Capitolo 15 - Taygeta (Pleiadi)

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*PLEIADI*
Capitolo 15 – Taygeta
(dal collo lungo)

La pioggia cade fitta ed è così buio che non riesco a vedere ad un palmo dal mio naso, il vento è molto forte, ma per fortuna il mio ombrello rimane compatto e mi protegge dall'acqua che, in caso contrario, mi avrebbe completamente infradiciata. Quando giungo a destinazione, fuori la chiesa scorgo solo poche persone. È presente appena qualche studente, forse qualche amico remoto della professoressa, ma mi dico che gli altri devono non essere ancora arrivati. Io stessa, perenne ritardataria, oggi sono stata puntuale ed impeccabile. Sentivo di doverglielo, questo e molto altro. Perché, se non fosse stato per lei, per la Dumont, io adesso sarei molto lontana da qui, con l'illusione di essere felice. Ma l'illusione di essere felici non è la felicità. Per un attimo, giusto il tempo di maledirmi mentalmente, mi chiedo se Mat lo abbia saputo. Sarà molto lontano da qui, ho sentito che le sue teorie vanno forte ai congressi. Eppure so con sicurezza che, se solo fosse stato avvertito, avrebbe lasciato tutto per venire. Ma per quanto ne so lui ora potrebbe essere su un altare, pronto a sposarsi.

-Buonasera.- una volta arrivata, saluto educatamente e mi sistemo in un angolino della soglia coperta della chiesa.

Stiamo tutti aspettando che arrivi il carro funebre per cominciare il funerale. Mi sorprende la loro immobilità, una freddezza algida che si manifesta già solo nello sguardo congelato, fisso in un punto imprecisato. Io non ci riesco. Non sono capace di mantenermi rigida, ferma. Non sono brava a contenermi, ma neanche a lasciarmi andare. In tutto, io rimango una via di mezzo che non giungerà mai a destinazione. Il mio corpo si poggia stancamente al muro umidiccio, le mani prendono a tremare e l'ombrello scivola per terra. Non mi curo di recuperarlo, il vento lo ha già trascinato lontano, in balia del temporale. Mi sorprendo come nessuno dei pochi presenti si sia premurato, o almeno abbia provato, ad afferrarlo.

Quando l'auto arriva, mi accorgo di aver atteso per un'ora intera, eppure a me sono sembrati solo pochi minuti. Mi guardo intorno, notando che sono rimaste soltanto una decina di persone: gli altri avranno deciso di andarsene.

Il parroco ci invita ad entrare dietro la salma, così lo seguiamo. In chiesa ci sono un paio di persone già sedute, per lo più anziane, che sicuramente non avrebbero potuto aspettare fuori sotto quel tempaccio. Ma il calore accogliente di questo edificio gotico, la luce calda delle candele accese, non riescono a riscaldarmi. Mi sento fredda, come se realizzassi l'accaduto solo in questo momento. Mi tornano alla mente scene simili, solo più gremite di gente, con protagonisti prima mia madre, poi nonno Albert. I brividi tornano, mi pento di aver detto a Ros che ce l'avrei fatta da sola. Gli occhi si fanno lucidi, dimentico persino come si faccia a pensare.

Prendo posto in terza fila, accanto ad un signore che mi lancia occhiate diffidenti. Mi stringo nelle spalle, occupando al massimo qualche centimetro di spazio, osservando il parroco che, rigorosamente vestito in viola, dà inizio alla cerimonia. Di nuovo, chiudo gli occhi e lascio scivolare le lacrime. È incredibile quanto io mi fossi affezionata a quella donna, o quanto lei si fosse affezionata a me, forse senza alcun motivo. Ha insistito come una madre affinché io scegliessi con la mia testa ma, proprio quando avrebbe potuto essere fiera di me, non ha potuto vedermi. Certe volte il destino è crudele, ti toglie le cose un attimo prima che tu riesca ad afferrarle. Le lascia scivolare, esaurirsi, come pozzanghere asciugate dal sole. E tu sei lì, impotente, immaginando (è la terza volta nella mia vita che lo immagino) che quel legno in mogano pregiato si apra, lasciando uscire qualcuno, il sorriso sulle labbra, che avresti solo voluto stringere tra le braccia un'ultima volta. Ma non è possibile. Perché il tempo passa. Perché ciò che viene perduto non può essere ritrovato. Perché niente torna indietro. Perché in questa storia non esiste un lieto fine. E le stelle, dopo l'esplosione e lo spettacolo di una scia meravigliosa, non esistono più. Si disintegrano. Irrimediabilmente, per sempre.

La cerimonia continua, le lacrime aumentano sempre di più. Non sto piangendo solo per un motivo, ma per tanti contemporaneamente. E mi sento quasi libera. Come se la sofferenza mi desse la consapevolezza di essere forte, come se il riuscire a sopportarla senza emettere un suono potesse aiutarmi a risolvere le cose.

Poi, improvvisamente, accade qualcosa di totalmente inaspettato.

Il portone della chiesa si spalanca, lasciando entrare un ragazzo trafelato. È completamente fradicio, trema dal freddo ed ha il respiro pesante: deve aver corso. Il suo sguardo vaga tra i banchi, fino ad incatenarsi al mio. Schiude le labbra come per parlare, ma subito dopo si rende conto che non è il caso. Il parroco gli lancia sguardi di fuoco, tutti gli occhi dei presenti sono puntati su di lui e la cerimonia è stata interrotta.

Lo vedo ricomporsi, impacciato come sempre, ma anche freddo, come se non si curasse della sua inadeguatezza in questo contesto. Distoglie lo sguardo dal mio e si avvicina all'ultima fila di panche, pronto a sedersi. Si blocca, udendo la finta tosse del parroco, che continua a guardarlo quasi volesse incenerirlo. Ancora una volta, Mat non si scompone. Lo vedo mordersi il labbro, incerto, per poi annuire. Si avvicina alla soglia della porta e si sistema lì, accanto al tappeto meno bagnato di lui, dove non può inumidire alcun mobilio pregiato. In tacito accordo, tutti si voltano e la cerimonia riprende. Solo i nostri sguardi restano incatenati. Io non riesco a voltarmi, gli occhi spalancati, le pupille lucide fisse nelle sue. Le lacrime mi si sono congelate sul viso, non riesco a non guardarlo ed ho una voglia matta di alzarmi ed abbracciarlo. So di non potere. È passato troppo tempo, e tutti sanno che il tempo cambia le cose. Lo so, giuro che lo so. Ma lui sembra così dannatamente uguale. Il modo in cui mi guarda, penetrante ed impertinente. Il suo sguardo caldo, che cerca di studiarmi con un'incertezza quasi tenera. Lo vedo irrigidirsi alla vista delle mie lacrime, ma mi dico che probabilmente si tratta del freddo che deve avere. Siamo sotto lo zero e lui è bagnato fradicio, senza contare che deve aver corso per arrivare qui. Il cuore accelera i suoi battiti, le lacrime mi si congelano sul viso, il tempo si ferma. Tutto questo freddo non è riuscito a congelarlo, ma il calore di un cuore ci riuscirà. Passano minuti che potrebbero tranquillamente essere delle ore, quando decido di voltarmi. Sono qui per la professoressa Dumont, come sicuramente anche lui, e non sarebbe giusto distrarmi. Ma, nonostante questo, sento come una forza potentissima che mi spinge a voltarmi ogni tanto. Non lo faccio. Sembrerei una stupida, sono una stupida. Una stupida che si sta solo illudendo.

Ho quasi paura che sia stato tutto un miraggio e che, quando tra pochi minuti il funerale sarà finito, non lo troverò più lì. Sparito. Come tante altre volte, come ogni volta mi ero illusa di poterlo avvicinare nuovamente. Ma, quando mi alzo per uscire dalla chiesa, lui è ancora lì. Le braccia incrociate ed i capelli leggermente più asciutti; mi accorgo che li ha tagliati, perché sono meno impossibili del solito. Gli occhi cercano i miei fra quelli di tutti i presenti. Cerca me.

Tutti i presenti si accalcano all'uscita, aprendo i loro ombrelli già da dentro la chiesa. Ben presto lo travolgono e non riesco più a vederlo. So che è stupido, ma il panico si impossessa di me. Sono così stanca, così triste e confusa, da chiedermi se Mat non fosse stato solo un'allucinazione. Spero che non lo sia. Rimango immobile, aspettando che la piccola folla si disperda; ma, quando succede, come effettivamente avevo temuto, lui è sparito. Chiudo gli occhi, schiacciata dalla consapevolezza di stare impazzendo. Vorrei accasciarmi a terra e scoppiare a piangere per davvero, senza più trattenermi, urlando quello che penso e desidero da anni. Ma decido ancora una volta di lasciar perdere. Credo sia stato questo l'errore più grande della mia vita, il primo di una lunghissima catena: ho sempre lasciato perdere. Non ho mai veramente lottato per quello che desideravo, non ho mai inseguito quello che volevo veramente, troppo occupata a fare quello che gli altri si aspettavano da me. Riapro gli occhi, prendo un respiro profondo e mi volto verso l'altare. Non è rimasto più nessuno, sono sola. Mi avvicino alla bara, camminando lentamente. Sistemo i fiori, che erano in parte caduti, e lascio una carezza sul legno lucido. Nella mia testa sussurro dei ringraziamenti per tutto quello che mi ha lasciato, non solo le cose materiali, e per la capacità che ha avuto nel capirmi a fondo quando io ancora non mi capivo. La professoressa Dumont e Mat hanno portato chiarezza nella mia vita, una chiarezza di cui mi sono resa conto tardi, ma non troppo da non poter tornare indietro. E sento che lei sarebbe fiera di me, di quanto io sia stata sconsiderata ed insieme coraggiosa. Il mio saluto per lei è una lacrima, prima di uscire dalla chiesa.

Non ha smesso di piovere, anzi le pozzanghere sono aumentate e l'acqua è più fitta. Mi ricordo solo adesso di non avere più il mio ombrello, e mi sento immensamente stupida. Sospiro, scendendo i gradini ed uscendo sotto la pioggia. Mi guardo intorno, ancora illudendomi di vederlo, ma lui non c'è. L'acqua mi colpisce piano, bagnandomi in fretta. Dopo solo pochi passi ho già i capelli incollati alla faccia, e mi aspetta un lungo bagno.

-Così ti becchi un bel raffreddore...

Mi blocco immediatamente. Quella voce divertita, calda e canzonatoria insieme. Chiudo gli occhi, rifiutando di voltarmi ed illudermi ancora. Ma è lui. Deve essere lui. Ha urlato per sovrastare il frastuono del temporale, così la sua voce mi è giunta spezzata. Quasi stridula, come se lui stesso avesse cercato di mantenere il tono fermo senza effettivamente riuscirci. Vorrei parlare, rispondergli, ma sento di non esserne capace. Rimango di spalle, pregando che questa stupida allucinazione se ne vada, ma avverto solo il suono di passi contro pozzanghere, passi che si avvicinano.

-Dico sul serio.- sento la sua presenza alle mie spalle, e la sua voce bassa mi raggiunge nonostante il frastuono della pioggia –Sei zuppa.

La sua mano mi accarezza i capelli, l'intensità della pioggia aumenta.

Mi volto di scatto, trovandomelo di fronte. È completamente fradicio, come me; e qualcosa mi dice che ha aspettato sotto l'acqua che uscissi per tutto questo tempo. Gli occhi sono ridotti a due fessure, ma il suo sguardo è dolce, caldo.

-Be'... tu non sei da meno...- riesco a dire, ma la voce risulta tremolante e spezzata dall'emozione.

Gli scappa una risatina nervosa e mi lancia uno sguardo strano, che impiego un po' ad interpretare. Poi mi torna in mente l'immagine di un ragazzo completamente zuppo, dalle punte dei capelli a quelle delle scarpe, e mi accorgo che non mi è per niente nuova. Questa immagine rientra in tutti i ricordi più speciali che abbiamo. La prima volta che ci siamo visti, in spiaggia, o quando è entrato in mensa dopo lo scherzo terribile di Adam. E... adesso, sotto la pioggia, fuori da una chiesa inquietante dopo un funerale.

Faccio un passo verso di lui.

-Sei veramente qui?

-Ellison...- sussurra, guardandomi con dolcezza.

La sua mano si alza lentamente, avvicinandosi al mio viso. I suoi occhi scorrono su di me con una riverenza tale da sorprendermi, da spiazzarmi totalmente. Ricomincio a piangere, questa volta di commozione, dalla felicità di rivederlo e di averlo così vicino. Ma Mat fraintende: alla vista delle mie lacrime sussulta e si irrigidisce, facendo un passo indietro. Ma sono stanca di commettere sempre gli stessi errori, di lasciarmi influenzare da mille paranoie inutili; il tempo, gli anni che sono passati, mi ha donato sicurezza e coraggio. Il coraggio di non commettere più lo stupido errore di lasciar perdere.

-Mi... mi dispiace così tanto... tanto, tanto...- sbotto, scoppiando a piangere e lanciandomi verso di lui.

In un attimo sono tra le sue braccia, ma per la sorpresa rischiamo di cadere e barcolliamo entrambi all'indietro. Poi Mat mi stringe e dimentico ogni cosa, persino il mio pianto simile a quello di una maledetta bambina. Gli prendo il viso tra le mani con un coraggio che non mi appartiene, e, quando le sue labbra si posano sulle mie mi sento finalmente bene.

Non mi è mai piaciuta la pioggia, in nessuna stagione. Copre il cielo, copre le stelle, nascondendoci e spegnendo il fuoco della vita, la possibilità di sognare. La pioggia è come una gomma sul foglio della vita. Sbiadisce, annulla, ci dà l'illusione di poterci cancellare e riscrivere, quando invece non è possibile. No, non mi è mai piaciuta la pioggia. Ma sento che da stasera, da questo momento in particolare, cambierò idea su di lei. Perché mi ricorderà le mani di Mat che mi stringono, che mi accarezzano. Il sapore stranamente salato delle sue labbra, il suo profumo fresco di mare e tempo, la sua bocca calda. La pioggia mi ricorderà sempre la sera in cui, finalmente, tutto è ricominciato dopo essere finito. La sera in cui, per la prima volta, ho colto sul fatto la felicità. E non le ho permesso di sfuggirmi. Non questa volta, non dopo averla inseguita per tanto tempo.
Quando ci separiamo respiriamo pesantemente entrambi. Lui non mi ha lasciata andare, io gli sto ancora accarezzando i capelli. I nostri occhi si cercano nella pioggia, sorridendosi. Le sue labbra boccheggiano, desiderose di parlare ma incapaci di farlo. Alla fine si avvicina nuovamente e mi soffia sulle labbra le parole più belle della mia vita.

-Non ho dimenticato.- mormora, sfiorandomi le labbra –Ci... ci ho provato, ma non ho dimenticato. Non ho dimenticato il modo fantastico in cui ridi, la dolcezza con cui mi hai sempre ascoltato. Non ho dimenticato il modo tenero in cui assottigli gli occhi, arrossisci e ti arrabbi. Non ho dimenticato le tue parole, la bellezza con cui riesci ad ordinarle, la tua capacità di scavare nelle persone. Di scavare in me. Non ho dimenticato il sapore delle tue labbra, le stelle e i desideri.

Prende fiato, chiude gli occhi e posa la fronte contro la mia.

-Io non ho dimenticato te, Ellison.- scuote il capo –Non credo ci riuscirò mai.

Il cuore mi salta nel petto e fuori dal petto e sale in alto a cacciare le nuvole e prendere il posto della luna. La tempesta imperversa attorno a noi, ma sembra scivolare oltre la cupola che ci siamo creati attorno, sembra che non possa toccarci. Mi sento invincibile. Mi sento felice. Mi sento come non mi sono mai sentita prima e non ho la minima idea di che cosa dire, perché non sono certa che riuscirei a parlare. Continuo a piangere e a guardarlo, incurante della pioggia e incurante del fatto che dovrei dire qualcosa. La mia reazione scatena qualcosa in Mat, si morde le labbra e cerca insistentemente il mio sguardo.

-Scusa.- mormora allentando la stretta, come se volesse lasciarmi libera di staccarmi da lui –Riesco solo a farti piangere.

-Mat, io-

-Scusami.- ripete, scuotendo la testa –Non avrei dovuto-

-Vuoi stare zitto?!- lo interrompo, sorridendo tra le lacrime e fissando lo sguardo nel suo –Io sto piangendo perché ti amo.

L'ho detto.
Dopo cinque anni sono finalmente riuscita a dirlo.

Mat sussulta, le labbra gonfie schiuse per la sorpresa.

-Ti amo.- ripeto in un sussurro, mettendo in quelle cinque lettere tutte le emozioni che sto provando.

Lo vedo sorridere, un sorriso appena accennato nelle labbra che però continua fino ad esplodere dentro i suoi occhi. Quegli occhi dello stesso colore dell'ambra scura, ora contornati da ciglia nere bagnatissime. E la pioggia non vuole smettere, mentre le sue labbra sono nuovamente ad un soffio dalle mie.

-Ti amo.- dice, prima di baciarmi -Ti amo da quando ti ho vista la prima volta su quella spiaggia.

Stavolta è un bacio lento, rassicurante, ma non privo di desiderio ed emozione. È il tipo di bacio che ho sognato per tutta la vita, che ho aspettato per anni e da cui sono scappata prima di capire che era quanto più davvero desiderassi. È il tipo di bacio perfetto, di quelli che mettono alla fine dei film romantici, come lieto fine. Quello che dai solo alla persona di cui sei innamorato. E Mat è quella persona, la mia persona. Sorride contro le mie labbra, staccandosi leggermente da me.

-È meglio andare adesso.- dice con un sorriso divertito –O moriremo congelati qui.

E io penso che morirei volentieri qui, adesso, congelata sotto il temporale. Poi annuisco leggermente.

-E dove andiamo?

Mat mi prende la mano.

-Ho in mente il posto perfetto.

Spazio Autrice:
Okaaaay... ho così tante cose da dire che potrei implodere, ma proviamoci comunque...
Prima di iniziare devo avvisarvi che l'ultimo capitolo non sarà questo ma il prossimo, poiché all'ultimo momento ho pensato di dividerlo a causa della lunghezza... quindi On fire avrà 16 capitoli e non 15. Spero che la cosa non vi dispiaccia <3 !
Comunque si può dire che quello che avete appena letto sia già una specie di finale, o quanto meno un preludio di esso, quindi devo chiedervi... che ne pensate?

Questo capitolo è scritto da tempi immemori, fin dalla prima versione di On fire, e non è cambiato moltissimo da allora. L'ho sempre immaginata così, la fine di questa storia, felice. Alcuni di voi si aspettavano un finale in cui Ellie e Mat non si ritrovassero perché più realistico, ed io non posso che darvi pienamente ragione su questo. Ma... le storie esistono proprio per farci sognare e ricordarci che certe volte, se ci crediamo veramente, le cose belle possono succedere. Esistono le seconde occasioni ed esiste la speranza. Questo è il messaggio che On fire vuole trasmettere ed io spero davvero, davvero con il cuore che ci sia riuscita. Ma...

La storia non è finita! Vi prego di non abbandonarla e rimanere ancora con me per il vero finale, in cui saluteremo tutti i personaggi *-*! Soprattutto, capiremo come e per quale motivo Mat sia ricomparso così... tutto sarà spiegato!
Grazie di cuore per essere arrivati fin qui con me, un grosso abbraccio!

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