Un posto speciale nel cuore

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Giudici: JSElordi Sara_commenta moonlight920 BelMa-Pattinson cabynch
Parole: 2361
Genere: Fantastico, drammatico, avventura

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La morte.

A quattordici anni non ti rendi conto esattamente dell'infelicità che essa può provocare o di quanto sia stupida la frase "il tempo lenisce il dolore". In realtà, neanche a venti o a quaranta anni sei pronto a lasciar andare per sempre una persona. Lo noto ogni giorno nei visi dei miei genitori e di mio fratello: sono stanchi persino di piangere.

È un anno e quattro mesi che viviamo in un limbo: mia madre vorrebbe urlare, a causa del dolore che prova, ma si trattiene per non far provare sofferenza a noi figli; mio padre, nelle sue possibilità cerca di consolarla; mio fratello, che è sempre stato un ragazzo estroverso, si è chiuso in un mondo tutto suo, e solo Stefania, la fidanzata, riesce ogni tanto ad abbattere il muro che si è costruito.

Poi ci sono io, che riesco a provare solo rabbia. Ho sempre avuto l'idea che una persona muore soltanto quando diventa anziana, non mi aspettavo di certo che mio zio, di soli cinquantadue anni, morisse all'improvviso. Invece, questo sentimento negativo ha preso il sopravvento e da quando è accaduta la disgrazia non faccio altro che prendermela con il mondo intero; litigo persino con i miei genitori anche per la minima scemenza.

Quando una delle persone più importanti della tua vita viene a mancare, hai la sensazione che la terra sotto i piedi inizia a sgretolarsi; la sua assenza crea in te un vuoto incolmabile. Neanche chi ti sta costantemente vicino è capace di farti sorridere più del dovuto, quel sorriso che, prima di questo evento, mi faceva spiccare tra le altre ragazzine.

Io ho allontanato tutti, le mie compagne cercano in tutti i modi a distrarmi, ma ho perso interesse anche nello studio; io, che sono sempre stata una secchiona.

Mi chiamo Francesca e vivo in un paesino in provincia di Cosenza con i miei genitori e mio fratello. Sono sempre stata una ragazzina allegra e piena di vita. La nostra è una famiglia molto unita, crediamo nei veri valori, e ci facciamo spalla gli uni con gli altri. Mio zio però era il collante delle nostre vite, colui che ci teneva tutti legati. Al momento, mi rendo conto però che il nostro mondo si sta pian piano frantumando. Lui è stata la mia salvezza tante di quelle volte, che ormai avevo perso il conto di quando mi rifugiavo tra le sue braccia ogni qual volta litigavo con mamma e papà, se prendevo un brutto voto a scuola, o perché bisticciavo con qualche compagna.

Lui aveva la capacità di tirarti su di morale anche nei momenti di totale sconforto. Le sue parole mi facevano rinascere e credere di più in me stessa. Tutte le volte che veniva a casa nostra, il mio viso si illuminava.

Mio zio Giulio era un mix di felicità, ironia, generosità, affetto. Su di lui potevi sempre contare. Ora che non c'è più, mi pongo tante domande, i perché che mi frullano in testa sono molteplici. Probabilmente, sono ancora troppo giovane per capire il gesto che ha compiuto. Forse proprio per questo motivo, mia madre continua a ripetere la stessa frase da un anno: «Perché non mi ha chiesto aiuto?»

La mia paura più grande è quella di non riuscire a ricordare più la sua voce. Lo so, è stupido pensare a ciò. Quando però il tempo passa e la persona che non c'è più non la vedi o la senti come un tempo, i ricordi pian piano sbiadiscono, così come il suono della sua voce.

So per certo che prima o poi succederà, in quanto è accaduto già dopo la morte di altre persone a me care. Nell'esatto momento in cui accade, la sensazione che senti è il vuoto più assoluto. Ti illudi persino che facendola rimbombare nella tua testa ricorderai per tutta la vita il tono possente di quella determinata persona, e invece nulla; per quanto mi sforzi, ultimamente, in maniera lenta sta svanendo, come tutte le altre cose che interessano la sua persona.

Ricordo ancora il momento in cui è venuto a mancare, è stato forse il giorno più brutto della mia vita. Quando sono arrivata a casa di mio zio, c'era un via vai interminabile di persone. Io sono sempre stata affianco la sua bara ad osservare il suo corpo inerme. Mio padre mi aveva pregato più volte di uscire da quella stanza, ma preferivo di gran lunga vedere il suo viso ancora una volta, prima che quattro uomini, vestiti tutti indistintamente con abiti eleganti, si accingevano a chiudere la bara.

Tutto ciò poi è accaduto in due minuti. Quegli uomini avevano recuperato i tanti fiori sulla bara marrone, mentre quest'ultima veniva chiusa e portata in Chiesa, per poter porgere l'ultimo saluto a mio zio, almeno così mi aveva detto mio padre.

L'ultima frase che ricordo di aver pronunciato a mia madre, prima che sprofondasse nel buio più totale, era questa: «Mamma sta tranquilla, sono sicura che anche da lassù sarà sempre con noi.»

Ancora non mi rendevo conto che quella che aveva bisogno di più aiuto ero proprio io.

Quando siamo arrivati in Chiesa, c'erano tutti i parenti e gli amici, e allora ho capito che mio zio era una persona che si faceva volere bene. Ricordo ancora come il mio cuore batteva forte, a causa dell'ansia che aveva preso possesso del mio corpo. Respiravo a malapena, anzi era da giorni che mi sembrava di stare in apnea. Così mi sono alzata dal banco e mi sono precipitata fuori per poter respirare un po' di aria.

Solo poco dopo mi sono resa conto che la messa era finita, quando una miriade di persone uscivano dalla Chiesa come se stessero partecipando ad una processione. A dir la verità, io quel giorno ho lasciato la messa a metà, perché non ne potevo più di tutte quelle persone che piangevano, ero talmente arrabbiata che mi infastidivano anche le lacrime.

Quel giorno ho anche notato una cosa molto strana: Carlo, un ragazzo della mia età, mi ha sorriso non appena ha incrociato il mio sguardo, per poi sparire dietro l'albero di ulivo, circondato da una folta erba, che si trova dietro la Chiesa.

Carlo è sempre stato definito "l'asociale". Sua mamma è morta due anni fa per un brutto male, e lui da allora si è chiuso in se stesso. In giro non lo vedevo spesso, e sono arrivata al punto di pensare che ognuno di noi reagisce al dolore per una perdita come meglio può. Evidentemente, non era ancora pronto per affrontare il mondo esterno.

Dal giorno del funerale, ogni giorno torno davanti questo albero, e ogni volta Carlo mi sorride per poi sparire. A volte, mi chiedo se non sia la mia mente che gioca brutti scherzi: talmente è annebbiata ancora ora dalla rabbia, che immagina cose non vere.

In questi giorni sto approfittando del fatto che i miei genitori sono più indaffarati del solito con il lavoro e che mio fratello resta costantemente appiccicato a Stefania, e ritorno in questo luogo, perché sono spinta dalla curiosità di sapere cosa c'è oltre.

Mi rattristo come ogni volta, non appena mi rendo conto che Carlo è come se si fosse volatilizzato. Così affranta, poggio la mia mano sull'albero. D'un tratto una forza a me sconosciuta mi spinge oltre, ed è come se venissi catapultata in un'altra realtà.

Oltre l'erba mi si apre un paesaggio mai visto prima: un enorme cascata di acqua azzurra si mostra dinnanzi a me, e ancora una volta Carlo si fa notare, entrandovi poi dentro e sparire nuovamente.

Consapevole di non voler tornare indietro, per non sentire costantemente il dolore che è mio amico ormai da poco più di un anno, decido di oltrepassare anche io la cascata.

Contro ogni aspettativa, Carlo mi ha attesa, e io lo raggiungo a passo svelto. Non appena alzo il viso, il paesaggio che osservo è di una bellezza rara: una serie di alberi circondano una distesa di prato verde; sotto ogni albero vi sono dei piccoli tavolini in legno, e da lontano noto alcune casette, anch'esse in legno.

Nonostante la rabbia che mi ribolle dentro, ciò mi fa spuntare il primo sorriso della giornata; è come se qui il dolore scomparisse, e i sentimenti positivi prendessero il sopravvento.

«Ciao, io sono Carlo, ma tu già mi conosci.» Si presenta a me, porgendomi la mano, che prontamente afferro.

«Francesca. Cosa ci facciamo esattamente in questo posto? Esiste sul serio?» Lo so, sono diretta nelle mie domande, ma il mio umore non è dei migliori.

«Percepisco in te solo ed esclusivamente sentimenti negativi. Non prendermi per pazzo, ma vorrei aiutarti a farti ritrovare il tuo equilibrio. L'area di questo posto è magica, e sarà in grado di farti riacquistare la speranza perduta. Questo posto l'ho scoperto un po' di tempo fa.»

Sono scioccata dalle sue parole, e penso immediatamente che dovrei portare mia madre al suo cospetto, per farle ritornare il meraviglioso sorriso che l'ha sempre contraddistinta.

«Ti aiuterò a capire come dovrai affrontare il dolore.» Mi porta in un parco, e io credo di star sognando. «Posso capire ciò che stai provando. Io ho perso mia mamma un po' di anni fa e il male che ho provato è stato lancinante.»

Lo ascolto con molta attenzione, sarà il posto, ma sono incantata dal suono della sua voce.

«Aveva il cancro, e l'ha consumata in due mesi. È stato molto difficile vederla ridursi a pelle ossa. Sono diventato un bambino irascibile, non parlavo più con nessuno e anche a scuola è iniziato a calare il mio rendimento.»

Arriviamo alla riva di un fiume, e Carlo inizia a saltellare tra un sasso e l'altro, per poter arrivare dall'altra parte.

«Come hai fatto ad andare avanti?» Urlo per farmi sentire.

Non ho la minima intenzione di seguirlo, ho troppa paura di cadere ed essere trascinata chissà dove, e morire.

«Seguimi Francesca, non te ne pentirai.» Con tutto il coraggio che possiedo, inizio a seguirlo.

Devo dire che non è stato affatto difficile arrivare dall'altra parte, e un altro sorriso spunta sul mio viso; è come se iniziassi a fidarmi di lui, anche se effettivamente non lo conosco.

«Il dolore non scomparirà mai, neanche quando saremo più grandi, e i ricordi sbiadiranno. Ci impari solo a convivere. Gli adulti pensano che noi siamo troppo piccoli per poterne capire il vero significato, ma quando subisci un lutto, anche alla nostra età si prova sconforto.»

Carlo mi racconta che è solo da tre mesi che ha iniziato a vivere di nuovo, grazie all'appoggio di suo padre e della sua famiglia. Mi confida che ogni tanto sente il padre piangere per la mancanza della moglie, e che basta che i due si abbracciano per darsi conforto.

«Guarda Francesca.»

Abbiamo camminato tanto, per poter arrivare in cima ad una montagna ed osservare dall'alto piccoli animali volare da una parte all'altra. Non appena ci avviciniamo, mi rendo conto però che i miei occhi non hanno mai visto nulla di più straordinario: tante farfalle rilasciano nell'aria una polverina gialla e verde, e tutto intorno a loro diventa magico.

È possibile che sia frutto della mia immaginazione, ma iniziare a credere nuovamente in qualcosa, che sia la magia di un singolo momento, forse potrebbe aiutarmi ad affrontare le giornate.

«Vengo in questo posto quando tutto sembra che mi vada stretto, e quando ho bisogno di credere ancora in qualcosa. Qui posso assaporare la magia, e restare per qualche ora in totale spensieratezza. Quando fra un po' torneremo alla realtà, cerca di ricordare la quiete che ti regala questo posto. In questo modo, io riesco a domare anche gli attacchi di panico.»

Ho l'istinto di avvicinarmi a Carlo e abbracciarlo, per fargli capire che da adesso in poi potrà contare anche su di me.

Io e Carlo non abbiamo mai avuto alcun rapporto. Certo, andiamo nella stessa scuola, ma sì e no negli anni abbiamo scambiato solo qualche parola. Lui oggi, inconsapevolmente, mi ha salvata. Mi ha fatto capire che io nella vita non sarò mai sola.

Grazie a lui ho scoperto che provare dolore mi fa sentire un essere umano, e che ciò è necessario, per poter poi metabolizzare il lutto e andare avanti con la propria vita. Ciò che conta adesso è restare uniti.

Parlare è un'altra componente fondamentale in questo processo: quando ci sentiamo soli o affranti, quando i ricordi prendono il sopravvento e vogliono a tutti i costi rammentarti quanto in passato eri felice, è in quell'esatto momento che bisogna essere forti e recepire che nella vita nulla è mai veramente perduto.

Ho la fortuna di avere una famiglia che mi vuole bene, e sono sicura che insieme riusciremo ad affrontare il lutto al meglio delle nostre possibilità. Sono sicura anche che non sarà affatto facile: se già ora mio zio mi manca più dell'aria, non oso immaginare come sarà negli anni.

Con il cuore un po' più leggero, chiedo a Carlo di ritornare indietro, facendomi anche spiegare il modo per poter ritornare in questo posto ogni qual volta ne sentirò il bisogno.

Quando torno a casa, mia madre e mio padre sono stesi sul letto. Papà la sta abbracciando, mentre mia madre tiene la testa poggiata sul suo petto. Faccio un lungo respiro, prima di entrare in camera, ed accertarmi che la mamma stia bene.

«Tesoro, mi dispiace che tu stia soffrendo così tanto. Sappi solo che lo zio avrà sempre un posto nel nostro cuore. Pian piano il dolore diminuirà, e questo grazie alle persone che sono accanto a noi.»

I miei genitori mi guardano con compassione. Sanno sempre come consolarmi, e anche se sono la più piccola in famiglia, io prometto di prendermi cura di loro come posso.

A mio zio posso solo augurare che, in qualsiasi posto si trovi, abbia trovato la pace che in terra non ha scovato. Spero che da lassù ci dia la forza di andare avanti, che non mi faccia mai cadere; se mai dovesse succedere, confido che mi dia la forza di rialzarmi.

Da parte mia, cercherò in ogni modo di sostenere la mia famiglia, di preservare questa nuova amicizia nata per caso, in un luogo magico, e di conservare a Lui sempre un posto speciale nel cuore.

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