XV. Inspiration

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng


N E B E L

XV.

Inspiration



Dopo ventiquattr'ore Verena non si era ancora svegliata.

Richard aveva notato subito qualcosa di inusuale quando aveva rimesso piede in casa quella notte dopo il lavoro. La porta della sua stanza era aperta e Sonne ne era uscito con una strana fretta, nel sentirlo rientrare.

«Finalmente sei tornato.»

Le sopracciglia di Richard si erano inarcate a tal punto che il setto nasale gli aveva lanciato una fitta. «Finalmente? Ti sono mancato?»

Sonne aveva sospirato, e senza rispondere si era precipitato di nuovo in camera di Verena. Richard l'aveva seguito, d'improvviso allarmato.

«No, davvero, che succede?»

Ma l'aveva visto con i suoi stessi occhi, cosa stava succedendo. Nulla di troppo anomalo, all'apparenza.

Verena era adagiata sul letto, il respiro regolare e una coperta di lana ad avvolgerla fino al mento. Dormiva. Ogni tanto sussurrava frasi prive di senso nel sonno con un tono tutto impastato. Nominava suo fratello Günther, anche se non sembrava star parlando con lui. «Non... non dirglielo. In cantina. Ma... com'è possibile? Ce n'era in abbondanza. Non dirglielo, dai...» Continuò così per più di un giorno.

Sonne aveva detto che era svenuta nel bel mezzo di una conversazione. L'aveva portata lui, lì. Non sul divano, che era più vicino in linea d'aria, ma proprio nella sua stanza. E le aveva posato la coperta addosso, come per poterla ammirare nel luogo del sonno per eccellenza, ma in un sudario.

Richard poteva giurare che Sonne trovasse tutto ciò affascinante: la donna dormiente, quasi morta, Dornröschen (1) nel suo letto di spine che attende il risveglio per cent'anni. Lui invece ne era turbato. Verena senza forze, che si afflosciava tra le braccia di qualcuno, non era una cosa a cui avrebbe pensato di assistere in vita. Si chiese cosa le avesse prosciugato le energie – un furto terribile, che avrebbe dovuto essere punito al pari di una violenza.

La notte successiva Richard tornò a casa pieno d'angoscia. Un'intera giornata senza Verena era stata una condanna crudele da subire, per lui che stava cominciando a considerarla parte della sua quotidianità. Vivevano a stretto contatto, erano passati alla convivenza saltando ogni possibile passo precedente. Anzi, la convivenza c'era stata a priori. Da quel punto di vista la loro relazione non era come le altre, in cui si può fare a meno del partner anche per un tempo più o meno prolungato: no, Verena condivideva con lui ogni cosa, anche lo spazio fisico, e la sua mancanza iniziava a sembrare la mancanza di una parte di sé.

Era preoccupante l'idea di essere entrato così in simbiosi con qualcuno in un lasso di tempo così breve.

Prima e dopo di lei, due temporalità completamente diverse. Richard poteva marcare il momento esatto del suo arrivo come anno zero.

Mentre lavava i boccali e i bicchieri dietro il bancone, al Musikant, aveva sperato di trovarla sveglia al suo ritorno. Aveva sentito di persone capaci di sprofondare in un sonno simile, ma non aveva mai avuto modo di imbattersi direttamente nel fenomeno. Le voci dei clienti gli arrivavano ovattate, persino la musica. Michael, un collega, gli aveva chiesto quando sarebbe andato a farsi ricostruire il dente. «Appena Köhler mi dà lo stipendio» aveva detto, quando di norma l'avrebbe invitato a farsi i cazzi propri. Poi si era asciugato in fretta le mani sul grembiule ed era corso a cambiarsi, senza salutare nessuno.

Aveva impiegato meno di dieci minuti per fare la strada di casa. Aveva fumato alla velocità della luce l'unica sigaretta che si era concesso e la cenere gli era caduta sul cappotto.

Tornò e lei dormiva ancora.

Sonne era chiuso nella sua stanza e Verena non era cosciente. Richard si sentì solo come non mai. Avrebbe voluto bussare alla porta di Sonne e chiedergli, con le parole e con i gesti, un minimo di conforto. Non lasciatemi solo. In quel momento l'avrebbe abbracciato volentieri, avrebbe appoggiato la guancia sul suo petto, dimenticando le scuse che ancora gli erano dovute, e si sarebbe stretto ancora di più a lui se dall'altra parte vi fosse stata una reazione positiva. Era qualcosa che Verena avrebbe potuto fare, forse, mentre a lui toccava solo immaginarla.

Lei gli aveva domandato se Sonne gli piacesse e Richard aveva risposto di no. No perché non poteva farselo piacere. Perché era assurdo.

Uno come lui non dovrebbe piacere a nessuno. Nemmeno a lei.

Ma si pentì di averlo pensato.

Il dormire di Verena aveva lasciato tutto in sospeso, tra loro tre. Stava dando loro il tempo di riflettere su cosa sarebbe accaduto d'ora in avanti, su come si sarebbero comportati.

Richard si infilò sotto le coperte accanto a lei senza nemmeno mettersi il pigiama. Almeno aveva smesso di parlare tra sé. Allora le disse a bassissima voce: «Se non ti svegli entro domani mattina giuro che mi incazzo.»

A differenza sua, non dormì. Doveva essere vigile per cogliere l'attimo in cui avrebbe aperto gli occhi e l'avrebbe guardato di nuovo, immaginava, con un sorriso.

Fissò il soffitto per un po', con una mano dietro la testa, pur senza scorgervi nulla.

Al buio si pensava meglio, perché nel buio si legge ciò che la luce vuole negare con la propria presenza.

Ebbe la sensazione che ci fosse qualcosa che pendeva sulla casa. Una scure o un altro ingranaggio che attendeva, insieme a loro, di scattare.

Se era quello ad essere nascosto, Richard non avrebbe voluto saperlo. Si voltò e rintanò la faccia nella spalla di Verena. Il suo corpo si era riscaldato come una piccola stufa, la pelle emanava un odore pungente, di piante selvatiche. Stava mettendo radici in quel letto e presto su di lei sarebbero sbocciati fiori e frutti come fosse estate. S'immaginò le foglie tra i suoi capelli, le fronde e i rami ad ancorarla al materasso in posizione supina.

Credeva che stesse ancora parlando nel sonno, verso le cinque del mattino, quando disse pigolando: «Richie, ho un crampo alla gamba...»

Invece era sveglia, non seppe dire da quanto.

Alzò lo sguardo su di lei e, nel trovare i suoi occhi aperti, sospirò sonoramente di sollievo. «Grazie a Dio.»

«Come "grazie a Dio"?»

«Quale gamba?»

«La sinistra.»

Si mise seduto sul letto, scostò la coperta e la aiutò a stendere la gamba, ben dritta, una mano sotto la pianta del piede e l'altra a premere sul ginocchio. Con quel semplicissimo gesto tutte le preoccupazioni defluirono dalla sua mente. «Meglio?» le chiese sorridendo.

Lei annuì. Si appoggiò con la schiena alla testiera per stare più comoda, portandosi le dita alle tempie e poi subito dopo ad altezza dello stomaco. «Quanto ho dormito? Ho una fame incredibile.»




Non appena fu mattina decisero di andare a fare due passi. Il vento quel giorno era meno insistente, ma Verena si era avvolta lo stesso nella propria sciarpa. La pelle del suo viso era pallida e molle, i capelli stopposi, indisciplinati nonostante avesse tentato di raccoglierli in una coda. Si tennero per mano e, camminando, giunsero al parco di Wallanlagen. A quell'ora era frequentato prevalentemente da persone che facevano jogging o giravano in bici.

«Sai che la bici potrebbe essere una buona alternativa alla macchina?» disse Richard.

«Sì, stavo pensando di prendermene una. Devo solo trovare un'offerta conveniente... Ho bisogno di risparmiare un po'.»

«Perché non ti cerchi un lavoretto anche tu?»

Verena guardava dritto davanti a sé ma forse senza vedere davvero, perché sembrava ancora persa da qualche parte nella sua testa. «Dovrei, sì.» Non aggiunse altro, anzi, si fece subito più taciturna.

Proseguirono la passeggiata sui prati curati, superando rocce e aiuole che conservavano gli ultimi sprazzi di colore, e poi il mulino a vento rosso che muoveva le pale affaticato al centro del parco, seminascosto dagli alberi.

In due mesi Richard non aveva mai esplorato quell'angolo di Brema, il cuore verde della città. Fu felice di averlo scoperto accanto a Verena, anche se quel giorno era di umore malinconico. Nemmeno una colazione sostanziosa era riuscita a rinfrancarla: aveva divorato una grossa porzione di uova strapazzate, tre o quattro panini al burro d'arachidi, due bicchieri di latte e un caffè. Poi si era fatta una doccia al volo. Richard avrebbe voluto chiederle di farla insieme, ma poi aveva desistito.

Stava aspettando che si svegliasse una seconda volta, stavolta sul serio.

Continuarono a camminare finché non giunsero a una panchina, nei pressi di una delle tante sculture erette nel parco, chiamata, da ciò che si poteva leggere sulla targa posta alla base, Das Ende. Si sedettero lì e la osservarono per qualche istante.

«Tu che hai l'animo artistico...» esordì lui. «Secondo te cosa rappresenta?»

Una figura umana in bronzo, un uomo massiccio, aveva il busto immerso in una parete di pietra, ma i confini del suo corpo erano confusi, mostruosi, non era chiaro se stesse cercando a forza di entrare nella parete o di uscirne. Le opzioni che gli venivano in mente erano due: o stava scappando o qualcosa lo stava risucchiando. E lottava, invano, colto in quell'atto dal duplice significato.

Verena si rabbuiò leggermente. Era quasi infastidita dalla vista di quella scultura. «Bisognerebbe prima capire cosa rappresenti la parete, credo. Un muro? La porta verso un'altra realtà?»

«Un muro tipo... il Muro?»

«Siamo a Brema, non a Berlino.»

Richard le afferrò le guance. «Che precisina. Lo so.» Solo allora lei fece una piccola risata. «Dico, il muro... i muri in generale sono fatti per separare. Quindi il nostro amico di bronzo, qui, potrebbe star cercando di annullare questa separazione e passare dall'altra parte.»

«Oh, siamo profondi stamattina.»

Lui si avvicinò con il volto e fece finta di addentarle il naso. «Che c'è, credi che non abbia una vena poetica? Vivere con uno scrittore deve pur servire a qualcosa.»

«Ma se non leggi un libro da... quanto?»

«Che t'importa» sbuffò Richard ironicamente. «Piuttosto, voglio sapere anche la tua.»

Verena non guardò di nuovo la scultura, ma lui. «Siamo d'accordo sul pensare che la parete rappresenti qualcosa di negativo. Che il personaggio ne stia entrando o uscendo... sta avvenendo in modo violento. E il processo gli sta deformando le fattezze.»

«Però...» rifletté lui. «Non tutti i processi violenti sono negativi. Pensa al parto, al modo in cui veniamo al mondo... piangendo. Tutti urlanti, violacei e ricoperti di liquidi.»

«Quindi suggerisci che la parete rappresenti... la vita?»

«Potrebbe essere.»

«Ma il soggetto è un uomo adulto.»

«Uhm... c'è chi comincia a vivere davvero solo da adulto. O chi vuole smettere – dipende sempre dalla prospettiva da cui guardi l'azione, no? E poi il titolo: "la fine".»

Verena sembrò convinta di quel ragionamento e non fece altre obiezioni. Si zittì, ancora.

Richard non capiva cosa avesse. Proprio quella notte aveva pensato che forse avevano bisogno di distrarsi un po', che la monotonia della vita quotidiana stesse iniziando a gravare troppo su di loro. Due spiriti tanto frenetici rifuggono la staticità il più possibile. Attese qualche secondo prima di introdurre il discorso.

«Comunque... stanotte ho avuto un'idea.»

«Oh, che idea?»

«Ti piacerebbe se uno dei prossimi weekend ce ne andassimo da qualche parte? Io e te.»

Lei ne fu sorpresa. «Da qualche parte...?»

«L'altro giorno a lavoro Burhan, un mio collega, stava parlando di Sylt. Ci è stato con la sua ragazza e un'altra coppia di amici in estate. Secondo me è una bella meta anche d'autunno.»

Verena distolse lo sguardo. «Sarebbe stupendo, ma come ti dicevo... sto cercando di mettere qualcosa da parte per i prossimi mesi.»

«Beh, stasera dovrei ufficialmente avere il mio primo stipendio, perciò...»

«No, Richard. Non ci provare.»

Lui si alzò dalla panchina e prese a camminare avanti e indietro di fronte a lei. «Ascolta: non mi interessa, davvero. Per me è importante. Posso pagare per entrambi.»

«Con quei soldi dovresti andare dal dentista e pagare l'affitto» tentò di farlo ragionare Verena. «Possiamo rimandare.»

«Guarda che mi avanzerebbe qualcosa, non sono così cretino» ribatté. «Vabbè, ho capito. Se non ti va basta dirlo.»

«No, no... mi andrebbe eccome. Non ho mai viaggiato granché nella mia vita.» Il suo tono si era addolcito. «Solo che... non voglio che sia un peso per te.»

Richard le prese entrambe le mani e gliele strinse forte, guardandola negli occhi, lì dove stava ricomparendo il suo caratteristico bagliore vitale. «Giuro su chi ti pare che non lo è. Altrimenti non te l'avrei neanche detto.»

Per convincerla, le parlò dell'isola e di tutto ciò che Burhan gli aveva raccontato: delle spiagge bianche e delle tipiche case in legno in riva al mare, della scogliera rossa, della temperatura fresca anche in estate, del pittoresco viaggio in nave per raggiungerla. Verena diventava di minuto in minuto più entusiasta. La malinconia si stava cancellando dal suo viso, e Richard continuava a incalzarla perché essa sparisse totalmente.

Sull'onda dell'entusiasmo, a un certo punto, lei domandò: «Perché non lo chiediamo anche a Sonne?»

Richard si bloccò. «Cosa?»

«Ti darebbe fastidio?»

«Io... non lo so, non mi sembra il caso.» In realtà era una domanda interessante. Non sapeva come dirle che, sì, gli avrebbe dato fastidio e allo stesso tempo l'avrebbe mandato in fibrillazione. La stessa identica sensazione che aveva provato sul divano qualche sera prima, quando gli avevano consegnato l'invito più esplicito del mondo. Non gli era chiaro se Sonne avesse accettato o rifiutato, se tuttora volesse partecipare... o ritrarsi. Come l'uomo della scultura. A dire il vero Richard non sapeva bene neanche cosa volesse lui. Una parte di sé lo odiava, un'altra lo compativa, un'altra bramava disperatamente la sua attenzione.

Attenzione che, una volta ottenuta, doveva dividere con Verena.

Fu lei allora a stringergli le mani. Si tirò in piedi e gli si fece vicinissima, come per rivelargli un segreto. «Ti spiego. L'altro ieri, mentre cenava, mi ha raccontato qualcosa di molto personale, contro ogni aspettativa. Mi ha confessato che non sta scrivendo nulla da mesi, perché non riesce più a trovare l'ispirazione. Tutto questo mi ha fatto pensare... che un piccolo viaggio potrebbe fargli bene.» Gli accarezzò le nocche con i propri pollici, con uno sguardo che ancora non si era liberato della tristezza, che somigliava più a un curioso dolore, ravvivatosi a quelle parole. Era quello il motivo della sua malinconia? L'ispirazione di Sonne?

Non se lo aspettava. Non si aspettava neanche che Sonne non stesse scrivendo. Era un'informazione che lo lasciava basito.

«Ti preoccupa così tanto?»

«È come se riuscissi a capire come ci si sente. È orribile» rispose lei, il dolore che si era acquattato fin nella voce. «Penso che noi potremmo dargli una mano.»

Richard si lasciò sfuggire un sorrisetto sarcastico. «Lo so io come potremmo dargli una mano.»

Verena alzò gli occhi al cielo. «Non per forza in quel senso...»

«Invece sì.» Ci meditò su per un attimo. «Facciamo così: ce lo portiamo a Sylt solo se una delle sere che staremo lì proviamo a farcelo di nuovo. Botta di ispirazione, zac

Lei finalmente rise. Uno dei suoni che Richard preferiva in assoluto. «Vedi che allora ti piace!»

«Non mi piace. Trovo solo divertente tutta la situazione.»

«E comunque non serve andare fino a Sylt per quello.»

«No, ma magari l'aria di mare glielo fa rizzare di più.»

Verena provò ad allontanarsi da lui, fingendosi esasperata, ma Richard le cinse le spalle con un braccio. Ripresero a camminare più sereni sul sentiero di ghiaia, ripresero a chiacchierare.

Quando una pioggerellina leggera picchiettò loro sul capo, si rifugiarono in una tavola calda. Verena diceva di avere ancora fame. Presero dei Pretzel appena sfornati, che gli vennero consegnati in un tovagliolo dall'orlo seghettato.




Dopo qualche giorno, Richard trovò il pretesto per concretizzare l'idea che avevano avuto al parco.

Una busta della spesa in una mano, la posta che aveva appena ritirato nell'altra. Era appena mezzogiorno e Verena era in Accademia. Mentre saliva le scale si accorse che tra pubblicità, bollette da pagare e comunicazioni indirizzate a Sonne c'era un biglietto di compleanno. Era molto elegante, di uno spesso cartoncino bianco e una fantasia geometrica dorata, sprovvisto di fronzoli particolari. Essendo privo anche di busta, Richard decise di sbirciarne il mittente. La firma diceva, dopo un breve augurio: Heinrich Meier. Con affetto.

Non trattenne un fischio di sorpresa. L'ex rettore dell'università aveva scritto a Sonne per il suo compleanno. Gli tornarono in mente le battute dei suoi compagni sulla presunta relazione speciale che Meier aveva con il suo unico tesista, uno scandalo, secondo loro, insabbiato persino dalle alte sfere dell'università.

Richard aveva sempre nutrito grossi dubbi sulla veridicità di quelle voci, complici i comportamenti bigotti di Sonne, ma in quel momento, sul pianerottolo, qualcosa gli suggerì che doveva pur esserci un fondo di realtà nella faccenda.

Se Sonne era soltanto represso... questo significava che, se fosse riuscito a portare alla luce ciò che reprimeva, avrebbe potuto interessarsi anche a lui. Non solo a Verena. Non solo alle donne.

Entrò in casa percependo una nuova elettricità nelle dita, come se quel biglietto fosse stato una presa della corrente per le sue spine. Vide che Sonne era seduto al tavolo in cucina e lo raggiunse in fretta. Stava smontando il telecomando del televisore, perché un paio di tasti non funzionavano più, e cercando di capire quale fosse il problema, con indosso un paio di occhiali da vista senza montatura che portava di rado, solo quando doveva osservare qualcosa molto da vicino.

Richard lasciò la busta della spesa ai propri piedi e sbatté sonoramente la posta sul tavolo, poco lontano dai pezzi del telecomando.

Sonne alzò lo sguardo, infastidito. «Qualcosa di importante?»

Richard si mise le mani sui fianchi e dondolò sul posto. «Ti pare che devo venire a sapere che oggi è il tuo compleanno così?»

Era un mezzo rimprovero giocoso, ma Sonne non lo prese molto bene. Scavò tra le lettere a disagio e poi trovò il biglietto. Lo aprì, lo lesse rapidamente e senza alcuna emozione, lo richiuse.

«Non dirlo a Verena» sospirò. «Non voglio che si metta in testa di farmi altri regali.»

«Ma come! Deve sapere che sei dello Scorpione... e che quindi c'è un motivo serio se sei così scorbutico» sghignazzò Richard. Poi fece anche un altro collegamento. «Aspetta, ma oggi è il 9! Sei nato lo stesso giorno della caduta del Muro... Deve saperlo, mi dispiace, è una coincidenza fighissima.»

Sonne si tolse gli occhiali e si passò una mano sul volto. «Come vuoi. Sappi solo che non lo festeggio. Per me è un giorno uguale agli altri.»




Richard si rifiutò di obbedire alla sua richiesta. E anche Verena, quando seppe che era il suo compleanno.

Felice come non la vedeva da giorni, quel pomeriggio gli preparò una torta semplice al cacao, e la casa si riempì di un profumo così buono da essere commovente, da creare una bolla protetta all'interno della quale non sarebbe potuto accadere nulla di male.

Lo intrappolarono a ora di cena, anche se lui doveva aver già intuito la sorpresa, ma aveva fatto finta di nulla. Li stava assecondando per accontentarli, forse.

Stava accettando.

Stava entrando.

Richard sgattaiolò dietro di lui, mentre finiva il proprio misero pasto, e gli posò le mani sugli occhi. «Non sbirciare» mormorò, portando le labbra vicine al suo orecchio. Sonne drizzò la schiena, teso, ma non si divincolò. Sembrò concentrarsi più sulla sensazione che gli dava la pelle di Richard sul proprio volto, piuttosto che su ciò che stava per avvenire. Gli stava coprendo lo sguardo, la sua arma principale, il suo appiglio alla realtà. Richard non strinse né premette troppo, anzi, le sue dita lunghe sfiorarono e basta. Le palpebre, le ciglia, la cicatrice. Cosa provi quando non vedi? Sonne inspirò profondamente e, le braccia ancora stese sul tavolo, si conficcò le unghie nei palmi.

Provava... eccitazione, in un modo tutto personale.

Richard poggiò la tempia alla sua. Trasse un lungo respiro anche lui, per godersi quell'istante in cui Sonne era tra le proprie mani, la sua testa, che era una scatola delle meraviglie.

Lo liberò quando Verena entrò in cucina portando la torta su un piccolo vassoio e cantandogli Zum Geburtstag viel Glück (2). Richard si unì a lei.

Sonne rimase immobile. Una sola ruga gli solcava la fronte, come se stesse trattenendo un'emozione feroce. Non spense le candeline alla fine della canzone, perché non ne avevano messe. In compenso, Verena aveva decorato la torta con un nastro rosso sul bordo e granella di nocciole sulla superficie. La appoggiò davanti a lui con cura, guardandolo negli occhi, e Sonne si aggrappò agli occhi di lei per dimenticare l'imbarazzo.

«Non sapevamo quanti anni compissi» disse Verena, «altrimenti mi sarei data a qualche decorazione più fantasiosa.»

Lui si schiarì la voce. «Non dovevate.»

«Prego» fece Richard, ironico. «E comunque vogliamo sapere quanti anni hai.»

«Questa è un'informazione riservata.»

L'altro finse di essere sconvolto. «Non ci credo... hai appena fatto... una battuta

Verena rise. «Dai! Ventotto? Ventinove?»

«No, no, secondo me di più, sali.»

«Provate pure a indovinare, tanto non ve lo dirò» ribatté Sonne scuotendo la testa, un vago accenno di divertimento. «Sedetevi, così la mangiamo.»

Verena prese altri piatti da un pensile e poi li distribuì sul tavolo, mentre Sonne tagliava delle fette. Richard si sedette accanto a lui, cercando di arginare l'euforia che gli stava attorcigliando lo stomaco.

La torta aveva un sapore delizioso. Fecero tutti e tre il bis, e la tavola si cosparse di briciole marrone scuro. Verena ne schiacciò un paio con l'indice e poi, appiccicate al polpastrello, se le portò alla bocca. Sonne la osservava, ma ogni tanto osservava anche lui. Richard doveva resistere per evitare di allungare una mano e toccarlo ancora. Celebrarlo richiedeva anche quel tipo di contatto, come qualche momento prima.

Non sapeva perché, ma sentiva l'impulso di ringraziarlo, l'esatto contrario di ciò che volevano le convenzioni tra festeggiante e festeggiato.

Si stava dimenticando di odiarlo, un po'.

Senza di lui, Richard avrebbe continuato a vagare senza una meta. E non avrebbe conosciuto Verena. E non si sarebbe sentito a casa. Il giorno del suo compleanno, della nascita di Stefan, meritava di essere onorato, non solo perché coincideva con la caduta del Muro.

Era il terzo anniversario, un altro giorno di libertà. Non c'era giorno più simbolico per nascere – non c'era Natale, Capodanno che eguagliasse quel momento. Anche a Berlino la gente stava festeggiando, e la notizia circolava in ogni dove, radio, tv e giornali: è finita! Das Ende. Non più separati.

Richard adesso era come quelle persone che avevano dato il via alla distruzione del Muro. Ma erano i muri di casa e i muri di Sonne che lui stava abbattendo, a picconate, ammirando furiosamente i pezzi che si sfaldavano al suolo, tra lacrime, polvere e sudore. Lui non si era ancora riunito in se stesso. Era convinto che sarebbe stato proprio questo a fargli tornare l'ispirazione. E aveva bisogno del loro aiuto, Verena aveva ragione.

Dopo l'ultimo boccone di torta, Richard gli chiese di andare a Sylt con loro.






(1) Dornröschen è Rosaspina, la Bella Addormentata dei fratelli Grimm.

(2) Tanti auguri a te.






Note d'autrice:

Ahimé sono passate due settimane, ma ce l'ho fatta! Mi rendo conto che questo è un capitolo un po' di passaggio, ma è l'ultimo prima del "gran finale" della prima parte, cioè il capitolo 16, che non vedo l'ora di scrivere ♥ Conto di pubblicarlo tra una decina di giorni: non questo weekend, bensì il prossimo. Vi tengo aggiornatə.

Per qualsiasi considerazione sono sempre qui!

Il titolo di questo capitolo, Inspiration, significa proprio ispirazione. Che dite, a Sonne tornerà? :3

Ne approfitto per augurare di nuovo buon compleanno a  @BluBlurry_ . Considera l'aggiornamento una sorta di regalo... anche se è passata la mezzanotte ahahaha ♥

Ultima chicca, la scultura "Das Ende" di cui si parla nel capitolo... eccola qui. Curiosità: ci hanno scritto sopra una cosa come "con un paio di occhiali questo non sarebbe successo". Che simpy.



Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro