⁵⁵. 𝘈𝘮𝘪𝘤𝘢

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Lo spettro di una delle conversazioni avute con Saryu anni prima si dissolse dietro la mente di Yae, svanendo come il respiro che le esalava dalle labbra. Hermes non avrebbe risposto neanche quella sera. Come la sera precedente, e probabilmente come la successiva. Quell'allarmante consapevolezza si fece strada in lei: un'aberrazione involontaria, al pari delle lacrime che iniziarono a riempirle gli occhi di colpo.

– Maledizione, Hermes, rispondi – disse al vuoto, sentendo il proprio tono incrinarsi.

– Chi è Hermes? – chiese una voce poco lontana.

Le pieghe della notte rivelarono una sagoma longilinea, nascosta in parte dal cappuccio consunto di una felpa.

La figura si fermò a un paio di metri da lei, facendo tintinnare le proprie treccine chiuse da legacci argentati, che scintillarono illuminati dalla carta ID. Yae allentò la presa sui propri polsi, una volta che ebbe riconosciuto la sua compagna di stanza.

– Ann. Da quant'è che sei lì?

– Abbastanza – disse Ann, sedendosi su una lastra di metallo. – Ma non mi hai risposto. Chi è Hermes?

– Che ti importa? – le disse. Yae si pentì subito di essersi rivolta a lei in quel modo, ma quell'improvviso interessamento le aveva provocato un leggero nervosismo. D'altronde era nel Lethe da due mesi, ma raramente Ann le aveva rivolto la parola, se non per riservarle un po' della sua bile quotidiana.

– Sono solo curiosa – disse l'altra, parando le mani di fronte a sé. – Sparisci quassù ogni sera. Vorrei solo sapere chi ti faccia penare così tanto.

Yae pensò che evitare di risponderle sarebbe stato controproducente, soprattutto nel caso in cui il mandante dietro quell'interessamento fosse stato il Leader in persona. Decise di mantenere intatta la propria farsa, tenendo bene a mente il consiglio di Liese sul non fidarsi di nessuno.

– Sto solo cercando di contattare un collega dell'allevamento dal quale provengo. Mi piacerebbe che la mia amica rimasta lì riuscisse a fuggire. Tutto qui.

Non poteva vederla, lì nel buio, ma non aveva dubbi che Ann in quel momento stesse alzando un sopracciglio, dubbiosa.

– Capisco. Beh, direi che ha senso.

La ragazza stette in silenzio qualche secondo, prima di sollevarsi dalla sua sedia improvvisata, già in procinto di andarsene. Yae la osservò spazzare via la polvere dai pantaloni color verde militare, con le luci fioche della ID a creare ombre e vuoti sulla superficie del tessuto. A differenza sua non aveva indosso alcun cappotto, e sembrava essere immune al freddo pungente di quella serata. Sentì i suoi scarponi scricchiolare sulla graniglia del terreno, avviandola verso l'entrata dei cunicoli.

– Aspetta – si ritrovò a dirle, prima di pentirsene. – Vorrei chiederti una cosa.

L'andatura sferzante della ragazza si arrestò un momento, e i suoi occhi neri scintillarono nel buio.

– Cosa?

Lei percepì un groppo bloccarle le parole in gola, ma si costrinse a continuare. – Perché mi odi?

Bambina, disse una voce dentro di lei. Sembrava quella di Hermes. Ricordò la volta in cui si era scusata per aver vinto a scacchi contro di lui, che all'epoca aveva dodici anni. Yae non sapeva che sarebbe stata solo una delle tre volte in cui sarebbe riuscita a batterlo. "Mi odi?" gli aveva chiesto dopo la partita, temendo di aver perso irrimediabilmente il suo affetto. Tanto era il bisogno di contatto umano che covava. Tutto ciò che aveva ottenuto in risposta da quel ragazzino dai capelli arruffati erano stati un raro sorriso e qualche sfottò benevolo. "Non dire scemenze. Sembri una bambina".

Ann la riportò alla realtà inspirando rumorosamente, e la notte vibrò assieme a quel suono.

– Che stai dicendo? – chiese, stizzita.

Yae cercò di reprimere l'imbarazzo in un angolo della propria mente. – Sai, da quando ti conosco, questa è la conversazione più lunga che abbiamo mai avuto.

L'altra sfregò il tacco di uno scarpone sulla brecciolina, grattandola rumorosamente. – Sarà stato un caso. Qui siamo sempre indaffarati, non ho tempo per chiacchierare.

In risposta le sbuffò una flebile risata, canzonandola. – Dormo letteralmente nel letto sotto al tuo.

Ann parve pensarci su un attimo. – In effetti –, le rispose. Il suo tono si era colorato di una sfumatura divertita, lasciando Yae meravigliata.

– Allora? C'è un qualche motivo per il quale dovresti disprezzarmi?

La ragazza si voltò su sé stessa, riavvicinandosi. Ignorò la lastra sulla quale si era seduta prima, decidendo di posizionarsi per terra di fronte a Yae, incrociando le gambe. La vide armeggiare con qualcosa nella tasca davanti della felpa, provocando un lieve fruscio. Con sua grande sorpresa, Ann si accese una stecca Joy, inspirando con avidità. La brace tonda le illuminò il viso a tratti, evidenziandone i lineamenti affilati.

Yae la vide portarsi la sigaretta alle labbra carnose; indugiò su di esse solo per qualche istante, prima di distogliere lo sguardo.

– Non ti disprezzo. È che non mi piace parlare.

Yae sospirò. – Invece ogni tanto dovresti farlo... Ti farebbe bene.

La brace della sigaretta evidenziò la fronte aggrottata di Ann, conferendole un'aura minacciosa. – Sei diventata la mia psicologa?

Lei cercò di non farsi sfuggire alcuna reazione avventata, celando alla ragazza come sino a qualche mese prima fosse stata realmente una studentessa di psicologia, in parallelo alle sue mansioni nel Laboratorio. Deformazione professionale.

– No, ma non bisogna avere una qualifica per poter chiacchierare. Di te so solo che sei la nipote di Liese e che lavori insieme a lei nell'allevamento che avete qui nel Lethe. Non so da dove vieni, né quanti anni hai, o cosa ti piaccia fare.

Ann soffiò del fumo nel buio. – Magari è meglio così.

– Non sono d'accordo – le rispose, passandosi pigramente una mano sul volto. – Quello dovrei deciderlo io. Quando sono arrivata qui, tutti hanno spacchettato la mia vita. Il Leader mi ha fatta parlare e mi ha messa nelle vostre mani, e io ho dovuto fidarmi. Per una volta potresti fidarti tu.

L'altra stette in silenzio, assimilando le sue parole. Nell'aria si sentiva solo il frinire di un qualche grillo in lontananza.

– Sei brava, a parlare.

Yae percepì una nota di sarcasmo, ma decise di ignorarla. – Quindi?

L'altra sbuffò. – Quindi lascia perdere. Non credo riusciremmo a capirci, siamo troppo diverse.

– A me invece sembriamo molto simili – le rispose, perplessa. Per quanto si stesse sforzando, non riusciva proprio a comprendere cosa Ann trovasse di tanto sbagliato nell'aprirsi con lei. Le sovvenne il volto di Liese, che aveva giustificato il comportamento scontroso di sua nipote con quella frase criptica: "è sempre timida con le sconosciute, soprattutto se sono carine come te." Quel ricordo le fece provare una serie di sensazioni contrastanti. Non posso pensare a questo, adesso.

Ann riprese a parlare, distraendola. – Non è affatto così. C'è una fondamentale differenza, tra me e te: tu sei venuta qui di tua spontanea volontà, mentre io ci sono stata rinchiusa.

Yae increspò la fronte, osservandola. – In che senso?

La ragazza stirò le mani verso l'esterno, gettando la cicca della stecca Joy sul terreno. Uno dei suoi scarponi militari la appiattì al suolo, disintegrandola. – Mio padre è un pezzo grosso della Chiesa del Giudizio, un oligarca vicino ad Abramizde. È un uomo violento e conservatore, e aveva programmato di vendermi a qualche vecchio bavoso come sposa. Picchiava regolarmente mia madre, perché rifiutava di indossare l'hijab. E così, quando avevo sei anni, mia nonna approfittò dei tumulti dell'Espiazione per scappare, portandoci con sé. Abbiamo vissuto da fuggitive per due anni, prima che Liese e gli altri fondassero il movimento dei ribelli del Lethe. Mia madre è stata uccisa in quel periodo, freddata da un Sorvegliante mentre rubava delle medicine.

La ragazza si interruppe, e Yae attese un po' prima di ribattere. Il suo racconto l'aveva lasciata senza parole, e si ritrovò a masticarlo con amarezza, allargando e stringendo i pugni. – Mi dispiace, – riuscì a dirle infine, – non ne avevo idea.

Ann sospirò. – Certo che no. Quindi, come vedi, non possiamo capirci. Io non ho mai vissuto davvero nel "mondo di fuori". Non so nulla del vostro dannato Regime, né dei Quadranti, dei Disallineati e di cose del genere. Non esco mai dal Lethe, e vivo qui da reietta. Liese è tutto quello che ho. Tu eri libera di andare ovunque, e invece sei venuta a rinchiuderti in questa gabbia per ratti.

Yae soppesò attentamente le sue parole: non aveva mai posto la propria fuga in quei termini.

– No, ti sbagli – ribatté. – Anche se abitavo fuori dal Lethe, non ero affatto libera. Non esistono solo le sbarre fisiche.

Ann le rispose con prontezza, quasi interrompendola. – Ma una cosa del genere non ti impediva di muoverti fattualmente, è lì che sta la differenza. Sei solo fortunata.

Yae contrasse le dita, pensosa. Da quando la ragazza aveva spento la sigaretta, non riusciva più a vederne il volto, e le sembrava di parlare a un fantasma color notte. La cosa la rammaricò leggermente.

– Ann – iniziò, scegliendo con cura le parole. – Ti è mai capitato di fidarti ciecamente di una persona?

L'altra stette in silenzio, riflettendo. – No, non che io ricordi.

Lei prese fiato, prima di continuare. – È come se il pavimento crollasse sotto ai tuoi piedi. A me è successo con la manager dell'allevamento. – Un'impressione del viso altero di Iris Svart affiorò nella sua visuale, sfidando il buio. – Pian piano mi accorsi che aveva costruito un confine attorno a noi, una sorta di steccato trasparente. Anche se dall'esterno eravamo ancora visibili, sapevamo di essere in trappola. Non potevo far altro che toccare quelle lastre di vetro soffocanti, fissando la mia immagine senza riconoscerla. Arrivando quasi a odiarla. E così ho rotto quelle pareti, e siamo... Sono fuggita via.

Si interruppe di colpo, distrutta per l'ennesima volta dal rammarico di non essere riuscita a portare Eve con sé nella propria fuga. Ann non rispose per un po', ma sembrò ingoiare quelle parole. Yae non poté far altro che reggere il peso del suo sguardo addosso, sforzandosi di non imbarazzarsene.

– È strano – le rispose. – Da come ne parli, sembra che sia stato solo l'odio per la tua immagine a innescare tutto. Come se fossi fuggita per salvare te stessa.

Yae ci pensò su un momento. – Già. In fondo quando facciamo qualcosa di altruista, la facciamo sempre anche un po' per noi stessi. Forse avevo solo un'egoistica paura di perdermi.

Sentì una traccia di angoscia ribollirle nelle vene, al ricordo di quella giornata tumultuosa. Per un istante riuscì a vedere il sangue di Eve imbrattarle ancora le mani. Alzò gli occhi su Ann, trapassando il buio verso il punto da cui proveniva la sua voce.

– Io non mi sento tanto diversa da te. Prima o poi, tutti soffriamo. Anche se sembriamo liberi e perfetti, anche se la nostra vita può apparire una benedizione a qualcun altro, ci possiamo perdere in qualsiasi momento. È questo che ci accomuna come esseri umani.

Attese per un po' una risposta, pazientando. Vide una seconda sfera arancione invadere la notte, segno che Ann si era accesa un'altra stecca Joy. Fu felice di veder comparire nuovamente il viso della sua compagna di stanza, questa volta meno corrucciato.

– Sei saggia, per essere una ragazzina.

Yae ghignò leggermente, illuminandosi il viso con la ID. – Non lo sei anche tu?

Touché – le rispose Ann, con un accenno di sorriso a trasparire dalla sua voce. – In effetti abbiamo quasi la stessa età. Non ci sono molti Pre qui; solo mummie come mia nonna, o ragazzini LaBo.

Yae si rabbuiò leggermente a quelle parole: ancora nessuno le aveva spiegato perché ci fossero così tanti diciassettenni nella roccaforte dei ribelli, né come avesse fatto Krassnerr a sottrarli alla Chiesa del Giudizio o al controllo delle Accademie. Allo stesso modo, ancora non era riuscita a farsi dire come mai Liese e gli altri anziani non avessero contratto il morbo di Met.

– So cosa vorresti chiedermi – disse Ann, a un tratto. – Vorresti sapere di più su Liese. Ma non spetta a me dirtelo.

Yae cercò di non farsi influenzare troppo dalle proprie domande inespresse, e si sedette più comodamente rilassando la propria figura. – In realtà vorrei sapere di più su di te – le disse, tirando fuori un po' di coraggio. – Prima ti ho detto che non sapevo da dove venissi, o quanti anni avessi. A queste domande hai risposto, ma manca l'ultima: cosa ti piaccia fare. Oltre trattare male il prossimo.

Ann rise leggermente, e Yae sentì arrivarle della brecciolina sui jeans, sollevata dalla ragazza con gli scarponi. Pensò di non averla mai sentita ridere, e sperò che non fosse solo un effetto collaterale delle stecche Joy che aveva consumato.

Senza volerlo, i suoi occhi si riempirono nuovamente di lacrime. Il guizzo blu della ID ancora accesa sul contatto di Hermes probabilmente le stava evidenziando lo sguardo lucido, ma decise di non curarsene.

– Sai, mi ricordi una persona. Un ragazzino scontroso che voleva trovare il proprio posto nel mondo.

Yae sentì la propria voce farsi roca, anche aiutata dal freddo di quella serata, che Ann continuava a ignorare. Incrociò le braccia sul petto, nascondendo le mani sotto alle ascelle per riscaldarsi.

– Parli di quell'Hermes?

– Già.

Ann soffiò ancora del fumo. – Allora raccontami un po' di lui. In cambio io ti racconterò un po' di me.

Yae sorrise nel buio, questa volta sperando che l'altra se ne accorgesse. – Va bene. Però vorrei prima chiederti una cosa.

– Che cosa? – disse Ann, perplessa.

– Fammi fare un tiro.

La ragazza sbuffò un po' d'aria dal naso, incredula. Si alzò dalla sua posizione sul terreno, e Yae sentì tintinnare i legacci delle sue treccine, un rumore che ormai conosceva bene, e che non di rado le aveva fatto compagnia durante le sue notti insonni. Ann si avvicinò, sedendosi sulla stessa lastra dove si era appollaiata lei. Le loro gambe si sfiorarono, e Yae vide il suo viso spuntare tra le pieghe della notte, dissipandole.

– Affare fatto.


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