Capitolo 32 (seconda parte)

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Arrivo nello spogliatoio proprio mentre Niko sta ascoltando con attenzione un discorso di Jemmy. Dubito che gli stia raccontando le sue avventure notturne con Alizée, che però sono le sole cose che a Niko interessano quando arriva qui.

«Ho provato a fargli capire che nessuno ce l'ha con lui, ma non mi ascolta. Ieri ha cenato da noi e si è lamentato per tutta la sera. Alizée pensa che sia un uomo infelice, ma cosa possiamo fare noi per aiutarlo?»

Léo.

«Potresti fargli conoscere qualcuna. Quello aiuta, guarda Mike!»

«Niko, sei sempre il solito» commento, iniziando a cambiarmi.

«Devi bombartela, sul serio.»

«Vuoi continuare a prendermi in giro ancora a lungo, o vuoi preoccuparti di Léo?»

Si rabbuia. «Léo. Ma che possiamo fare? Appena provo a parlarci mi dice che ha una vita di merda.»

«Forse deve solo capire il suo ruolo in squadra» dice Emanuele, che finora li aveva seguiti in silenzio. «Non accetta di partire dalla panchina, ma se Colucci glielo dice chiaramente lo capirà. Solo che il coach non vuole farlo perché vuole incitarlo a impegnarsi di più.»

Jérémy si siede, pensieroso. «Non va bene per niente, è il motivo per cui ho litigato con il mio vecchio allenatore.»

«Che vuoi fare, andare dal coach e a dirgli che sta gestendo male la situazione?» gli chiedo.

«Potrei, ma dubito che ascolterebbe proprio me.» Mi fissa assorto, come se volesse dirmi che spetta a me quel compito.

«Non è una buona idea.»

«Invece sì. Pensaci, Mike: tu ci sei già passato, sai quanto sia difficile» mi sprona anche Niko. «Il coach ascolta di più gente come te che uno che fa il coglione tutto il tempo come me. Per quanto Jemmy sia maturo, non gli darebbe retta quanto farebbe con te.»

«Di che parlate?» Jacob si richiude la porta alle spalle. È appena arrivato insieme al Fabbro.

«Léo» gli risponde Emanuele. «Vorremmo fare qualcosa per lui.»

«Gli prendiamo una torta e ci scriviamo "Per noi sei importante"? Ce la tirerebbe in faccia» commenta Jacob.

Entra proprio lui nello spogliatoio e tutti ci ammutoliamo di colpo. La tensione è palpabile, siamo tutti sull'attenti, indecisi su cosa dire o come comportarci.

«Ci sei giovedì, vero?» gli chiede Emanuele, cercando di fare conversazione. «Pala farà la proposta alla ragazza, non possiamo mancare.»

«Sì, sì, verrò» taglia corto lui, con lo sguardo basso.

Niko si gratta dietro la nuca e cerca il sostegno di qualcuno con lo sguardo. «Hai qualcuna da portare?»

«No, nessuna. Si può sapere che volete da me?»

«Solo assicurarci che tu stia bene» rispondo, ma me ne pento subito.

Léo tiene la testa china sulle scarpe, che sta allacciando con frenesia, ma si volta appena per rivolgermi un'occhiata che non sono sicuro di sapere interpretare. Tristezza? Imbarazzo? Difficoltà? Odio?

Teo rimane zitto, come ha fatto per tutto il tempo mentre si cambiava. Forse crede che sia meglio non infierire e lasciare che se la sbrogli da solo – perché Léo sta avendo un atteggiamento molto diverso da quello che ho avuto io mesi fa. Ero solo taciturno e con il morale a terra, ma non rispondevo male e non guardavo di traverso i miei compagni. A volte riuscivo persino a sorridere alle battute di Niko e Pippo.

In questo momento servirebbe una spalla a Niko per sparare cazzate a zero su qualsiasi stupidaggine.

Arrivano anche Ryan ed Ethan, che ci chiedono a bassa voce cosa sia successo – ma tutti evitiamo il discorso.

Entra anche Colucci che inizia a darci le istruzioni per l'allenamento, senza accorgersi che siamo tutti tesi, nonostante la vittoria di Tortona.

«E poi vorrei insistere di più sul lavoro in fase di costruzione del gioco, quindi Claudio, Ryan e Pala...» Il coach si guarda intorno. «Dov'è Pala?»

«Starà bombando, lui che può» risponde Niko, facendo ridere tutti – tranne Léo.

Daniele apre la porta dello spogliatoio, trafelato. Indossa una giacca sotto cui si vede una maglia ancora gualcita. «Scusatemi, scusatemi, non succederà mai più. Non mi sono svegliato.»

«Come non detto, ha bombato stanotte» commenta Niko, facendolo arrossire.

«Scusi, coach» Pala si rivolge direttamente a Colucci, a testa china e in imbarazzo.

«Sei perdonato» gli dice lui, assestandogli un leggero scappellotto sulla spalla. «Sei il più puntuale, qui dentro, per una volta non è grave.»

«Davvero, non mi sono accorto della sveglia...»

«Pala, falla finita, metti a disagio noi» scherza Jacob.

Si cambia in un amen, anche se Niko commenta con un "ma hai visto i vestiti quando li hai presi dall'armadio?" appena si accorge che indossava la maglia al contrario.

«Ho cercato di sbrigarmi» borbotta lui, prima di tornare ad ascoltare Colucci, che ricomincia a dare istruzioni come se niente fosse.

L'allenamento è tranquillo, ma tutti sembriamo tenere d'occhio Léo. Non ci manda segnali chiari, perché non c'è niente di strano – almeno in apparenza. È sempre silenzioso, quindi continua a esserlo. È sulle sue, come al solito.

Ma il linguaggio del corpo sembra comunicare un disagio interiore che la bocca non riesce a esprimere. Almeno, non davanti a tutto il resto della squadra. Se preso da parte ne parla, altrimenti finge di stare bene.

Finge.

Vuole mettere a tacere i problemi sperando che si dissolvano da soli? Potrebbe non essere la soluzione giusta.

Appena Colucci ci dà il rompete le righe, scambio un cenno d'intesa con Teo, che se lo porta via sottobraccio, parlottando fitto a proposito della prossima partita, che giocheremo in Eurocup contro il Bursaspor. I turchi, pur vincendo la competizione lo scorso anno, non sono stati ammessi all'Eurolega. E noi ci abbiamo perso in semifinale lo scorso anno.

Quando ce li siamo ritrovati nel girone, nessuno di noi ha fatto una piega, ma dentro rode a tutti di trovarceli di nuovo qui. Magari sarà uno stimolo ulteriore a fare meglio di qualche mese fa.

Jemmy mi guarda, come a dirmi di seguire il coach e di parlargli di Léo, adesso che è impegnato con Teo.

«Ti ci devo portare a forza?» mi chiede Niko. «Sei il migliore in queste cose. Datti una mossa.»

Mi asciugo il sudore dalla fronte con il solito panno con il mio numero e cammino ad ampie falcate verso la sala dove di solito Colucci si raduna con il resto dello staff. Ha lasciato la porta aperta, ma lui è all'interno e studia con particolare dedizione alcuni schemi su cui ci sta facendo lavorare da un paio di settimane.

«Coach, vorrei parlarle.»

Il vice mi fa cenno di entrare. «Devo andare via?»

«No, può restare. Si tratta di Léo.»

Colucci si stropiccia gli occhi con indice e pollice, ha l'aria stanca e il peso della pressione si fa sentire anche su un uomo navigato come lui. «Mike, capisco la preoccupazione, ma credo che sia tutto a posto.»

«Non lo è. Lui non sta reagendo in maniera positiva al confronto con Jacob. Io capisco che lei voglia motivarlo, ma credo che sia più onesto dirgli che il suo ruolo è partire dalla panchina, magari anche giocare di meno, ma dare il massimo quando è chiamato in causa perché può essere decisivo. Léo non è un uomo da spogliatoio, di quelli che ci tengono tutti uniti, ma è un uomo da campo, di quelli che vanno solo buttati sul parquet. Deve sentirsi responsabilizzato, deve sapere che gode lo stesso della nostra fiducia, di noi compagni e di lei. Ci possono essere partite in cui gioca male e in cui è giusto che stia in panchina, come con Tortona, ma non deve diventare la regola. Vorrei che lei e lo staff ci riflettiate e che poi ne parliate con lui. Me l'ha detto lei, coach: la squadra deve andare tutta dalla stessa parte. Nessuno ha bisogno di un compagno che fatica a trovare sé stesso al minimo errore.»

Colucci mi ascolta con attenzione, impassibile. Mi fa cenno di sedermi e al vice di chiudere la porta.

«Sei sicuro che non senta la nostra fiducia?» mi chiede. La voce è inflessibile, non riesco a capire se mi sta rimproverando o se invece gli importa il mio parere.

«Ne sono sicuro. Ci ho parlato, sabato, e non era sereno. Non lo è da qualche settimana.»

«Ho dovuto strigliarlo, dopo la partita» dice. «Un giocatore come lui non può permettersi di abbassare la concentrazione. Era importante che entrasse in forma per mercoledì e non l'ha fatto.»

«Credo che a Léo serva fiducia» ripeto. «Una fiducia incondizionata. Capisco che all'interno di una partita ci sono più momenti e che lei deve pensare nel grande schema delle cose e poi agire nel piccolo ma, tra i fattori di cui tenere conto, ci aggiunga questo.»

«Ci rifletterò. Grazie per avermi espresso i tuoi dubbi» mi congeda con una pacca sulla spalla, tornando a studiare tra la lavagnetta davanti a sé e un portatile con i replay delle nostre azioni di sabato.

Esco dalla saletta e mi ritrovo davanti Niko ed Emanuele.

«Jemmy doveva correre all'ennesima visita di Alizée» mi anticipa subito il primo. «Com'è andata?»

«Ci penserà» taglio corto.

«Meglio di niente» commenta ancora Niko.

Emanuele, invece, fa una smorfia insoddisfatta. «Che possiamo fare noi, mentre il coach ci pensa?»

«Esultare a ogni suo canestro e incoraggiarlo ogni volta che entra in campo» gli rispondo. «Di più, per ora, non possiamo fare. Tu non pensare a cercargli una ragazza, non è quello il suo problema.»

«Anche una escort andrebbe bene. Si vede che ne ha bisogno.» Niko prende la via degli spogliatoi. scuotendo la testa.

«Beato lui che risolve tutto con il sesso» ridacchia Emanuele.

Tengo per me la considerazione che il sesso aiuterebbe anche alcuni dei miei problemi. Soprattutto in vista della notte che trascorrerò insieme a Lavinia.

Spazio autrice

Aggiornamento quasi notturno, ma non volevo rimandare a domani l'uscita del capitolo. La "questione Léo" tiene banco tra i ragazzi della squadra. Non sarà una cosa di facile risoluzione e, purtroppo, ce la trascineremo ancora a lungo.

Nel prossimo capitolo torniamo dai nostri piccioncini, pronti?

Baci a tutti e buon finesettimana,
Snowtulip.

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