16•capitolo -Il caos in testa-

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Santiago

Ero felice, si lo ero per il semplice fatto che finalmente Nieves fosse qui a Madrid con me e ovviamente come al solito Ana rovina ogni cosa che tocca.

La mia ragazza mi sta guardando con aria inquisitoria, avremmo dovuto chiarire tutta la situazione una volta usciti da casa di Roman, ma non è stato possibile visto il casino che ha combinato quella ragazza. E io che il giorno prima pensavo che avessimo trovato una tregua. Che illuso.

«Perché mi guardi così?» Passo le mani sul viso e mi avvicino, lei fa un passo indietro per non permettermi di avvicinarmi.

«Stai con un'altra?» domanda, facendomi capire esattamente cosa ha pensato ci fosse di strano in quello che ha detto Ana.

«Pensi che io stia con Ana?» dico scioccato. Lo sanno tutti che io e quella ragazza non riusciamo neppure ad avere una conversazione senza litigare, figuriamoci stare insieme.

Nieves mi guarda sorpresa, strizza le palpebre e poi fa un cenno con la testa.

«Con Ana no, cioè... non credo. Ma quell'altra ragazza chi è?»

Celestial. Ecco di chi sospetta. Ecco perché l'ha presa così male.

«Celestial è solo la coinquilina di Ana. Hanno avuto un problema a casa e Felipe ha deciso di ospitarle, entrambe. Te ne avrei parlato, ma... sono settimane che non mi rispondi al telefono» pungente affermo e negli occhi della mia ragazza o di quella che penso sia ancora la mia ragazza, c'è senso di colpa.

«Hai ragione, lo so. Non ho alcun diritto di arrabbiarmi. Ma... è tutto troppo difficile per ora e questo mi è sembrata un'altra cosa da aggiungere all'elenco delle cose che non vanno.» Abbassa gli occhi colpevole e ne approfitto per avvicinarmi e stringerla. Sono sincero, quando l'ho rivista, non l'ho neppure toccata. Questo perché sono arrabbiato con lei, sono infuriato per il fatto che mi abbia accantonato, però è la mia ragazza e non voglio perderla.

«Cosa c'è che non va?» le sussurro all'orecchio perché a dir la verità non mi ha nemmeno spiegato perché si sta comportando così con me. Sono stanco e mi sento in trappola in questa situazione dove non ho una risposta da parte sua.

«Tutto» ammette. Poi ci sediamo su degli scalini e la mia ragazza ha bisogno di tempo prima di parlarmi.

«Mi dispiace per come mi sono comportata» confessa. «Però non voglio perderti...» finalmente mi guarda e nei suoi occhi scuri rivedo l'amore che mi ha dato per tutti questi anni, quello che pensavo di aver perso.

«Nemmeno io...» le prendo la mano e intreccio le nostre dita. «Però, Nieves, io non posso continuare così. Cioè non ha senso che ci siamo allontanati e che neppure ci sentiamo da settimane»

«Hai ragione...» mi guarda ed è bellissima quando lo fa. Mi ritornano in mente tutti i nostri ricordi, tutto quello che abbiamo passato insieme e tutto quello che abbiamo fatto per tenere in piedi il nostro rapporto anche se non siamo mai stati vicini. Abbiamo sempre vissuto in due città differenti, prima in Spagna e poi quando ci siamo trasferiti in Inghilterra. Non è facile, ma tengo a lei, so quanto è giusta per me e non ho alcuna intenzione di perderla solo perché ci sono cose che non vanno.

«Posso sapere perché ti sei allontanata?»

Finalmente posso chiederle e invece di rispondermi, appoggia la testa sulla mia spalla e sospira. Avverto il suo profumo addosso e mi sento di nuovo vicino a lei, anche emotivamente.

«Ho avuto problemi con il lavoro, lo stress, sai? Ho fatto un errore. Me ne sono pentita, Santi. Mi dispiace di averti fatto soffrire»

Appoggio una mano sul suo viso fino a coprirlo del tutto, lei chiude gli occhi come se apprezzasse il contatto, come si sentisse di nuovo nel posto giusto.

«Promettimi che non lo farai mai più?» supplico, perché mi è sembrato un inferno vivere nel dubbio che lei non mi amasse più.

«Non lo farò più» non mi guarda e questo dovrebbe suonarmi come un campanello d'allarme, ma mi fido di Nieves. So che è una ragazza concreta e di fiducia e che quindi non mi farà più del male, perciò le alzo il viso e la bacio.

Io e Nieves andiamo a casa mia, visto che domani dovrò tornare a Londra e non posso esimermi dal passare del tempo con i miei genitori, pure se non ne ho voglia.

Quindi ci sediamo a tavola e aspettiamo che sia mio padre che mia madre facciano il loro ingresso. Arrivano qualche minuto più tardi, e non c'è nemmeno un accenno di sorriso sul loro viso, quasi fossi trasparente. Alcune volte mi chiedo a cosa serva venire da loro, che fingo di essere davvero loro figlio quando non li ho mai sentiti genitori. Mia madre non si preoccupa per me, non mi fa nemmeno una chiamata per sapere se la mia vita procede bene a Londra, se ho dei brutti momenti. E mio padre mi chiama solamente per informarsi sul mio piano di studi, se sto andando bene e se ho bisogno di soldi. Praticamente mi finanzia, quasi fossi un membro del suo staff. Anche se è da un po' che ho smesso di accettare quasi del tutto i suoi soldi e sto provando a cavarmela da solo, perché non voglio sentire il peso della riconoscenza. Perché sono sincero: io non sono per niente riconoscente verso di loro, pure se a quest'ora potrei essere in una casa famiglia. Forse mi avrebbero amato di più.

«Aida, inizia a servirci le portate» dice alla cuoca.

Poi si rivolge a me.

«Come va a Londra?»

Rimango un attimo in silenzio, guardo mia madre che si sta facendo gli affari suoi, sta guardando qualche storia su Instagram.

«Bene, grazie!» dico solamente.

«Vedo che la tua vita sentimentale va bene» un sorriso finto gli contorna le labbra. So che non gli va a genio la mia storia con Nieves, lei ha la pelle scura e non è benestante, questo implica che secondo lui non è all'altezza del nostro nome. Ma non me n'è mai fregato niente del loro pensiero sulla mia relazione.

«Molto» un piccolo sorriso mi contorna le labbra e stringo la mano della mia ragazza, per farle capire che comunque io sono qui e che non deve sentirsi a disagio. Non più di quanto mi ci senta io con loro.

Quando la cena finalmente volge al termine, mi congedo per andarmene in camera mia con la mia ragazza. Anche perché già da domani non la rivedrò per un po' e quindi voglio passare un po' di tempo con lei.

Me la porto in camera e quando entriamo la sento tirare un sospiro di sollievo.

«Per fortuna è finita» ride e mi guarda, io sono pensieroso. Stare con loro non mi fa mai bene. «Stai bene?»

Annuisco e non rispondo, mi avvicino e l'unica cosa che faccio è baciarla per cercare di non pensare, per togliermi di dosso tutto il peso del casino che è la mia famiglia. Nieves mi stringe, mi appoggia la testa al petto e mi guarda comprensiva, poi mi trascina a letto.

Il giorno dopo è il momento di partire e di lasciarsi, perciò siamo all'aeroporto ed è da minuti che ci stiamo tenendo stretti e che le sto baciando i capelli.

«Chiamami» le dico all'orecchio.

Lei annuisce, sta piangendo.

«Mi mancherai» mi confessa. Poi si stacca e nel momento in cui lo faccio, mi accorgo che dietro di lei c'è Ana con la sua famiglia. Si è accorta di noi perché ha gli occhi piantati nella nostra direzione. Ma faccio finta di nulla perché voglio godermi il momento con la mia ragazza, che poi chissà quando la rivedrò.

Le prendo il viso con entrambe le mani e la bacio, lei sorride.

«A presto!»

Sono costretto a dividermi da lei perché il suo aereo sta per partire e io mi devo affrettare a fare il check-in perché tra un'ora parte anche il mio.

Solo dopo qualche minuto Ana si avvicina e io fingo che non esista. Dopo quello che è successo, dopo che mi ha fatto rischiare il rapporto con Nieves, ancor di più non voglio averci a che fare.

«Quanto eravate carini» lei cerca di attirare la mia attenzione, ma io non la degno neppure di uno sguardo. «Hai l'aria di uno che ha fatto sesso. Era ora, finalmente. Quanto tempo era?» ridacchia ma continuo a non rispondere e faccio passare la valigia al check-in.

Ana non contenta, dopo aver fatto passare la sua di valigia, mi viene di fianco.

«Non è andata così bene la notte di fuoco se sei così nervoso!»

Trattengo il respiro, cerco di ignorarla, ma con lei non ci riesco mai.

«Ana, non devi parlarmi!» sbotto.

«Sempre nervoso tu, eh?» le lancio un'occhiata senza risponderle. «Okay, mi dispiace, ho fatto una stronzata. Non dovevo dire alla tua fidanzata che vivi con due ragazze, ma... pensavo mi avessi tradito!»

«Ana, non voglio parlare con te, okay?» sbotto e mi fermo davanti a lei. Mi sta guardando e sembra che ci sia un lampo di speranza nel suo sguardo.

«Mi hai fatto litigare con la mia ragazza per le tue stronzate. E ci avevo pure provato a tenderti la mano. Ma vedi, io non mi sbaglio mai sulle persone e ho sempre saputo che di te non si ci può fidare!»

Ora nei suoi occhi si è incrinato qualcosa, schiude le labbra per dire qualcosa ma sembra che le parole non ne vogliano sapere di uscire.

Ne approfitto per darle le spalle e riprendo a marciare verso l'aereo, così da non dover più parlarci, però non si può mai scegliere di ignorarla. Lei ti impone la sua presenza.

«Mi dispiace» dice e arresto i miei passi. Non pensavo avrebbe ammesso le sue colpe, sono sincero. «Non avrei dovuto. Mi sono fatta prendere dalla rabbia, perché ero convinta che avessi detto tutto»

Stringo le labbra in un'espressione amara. Mi volto e me la ritrovo fin troppo vicina, gli occhi verdi adesso mi stanno osservando.

«Ma rabbia di cosa, Ana? Rabbia di cosa? Perché cavolo non dovevano sapere loro che stai a Londra? Cosa nascondi?» la riempio di domande senza ricevere alcuna risposta. «Sei un casino. Sei tutto quello da cui voglio stare alla larga»

«Hai ragione» mi sorprende. «Sono un vero casino. Però non volevo crearti problemi»

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