Senza sapere come né perché

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Annalisa ridacchiò come dire: e qui ti volevo.

– Perché il piano mica è fare la badante, stupido. Di lavori come questo ne avrei trovati anche qui, mica c'era bisogno di andare a Roma dalla nonna rompiballe dei conoscenti tuoi.

Piero sgranò gli occhi, di nuovo si grattò la testa, e poi la scosse. Sospirò e attese il seguito, ma era chiaro che il seguito sarebbe stato anche il peggio.

– Il piano è: mi faccio assumere con una falsa identità, poi sequestriamo la vecchia e chiediamo un notevole riscatto ai parenti. Abbastanza soldi per pagarci il matrimonio, il viaggio di nozze e le prime spese per la casa e la sopravvivenza. Magari anche per aprire un'attività redditizia, così risolviamo il problema del lavoro. O per vivere di rendita, magari. Non conoscono la mia vera identità e tu ti tiri fuori in qualche modo: tipo dicendo che eri innamorato e la straniera fetente, che sembrava tanto una brava ragazza, ti ha fregato. Ti crederanno, si sa che gli uomini sono scemi, se sbavano dietro a una donna non si rendono conto di niente. Succede tutti i giorni, ti compatiranno.

Piero si aspettava molte cose imbarazzanti, dalla sua fidanzata, ma non questo. Annalisa stava progettando sul serio un sequestro di persona a scopo di estorsione: ovvero un numero imprecisato, ma sicuramente non irrilevante, di anni di galera... Piero ci mise qualche lungo minuto prima di riuscire ad articolare una risposta più o meno sensata:

– Annalisa, amò, tu sei davvero pazza. Pazza furiosa. Ma ti rendi conto? Ma secondo te?

Annalisa abbassò lo sguardo, e la spavalderia di qualche istante prima sembrava già sparita. Però poi scosse la testa, rialzò gli occhi umidi e luccicanti di lacrime a stento trattenute e miagolò accorata:

– Ma altrimenti come possiamo fare, amò? Se aspettiamo di trovare un lavoro onesto con cui ci si possa sposare e magari pure mantenere qualche figlio, sarà troppo tardi. L'orologio biologico, amò, lo senti? Tic-tac-tic-tac

– Ma quale orologio, Annalì! Ma se non hai nemmeno trent'anni...

– Ne ho ventinove, amò, ven-ti-no-ve. Dopo i trent'anni la donna sfiorisce, la fertilità cala, rischiamo di fare figli malati o di non poterne avere, perché siamo troppo vecchi. Vuoi che l'umanità si estingua per colpa tua? Eh? Dillo, prenditi le tue responsabilità.

Piero, imbarazzato dalla rinnovata veemenza di Annalisa, stava perdendo le speranze di poterla ricondurre alla ragione:

– Ma come si fa, amò, davvero vorresti sequestrare una vecchietta? E se ci muore di paura?

Annalisa tornò a sorridere, vagamente diabolica:

– Ma no, amò, stai tranquillo. La trattiamo bene. E poi io le conosco, le vecchiette. So come prenderle...

Piero rimase zitto. Si alzò dalla sdraio, si allontanò di qualche passo, poi di malavoglia si fermò e si girò. Guardò Annalisa e non era certo di conoscerla davvero, malgrado i quattro anni di assidua e soddisfacente frequentazione. Vero che la ragazza era irruenta, impulsiva come un cavallo pazzo. Vero anche che la situazione era sostanzialmente disperata. Però quando è troppo è troppo.

"Annalisa, amò, non ci posso stare. E' una follia e lo sai anche tu. Forse è meglio se ci prendiamo un momento per riflettere..."

La ragazza, già accaldata e ipereccitata, diventò ancora più rossa, e sembrava che le parole e il fiato le si fossero aggrovigliati in gola e non le volessero uscire. Piero si avvicinò, preoccupato che fossero i primi sintomi di una sincope e fece per toccarla. Lei allora scattò: "Ma certo, prendiamoci pure una pausa di riflessione! Quattro anni non ti bastano, per chiarirti le idee?" gli urlò contro. Anche i fidanzati dell'ombrellone di destra a questo punto sobbalzarono, si staccarono per qualche secondo e lanciarono un'occhiata di compatimento alla coppia di vicini così evidentemente in crisi; poi sospirarono e ripresero a sbaciucchiarsi, con gusto maggiorato dalle disavventure altrui.

"Guarda che a me non piacciono le ipocrisie e i giri di parole, lo sai. Se vuoi dartela a gambe dimmelo chiaro, non c'è niente da riflettere." Intanto, Annalisa radunava rabbiosa asciugamani e accessori da spiaggia e li infilava nella sua borsa verde di paglia. "Vigliacco" concluse, e si allontanò ancheggiando sdegnosamente sugli zoccoli tacco 12 che affondavano, con pochissima dignità, nella sabbia bollente.

La sera Piero, ancora scioccato e confuso, decise di andarsene al bar dello stabilimento per bersi una birra gelata e magari fare quattro chiacchiere con gli amici, per calmarsi. Ma quando arrivò era ancora presto e non c'era nessuno che conoscesse. Si sedette a un tavolino un po' defilato, da solo. Beveva e si godeva il fresco della birra e del vento che, finalmente, muoveva un poco l'afa. Perso per parecchio tempo così, in pensieri tutt'altro che logici e definitivi, di colpo si riscosse al suono di una voce familiare. Si girò e vide Annalisa, abbronzata e spumeggiante, che se la rideva appoggiata al bancone del bar. Anzi no, a ben vedere era appoggiata a Roberto Moschitelli, noto in paese per tre cose: la bellezza ben temperata da anni e anni di palestra e trattamenti estetici costosissimi, il cospicuo patrimonio familiare e l'infimo quoziente intellettivo. Insomma, sembrava che Annalisa avesse messo in piedi, in quelle poche ore di singletudine, un altro piano scellerato.

"Lascia stare la mia ragazza, stronzo!" Piero, senza sapere bene come, si ritrovò in un secondo con la maglietta griffata del rivale palestrato stretta minacciosamente nel pugno e l'aggressività di un leone appena scappato dallo zoo. Moschitelli, i cui muscoli erano puro teatro, intimidito e balbettante cercava di giustificarsi, di minimizzare. Infine accolse con evidentissimo sollievo la chance che Piero gli lasciò: battè frettolosamente in ritirata senza salutare neppure Annalisa, preoccupato solo di lisciare ben bene la polo mentre si allontanava, in modo che mamma, a casa, non trovasse traccia dell'aggressione subita.

Qualche minuto dopo, senza sapere bene perché, Piero baciava appassionatamente Annalisa e, annebbiato dalle birre e dalle botte di adrenalina della giornata, le sussurrava che sì, va bene amò, l'organizziamo il rapimento, e poi vivremo per sempre insieme, felici e contenti. A ogni breve sprazzo di consapevolezza, quando un minimo sindacale di lucidità gli si insinuava fra un travaso di miele e uno di testosterone, si diceva che va beh, però mica sono un criminale sul serio. Io faccio solo finta di starci, per non lasciare che Annalisa si metta nei guai. Solo per questo, figuriamoci. Mica sono un bandito...

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro