né parte che non fa altro che rimorchiare belle ragazze in discoteca?» domanda, con quell'accenno di sorriso malizioso e indecente.

È sexy quando sorride. È troppo sexy, maledizione!

«Come tu che fossi una modella svampita e ignorante, dico bene?»

«Non l'ho pensato!» si difende. Bugiardo!

«E allora perché ti sei stupito quando hai capito che conoscevo Goethe?»

Ridacchia, con le mani in tasca, poi scuote il capo, sposta una mano sul mento, a toccarsi la barba, e mi guarda.

«D'accordo, lo ammetto, non credevo che una ragazza come te fosse così colta.»

«Perché sono una modella» rincalzo, abituata a tutti i pregiudizi che dobbiamo subire noi ragazze solo perché abbiamo scelto un certo tipo di lavoro.

«Perché sei giovane» dice, ma io lo guardo male. «E perché fai la modella, d'accordo» ammette, alzando le mani come ad arrendersi.

Scuoto il capo e sospiro, appoggiandomi alla spalliera del divano.

«Tranquillo, tanto ci sono abituata. È lo stesso motivo per cui, i ragazzi come te, pensano che le modelle siano tutte facili, disposte a vendersi per una copertina o un servizio fotografico importante.»

«Questo non lo penso. E non l'ho mai pensato, te lo giuro» dice molto serio e io provo a credergli.

Annuisco e sospiro, incrociando le braccia al petto.

«Bisognerebbe conoscerle le persone, prima di sparare sentenze o formulare giudizi che, dal punto di vista di chi li fa, sembrano sempre molto sicuri.»

«Buffo detto da una che mi ha dato del maniaco solo perché ho provato a ballare con lei in discoteca» ribatte, deciso.

«Mi hai toccata!» insisto, di nuovo.

«Dio, ancora? Ti ho solo messo le mani sui fianchi!»

«Ma mi hai toccata! Non mi piace che gli estranei mi tocchino, ok?» lo rimbrotto, con voce stridula, e poi socchiudo gli occhi, provando a calmarmi.

Non voglio arrabbiarmi. Non con lui. Non dopo che ha accettato di ospitarmi.

«Senti, lasciamo perdere questa storia, va bene?» dice, alla fine, dopo un lungo sospiro. «Vieni, ti mostro la tua stanza.»

Annuisco e recupero il trolley, seguendolo.

«Ci sono due stanze. Puoi scegliere quella che ti sembra più comoda» dice, aprendo la porta della prima.

«Questa qui è di fronte al bagno e accanto alla mia» specifica, indicando alla sua sinistra.

Osservo l'arredamento minimal ma di gusto e mi avvicino alla finestra.

«Ha solo una piccola finestra, non entra molta luce, ma ha la comodità di essere più vicina al bagno.»

Annuisco e poi lo seguo fuori, dove si è già avviato per mostrarmi l'altra camera.

Avanzo nel corridoio e arrivo alla fine di esso, dietro Duncan, che mi apre un'altra stanza.

«Questa qui è più lontana dal bagno e, ovviamente, anche dalla cucina, ma ha un piccolo terrazzino ed è leggermente più grande dell'altra.»

Sorrido, osservando i colori tenui e incantandomi di fronte all'immensa luce che entra dal terrazzo.

«Andrà benissimo. È più lontana da te, così avrai un minimo di privacy visto che, in pratica, sono piombata qui a invadere i tuoi spazi» dico, con tono di scuse.

«Ti ho già detto che non ci sono problemi. È una cosa temporanea, e poi...»

Lo interrompo, alzando la voce. Voglio spiegarmi meglio, non voglio che pensi che io sia una rompiscatole guastafeste.

«Intendo solo che non devi cambiare le tue abitudini per me. Stare in questa stanza significa starti lontano e questo potrà esserti utile tutte le volte che vuoi, ecco. Se, ad esempio, vuoi invitare qualcuna a dormire con te» dico, riferendomi agli altamente probabili incontri di letto che quest'uomo single, in carriera, bello e avvenente, avrà sicuramente con diverse donne.

«Invitare qualcuna a dormire da me? Che significa?» domanda, scuotendo leggermente il capo.

«Beh... se hai delle... insomma... se vuoi stare con le donne che...»

«Che rimorchio in discoteca?» finisce per me, con un tono che sembra offeso.

«Io...»

Si avvicina, minaccioso, e io mi appiattisco al muro, facendomi piccola piccola.

«Credi che ogni notte porti qui una donna diversa? Che sia una specie di puttaniere che non vede l'ora di farsi una tipa nuova?»

«Non volevo essere offensiva. Io...»

«Credi che fosse quello che volevo da te, la notte scorsa?» domanda, a pochi centimetri dal mio viso.

«Eri ubriaco, e ci hai provato con modi non proprio galanti. Cosa avrei dovuto pensare?»

Sorride, ma sembra più stizzito. Si volta, allontanandosi. Si gratta il capo e poi si gira nuovamente per guardarmi.

«Non c'è bisogno che ti preoccupi della mia vita sessuale, carina» torna a dire, con quel suo tono antipatico. «Anche perché posso tranquillamente pagarmi una camera d'albergo se volessi scoparmi qualcuna» continua, volgare.

Lo trucido con lo sguardo, mentre lui va avanti, imperterrito.

«Non vorrei disturbare la tua quiete con suoni e rumori non graditi. Sei comunque mia ospite, e io sarei davvero poco cortese se ti costringessi, ogni sera, ad ascoltare i risvolti dei miei incontri di letto.»

«Bene!»

«Ottimo!» ribatte, continuando a fissarmi.

Restiamo lì, occhi negli occhi, per un tempo che mi sembra eterno.

Poi lui distoglie lo sguardo e muove di poco la testa, come a sgranchirsi il collo.

«D'accordo, ti lascio sistemare le tue cose. Stasera avevo promesso a un amico di vederci, quindi non ci sarò. In frigo c'è qualcosa, se vuoi mangiare, altrimenti accanto al calendario ci sono numeri di ristoranti con cibo d'asporto.

Puoi fare la spesa come e quando vuoi e prendere ciò che più ti aggrada, ok?»

«Ok.»

«Allora vado.»

«Ciao.»

Richiude la porta con forza e mi sembra come se la nostra piccola discussione lo avesse innervosito.

Mi getto sul letto, prendendomi la testa tra le mani e sbuffo, soffiando forte.

Perché ho l'impressione che questa convivenza sarà l'inizio di una grande catastrofe?

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