20.2

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Anche Agosto stava per terminare, volava via insieme alle sue calde giornate di sole.

Oggi è un pomeriggio come un altro, scambio allegramente qualche messaggio insieme a Katy e Jess per decidere cosa fare per movimentare la giornata.

"Venite in casa mia." Scrive Jess per metterci d'accordo più facilmente.

"Prendo la macchina di mia madre e ti raggiungo, Riley passo a prenderti?" Risponde Katy proponendomi un passaggio.

"No tranquilla, grazie. Faccio una passeggiata." Rifiuto la su offerta.

Indosso al volo le mie amate Air Max bianche, ci abbino sopra un pantaloncino ed una canotta floreale, le mie guance adesso son un po' incavate a causa dei chili persi, e sotto gli occhi è una costante la presenza di brutti solchi violacei che nemmeno chili di correttore riescono a far adeguatamente il loro dovere.

In compenso il rapporto con mio padre è tornato quello di un tempo.

Il vento caldo di Locogrande imbatte sul mio volto una volta uscita fuori casa.

Mi guardo attorno, giungo in strada, mi volto, casa di Brianna a pochi passi da me e stento a credere che son così tanti giorni che non la sento.

Riprendo a camminare con una strana sensazione addosso, la ignoro passo dopo passo.

Le strade son deserte.

Un lieve venticello si innalza facendo svolazzare i miei lunghi capelli dorati.

A pochi passi da me si presenta un bivio, percorrere la vecchia strada dissestata alla mia destra che mi condurrà direttamente difronte casa di Jess, oppure proseguire dritto passando difronte casa di Ben.

Soltanto altri pochi passi a dividerci.

Mi fermo.

Ho già fatto la mia scelta.

Il cuore batte all'impazzata.

Guardo dritto difronte a me.

"Non uscirà mai di casa adesso." Mi convinco.

"Quante possibilità ci sono che esca proprio adesso, mentre cammino difronte casa sua."

«Perché vuoi farti così male?» Sussurro a me stessa pensando ad alta voce.

Obbligo i miei piedi a muoversi, il capo volto verso il basso, faccio piccoli passi.

Click.

Un rumore, mi fermo.

L'aria si blocca nei miei polmoni.

"Non alzare lo sguardo, non alzare lo sguardo, non alzare lo sguardo." penso ripetutamente.

Alzo lo sguardo.

Qualcuno sta aprendo il cancello per uscire di casa, solo pochi passi a separarmi dal bivio.

Click.

Abbasso nuovamente lo sguardo.

Il cuore scalpita come un batterista impazzito, accompagnato dal rumore di alcuni passi.

È lui, non so come, o perché, ma non ho alcun dubbio.

Silenzio, il rumore dei passi è cessato.

E non ho bisogno di alzare lo sguardo per percepire i suoi occhi sul mio corpo senza difesa sotto la sua presenza.

Silenzio.

«Riley.» Sussurra il mio nome.

Sussulto, sgranando gli occhi.

La sua voce.

Ed un unico pensiero ruota come un vortice dentro la mia testa: Correre, scappare lontano, lontano da lui.

Correre lontano dalla sofferenza che mi ha causato e che con tanta forza son riuscita a scacciare via.

Correre via da lui, che con la sua sola presenza è riuscito a mandare all'aria mesi e mesi di lotta contro il suo stesso ricordo.

Indietreggio, inizio a percorrere piccoli passi lontano da lui.

«Riley aspetta.» Stringe il mio polso con il palmo della sua mano.

«Mi sei mancata.» Sussurra dolcemente aumentando un po' la presa e continuando a guardare il mio capo chino.

Mi volto, gli do le spalle, pronta a correre lontana da lui, proprio come lui quel pomeriggio fece con me, senza voltarsi.

Stacco la presa dal suo braccio con uno scatto improvviso e corro.

«Ti sono mancato?» Urla per provare a fermare i miei passi.

Ma io continuo a correre, su per la piccola strada rovinata, la scorciatoia che avrei dovuto scegliere per arrivare a casa di Jess.

Corro lontano da lui e dalla persona che sogno lui possa essere tutte le volte che me lo ritrovo a fianco.

Corro via dai miei sentimenti.

Corro.

Casa di Jess è ormai a pochi passi da me, Ben non mi ha seguita.

«Riley era ora.» Si lamenta Katy aprendomi la porta.

«Che faccia, hai per caso visto un fantasma?» Jess commenta il mio volto pallido una volta entrata dentro casa.

Decido di tenere il breve incontro di prima segreto per me.

Il telefono inizia a squillare ininterrottamente, come impazzito.

E non ho bisogno di guardare, so già chi mi sta chiamando.

«Non rispondi?» Chiede Katy curiosa.

«No, saranno i soliti Call Center.» Taglio corto inserendo la modalità silenzioso.

«Per favore non me ne parlare!!!» Replica ed inizia un lungo discorso sui dipendenti sottopagati dei call center e di quanto questi chiamino sempre nei momenti meno opportuni, tipo alle ore di pranzo o mentre suo padre dorme.

Ma chi la ascolta?

E continuo a pensare a lui, al mio telefono che continua a vibrare nascosto dentro la tasca dei jeans, e chissà cosa avrà mai da dirmi

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