19.3

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«Ho detto volevi parlarmi?» Ripete fermandosi proprio difronte ai miei occhi.

Ho il capo chino, continuo a guardare la macchia scura proprio al centro delle sue scarpe, non ho la forza di guardarlo negli occhi, occhi che son sicura adesso siano puntati su di me, come lame affilate pronte a scagliarsi contro la sua preda.

Tutto il coraggio che ero riuscita ad accumulare prima del suo arrivo è svanito, come se nulla fosse, come il gran codardo che è, mandando a monte tutti i miei sforzi.

«Allora? Il gatto ti ha mangiato la lingua come al solito?» Mi provoca cercando di far alzare una volta per tutte il mio volto.

«Sono stanca di questa situazione.» Sussurro non trovando ancora il coraggio di guardarlo negli occhi.

«Cosa hai detto?» Chiede innervosendosi, avvicinandosi di pochi passi a me.

Ed il mio tono di voce è talmente basso che faticavo persino io a percepire quali erano state le parole appena sussurrate dalla mia bocca.

«Guardami quando ti parlo Riley!» Esclama alzando il tono di voce avvicinando sempre più il suo corpo al mio per sovrastarmi.

Da questa posizione, con me seduta sul muretto e lui in piedi difronte alle mie gambe, sfiora quasi la mia fronte con la sua, incombendo del tutto sul mio corpo.

Sposto il volto a sinistra per cercare un riparo sicuro lontano dal suo sguardo, guardo una macchina alle sue spalle passare lentamente di fianco a noi, forse per studiarci.

«Spostiamoci da qui, non mi son mai piaciuti gli spettatori.» Propone poi improvvisamente notando la direzione del mio sguardo.

Saliamo sul mio scooter per dirigerci al nostro rifugio speciale, la vecchia villetta del signor Roger, e la vedo in lontananza, iso-

lata dal mondo, circondata dalla fitta boscaglia e delimitata da muretti in pietra ormai rovinati dal tempo.

Siedo sul vecchio muretto e osservo il ragazzo difronte ai miei occhi, poggiato con i fianchi sul mio scooter.

Ci guardiamo negli occhi senza parlare, senza interrompere questa leggera quiete venutasi a creare.

Solo il suono del soffio del vento, che scompiglia i miei lunghi capelli, si percepisce fluttuare nell'aria.

«Qual é il problema?» Sussurra calmo, continuando a guardarmi negli occhi.

«Non c'è la faccio più.» Ammetto esausta quasi sul punto di una crisi di pianto.

«Di cosa ti sei stancata esattamente?» Continua a sussurrare cercando di mantenere il suo moderato temperamento.

«Sono stanca dei nostri litigi, della tua stupida gelosia, di litigare con mio padre a causa tua, di lottare da sola per una relazione che forse non merita di prosciugare ogni mia energia.

Sono stanca delle tue minacce, delle tue ingiustificate assenze, perché non è sparendo che migliorerai la nostra situazione.

Sono stanca di remare contro corrente, e... sono semplicemente stanca.» Confesso balbettando, una lacrima sfugge solitaria da sotto il mio controllo.

Non riesco più a reggere il suo sguardo, adesso diventato furente.

«Tu sei stanca Riley? Tu.

Io sono stanco di non sentirmi mai all'altezza, screditato anche dalle uniche persone che dicono di volermi bene. Credi che mi faccia piacere sapere che discuti con tuo padre a causa mia? Credi che soltanto tu lotti per questa relazione, tu sei perfetta ed io sono lo stronzo che ti tratta male e non ti merita...» Urla stringendo i capelli con forza tra le sue lunghe dita.

«Non l'ho mai pensato.» Sussurro sul punto di scoppiare in un pianto liberatorio.

«Non l'hai mai pensato, però non hai mai fatto niente per riuscire a farmi pensare il contrario.

Quante volte non hai risposto ai miei Ti Amo Riley, ti limiti sempre a dimostrare il tuo affetto con gesti, baci e carezze, e non sto sminuendo nulla di tutto questo, ma non pensi che forse a volte ho bisogno di sentirtelo dire, eh?» Sbraita puntando i suoi profondi occhi dritti nei miei.

Lo guardo, gli occhi colmi di lacrime pronte ad uscire.

Silenzio.

«Ti Amo Riley.» Sussurra Ben calmo da ogni risentimento.

Silenzio, un silenzio assordante.

«Come volevasi dimostrare.» Sussurra, voltandomi le spalle per risalire a piedi la lunga salita, per dirigersi il più lontano possibile da me.

Lacrime amare abbandonano i miei rossi occhi.

Piango.

Piango, mentre lo osservo allontanarsi da me.

Piango perché quando è difronte ai miei occhi non riesco mai trovare il coraggio di parlare, intimorita forse dalla sua presenza.

Piango perché vorrei trovare il coraggio di riuscire ad urlare e fermarlo.

Urlargli contro che dovremo smetterla di provocarci tutto questo dolore.

«Non dici nulla per fermarmi, Riley? La vuoi far davvero finita?» Urla allargando le braccia verso il cielo per far arrivare la sua voce, adesso triste come i miei occhi, fino a me.

Silenzio.

Le parole bloccate come uno stretto e soffocante nodo alla gola.

«Porca Puttana Riley, Va a Fanculo!» Impreca voltandomi nuovamente le spalle.

«Cosa vuoi che ti dica? Eh...

Vuoi che ti dica cosa provi io per te?

Che ti amo? Perché credi che continui a sopportare tutto questo?

I tuoi stupidi comportamenti del cavolo, la tua innata gelosia, perché? Lo vuoi sapere sul serio?

Perché sei la Luce Dei Miei Occhi stupido, e non ce la faccio più!» urlo alle sue spalle con le guance rigate dalle lacrime.

«SONO STANCA DI SOFFRIRE.»

Ma Ben continua a camminare, senza voltarsi.

«Non puoi lasciarmi così. Ben fermati!» Urlo in preda alla disperazione.

Ma le mie richieste non saranno ascoltate e quella sarà soltanto la prima di tante scene come questa che la povera casa del signor Roger sarà costretta a sopportare.  

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