Capitolo 34 - Sono Ancora Qui

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Jacob... Jacob... Jacob.

Mi senti?

Sì... mi senti.
Oh, vedo che non sei il solo a sentirmi.
Umpf... poco importa.

Eri convinto che me ne sarei andato così, dal nulla? Pensavi davvero che mi sarei dissolto come polvere?

Stolto, Jacob... sei uno stolto.
.iuq ,inoigar eus el ah ...onungO

Merda, la testa.

Mi sta scoppiando... la testa.

Aiuto.

Vi prego... qualcuno venga qui a soccorrermi.

Non sento il mio corpo.

Non sento il mio cuore battere.

Non sento la mia anima.

Non sento me stesso.

Ti sei già arreso?
.otaicnimoc aneppa omaibbA

No... non è ancora il momento di gettare la spugna.

Io... non gliela darò vinta.

Erano già le 13:00 e, subito dopo essere uscito dalla casa di nonno Sam, afferrai il telefono dalla tasca per chiamare mia madre e cominciai a correre alla velocità di un razzo. Notai che avevo già una chiamata persa proprio da parte sua così non persi altro tempo e, una volta preparato psicologicamente per il rimprovero che con molta probabilità avrei ricevuto da lei, feci partire la chiamata.

- Madre, mi senti? - iniziai a parlare con l'affanno.
- Jacob, ma dove diavolo ti sei cacciato?! Sai che è l'ora del pranzo, questa! - mi biasimò mia madre.
- Sì, mamma, lo so! È solo che...
- Vieni immediatamente! Ero preoccupatissima per te, quando non ti ho trovato a casa.
- Sono stato...
- Torna subito a casa, Jacob. Non voglio sentire nient'altro!
- Dannazione... arrivo, arrivo! - le urlai, chiudendo subito dopo la chiamata.

Appena terminai la chiamata con lei, infilai il telefono nella tasca destra degli jeans e ricominciai a correre, cercando di aumentare sempre di più il passo.

Tuttavia, ero molto irritato per la risposta di mia madre, che non mi diede neanche il tempo di spiegarle il motivo per il quale mi ero allontanato da casa.

Come se non bastasse, mentre continuavo a correre, inciampai a causa di un ragazzo che si trovava sul marciapiede davanti a me e che, involontariamente, sbattendo su di me, mi fece cadere a terra.

- Cazzo! Scusa, amico...
- La prossima volta spostati, magari! - lo criticai.
- Io dovevo spostarmi? O forse tu dovevi stare più attento, visto che correvi come un pazzo in mezzo alla gente?

Stavo per prenderlo a parole, ma fortunatamente riuscii a contenermi e mi allontanai da quel posto, nel quale si stavano avvicinando altre persone che guardavano me e quel ragazzo discutere inutilmente.

Dopo circa cinque minuti da quell'incidente, giunsi davanti il portone di casa mia e suonai al citofono.

- Sono io... - affermai.
- Muoviti, coglione. - mi rispose una voce femminile.

Quella, ormai per me, fastidiosa voce era inconfondibile. Si trattava ovviamente di Amelie. Appena aprii la porta, mi ritrovai infatti lei di fronte.

- Dovrei mandarti a fanculo adesso o dopo che torniamo dalla messa? - esclamò lei scontrosa.
- Buongiorno, Amelie.
- Buongiorno un cazzo, Jacob. Dobbiamo pranzare.
- Lo so già. Vai, chiudo io la porta.

Chiusi la porta d'ingresso e, proprio quando pensavo che Amelie si stesse già dirigendo verso la cucina, mi ritrovai lei dietro di me che mi guardava con uno sguardo minaccioso.

- Dove sono le sigarette, Jacob?
- Maledizione.

Avevo portato le sigarette con me, per andare dal nonno, e alla fine neanche mi ricordai della loro presenza. Cazzo, che stupido.

- Avevi detto che non avresti più fumato... sai che è meglio non farlo, soprattutto per te.
- Lo so, Amelie. Lo so...
- Umpf. Beh, d'altronde... dovevo aspettarmela da te.
- Cosa?
- L'ennesima tua stronzata. Sì, perché sono tutte stronzate quelle che dici, Jacob!
- Ma che cosa c'entra in questo momento?! - le chiesi confuso.
- C'entra che...

Nostro padre, William, scese le scale e, stanco di sentirci litigare di continuo, si recò da noi e s'innervosì parecchio.

- Ma insomma, volete finirla voi due? È mai possibile che da cinque anni a questa parte fate un litigio al secondo?
- Padre, ha cominciato lei stavolta. - mi giustificai.

Amelie mi stava guardando malissimo. Se fosse possibile uccidere col solo sguardo, beh... probabilmente lei mi avrebbe ucciso proprio sul momento.

- Non m'interessa, Jacob. Vogliamo mettere un punto a queste sceneggiate, per favore?!

Vedere nostro padre così furioso era davvero strano, ma anche raro. Non lo era mai stato così tanto. E poi, lui in generale era una persona buona e tranquilla con tutti, anche con i suoi figli. Ma come già abbiamo detto prima... a tutto c'è un limite.

- Padre... - sussurrò mia sorella.
- Non un'altra parola, Amelie.

Mia sorella fece due passi indietro e incrociò le braccia sul petto per creare una specie di barriera che potesse separare lei da me.

- Io... sono incredulo a quello che vedo. Voi non eravate così. Eravate due gemelli che si adoravano tra di loro, che si volevano continuamente bene, che non litigavano mai. Ma adesso... le cose sono cambiate, a quanto pare.
- Papà... dopo quella sera, le cose sono cambiate drasticamente. - gli accennai.
- Lo so, figliolo. Però io vorrei che voi vi ricordaste chi siete.

Lo guardai scombussolato, come se non riuscissi a capire cosa lui avesse intenzione di comunicarci.

- In che senso, padre? - domandai, poggiando le chiavi di casa sopra il tavolo e la giacca sopra una sedia.

Nostro padre si avvicinò a noi due e appoggiò la mano destra su una mia spalla, mentre posò quella sinistra su una spalla di mia sorella.

- Voi siete i miei figli. Voi siete la mia ragione di vita, assieme a vostra madre. Voi siete Jacob e Amelie. Voi siete i gemelli Johnson, ricordate?

A me e ad Amelie scesero delle lacrime dagli occhi e, presi dall'emozione, ci lanciammo su nostro padre per abbracciarlo.

Durante l'affettuoso abbraccio, notai che nostra madre era lì vicino, che ci osservava. Quando ci vide tutti abbracciati, lei si diresse verso di noi e si unì a quel teneroso abbraccio, che racchiudeva in sè tanto, tantissimo amore. Tutti e quattro eravamo in lacrime. La mia testa era poggiata su quella di Amelie, ma lei tendeva ad allontanarsi da me, anche se di poco. Neanche in un momento così dolce lei era riuscita a conferirmi quell'affetto che sempre ci davamo da piccoli.

Dopotutto... tutto questo è più che comprensibile.

I tempi erano cambiati.

Ma guardali... la famiglia Johnson appassionatamente riunita.
.israzzeps emagel otseuq eredev otaccep nu orevvad ebberaS

Basta... basta, ti prego...
Sei ancora qui?

Certo che sono ancora qui...
...iuq erpmes òraS

Dopo esserci staccati da quel compassionevole abbraccio, ci recammo tutti a tavola e divorammo ciò che mamma e papà avevano preparato da mangiare.

Subito dopo esserci alzati da tavola, notammo che erano già le 14:00 e corremmo tutti a prepararci. Io mi diressi prima in camera a preparare il vestito da indossare per andare alla messa e poi mi recai in bagno per fare una sana e calda doccia.

Quella doccia mi fece rilassare molto e riuscì a mettere un freno al continuo circolare dei ricordi nella mia testa. Il problema fu solo che non mi accorsi che stavo passando davvero troppo tempo sotto la doccia, considerando che tra poco meno di un'ora saremmo dovuti andare in Chiesa.

Una volta uscito dalla doccia, com'era prevedibile, notai che si stava facendo tardi... forse un po' troppo. Si erano già fatte le 14:30 e sentivo qualcuno bussare alla porta del bagno.

- Jacob, ma che fine hai fatto? Tra mezz'ora dobbiamo andarcene da casa! Sei ancora vivo?

Non so se sono vivo o meno.
.otrom onos es ehcnaen os non E

Riuscii subito a identificare di chi fosse quella strillante voce e, come di consueto, era quella di Amelie.

- Ci sono, ci sono. Arrivo! - replicai cominciando a vestirmi e a riempirmi di profumo.

Quando uscii dal bagno erano già le 14:40 e trovai Amelie vicino alla cucina già pronta per partire, e... lei era una meraviglia.

Aveva indossato uno stupendo abito nero che nostra madre le aveva comprato giusto qualche giorno fa e che avrebbe fatto sconvolgere chiunque. I capelli nero corvino ondulati le scendevano sulle spalle e il trucco la rendeva ancora più magnificente, mettendo i risalto i suoi spettacolari occhi castani.

Fortunatamente nostra madre aveva pensato anche a me, procurandomi un abito nero elegante davvero niente male.
Corsi a sistemarmi per bene i capelli con un po' di gel e vidi il mio riflesso allo specchio.

Wow, ero davvero un bel figurino.
Chissà quale sarebbe stata la faccia di Beatriz appena mi avrebbe visto. Beh, non mancava molto per scoprirlo.

Erano le 14:50 e io, mia sorella e i miei genitori ci dirigemmo immediatamente in macchina e partimmo verso la nostra meta: la Chiesa.

Dopo circa dieci minuti di macchina, arrivammo finalmente a destinazione. Lì trovammo gli altri nostri familiari e, quando scendemmo dall'auto, notammo una ragazza avvicinarsi a noi.

Era Beatriz. Ma sembrava trovarsi da sola... come mai i loro genitori non erano neanche venuti ad accompagnarla? Del resto... non avevo ancora avuto la possibilità di conoscerli, durante quegli ultimi anni.

- Ciao, ragazzi! Eccomi qui, come promesso. - ci salutò Beatriz sfoggiando il suo vestito.

I suoi capelli rossi lisci le cadevano sul vestito blu scuro e gli occhi verdi le brillavano come smeraldi. Aveva persino dei favolosi orecchini ad anello dorati attaccati alle orecchie. Inutile dire che tutti, appena la guardammo, rimanemmo a bocca aperta.

- Amelie, sei stupenda! - si complimentò Beatriz con mia sorella.
- Oh, grazie! Beatriz, sei uno spettacolo. - ricambiò Amelie.
- E Jacob... anche tu non scherzi mica! Ti dona molto questo vestito...
- Anche tu sei molto...
- Molto?
- Molto... argh, sei straordinaria. - risposi sputando il rospo.
- Proprio quello che volevo sentire uscire dalla tua bocca, bravo!
- Aspetta, che cos'hai detto?
- Niente, niente! - disse lei ridacchiando.
- E va bene, te la dò vinta... per ora. Dai, entriamo. La messa sta per cominciare.

Le porte della Chiesa si aprirono dinanzi a noi e, dopo qualche minuto, la messa ebbe inizio.
Il prete fece il suo ingresso, mandando un saluto con la mano alla nostra famiglia addolorata.

- Signori e signore... benvenuti alla messa. Quella di oggi... è una messa particolare, ma anche molto speciale. Adesso, siamo qui per pregare e commemorare l'ormai defunta Kate, madre di Mary Clarke, nonchè nonna di Jacob Johnson e Amelie Johnson. Lei... ci ha ormai salutati cinque anni fa, per quell'infarto di cui è stata vittima. Ma io vorrei che la famiglia Johnson, alla quale facciamo le nostre più sentite condoglianze, sapesse che lei non se n'è andata. Kate è ancora qui con noi, anche se non la vediamo coi nostri occhi. - enunciò il prete, dando inizio alla santa messa.

Lui diceva che noi non potevamo vederla, nel nostro mondo. In realtà, io la vedevo. Era come se io fossi ancora connesso a lei, riuscendo ancora a comunicarle qualcosa.

Nonna... sei qui?

Che ci fai laggiù?

Vieni qui da me.

Oh. Oh, sì. Capisco... vuoi che sia io a recarmi lì da te.

Tuttavia, nonna, proprio adesso non posso.

Il mio compito qui non è ancora finito.

Ma verrò da te, prima o poi... è una promessa.

Riuscirai ad arrivarci?
.ossap omirp li anepalam a iaripmoC

Nel frattempo, mentre la messa procedeva regolarmente, cominciai a sentire qualcosa girovagare nella mia testa.

- Ehi... mi senti?
- Ma cosa... - sussurrai confuso.
- Dietro di te.

Mi girai rapidamente ma non c'era nessuno che effettivamente mi stava chiamando. C'erano solo i miei genitori, davanti ai quali c'eravamo io, Amelie e Beatriz.

- Non mi vedi?
- Ma dove sei? - continuai a non comprendere quella voce.

Mia madre mi sentì alzare la voce e, senza perdere tempo e per evitare di creare disturbo agli altri, mi fece zittire.

- Jacob, shh! Ma insomma! - mi biasimò mia madre.
- Dannazione... scusa, madre.

Beatriz, che era seduta accanto a me cominciò a notare che mi stavo sentendo leggermente scombussolato, così mi diede uno strattone sul braccio per farmi riprendere.

- Jacob... fammi indovinare, lo vedi ancora? - domandò Beatriz.
- Ma cosa... no... non è Henry. Non è lui.
- E allora cosa, stavolta?
- Ho solo sentito una strana voce, tutto qui...

Chiusi e riaprii velocemente gli occhi e ricominciai a sentire le orecchie fischiare.

- No, non di nuovo...
- Perché no, Jacob?

Le voci si stavano diversificando, come avvenne nel particolare incubo di qualche anno prima.

- Guardatelo, gli manca molto la nonna...
- Povero... quasi quasi, provo una grande pena per lui!
- Pena? Provare pena per uno come lui? Non farti ingannare.
- Basta, vi prego, smettetela... - supplicai alle voci di tacere.

Notai che Amelie e Beatriz mi stavano parlando, ma sentivo tutte le voci ovattate, non potevo comprenderle. Tuttavia, dopo qualche secondo, udii i rintocchi della campana. Quel forte trambusto riuscì a portarmi alla realtà e finalmente potei comprendere ciò che mia sorella e Beatriz cercavano di dirmi.

- Jacob, Jacob! Ma con chi ti stai lamentando? - chiese Amelie confusa.
- Io... niente, lascia stare.
- La messa è finita. Andate in pace. - annunciò il prete, scendendo le scale e dirigendosi verso la nostra famiglia.

Mia madre si alzò immediatamente dalla panca e andò ad abbracciare il prete, ringraziandolo per aver permesso la celebrazione della messa per nonna Kate. Lui ricambiò baciandola sulla fronte, e in seguito venne a dare un abbraccio ad ogni singolo presente.

- Adesso che la messa è finita, ci dirigeremo verso il cimitero per fare visita alla nonna. Pronti, ragazzi?
- Sì, madre. Siamo pronti. - rispose Amelie.
- Madre... Beatriz può venire con noi? Sai, lei è venuta qui a piedi... - le chiesi, cercando di convincerla.
- Ma certo, non c'è neanche bisogno di chiederlo. Sali pure in macchina, Beatriz. - rispose nostra madre con estrema cordialità- William, adesso possiamo andare.

Salimmo tutti quanti in macchina e ci recammo verso il cimitero. Quel luogo che portava tanta tristezza e malinconia, e che era anche capace di riempire la mia mente di brutti ricordi.

Quello è il luogo in cui lei ti aveva abbandonato, vero?
.etnemattefrep odrocir ol ...ìS

Era proprio quello il luogo in cui Sarah aveva deciso di abbandonarmi, uscendo dalla mia vita.

Sarah... dove sei?

Appena arrivammo lì, raccolsi alcuni fiori dal cofano della macchina e li portai in fretta alla lapide di nonna Kate.

- Nonna... che questi semplici fiori ci facciano rimanere sempre uniti, anche se ci troviamo in mondi diversi. - affermai poggiando i fiori vicino alla sua lapide.

Mentre tutti si stavano dirigendo verso la lapide vicino alla quale mi trovavo, io mi allontanai un attimo per fumare una sigaretta. Avevo le lacrime agli occhi, le guance rosse e necessitavo di qualcosa che mi conferisse un po' di calma.

Beatriz notò che mi ero isolato e stava per venire da me, ma le feci cenno facendole capire che volevo stare un po' da solo a fumare la mia cara e amata sigaretta in santa pace. Lei mi rispose annuendo con la testa e si recò da Amelie, che stava piangendo davanti alla lapide della nonna.

Afferrai l'accendino dalla tasca, estrassi una sigaretta e l'accesi, lasciandomi avvolgere dal suo soave calore.

Feci un primo tiro, per polverizzare la tristezza.

Poi un secondo tiro, per far dissolvere la rabbia.

Infine un terzo tiro, e lei apparve come per magia davanti ai miei occhi.

Il fantasma di nonna Kate si piazzò davanti a me e mi guardò con quel tenero sguardo che tanto la caratterizzava.

- Ehi, nipotino.
- Nonna... allora non ci vediamo soltanto nei sogni. - le dissi.
- Già... te l'avevo detto, Jacob. Io sono ancora qui.
- Giusto, hai ragione. - risposi continuando a fumare.

La nonna cominciò a guardarmi in maniera strana, come se fosse disgustata.

- Che ti prende, nonna? Perché mi guardi così?
- Ti avevo detto di buttare quella sigaretta.
- Argh... scusa, nonna. Purtroppo non posso farne a meno. Ho troppi pensieri che mi girano per la testa. - cercai di giustificarmi.
- Capisco... spero che la mia compagnia qui ti faccia stare meglio.

Cominciai a fissare la nonna Kate negli occhi, e nel farlo sentivo il mio cuore spezzarsi in frantumi.

- Nonna... ho bisogno di farti una domanda. - dissi levando la sigaretta dalla bocca.
- Dimmi, Jacob. - affermò il fantasma della nonna effettuando un sorriso.
- Perché te ne sei andata? Così, all'improvviso...
- Jacob, dovresti saperlo già. Io... soffrivo già da tanto tempo. Il mio cuore si trovava in condizioni davvero critiche.
- Oh, giusto...
- Jacob... perché stai facendo questo?
- Di cosa stai parlando, nonna?
- Non hai mantenuto la promessa che hai fatto ad Amelie da piccolo. Avevi detto che non avreste mai litigato e che non ti saresti mai allontanato da lei. Avevi detto che le avresti sempre voluto bene. E adesso, invece, eccoci qui...
- Lo so, nonna. Ho sbagliato, ma...
- Non hai neanche rispettato quello che ti dissi io, pochi istanti prima di morire. Ti avevo detto che non ti saresti mai dovuto abbattere e che ti saresti dovuto comportare sempre da guerriero... ricordi?
- Sì, ricordo. Mi dispiace, nonna. Io... mi pento di ciò che sono diventato.
- Non ce n'è bisogno, caro. Puoi ancora rimediare. Non è mai troppo tardi.

Ne sei proprio sicura?
.opmet ùip è'c noN

Buttai la sigaretta a terra e tentai di abbracciare la nonna, dimenticandomi che quello che vedevo era semplicemente un fantasma.

- Jacob... non è possibile, mi spiace. Purtroppo dobbiamo accontentarci delle sole parole.
- Sì... beh, meglio di niente. - replicai.
- Esattamente.

Mentre continuavo a parlare con la nonna, notai che un uomo sulla quarantina con addosso un cappotto nero stava facendo il suo ingresso nel cimitero e camminava verso la mia direzione.

- Ma quello... chi è? Non so perché, ma mi è abbastanza familiare... - bisbigliai alla nonna.

Forse perché c'è un motivo.
.omaicsonoc ic éhcrep esroF

Il fantasma della nonna sobbalzò in aria e mi strinse improvvisamente per il braccio.

- Jacob! Jacob...
- Nonna, ma che ti prende? - domandai confuso.
- Devi stare attento, Jacob. Promettimelo. - disse la nonna con affanno.
- Ma di cosa stai parlando?
- Capirai, Jacob. Capirai. Noi due... ci rivedremo, un giorno.
- No, aspetta. Non sono ancora pronto a salutarti... nonna!

Il fantasma di nonna Kate si polverizzò e caddi a terra, nel vano tentativo di impedire la sua scomparsa.
Così facendo, quell'uomo si accorse della mia presenza e si diresse verso di me per capire meglio cosa stesse succedendo.

- Ragazzo! Va tutto bene? Coraggio, alzati. Dammi la mano...

Innalzai subito lo sguardo e capii l'identità di quel signore che mi stava aiutando a rialzarmi.

Era Nicholas Bell, il padre di Henry.
Non era scomparso. Lui... continuava ad essere lì, nelle nostre vite.

- Oh, Jacob. Ma sei tu! Ti sei fatto male? - chiese Nicholas preoccupato.
- No, no. Tranquillo, non mi sono fatto niente.
- Perfetto, meglio così.
- Ma... tu che ci fai qui? Sei ancora qui? - domandai.
- Sono ancora qui. E comunque... dovrei fare la stessa domanda a te, Jacob.

Il tono con il quale enunciò quell'ultima frase mi fece rabbrividire. Il suo sguardo freddo, con quegli occhi azzurri glaciali mi ipnotizzarono per alcuni secondi.

- Io... i-io sono qui perché esattamente cinque anni fa è morta mia nonna. - risposi tremando.
- Oh, capisco. Mi dispiace tanto, Jacob... aspetta, la tua nonna è morta quindi lo stesso giorno in cui è sparito...
- Sì, Nicholas. - lo fermai - Lo stesso giorno in cui è sparito Henry.
- Merda... è stato un momento tremendo per entrambi, vedo. Io sono qui proprio per commemorare la sua scomparsa...

Scoppiai immediatamente in lacrime e Beatriz, che mi stava spiando mentre parlavo con Nicholas, cominciò a correre verso di me.

- Jacob! Jacob, che ti prende? Oh, ehm... salve, signore! Mi scusi, non l'avevo vista. - esclamò Beatriz.
- Salve, signorina. Figurati, non c'è nessun problema.
- Tranquilla, non è niente. Sono solo stato sopraffatto da alcuni... ricordi del passato. - riferii a Beatriz.
- Comunque. - continuò il discorso Nicholas - Purtroppo, per me, il dolore non fu dovuto solo alla morte di mio figlio...

Il suo dolore non era dovuto solo alla morte di Henry? Cosa voleva dire Nicholas, e perché ci teneva così tanto a precisarlo?

Ad un certo punto, Nicholas cominciò ad osservare profondamente Beatriz, come se stesse cercando di identificarla. Smise di parlare e, vista la tensione che stava salendo in Beatriz, che sembrava terrorizzata dalla sua vista, cercai di rompere quel silenzio assordante.

- Nicholas, va tutto bene? - gli chiesi confuso.
- Ehm, sì, sì. È tutto a posto. - disse staccando finalmente gli occhi da Beatriz.
- Jacob, mi sento un po' a disagio... - sussurrò Beatriz alle mie orecchie.
- Ragazzina... ma noi ci siamo già visti prima? - domandò all'improvviso Nicholas.

Visti in tempi passati.
.itaredisnoc non ipmet ni itsiV

- Ehm... non ne ho idea, signore. Anzi, sì. Ci siamo visti a casa di Jacob una sera di qualche anno fa, quando siete venuti verso mezzanotte per cercare delle informazioni riguardanti la morte di vostro figlio. - rispose lei, ricordandosi di quel particolare giorno.
- Lo so già che ci siamo visti quel giorno. Intendevo chiedere se ci siamo visti prima ancora di quella serata, tipo... cinque anni fa, circa.

Cinque anni fa? Ma di cosa stava parlando Nicholas?
Continuavo a non capire, non riuscivo ad arrivare al punto, magari perché durante quel particolare momento non riuscivo a ragionare.

Ma voi... voi forse potreste arrivarci. O forse no.

Vi prego, provate a sforzare il cervello.

Fermatevi un attimo qui, e pensate.

Provate a chiudere gli occhi... e immaginate.

Non possono ancora comprendere.
.irutam arocna onos non ipmet I

È ancora troppo presto.

Forse qualcuno potrebbe arrivarci, ma non tutti.

Ma nessuno riuscirà a capire per intero.

Non è ancora il momento adatto.

È impossibile.
.ottaf id otad nu È

Feci allontanare rapidamente Beatriz e mi piazzai davanti a Nicholas.

- Nicholas... smettila di metterle pressione, per favore.
- Jacob, scusa i miei modi, ma devi levarti di torno. - affermò Nicholas spingendomi lateralmente - Ragazzina, mi è concesso sapere come ti chiami?
- Non sono affari suoi, signore. Si sarebbe potuto presentare meglio, sà? Io vado dagli altri, Jacob. Ci vediamo dopo. - esclamò Beatriz irritata, allontanandosi da noi e lanciando uno sguardo sdegnato a Nicholas.

Decisi di lasciare lì Nicholas e di dirigermi verso gli altri, ma lui mi fermò immediatamente.

- Jacob! Jacob, aspetta.
- Cosa c'è adesso, Nicholas? Sai già che è un momento difficile per entrambi. - gli risposi girandomi verso di lui.
- Lo so, Jacob, lo so. E forse posso pure comprenderlo meglio di te. Ma comunque... mi scuso per l'atteggiamento che ho avuto, davvero.

Cosa avrei dovuto dirgli? Anche lui, come me, stava passando un brutto momento, e chissà cos'altro c'era sotto. Perché sì, maledizione... era fin troppo evidente.

C'era qualcosa che lui stava nascondendo. Ma la cosa più strana fu il suo anomalo comportamento con Beatriz... perché le interessava così tanto?

- Argh, merda... non farti troppi problemi. - lo tranquillizzai. - Ci si vede in giro, Nicholas.
- Grazie. Oh, sì. Spero che avremo la possibilità di rivederci... ma penso proprio di sì. Già, ci incontreremo di nuovo. Arrivederci, Jacob. - fece il suo ultimo saluto Nicholas, recandosi presso l'uscita dal cimitero.

Proprio quando mi sembrava che se ne stesse finalmente andando, Nicholas si girò nuovamente verso di me e mi richiamò.

- Oh, e... Jacob! - gridò lui.

Rivolsi lo sguardo verso di lui, fissandolo in maniera scocciata, e mi fermai per ascoltare ciò che aveva da dirmi prima di allontanarsi.

- Cosa, Nicholas?
- Certe volte, perdere le persone a cui tieni... ti aiuta a ritrovare te stesso.

Rimasi scombussolato dalle sue ultime parole, e cercai di comprenderne il loro significato, sperando in qualche dettagliata spiegazione.

- Tieni a mente le mie parole. Addio, Jacob. - affermò Nicholas estraendo una sigaretta e il suo accendino per accenderla, in procinto di uscire dal cimitero.

Quell'uomo... non me la raccontava giusta. Cosa intendeva trasmettermi con quelle sue parole?

Ma non era ancora il momento di indagare. E non lo è neanche adesso. Tuttavia... non siamo poi così lontani.

Tu non puoi capire chi conosci.
.icsnonoc non ihc erednerpmoc elibissop è it ,aivattuT

Dopo aver dato l'ultimo saluto alla nonna, facendo una preghiera sulla sua lapide, uscimmo tutti dal cimitero e ritornammo a casa.

Mentre eravamo in macchina, Beatriz sembrava essere strana. Molto probabilmente era rimasta turbata e preoccupata da quell'incontro con Nicholas.
Cercai di parlarle, ma lei continuava ad opporsi, facendomi capire che non aveva voglia di proferire parola.

Ma dopo quel giorno, tutto passò. Gli strani pensieri su quell'uomo abbandonarono ben presto la mente di Beatriz e lei tornò rapidamente ad essere la sempre armoniosa e meravigliosa ragazza spagnola che conoscevo ormai da poco più di un anno e mezzo.

Perfetto, direi che ci siamo quasi.

Adesso che ho finito di raccontarvi questa particolare vicenda avvenuta nel 2013, possiamo abbandonare anche il Jacob Johnson sedicenne e spostarci ancora in avanti, anche se non di molto.

Un nuovo inizio... sta attendendo tutti noi.

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