Respira... Combatti... Corri...

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Giudici: JSElordi BelMa-Pattinson moonlight920 Sara_commenta

Genere: Azione/Crime

Target: 25+

Parole: 2569

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Mi chiamo Giorgio Álvarez e mi sono trovato in un inferno per due anni, due mesi, cinque giorni, sette ore, cinquantaquattro minuti e ventisette secondi. Sono stato ricoverato nell'ospedale psichiatrico di Siviglia, perché mi sono finto pazzo, e se non avessi avuto l'idea di evadere da quel posto a breve credo lo sarei diventato sul serio.

Sono figlio di padre spagnolo e madre italiana e da sempre la matematica è stata la mia passione: i numeri e tutte le infinite combinazioni che con essi si possono ottenere mi mettono adrenalina, mi fanno avere uno scopo nella vita.

Sono un ingegnere informatico e due anni fa ero un normalissimo ragazzo di ventitré anni e lavoravo nell'azienda di mio padre, la Álvarez Corporation, e mi occupavo di sicurezza informatica.

Mio padre è un grande impresario. Il suo lavoro consiste nel comprare dalle piccole aziende ogni tipo di macchinario mal funzionante, metterli nuovamente in funzione, tramite una équipe che farebbe invidia anche a Bill Gates, per poi rivenderli ad un prezzo maggiore. Sembra una cosa da niente, eppure dietro ci sono anni e anni di ricerca e di duro lavoro.

Ero talmente entusiasta della proposta che ho accettato immediatamente e firmato un contratto di lavoro, senza leggere le clausole o gli obblighi ai quali avrei dovuto adempiere. Ero solo felice che finalmente sarei entrato nel mondo del lavoro, svolgendo ciò che più mi piaceva fare.

Il mio lavoro infatti era quello di capire perché un sistema informatico non funzionava. Tra i compiti più importanti sicuramente c'era quello di installare o aggiornare gli hardware. Ben presto però mio padre si è reso conto che il mio potenziale era sprecato per quel tipo di lavoro; così, di punto in bianco, mi ha fatto visitare una stanza segreta che si trova ai piani alti dell'azienda, e alla quale nessun dipendente ha accesso, se non poche persone fidate.

Io sono rientrato immediatamente in quelle persone, pur non sapendo il mio reale ruolo in quel nuovo lavoro. Attraverso una combinazione di numeri, il mio compito era quello di accedere ai computer di altre aziende, per poterne alterare il sistema. Ad esempio, una volta mi hanno fatto invadere il sistema informatico della banca centrale; un'altra volta della gioielleria di un mio caro amico. Così, ho avuto il dubbio che mio padre e la sua squadra, di cui ormai ne facevo parte, svolgevano lavori illeciti.

In sostanza, io sono diventato un hacker che li aiutava a rubare, ma questo a lui non bastava.

Mio padre ha sempre voluto avere tutto il potere nelle sue mani. Voleva controllare persino la nostra famiglia, mostrandosi agli altri come un uomo felice e innamorato, bravo padre e marito esemplare; di buono mio padre non ha mai avuto nulla e ha sempre trattato mia madre male, guardandola con aria di superiorità. Lui pensava che la femmina era solo buona a stare in casa e fare figli e che avesse il diritto di alzare le mani sulla donna che mi ha messo al mondo, se solo lei si fosse permessa di andargli contro.

Sul posto di lavoro, mio padre ha sempre assunto un'aria autorevole, tutti lo temono. Ragion per cui, nessuno osa contraddirlo o fiatare in sua presenza, pena il licenziamento.

Comunque, il mio incubo è iniziato poco più di due anni fa, il giorno del mio ventitreesimo compleanno. Dopo aver festeggiato con la mia famiglia e i miei amici a bordo piscina in un hotel a cinque stelle, la Oss, l'organizzazione segreta spagnola ha avuto il potere di portarmi a Siviglia, non avendo più la possibilità di vedere la mia famiglia.

Da allora non ho notizie di mia madre.

Invano mi sono opposto alle loro assurde richieste: volevano li aiutassi alla creazione di un'arma che avrebbe distrutto una parte del mondo; un'arma che tramite una combinazione di numeri, attivata attraverso un computer, sarebbe potuta esplodere a milioni e milioni chilometri di distanza.

Ciò che davvero è assurdo in tutta questa storia è che sono stato tratto in inganno dal mio stesso padre, poiché dopo una settimana ho scoperto che lui era capo di questa organizzazione.

Non solo mio padre ha una doppia vita, semplice lavoratore e ladro, ma è anche un terrorista.

Se ancora oggi ci penso, mi sembra tutto così aberrante, perché dopotutto io mi sono trovato prima in carcere, poi in un ospedale, che gentilmente chiamano psichiatrico perché manicomio sembrava troppo dispregiativo, a detta di alcuni, mentre lui e la sua organizzazione sono a piede libero, a combinare sicuramente chissà quali casini.

Poi penso a me, al ragazzo cinico che sono diventato stando a stretto contatto con un padre che in realtà non ho mai conosciuto, al suo farmi sentire in difetto costantemente agli occhi degli altri, nonostante lui vedesse in me un potenziale e aveva bisogno del mio aiuto.

Come sono finito in carcere? Un giorno il mio vecchio mi ha costretto a piazzare una bomba nei pressi del Ponte di Triana, uno dei monumenti più importanti di Siviglia, che unisce il quartiere Triana al centro della città. L'ho fatto contro la mia volontà, ma lui aveva minacciato di uccidere mia madre, sua moglie, solo per la sua sete di vendetta nei confronti di un vecchio amico che aveva preso il controllo della città. A mio padre non stava bene questa situazione e doveva far capire a questa persona, in un modo o nell'altro, chi era che comandava e che lui con i soldi, e di conseguenza il potere, avrebbe potuto fare tutto.

Inconsapevolmente. Stavo per diventare un terrorista, esattamente come mio padre.

In ogni caso, sono riuscito a nascondere la bomba esattamente sul ponte e, anche se mi ero assicurato che alle 15:00 non passava alcuna persona, dopo giorni di appostamenti, tramite il mio pc portatile l'ho azionata, facendo esplodere il ponte e assassinando l'unica ragazza che, a dirla tutta, non doveva trovarsi neanche lì in quel momento; l'unica donna di cui mi sono innamorato: Rosa.

Quella ragazza. I suoi occhi ancora li ricordo e mi tormentano ogni notte. Per arrivare al centro della città Rosa prendeva sempre una strada secondaria, mai il ponte. L'avevo osservata bene: era bella da togliere il fiato e un giorno l'avevo anche seguita, per capire cosa combinasse.
Si fermava sempre da un'anziana signora, porgendole le buste che aveva in mano, presumo con la spesa dentro, per poi tornare indietro, dopo averla abbracciata calorosamente.

Le sono stato dietro per mesi interi, arrivando addirittura a parlarle di tanto in tanto. E, mentre lei non ha mai saputo dei sentimenti che nutrivo nei suoi confronti, io mi beavo di quell'amore che non avrei mai potuto avere, nonostante fossi a conoscenza che era la figlia di Andres, il capo della città di Siviglia.

Quando il ponte è esploso, il caos ha iniziato a spargersi a macchia d'olio. Istintivamente, sono corso dinnanzi a quel corpo inerme, fregandomene degli sguardi delle persone, che nel frattempo erano accorse a vedere cosa fosse successo. Frattanto, fu chiamata anche la polizia e un'ambulanza.

Per Rosa non ci è stato nulla da fare, poiché è stata dichiarata morta, non appena i paramedici sono arrivati sul posto. La polizia ha trovato me, inginocchiato vicino il corpo inerme di Rosa, con il mio portatile in mano, aperto e con lo schermo pieno zeppo di numeri indecifrabili. Sono stato arrestato quella sera stessa, dopo un interrogatorio, durante il quale ho confessato, dopo che mio padre si è presentato come se niente fosse, promettendomi che mi avrebbe tirato fuori da quel casino e dopo avermi confessato che ero riuscito ad assassinare la figlia del suo nemico e che questa morte sarebbe stata l'inizio della sua salita al potere.

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Quarantadue ore prima...

«A che pensi?» mi chiede Valerio in un sussurro.

Valerio l'ho conosciuto nel carcere di Siviglia. Lui era dentro per droga da anni. Io non volevo stare in quell'ambiente tossico, così gli ho proposto di fingerci folli, affinché venissimo entrambi trasferirti in un manicomio, poiché evadere sarebbe stato più facile. Se lui avesse aiutato me, io gli avrei assicurato dei documenti nuovi e una nuova vita.

Siamo nel cortile in cui i malati psichiatrici si ritrovano tutti insieme per un' ora di aria, così la chiamano. In questi giorni ho comunque notato alcune persone che mi sembrano più lucide di ciò che vogliono far credere, che sono scappate dalle carceri, perché qui avrebbero avuto più libertà e controllo di alcune situazioni al di fuori. Di questo non me ne interesso più di tanto; ho già abbastanza guai per potermene creare altri.

«Un piano, Valè», rispondo bisbigliando, «un piano per uscire da questo inferno».

Valerio mi guarda con un sopracciglio alzato, ma di lui mi fido e la cosa è reciproca e sono sicuro che qualsiasi cosa farò, lui sarà al mio fianco nel bene e nel male.

«Vedi quell'uomo laggiù?» gli chiedo, indicandogli con il capo Alonso, l'invencible guerrero.

«Che hai intenzione di fare? Sai con chi ti stai andando ad immischiare vero?» mi chiede stupito.

Ovvio che lo so. Alonso viene appunto chiamato il guerriero invincibile, perché chiunque si sia mai messo contro di lui, ci ha sempre lasciato la pelle. Alonso è il figlio di Andres, l'acerrimo nemico di mio padre e colui che è a capo della città di Siviglia, e fratello della mia amata Rosa. Lui concede favori, ma vuole sempre qualcosa in cambio. È in questo luogo perché come me si è finto pazzo, e con le guardie del manicomio può avere più influenza e tenere sotto controllo i suoi affari di droga esterni.

Anche Alonso è stato in carcere e quando ha saputo di Rosa ha dato di matto.

«Noi ce ne andremo da questo posto e ci faremo aiutare da lui», annuncio e Valerio mi guarda strano, «a qualsiasi costo», aggiungo poi, guardandolo negli occhi.

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Trentasei ore prima...

«E io cosa ci guadagno dalla tua fuga?»

Siamo nella mensa del manicomio e ho avuto la brillante idea di sedermi al tavolo di Alonso. Sotto la stretta sorveglianza dei nostri vigilanti, facciamo finta di non conoscerci. Quando però Alonso mi fa capire che è interessato alla mia offerta, sono libero di parlare, perché la guardia che è di turno oggi è stato corrotto da lui.

«Dammi un solo motivo per il quale dovrei aiutarti. So che teoricamente hai ucciso mia sorella», sentenzia Alonso con tono pacato.

Non so se il motivo del suo essere tranquillo è perché ci troviamo in questo luogo, ma la sensazione che mi lascia quando mi guarda è davvero strana.

«Io la vendicherò. Voglio solo questo», rispondo a mo' di promessa.

Dopo avermi spiegato passo per passo come fare per evadere da questa gabbia, mi assicuro che Alonso faccia da palo, mentre infilo nella tasca della mia giacca un coltellino preso in mensa. Le finestre delle nostre stanze sono sbarrate tutte, ma ce ne è una che si apre con una semplice spinta: quella del vigilante.

Trovarsi all'interno di quella camera non è affatto facile, poiché entrano ed escono troppe persone per i miei gusti. Alonso mi ha assicurato che al tramonto però, quando la guardia cambierà turno, a sorvegliarci ci sarà il suo amico.

Se in questo momento mi fido dell'ultima persona alla quale dovrei affidarmi? Sinceramente non lo so, ma non ho altra scelta. Decido così di seguire il mio istinto ed iniziare il piano della fuga mia e di Valerio.

Alle 18:00, tutti si stanno preparando per la cena. Il direttore del manicomio ci conta per capire se ci siamo tutti, e per lui siamo numeri, semplici e stupidi numeri. Dopo essersi assicurato della nostra presenza, ci lascia nelle mani della guardia, la quale si scambia un'occhiata con Alonso. Di conseguenza è arrivato il mio momento di agire.

Non so e non mi importa in che tipo di rapporti siano Alonso e la guardia, né cosa quest'ultima ci guadagna. Ho solo bisogno di guardare in faccia mio padre e chiedergli il perché delle sue azioni, e fargliela pagare ovviamente.

Mi trovo dinnanzi la porta della camera del sorvegliante e ovviamente è chiusa a chiave. Entro nell'unica stanza in cui la finestra si apre, grazie al coltellino preso in precedenza in mensa. Alonso è fuori per fare il palo, mentre io e Valerio stiamo finalmente per uscire da questo inferno. D'un tratto mi fermo, prima di poter mettere piede fuori e respirare la mia libertà, e mi volto verso Alonso.

«Perché non evadi anche tu?» gli chiedo incuriosito dal suo atteggiamento così calmo.

«E che gusto ci sarebbe!» esclama, sorridendomi maliziosamente.

Così esco e mentre corro capisco il senso della sua frase: da dentro gestisce in ogni caso gli affari, avendo uno all'interno che può anche portare a termine i suoi affari all'esterno; in questo modo, lui ne esce comunque vincitore, perché controlla il tutto, senza essere coinvolto.

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Ventotto ore prima...

Respira.

Prendi fiato e non farti prendere dall'ansia. Non fare vincere le tue paure. Sii più forte di qualsiasi tempesta.

Combatti.

Tira fuori le unghie e dimostra al tuo nemico che a vincere sarai sempre e solo e tu. Usa l'astuzia, l'intelligenza. Usa armi che loro non posseggono.

La mente.
I numeri.
I calcoli.

Corri.

Corri e non fermarti per nessun motivo al mondo. Continua per la tua strada e non voltarti mai indietro. Non aggrapparti ad un passato felice che non esiste più.

Corri Giorgio, non pensare a chi sta alle tue calcagna. Va avanti. D'ora in poi nulla sarà più lo stesso e andarmene da Valerio in questo momento è l'unica soluzione logica.

Prima di stabilirci nella casetta di legno di Valerio, sperduta tra i boschi, gli chiedo di fare una deviazione. Ci fermiamo dinnanzi all'imminente palazzo color oro, l'unico che spicca tra tutti gli altri. Guardo la finestra dell'ufficio di mio padre con disgusto e poi lo prometto a me stesso.

Per me.
Per la mamma.
Per Rosa.

«Gliela farò pagare Valè», dico a sangue freddo, volgendo lo sguardo alla Álvarez Corporation, «gliela farò pagare a quel pezzo di merda».

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Oggi...

«Giorgio!» esclama incredulo mio padre.

Mi trovo all'interno dell'azienda, sono le 19:00 e solo lui è rimasto a mettere a posto le ultime scartoffie. Conosco bene i suoi orari e mi sono assicurato non ci fosse nessuno, per poter commettere ciò che sto per fare. Lui quando mi vede si pietrifica, poiché non si aspettava di certo che io fossi proprio dinnanzi ai suoi occhi.

«Figliolo», mi chiama con fare troppo sdolcinato, «come hai fatto ad uscire?» e con finto interesse aggiungerei.

«Ti importa solo di questo? Di certo non sei stato tu a tirarmi fuori da quel mondo di pazzi», sentenzio freddamente.

Sono distaccato e impugno la pistola che mi è stata gentilmente offerta da Andres. Quando sono uscito dall'ospedale psichiatrico, Alonso mi ha detto di andare direttamente da lui. Andres sapeva del mio arrivo e senza dire nulla mi ha consegnato la sua pistola, dicendomi che avrei dovuto ucciderci il mio vecchio, così da sentirsi parte dell'omicidio.

«Perché non abbassi quell'arma e parliamo da persone civili?» chiede lui.

Dai suoi occhi traspare terrore, dai miei solo freddezza e voglia di vendetta.

«Dimmi solo perché...» ribatto senza mezzi termini.

«Perché cosa?» chiede.

«Il tuo obiettivo», annuncio, «perché proprio Rosa?» domando senza mai distogliere lo sguardo.

«Era l'unica persona che poteva rendere debole Andres», confessa immediatamente.

«Ma io la amavo e tu ne eri consapevole», rispondo incredulo.

«Semplici effetti collaterali».

L'ultima sua frase.

Un solo sparo.

Un corpo inerme a terra.

Poi il nulla.

Respira... Combatti... Corri...

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