Capitolo 14 - Merope (Pleiadi)

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*PLEIADI*
Capitolo 14 - Merope
(eloquente, mortale)

***

Caro Eduard,

Avevi ragione. Hai sempre avuto ragione su di me, ma ero troppo orgogliosa per ammetterlo. Avrei dovuto raccontarti la mia storia molto tempo fa, quando me lo chiedesti, la prima notte che ci siamo conosciuti. Ma avevo paura. Paura che la mia storia, le mie origini, non fossero nobili come le tue. Ho lasciato che gli eventi ci dividessero, che la corrente ci portasse lontano, solo perché avevo troppa paura di scoprirmi e lasciarmi andare. Il mio passato non me lo permetteva, non quando la tua vita era così perfetta in confronto alla mia. Ma è arrivato il momento di raccontarti la verità.

Sono nata per strada, in pieno dopoguerra, quando gli uomini erano disillusi ed avevano dimenticato cosa fosse la speranza. Mia madre mi ha dato alla luce in un hotel a poco prezzo, alla periferia di Parigi, certa che una settimana più tardi avrebbe dovuto fare le valigie e trovarsi un nuovo posto dove stare. Era sola ed aveva una paura matta, di quelle che in tutte le storie spingono i genitori a dare via i propri figli per potergli offrire una vita migliore.

La mia storia non fa eccezione.

Non conosco mia madre, non so chi sia mio padre, ed ho lasciato l'orfanatrofio di Parigi solo all'età di diciotto anni. Ho cominciato a lavorare e studiare, evitando il genere maschile come fosse la peste e quello femminile come fosse ormai portatore sano di quella stessa malattia. Mi sono impegnata, anno dopo anno, fino a recuperare ogni lacuna e diventare la migliore. Amelié Dumont, la povera ragazza della periferia, è riuscita a conquistare tutti con un po' di gentilezza e tanto, infinito impegno. Volevo dimostrare agli altri, ma più di tutti a me stessa, quanto valessi. Non avevo altro scopo nella vita, ero sola, ed in grado di spezzare qualsiasi legame qualcuno provasse ad instaurare con me. Fredda come il ghiaccio.

E la solitudine è qualcosa di estremamente potente.

Triste, certo, ma potente. Tutte le storie più belle nascono dalla solitudine, dalla sofferenza, da una situazione in cui ci sembra di soffocare. Quando non riesci a respirare, la tua diventa una storia vera. Nessuna trama che si rispetti è lineare, facile o leggera. Sarebbe noioso. Quindi se ti trovi in una di quelle situazioni, se non riesci a respirare, cerca dentro di te per quel poco di aria che è rimasto. Non avere paura di metterti in gioco, di metterti a nudo e combattere contro quello che vuole tirarti giù.

È come nuotare.
Tutti sanno nuotare, no?
Gli è stato insegnato quando erano bambini.

E anche se nessuno ti ha insegnato, tu puoi riuscirci. Nuotare non è una cosa che si possa imparare, ne siamo capaci tutti, se dimentichiamo per un attimo la paura di non riuscirci. Dimenticare la paura, è per questo che si impara sempre quando si è bambini, perché lì vincere le nostre fobie una volta per tutte è più facile, il nostro unico problema al mondo.
Comunque, sai nuotare. E allora risali in superficie, datti le spinte necessarie. Non dobbiamo essere i protagonisti delle nostre storie, ci basta essere quelli che alla fine salveranno la situazione, ci basta essere in grado di scriverci un lieto fine.

Erano le parole dell'unica amica che avessi mai avuto, e che mi ha lasciata a causa di una brutta malattia. Ero distrutta, terribilmente sola, ed avevo solo venticinque anni. Ogni ragazzo che ci provasse con me era un fantasma con i contorni di mio padre, e mi chiedevo ogni giorno cosa avrei fatto della mia vita. Una volta terminati gli studi, l'unica certezza che avessi era il mio amore per la scrittura, per i libri su cui avevo sacrificato la vista negli ultimi dieci anni della mia vita. Avevo un dottorato ed un passaporto: non mi serviva altro.

Raggiunsi l'Inghilterra e decisi di lavorare in una casa editrice, per illudermi di riempire i buchi di trama della mia vita. Il resto della storia è la nostra storia, questo lo sai, Eduard. Ho bussato alla tua porta, quella del direttore, in un giovedì piovoso dove ogni mezzo di trasporto sembrava aver deciso di scioperare. Ti ho presentato il mio progetto, quello di un libro che parlasse di economia storica e politica, il primo che avessi scritto, e tu sei scoppiato a ridere perché ero completamente fradicia. Mi hai fatta entrare, nonostante fosse quasi mezzanotte, confidandomi che a trent'anni vivevi ancora da solo e non avevi altro nella vita oltre i libri.

Anche io, ti risposi.

Mi desti una tua maglietta, mi offristi un po' di minestra avanzata e preparasti un thè per il lavoro che ci aspettava. Ti appassionasti al mio progetto, alle mie idee, a me. E quella fu la prima di tante notti, che avremmo speso in modi diversi. Tu eri un editore, io un assistente che ti ammirava come una divinità e che aveva letto tutti i tuoi libri. Eri uno scrittore. E non è un bene innamorarsi di uno scrittore, soprattutto quando da un giorno all'altro il tuo passato può tornare a galla. Le persone con cui mia madre aveva dei debiti sono venute a cercarmi, mi hanno trovata, ed io non avevo nulla da dargli. Sono andata via, ti ho allontanato senza una spiegazione. Sono passati mesi ormai e mi chiedo se qualche volta ti capita di pensare a me. Qui in Francia il clima è più stabile che in Inghilterra, non piove mai e quando piove io mi ricordo di te. Ti penso ogni momento di ogni giorno, Eduard. E mi manchi da impazzire. Dovevo scriverti questa lettera, dovevo scusarmi con te e chiederti di aspettarmi. Perché tornerò da te.

Solo, aspettami.
Aspettami sempre.

***

L'amore per i libri era cresciuto con me, era diventato la mia essenza e la mia corazza. Ogni volta che accadeva qualcosa di brutto, quando proprio non riuscivo a respirare e mi salivano agli occhi le lacrime, allora sentivo il bisogno di avere un libro tra le mani. E mi sentivo subito meglio, come un incantesimo. Era una cosa istintiva, quasi automatica. Avevo sempre amato i libri e le parole e le frasi e tutto ciò che è morto e invincibile, fragile e potente.

Io sono stata questo per tutta la vita, fragile e potente.

Ero un libro di troppe pagine, complicato, ingiallito e pieno di annotazioni incomprensibili. Un tomo pesante, di quelli da cui ti tieni alla larga quando entri in una biblioteca. E così mi era caduta sopra della polvere, conferendomi un aspetto consunto e stanco, cancellando ogni tipo di attrattiva. E la copertina era consumata quanto le pagine, un titolo scrostato e neanche un'immagine che attirasse l'attenzione. Mi sentivo un libro rilegato male, sul punto di cadere a pezzi assieme a qualsiasi storia contenessi.

Poi un giorno entrò qualcuno, qualcuno che all'inizio sembrava come tutti gli altri. Ma si avvicinò a me, a quel libro polveroso, e ci soffiò sopra con delicatezza. Scacciò la povere e sentì qualcosa, nel cuore, che gli suggerì di avere tra le mani un libro diverso da tutti gli altri. Lo aprì, adagio, e decise persino di leggerlo. Divenne un lettore speciale, e salvò uno storia, la storia trascurata del libro polveroso. Che ora, grazie a lui, non era più tanto polveroso.

Eduard è stato questo per me, lui ha fatto la differenza nel mio cuore e nella mia vita. Mi ha permesso di superare il timore che tutti gli uomini fossero come mio padre, e mi ha insegnato ad amare. Ma la lettera che hai appena detto non gli arrivò mai. Perché Eduard morì prima che io tornassi in Inghilterra, proprio quando avremmo potuto stare insieme. Non disconosco i miei errori, né rinuncerei a nulla di tutto questo se potessi tornare indietro, ma posso affermare che quell'amore mai vissuto è il mio più grande rimpianto.

E la mia più grande fonte di ispirazione.

Ti chiederai il perché di questa lettera, il perché di tutto questo, e spero che la cosa non ti crei problemi. Te lo spiego, Ellison Moore. Tu eri all'apparenza una studentessa come tutte le altre, con un ottimo stile di scrittura e poca volontà, perennemente indecisa. Di ragazze come te ne ho viste poche, per fortuna, ma non ho insistito con nessuna di loro come lo ho fatto con te. È che le tue parole, il modo in cui riuscivi a metterle in fila, mi ricordava lui, mi ricordava Eduard. Scrivevi come lui, mettevi le virgole nella stessa posizioni ed adoravi le metafore.

Che sciocca, sto parlando al passato.

Tu adori le metafore. E la vita non è che una grande metafora di se stessa. Hai scelto la tua strada, hai rinunciato ad una parte di te, ma io spero che tornerai indietro, prima o poi. E allora, se non potrò esserci io, ci sarà questa lettera. Non ho nessun altro a cui lasciarli e quando dovevo decidere mi sei subito venuta in mente tu.

A te, Ellison Moore, io lascio tutti i libri e le lettere che mi scrisse Eduard. A te lascio questi tomi antichi, di un valore inestimabile, ma che vorrei tu custodissi gelosamente. Tutti i volumi sono a casa mia, comprese alcune copie originali di grandi classici, e ti basterà parlare con il signor Woodless per prenderne possesso. Cerca di farlo, non lasciare che si riempiano della stessa polvere che ricopriva il cuore della loro proprietaria. Prendi le parole e lasciale uscire, lasciati circondare e salvare da loro.

Sai, Ellison, un tempo io ero come te. Avevo uno sguardo caldo, ricco di speranza ed aspettative. Mi guardavo continuamente intorno, insicura, alla ricerca di quello che sarebbe diventato il mio posto.

Inutile dire che non sono riuscita a trovarlo.

Ho capito che non esiste un posto per noi, né una strada giusta da percorrere. Bisogna accettare che, quando il cuore si perde, non esiste segnaletica che possa indicargli la strada. E allora l'unico modo che abbiamo per ritrovarci è chiudere gli occhi e contare i battiti dentro di noi. Perché la strada giusta è quella che non dimentichiamo, che rimpiangiamo nonostante un tempo la scelta ci sia sembrata scontata.

Ma le cose cambiano.

Cambiano con una semplicità impressionante, si capovolgono e ribaltano. Quello che un tempo ci è sembrato sfocato, o lontano, ora è più vicino che mai. E quella parte di noi stessi, insignificante, che abbiamo sempre cercato di nascondere viene a galla. Così, di colpo. Ed ogni passo avanti vorremmo farne due indietro.

Non ti costringerò a scrivere, se non è quello che vuoi. Ma se davvero ti rifugi nelle parole, se queste sono la tua casa ed il tuo respiro dopo una dura giornata. Allora scrivi, scrivi e non fermarti più. Fallo perché, se ognuno di noi ha il suo posto nel mondo, questo è il tuo. Non sei brava, non è questo il punto: tu ne vivi, tratti le parole come una faccenda seria, le soppesi e le utilizzi con un fascino tale che i libri sembrano essere a loro volta attratti da te.

Hai talento, Ellison Moore, un talento che non va sprecato.

Con affetto,
Amelié Dumont

Spazio Autrice:
Saaaaalve *-* !
Siamo nel pieno della settimana ed io sono nel pieno della disperazione, sommersa dallo studio e da impegni vari: purtroppo il quinto anno delle superiori è peggio dell'inferno di Dante, fidatevi o voi che entrate... 😫

Quindi posto il capitolo super al volo, sperando che vi piaccia e che non lo troviate noioso o poco inerente alla storia. Finalmente sappiamo qualcosa in più sulla Dumont e sul perché fosse così interessata ad Ellie! Vi aspettavate che avesse avuto una vita così difficile?
Ma soprattutto, il prossimo capitolo sarà quello conclusivo! Oddio... non posso crederci neanche io 😭😭😭!!!
Per questo, soprattutto, devo chiedervi: cosa vi aspettate? Che accadrà?
Se avete anche solo un secondo rispondete, perché ho davvero bisogno delle vostre opinioni!
Grazie di cuore ragazzi, a presto! ❤️

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