Capitolo XII

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L'amore, come la morte,

cambia tutto

(Khalil Gibran)

* * *

Cap. XII

Rey era immersa nel buio. Sentiva le grida disperate di Temiri, ma era come se provenissero da molto lontano. Le sembrava di essere chiusa in una bolla, attraverso la quale i rumori le giungevano attutiti. Un dolore lancinante alla fronte le impediva di concentrarsi e captare ciò che le stava attorno.

Percepiva il battito del suo cuore, era lievemente accelerato ma si andava regolarizzando, schiuse le labbra e si sentì invadere la bocca da un sapore di sangue.

La fame d'aria la costrinse a prendere un ampio respiro ma, un'improvvisa fitta ad una costola, gli spezzò il fiato in gola.

Doveva essere proprio ridotta male.

Era sdraiata su un fianco, su un terreno morbido e umido, e qualcosa di pungente le pizzicava la faccia e le braccia scoperte.

In quel caos di smarrimento e dolore, riuscì a percepire un tocco caldo e gentile sulla guancia, e si sforzò di aprire le palpebre che parevano incollate.

La vista offuscata le impedì di mettere a fuoco quello che aveva davanti ma, lentamente, la nebbia che le velava lo sguardo si diradò, permettendole di scorgere un viso, a distanza ravvicinata: una macchia rosea contornata da un alone più scuro. A primo acchito le sembrò che si trattasse di Temiri, anche se non riusciva a scorgere perfettamente i suoi lineamenti. Strizzò le palpebre più volte fino a quando, l'immagine di quel volto, chiaramente infantile, non le apparve in modo nitido.

Corrugò la fronte dolorante, senza riuscire a muovere nessun altro muscolo, e si rese conto che il bambino che aveva di fronte, e che era chinato su di lei con aria preoccupata, non corrispondeva a chi pensava che fosse. Aveva i capelli molto più scuri e lunghi, che arrivavano a sfiorargli le spalle esili, le fattezze erano sottili, delicate, e la pelle diafana. Dei grandi e limpidi occhi azzurri, dal taglio lievemente allungato, la fissavano spalancati e preoccupati. «Stai bene?» le chiese, con un timbro di voce più caldo e basso rispetto a quello di Temiri, continuando ad accarezzarle la guancia con la punta delle piccole dita.

Annuì e deglutì, sentendo in gola un disgustoso sapore metallico. Forse stava sognando, o era ancora svenuta, ma la sostanza non cambiava: si sentì pervadere da un intenso senso di panico. Cercò di sollevarsi, ma le membra erano come paralizzate, incatenate al suolo, pesanti come macigni. Era intrappolata e sfinita.

«Chi sei?» domandò ansimando, mentre le pupille attente del bambino saettavano su di lei per scrutarla, in un modo fin troppo famigliare.

«Sono Han» rispose, senza alcuna esitazione, e quel nome la fece sussultare, accendendole un campanello d'allarme.

«Han?» mormorò, fissandolo confusa.

Il piccolo annuì regalandole un leggero sorrisino asimmetrico. «È il nome che mi ha dato mio padre» chiarì, senza indugiare, e lei si sentì attraversare da un brivido strano.

Un terribile sospetto si fece strada nella sua mente, ottenebrata dalla sofferenza, ma la sua ragione rifiutava ostinatamente di crederci. «Chi è tuo padre?» Ebbe paura di indagare, ma non aveva scelta. Doveva capire se quella visione era soltanto un'improbabile proiezione del suo cervello, sconvolto dal colpo ricevuto, o qualcosa di più, di dannatamente concreto, che le procurava insieme gioia e paura.

«Lo sai chi è» fu la sua risposta sibillina, che ebbe il potere di sconvolgerla ancora di più.

«Tu non sei reale» gli sussurrò con le labbra tremanti e le lacrime agli occhi, cercando disperatamente di auto convincersi di quello che stava dicendo. «Tu non puoi essere qui, adesso» continuò, ribadendolo a se stessa, più che al bambino che la fissava sconcertato.

Il piccolo Han smise di accarezzarle la guancia e raccolse una lacrima che le scorreva lungo il lato del viso, poi si fermò ad osservare le sue stesse dita bagnate e leggermente sporche di sangue. «Certo che esisto, sono dentro di te» reagì caparbio, in tono di rimprovero.

Rey trasalì come se fosse stata colpita da una scossa elettrica. Che cosa le stava accadendo? Era davvero suo figlio il ragazzino che le stava parlando? Era lo stesso che era apparso anche a Ben? Perché la Forza le stava mostrando una cosa del genere? Non riusciva proprio a capire.

Tutti quegli assurdi interrogativi si aggrovigliavano impietosi nella sua mente, confondendola ancora di più. «Perché sei qui?» Trovò la forza di chiedergli, con un filo di voce. Nonostante fosse stremata, voleva sforzarsi di comprendere.

Han strinse le dita in un pugno, imprigionando le sue lacrime macchiate di sangue. «Promettimi che non piangerai» le ordinò serio e lei non poté fare a meno di notare un leggero tremito attraversare le sue labbra rosee e carnose.

Perché mai avrebbe avrebbe dovuto piangere? Era felice di mettere al mondo il figlio di Ben, era ciò che desiderava di più. Anche se era arrivato nel momento peggiore, lei era fiduciosa, confidava che tutto si sarebbe sistemato, non poteva essere altrimenti. Presto Ben sarebbe tornato da lei, lo sapeva, se lo sentiva. Insieme avrebbero atteso il suo arrivo, e sarebbero stati di nuovo felici.

Han si scostò leggermente da lei raddrizzando la schiena, le posò una mano sulla spalla e la scosse leggermente, come se volesse destarla dal sonno. «Promettimelo» insistette serio, mentre le sue iridi trasparenti parevano luminose, colpite dai lunghi raggi del tramonto, assumendo una sfumatura più calda.

«Lo prometto» pronunciò accontentandolo, corrugando la fronte, e finalmente vide l'accenno di un sorriso, spuntare su quel visino affilato, che tanto le ricordava suo padre.

Sentiva il calore della sua piccola mano sulla spalla e desiderò sfiorarla. Si costrinse a muovere il braccio opposto e, con sollievo, scoprì che non era più paralizzato. Posò la mano tremante sulla sua e la strinse, mentre chiudeva gli occhi e le lacrime le sgorgavano copiose.

Soffocò un singhiozzo. Avrebbe tanto voluto stringerlo, in quell'istante prezioso che la Forza le aveva concesso, ma si rese conto che, in fondo, doveva solo essere paziente, aspettare qualche mese, e poi lo avrebbe avuto realmente tra le braccia. Avrebbe accarezzato la sua testolina piena di capelli neri e arruffati, avrebbe sfiorato le sue guance paffute e le sue labbra carnose, si sarebbe perduta nell'azzurro dei suoi occhi, probabilmente lo stesso colore delle iridi di quel padre che ricordava a malapena, e che ora sapeva che l'aveva protetta.

Anche lei avrebbe fatto lo stesso, lo avrebbe protetto e amato, per tutto il resto della sua vita. «Ti voglio bene... » gli sussurrò, prima di abbassare le palpebre, frastornata da quel turbine di sensazioni che parevano volerle strappare il cuore dal petto.

«Lo so...» gli sentì pronunciare in tono sereno, prima che una voce a lei conosciuta, proveniente da lontano, spezzasse l'incantesimo di quell'incredibile incontro.

*

«Rey svegliati! Rey, per favore!» La voce squillante e angosciata di Temiri fu come una doccia gelata per i suoi sensi addormentati. Improvvisamente lo sentì di nuovo vicino, la scuoteva violentemente, con una mano sulla spalla, e non era mai stato così sconvolto e disperato.

Si fece coraggio e tentò di muoversi, rotolando sulla schiena e mettendosi supina. Sospirò di sollievo nel percepire nuovamente il suo corpo, sollevò una mano e se la portò alla fronte, dove provava dolore. Aprì gli occhi e si accorse che le dita erano sporche di sangue.

Temiri le si avvicinò ancora di più e le posò le mani tremanti ai lati della faccia, stringendole il viso. «Ti prego, dimmi che stai bene. Mi dispiace, non volevo farlo. Non volevo farti del male.»

«Va tutto bene, sta tranquillo» tentò di rassicurarlo, anche se non ne era ancora pienamente convinta. Aveva sbattuto violentemente la testa ed il fianco sinistro, ma nella parte inferiore del suo corpo, che era quella a rischio maggiore, sembrava essere tutto a posto.

Cercò di sollevarsi e mettersi seduta, con l'aiuto del bambino, che non smetteva di fissarla con angoscia. Ci riuscì, ma una fitta dolorosa alla costola incrinata, le strappò un lamento a denti stretti.

«Non volevo... » continuava a ripetere agitato Temiri e, in quel momento, le fece un'immensa tenerezza. Quello che aveva visto, attraverso la sua mente, era indubbiamente qualcosa di terribile, ma non insormontabile. Adesso che finalmente sapeva come erano andate esattamente le cose, lo avrebbe aiutato, gli sarebbe stata vicino, non lo avrebbe mai abbandonato.

«Vieni qui... » gli sussurrò in tono benevolo, allargando le braccia per accoglierlo, ma lo vide trattenersi e singhiozzare. Temiri tremava in modo straziante, e lei percepiva la sua angoscia, la sua paura per quello che aveva visto, l'orrore per quello che gli era capitato. «Abbracciami» gli ribadì sforzandosi di sorridergli e apparirgli serena. Il bambino si avvicinò titubante e poi si gettò su di lei, stringendola forte.

Rey chiuse gli occhi e una lacrima bruciante le sfuggì, scivolando e segnando un solco più chiaro sulla guancia macchiata di sangue, mentre stringeva a sé quella piccola creatura che la Forza le aveva affidato. Un altro passo importante era stato compiuto e, anche se aveva rischiato grosso, ora si sentiva tranquilla, sollevata. Sapeva di aver fatto la cosa giusta, di avergli donato tutta la fiducia di cui aveva bisogno, e andava bene così.

«Ho paura, Rey» mormorò sfogandosi e piangendo sul suo petto.

«Lo so. Ma andrà tutto bene, vedrai. Te lo prometto» si sentì di rassicurarlo, felice che finalmente si fosse aperto totalmente nei suoi confronti e che si fidasse di lei.

Ci era riuscita, era la sua prima conquista da maestra jedi, e l'aveva ottenuta esclusivamente con le sue sole forze. Leia, Luke e Ben, ne sarebbero stati orgogliosi.

*

Quando Rose la vide tornare, zoppicante e insanguinata, appoggiata a Temiri, si rese immediatamente conto che era successo qualcosa di grave, e le lanciò un'occhiata feroce. Andò subito loro incontro, con lo sguardo preoccupato, e si offrì di sostenerla, per aiutarla a rientrare in casa e salire la grande scalinata che portava al piano nobile. Chiamò l'unità medica GH-7 e le fece fare subito un check up completo d'urgenza.

«Sei un'incosciente!» La rimproverò a voce alta, dopo il suo breve racconto, ripulendole il viso e la fronte dal sangue, mentre Temiri assisteva a tutta la scena in silenzio, tremando, appartato in un angolo del salottino, dove Rose li aveva accolti.

L'unità medica le suturò la ferita sulla fronte, che era profonda ma non pericolosa, e le diede sollievo immediato alla costola incrinata e dolorante. Tutto il resto pareva non destare preoccupazioni e questo riuscì a infonderle un po' di sollievo. A parte la testa ancora un po' confusa, effettivamente si sentiva bene.

Finn si presentò poco dopo preoccupato, attirato dalla rumorosa agitazione di Rose che invece lo accolse in modo brusco. «Renditi utile, porta via il bambino, invece di stare lì impalato come una stoccafisso» lo invitò, ancora agitata. «Rey ha bisogno di aria e di riposo.»

Finn obbedì alla comandante evitando di fare inutili obiezioni, mentre a lei riservò solo uno sguardo dispiaciuto. Apprezzò il suo sincero interessamento, ma sentiva chiaramente, nella Forza, che era rivolto solo al suo benessere e non a quello della vita preziosa che portava in grembo. Non se la sentì di fargliene una colpa, doveva accettare la realtà per gradi e non aveva alcuna intenzione di mettergli fretta.

«Temi, coraggio, andiamo via.» Finn prese per mano il ragazzino, ancora impaurito e sconvolto, e lo condusse fuori in terrazza.

Non appena rimasero sole, Rose l'aggredì in malo modo. «Rey, che diavolo ti prende? Poteva accadere un guaio serio, non ti rendi conto?»

«Non c'era altro modo» fu costretta ad ammettere, «ma ci sono riuscita, ho visto nella sua mente quello che è accaduto sulla base nemica, e adesso ho tutti gli strumenti per aiutarlo.»

Rose scosse la testa, incrociando le braccia al petto. Sembrava che, tutto ad un tratto, il dramma di Temiri fosse passato in secondo piano. «Lo hai detto a Ben?» Indagò con prepotenza, riferendosi alla sua gravidanza, scrutandola accigliata.

Emise un sospiro profondo, dalla poltrona sulla quale era seduta. «Non è stato necessario. Lo ha sentito, ad anni luce di distanza, nello stesso istante in cui l'ho scoperto io» le spiegò breve, ma incisiva, dimostrandole la portata del legame che aveva con lui.

«Oh. E come ha reagito?»

A quella domanda, suo malgrado, non avrebbe potuto dare una risposta esaustiva. «È complicato da spiegare... » cercò di essere sincera, mostrandosi in difficoltà.

«Ma tu provaci lo stesso» la incoraggiò, caparbia.

Deglutì a vuoto, e prese coraggio. «Il nostro legame si è interrotto prima che potessimo discuterne, ma credo che non l'abbia presa male.» Se Ben aveva dato alla visione di suo figlio, addirittura il nome di suo padre, non poteva non esserne felice. Questa era l'unica certezza che aveva, che la consolava e la faceva ben sperare.

«Tu credi? Rey, stiamo parlando del vostro bambino. Tu stai qui ad allenare un ragazzino che ti ha quasi mandato all'altro mondo e lui si trova ad anni luce di distanza. Da solo. Invece di stare qui ad impedirti di fare stupidaggini, a calci nel sedere se necessario. Converrai con me che c'è qualcosa che non torna in questa storia.»

La preoccupazione ostinata di Rose, per la sua infelice situazione, riuscì a strapparle un sorriso amaro, ma si sentì di tranquillizzarla. «Mi raggiungerà, ne sono sicura. Quando si sentirà pronto, lo farà di sua iniziativa. Non voglio che si senta obbligato, non lo potrei sopportare. E nemmeno lo metterò alle strette con un ricatto morale» tentò di spiegarle, ma non poteva pretendere che capisse la complessità delle dinamiche del rapporto tra lei e Ben, quando erano un mistero anche per lei.

Rose sospirò perplessa, abbandonando le braccia lungo i fianchi. «Spero che tu abbia ragione e che sappia ciò che fai. Ma lascia che dia un consiglio, da amica: dovresti pensare alla vita che sta crescendo dentro di te, prima di qualsiasi altra cosa. GH-7 ti aveva ordinato assoluto riposo, se non sbaglio. Stai giocando col fuoco.»

Il rimprovero duro di Rose le fece molto male. Anche se non poteva negare di aver avuto una considerevole dose di incoscienza, nell'affrontare la situazione di Temiri, non poteva permettersi di insinuare che non amasse abbastanza suo figlio. Lei lo aveva visto già grande, aveva ammirato il suo sorriso, sentito il tocco della sua mano sulla pelle, e questo riusciva a rassicurarla più di ogni altra cosa, ma si rendeva conto che non poteva essere lo stesso per Rose. Certi prodigi della Forza non li avrebbe mai potuti capire.

«Il bambino sta bene, il droide sapientone è stato chiaro in proposito» reagì corrucciandosi e lanciando uno sguardo assassino all'unità medica che stava assistendo alla loro discussione in silenzio, affinché avallasse le sue parole.

«Dall'analisi compiuta, al momento, non risultano anomalie rilevanti, ma ribadisco la precauzione dell'assoluto riposo» confermò la voce artificiale, regalandole una sensazione di sollievo che riuscì, per il momento, a tranquillizzare anche Rose.

La ragazza fece saettare il suo sguardo prima sul droide e poi su di lei, ed infine scosse la testa e sospirò. «Vado a preparare la cena, e tu non ti muovere di lì» le intimò, con le sopracciglia aggrottate, puntandole un dito contro minacciosa. «Da questo momento in poi, ti terrò d'occhio io. Ti legherò al letto, se necessario. Hai bisogno di riposo e di tranquillità. Tutti noi ne abbiamo bisogno» commentò esasperata, mentre si dirigeva in cucina, continuando a borbottare.

* * *

Rey rientrò nella sua stanza, subito dopo l'abbondante pasto che Rose aveva preparato per tutti. Si sentiva ancora un po' scombussolata, ma tutto sommato stava bene. Aveva mangiato poco, perché stranamente non aveva un grande appetito. Una sgradevole sensazione di pesantezza e un leggero indolenzimento alla schiena, l'avevano infastidita per tutta la serata.

La cena era stata piuttosto silenziosa. Temiri l'aveva tenuta sotto tiro di continuo, con uno sguardo preoccupato, ed aveva faticato molto a fargli capire che non doveva assolutamente sentirsi in colpa. Finn aveva perso del tutto la parola da quando aveva saputo della sua gravidanza e si era limitato a comunicare l'indispensabile. Rose era l'unica che riusciva a parlare e a farsi sentire, anche con la bocca piena.

Anche lei non era stata molto loquace. Quello che aveva scoperto su Temiri era una brutta faccenda, e aveva occupato quasi totalmente i suoi pensieri. Non vedeva l'ora di poter passare un po' di tempo con lui per rassicurarlo e aiutarlo a superare quel trauma. Non sarebbe stato facile farlo sentire meno in colpa per ciò che era accaduto su Kalist VI. Di fatto, aveva agito solo in modo istintivo sentendosi in pericolo, ma in qualche modo ci doveva provare, prima che perdesse del tutto la fiducia in se stesso e varcasse il fatidico punto di non ritorno.

Si spogliò dei suoi soliti abiti e infilò la maglia scura che indossava per dormire, era di Ben e a lei andava alla stregua di mini vestito. L'aveva trafugata dalle sue cose prima di lasciare Theron, sperando che non se ne accorgesse. Ne aveva sentito il bisogno per sentirsi meno sola di notte, quando i pensieri l'aggredivano impietosi togliendole il sonno. Indossandola e stringendola addosso, a contatto con la pelle, le sembrava di averlo realmente vicino, di sentirlo accanto, altrimenti non sarebbe più riuscita a dormire in modo decente.

Fece una breve capatina nel bagno e ne uscì, poco dopo, stiracchiando la schiena indolenzita. Si diresse a piedi nudi verso il comodino, l'unità medica GH-7 le aveva sintetizzato delle capsule da prendere in caso di malessere, erano innocue per il bambino ma avrebbero contribuito a farla dormire più rilassata. Ne inghiottì un paio, sorseggiando dalla piccola borraccia d'acqua che teneva sempre a portata di mano, e si infilò dentro il letto.

Ripensò a tutto quello che era accaduto quel memorabile giorno, dalla disperazione e rivelazione di Temiri, all'incontro con Han, il suo stupendo bambino. Sorrise serena, felice che avesse già un nome e che fosse addirittura in grado di stabilire un contatto con lei, un dono che a pochi altri sarebbe mai stato concesso. Chiuse gli occhi, nella consapevolezza che il frutto dell'amore tra lei e Ben aveva qualcosa di prodigioso, assaporando il gusto di una felicità del tutto nuova, che le apriva il cuore alla speranza. Cullata da quella meravigliosa sensazione di pace, si addormentò subito.

*

Quando Rey sollevò le palpebre, si accorse che stava appena albeggiando, dai timidi raggi solari che filtravano dalla mantovana appesa alla finestra.

Contrariamente alle sue aspettative, aveva passato una nottata infernale.

Il suo sonno era stato molto agitato e non era riuscita assolutamente a riposare. Aveva sognato qualcosa di contorto ed intricato che non riusciva a ricordare, si era girata e rigirata nel letto, come un'anima in pena, senza trovare una posizione comoda che le desse un po' di pace. Aveva sognato di avere un peso sull'addome che le procurava fitte leggere ma fastidiose che si irradiavano alla schiena e, per quanto si dimenasse, non era riuscita a toglierselo di dosso.

Ma in quel risveglio, così insolito e tormentato, c'era anche un'altra cosa che le dava fastidio e che aveva contribuito a svegliarla in anticipo: sentiva una strana sensazione di umido in mezzo alle gambe, che contribuì a farla agitare ancora di più.

Scostò la coperta, si sollevò dal letto e si mise seduta.

Una fitta molto intensa, la costrinse a trattenere il respiro. Durò parecchi secondi e la lasciò ansimante e sudata. Si passò una mano sulla fronte, tra i capelli sciolti e scompigliati, e cercò di riprendere fiato. In quel momento si rese conto che i dolori che l'avevano tormentata tutta la notte, non li aveva affatto sognati, ma erano una drammatica realtà. Prese da sopra il comodino la borraccia dell'acqua e ne bevve alcuni sorsi; aveva la gola secca e anche un leggero senso di nausea.

Si alzò per controllare a cosa fosse dovuta quella sensazione viscida che le dava fastidio ma, non appena si mise in piedi, sentì un liquido caldo scorrerle lungo l'interno della coscia. Si irrigidì e la paura la pervase, infilò la mano tremante sotto il bordo della maglia e si sfiorò. Quello che vide le fece perdere un battito: le sue dita erano sporche di sangue, rosso e vivo come il suo sgomento e un'atroce consapevolezza si impadronì dei suoi sensi.

«Oh no» mormorò impaurita ed ansimante.

Non può essere...

Si guardò intorno smarrita, ma non aveva idea di cosa fare, un'altra contrazione violenta le trapassò il ventre, irradiandosi ai reni e dovette piegarsi in avanti, tenendosi la pancia, per riuscire a sopportarla. Ingoiò con foga altre due pastiglie, che le aveva lasciato l'unità medica, e si portò una mano al petto per darsi una calmata ed evitare di farsi prendere dal panico. Non le restava che aspettare e sperare che le facessero effetto.

Lentamente scivolò a terra, posando la schiena al bordo del letto, con le gambe leggermente divaricate. Aveva il respiro affannoso e la mente annebbiata dal terrore. Chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi, rallentando il respiro, con le mani sul grembo che stringevano la stoffa della maglia di Ben. Cercò di auto convincersi che, se si fosse tranquillizzata e concentrata, avrebbe potuto rallentare le contrazioni fino a fermarle. I suoi dannati poteri sarebbero pure dovuti servire a qualcosa. Forse non era ancora tutto perduto.

I dolori invece non accennavano a diminuire, anzi, aumentavano di intensità. In tutta la sua vita era sicura di non aver mai provato una simile sofferenza. Le fitte partivano dalla parte bassa dell'utero e si irradiavano verso l'alto, spandendosi per tutto l'addome, spingendosi fino ai reni e alla schiena. Il dolore era come un'onda che iniziava piano, si innalzava fino a diventare quasi insopportabile, spezzandole il respiro, e poi velocemente si attenuava lasciandola ansimante, sudata e stravolta, e sempre più stanca.

Non riusciva a muoversi, era bloccata in quella posizione e non avrebbe potuto chiedere aiuto a Rose o all'unità medica di diagnostica. Non aveva nemmeno la forza di urlare, solo respirando velocemente riusciva a contrastare quel dolore lancinante che sembrava volerla spaccare in due. Eppure sentiva ancora che quella piccola vita si ostinava a rimanere attaccata a lei, la percepiva ancora, e la sua mente volò all'unica persona che avrebbe potuto ascoltarla in quel momento disperato.

«Ben, aiutami... » mormorò appena, tra gli ansimi.

Con il corpo straziato dal dolore, non riusciva a trovare la giusta concentrazione per connettersi con lui, ma sperò che il suo richiamo gli giungesse ugualmente e che potesse arrivare in tempo, prima che accadesse l'irreparabile.

Attese, tra le contrazioni che diventavano sempre più forti e ravvicinate, un tempo che non riuscì a quantificare. Aveva il viso madido di sudore, il respiro spezzato e, ad ogni fitta sempre più intensa, perdeva del sangue. Qualcosa iniziò a premerle insistentemente nella parte bassa dell'addome e sentì un improvviso ed impellente bisogno di spingere. Lottò con tutte le sue forze per contrastarlo, si portò una mano alle labbra e si morse il dorso per riuscire a trattenersi.

Ben... Ti prego...

Ansimò e tremò con violenza, quando finalmente la contrazione si fu alleggerita. Non voleva arrendersi, nonostante tutto aveva ancora la forza di lottare. Resistette ancora un po', nella speranza che il miracolo si compisse, che potesse vedere comparire Ben dalla porta chiusa che aveva davanti, e non come una proiezione della Forza, ma in carne ed ossa. Sperò che le venisse incontro, che la prendesse tra le braccia e la liberasse da tutta quell'atroce sofferenza. Solo lui avrebbe potuto sistemare ogni cosa, salvare il loro bambino, se solo l'avesse voluto.

Ma l'attesa risultò vana.

Una nuova contrazione, ancora più intensa delle altre, la costrinse a piegare il busto in avanti, tra le gambe aperte e tremanti, mentre il bisogno di spingere si fece impellente, incontrastabile. Urlò con tutto il fiato che aveva in gola e si sforzò intensamente. Solo allora si rese conto che non ci sarebbe stato più nulla da fare e che non aveva altra scelta che lasciarlo andare.

Qualcosa si spezzò irrimediabilmente dentro di lei e, in quello stesso istante, sentì scivolare via dal suo corpo, quella piccola vita innocente.

* * *

Pianeta Theron, Sistema di Theron

L'ultima fase della Five Sabers era appena cominciata. Ben aveva atteso a lungo che arrivasse quel momento, si era preparato con dedizione per mesi, aveva fatto carte false per rispettare le regole e non farsi buttare fuori malamente, eppure, ora che finalmente era riuscito a realizzare il suo sogno, e che mancava ancora un soffio per conquistare la tanto agognata vittoria, niente riusciva a dargli soddisfazione, tutto gli sembrava vuoto, incolore.

Elnor e Dana invece erano agguerriti ed esaltati, volavano dietro di lui, li sentiva punzecchiarsi a vicenda e scherzare come al solito, attraverso il loro canale privato.

Sfrecciava col suo Tie Phoenix, orientandosi nell'iperspazio con disinvoltura, cambiando direzione repentinamente, ad ogni input che gli veniva fornito dal punto di controllo, ma non riusciva a godersi la gara. C'era un pensiero fisso che gli si era piantato in testa, dopo l'ultima connessione con Rey, e da allora, gli risultava impossibile concentrarsi e pensare ad altro.

Lui e la jedi avrebbero avuto un bambino. Lo aveva già visto, gli aveva persino dato un nome. Esisteva. Presto lo avrebbe tenuto tra le sue braccia sul serio e ancora non riusciva a farsene una ragione.

La direzione che aveva preso la sua vita, aveva fatto un'imprevedibile e pericolosa impennata. Forse non tanto imprevedibile, visto che entrambi non si erano di certo ammazzati d'impegno per evitare che potesse succedere, ma pericolosa lo era di sicuro.

Erano tante le paranoie che si era fatto da quando Rey gli aveva confermato (anche senza dirglielo esplicitamente) che sarebbe diventato padre e, da allora, viveva nel terrore del futuro.

Che razza di genitore sarebbe stato, con l'ingente bagaglio di sofferenze ed errori che si portava appresso? Inoltre, ed era la cosa che più lo faceva soffrire, non era convinto di meritare una simile benedizione. Aveva riavuto Rey nella sua vita, dopo aver perso tutto, dopo essere morto, e il destino gli aveva già restituito molto più di quello che effettivamente sperava. Eppure aveva generato una vita, e niente riusciva ad apparirgli più incredibile e miracoloso. Ma anche spaventoso.

Mentre le sue mani pilotavano il caccia imperiale, attraverso le anguste spirali dell'iperspazio, quasi fossero mosse da un comando automatico, la sua mente era immersa in pensieri inquietanti, e ci stava lentamente affogando. Era come se si fosse scisso in due pezzi, una parte di sé, quella più concreta e razionale, aveva la necessità di completare la gara, per rispettare un impegno che rappresentava una questione d'onore, l'altra, quella più emotiva e passionale, sentiva il bisogno disperato e, forse, anche un po' caparbio ed infantile, di riunirsi a Rey per affrontare insieme la questione.

Non aveva idea di come districarsi in quella situazione al limite dell'assurdo e come comportarsi con lei. Forse avrebbe dovuto solo affidarsi al suo istinto e farsi guidare dalla Forza. In fondo, era pur sempre un jedi, anche se non ne aveva mai condiviso le ristrettezze ideologiche. Luke era stato un cavaliere leggendario, fino a quando i loro rapporti non erano degenerati, ma lui si riteneva un jedi diverso, molto meno fanatico e più accondiscendente, ed era la sua personale visione dell'ordine che avrebbe voluto trasmettere alla sua discendenza, se mai ne avesse avuto una.

Una violenta perturbazione nel tunnel dell'iperspazio, riportò violentemente la sua attenzione sui comandi, la evitò abilmente e si diede del cretino; se si era già rincitrullito adesso, non osava immaginare a come si sarebbe ridotto, una volta che avrebbe avuto un fagottino urlante tra le braccia.

Quando lo aveva confessato ad Elnor, mentre si dissetava col solito drink dal colore equivoco, davanti alla sua birra corelliana gelata, questi non aveva reagito nel migliore dei modi, rimanendo a fissarlo esterrefatto per alcuni secondi, con la bocca socchiusa e senza parlare. Non gli era sembrato vero di aver trovato un modo per riuscire a zittirlo. Mentre Dana si era congratulata con lui e l'aveva abbracciato e baciato, l'alieno, una volta ripresosi dallo choc iniziale, lo aveva aggredito di brutto, sviolinando una ramanzina chilometrica su quanto fosse stato, incosciente, superficiale, deficiente e pure cazzone. E se l'era anche dovuta sorbire in silenzio perché aveva perfettamente ragione.

Non sapeva perché aveva sentito la necessità di renderli partecipi di una questione così privata e spinosa che lo riguardava, non si aspettava di certo di ricevere consigli decenti o una pacca sulla spalla amichevole, sapeva solo che, se non lo avesse raccontato a qualcuno, sarebbe sbottato di brutto e quello lo voleva proprio evitare. Troppe volte, nel corso della sua esistenza travagliata, si era tenuto dentro delle verità terribili che lo avevano riguardato, e aveva ottenuto solo un effetto nefasto. Elnor e Dana erano gli unici veri amici che avesse mai avuto, e tra loro vi era sempre stato un patto di reciproca fiducia; era in nome di quel patto che non se l'era sentito di abbandonarli.

Mentre si stava sforzando di recuperare un briciolo di concentrazione per la gara, percepì una violenta alterazione nella Forza che lo fece trasalire, e gli lasciò addosso un'intensa inquietudine. Aguzzò i sensi: di certo non era un buon segnale. Cercò di mantenere i nervi saldi e tenere sotto controllo la meta, ma un'improvvisa e dolorosissima fitta al basso ventre lo stordì, facendogli perdere il comando del Tie per alcuni secondi. Fu come se un'invisibile spada laser lo avesse trapassato da parte a parte, apparendo dal nulla.

Digrignò i denti per sopportare il dolore che gli riverberava fin nel cervello. Per fortuna durò solo qualche secondo, ma fu abbastanza sconvolgente da metterlo in allarme.

Quell'attimo di distrazione gli costò caro. Perse il controllo del caccia che sbandò malamente rischiando di sfiorare le pareti del tunnel spaziotemporale, e disintegrarsi all'istante.

La sua manovra maldestra non sfuggì agli sguardi attenti e critici di Elnor e di Dana.

«Ben ma che cazzo stai facendo? La neo paternità ti ha fottuto il cervello?» imprecò il primo, prendendolo in giro, attraverso il comunicatore che teneva sempre acceso.

«Ben è tutto ok?» si preoccupò invece la seconda, con più garbo, e di sicuro con più apprensione.

Scosse la testa e riportò il Tie in assetto. L'ushali aveva ragione, doveva liberare la mente da tutti quei pensieri angoscianti e contrastanti, aveva tutto il resto della vita per preoccuparsi della gravidanza di Rey, anche se quella fitta improvvisa lo aveva turbato fin nel profondo.

Evitò di rispondere ad entrambi e impugnò con più forza la cloche, non si trovava nel bel mezzo di una gara per fare conversazione. Ma i suoi buoni propositi durarono poco, una nuova perturbazione, ancora più potente lo investì in pieno, facendolo sobbalzare, e di nuovo, un'ondata di dolore lo pervase, costringendolo a piegarsi in avanti.

Ben, aiutami...

Riuscì a distinguere chiaramente, mentre il suo cuore aveva già iniziato a battere all'impazzata.

Ben... Ti prego...

Udì di nuovo la voce di Rey, risuonare impunemente nel legame, come se fosse un avvertimento a cui non poteva rifiutarsi di prestare attenzione. La jedi aveva un tono angosciato, supplichevole, non l'aveva mai sentita così disperata.

In quel momento udì un suono sordo, come se qualcosa si fosse rotto irreparabilmente dentro di sé, ed allora iniziò sul serio a preoccuparsi. A Rey era capitato qualcosa, stava soffrendo, aveva bisogno del suo aiuto e non poteva di certo tirarsi indietro. Tutto a un tratto le sue priorità erano drasticamente mutate, e prese una decisione epocale che sapeva che avrebbe cambiato completamente la sua vita.

Come quando su Kef Bir , aveva lanciato la spada nell'oceano ed era corso da Rey, mosso dall'unico desiderio di starle sempre accanto, qualsiasi cosa fosse accaduto, così in quell'istante, sentiva che avrebbe dovuto abbandonare la competizione e raggiungerla. Elnor e Dana lo avrebbero maledetto per sempre e, probabilmente, lo avrebbero braccato per tutta la galassia per fargli la pelle, ma non gli importava. Rey e il bambino venivano prima di tutto.

«Ragazzi, mi dispiace, ma devo lasciare la gara.» Parlò in tono fermo nel comunicatore, aspettandosi un'esplosione di insulti.

«Se è una fottuta battuta non fa ridere per niente» commentò Elnor, palesemente agitato.

«Ben, cos'è successo?» chiese invece Dana, preoccupata.

«Si tratta di Rey, le è accaduto qualcosa, e ha bisogno di me.» Non pretendeva che i suoi amici comprendessero le sue ragioni, ma lasciarli nel bel mezzo di una competizione, senza uno straccio di spiegazione, non era nel suo stile.

«Ti è dato di volta il cervello? Ma come cazzo ragioni? Fino ad un giorno fa non te ne fregava un accidenti di lei, del moccioso psicotico, e di quell'altro in arrivo, e adesso sei disposto a mollare tutto, un attimo prima di conquistare la vittoria. Se fossi equipaggiato di siluri, giuro che te li sparerei tutti quanti su per culo!»

Le parole di Elnor furono come una stilettata, ma non poteva farci niente.

«Ben, non preoccuparti per noi, ce la caveremo. Va pure da lei, se temi che sia in grave pericolo.» Dana si dimostrò comprensiva e, per il momento, la sua approvazione gli doveva bastare.

Inserì le coordinate per Chandrila e forzò la curvatura dell'iperspazio. Per fortuna l'iperguida del suo Tie era tarata anche per i viaggi sulle lunghe distanze. Prima di azionare la leva, che gli avrebbe consentito di cambiare direzione, sentì Elnor insultarlo in ushaliano, e quando l'alieno imprecava nella sua lingua madre, voleva dire che era incazzato sul serio.

* * *

Pianeta Chandrila, Settore Bormea, Hanna City

Rimettere piede sul suo pianeta natale gli fece un effetto strano. Credeva che avrebbe avvertito disagio, insofferenza e persino rabbia, ma mai qualcosa di simile alla nostalgia. Invece, nel rivedere i luoghi a lui familiari, che avevano accompagnato la sua infanzia difficile e, soprattutto la vita con i suoi genitori, gli fece provare una sorta di sordo dolore.

Individuò, tra gli alti e multiformi palazzi di Hanna City, la villa di famiglia che si trovava su un'altura a picco sul mare, ed atterrò col Tie Phoenix sulla piccola piazzola d'attracco privata.

Per tutta la durata del viaggio non aveva fatto altro che pensare a Rey, a quello che aveva sentito attraverso il loro legame, ed un profondo senso di angoscia lo aveva accompagnato per tutto il tempo, annebbiandogli la vista, offuscandogli la mente.

Aveva anche provato a contattarla, ma non aveva ricevuto nessuna risposta. La Forza gli restituiva una sensazione strana che lo faceva sentire agitato. Era come se Rey avesse attraversato un'intensa burrasca, e ora fosse circondata solo da quiete. Ma era una quiete apparente. La paura stava avendo la meglio sui suoi sensi.

Saltò giù dal caccia e si diresse, a grandi falcate, all'ingresso della villa. Si fermò qualche istante ad osservare il maestoso ed imponente portone. Dietro quelle ante, sapientemente decorate da artigiani locali, c'era Rey, ma anche tutto ciò che restava della Resistenza. Il suo incubo peggiore. Una volta varcata quella fatidica soglia, sapeva che niente sarebbe stato più come prima. Ma non aveva fatto tutta quella strada per starlo a guardare impalato: il desiderio di accertarsi delle condizioni di Rey e di suo figlio, aveva prevalso su tutte le sue paturnie, i preconcetti e l'astio che si ostinava a provare verso i suoi ex nemici, e adesso non poteva di certo fare marcia indietro.

Sollevò una mano e, con le dita ad artiglio, spalancò entrambe le ante del portone con presunzione e senza annunciarsi. Era pur sempre casa sua, anche se i ribelli se ne erano impunemente appropriati. Entrò nella hall principale e si diresse verso la grande scalinata che portava di sopra.

Mentre saliva le scale incrociò il traditore, attirato probabilmente dal rumore che aveva fatto nello spalancare la porta. Con la coda dell'occhio lo vide posare una mano sul blaster, ma tirò dritto per la sua direzione, evitando di scontrarsi con il suo sguardo sconvolto. Ci sarebbe stato tutto il tempo di regolare i conti anche con lui.

Imboccò l'ampio corridoio e, col cuore in gola, individuò il luogo in cui era Rey, come sempre, la Forza riusciva a guidarlo. Quando entrò nella stanza, passando dalla porta che era stata lasciata semiaperta, fu accolto dall'espressione triste e sorpresa di una piccola e giovane donna e da quella impassibile e fredda di un droide medico GH-7 di classe uno.

«Ben, per fortuna sei qui... » gli sussurrò la ragazza sollevata e con le lacrime agli occhi.

Rimase sorpreso che conoscesse addirittura il suo nome, senza averlo mai visto prima. Notò il suo desiderio sincero di andargli incontro ma lo bloccò sul nascere, riservandole un'occhiata glaciale che ebbe il potere di farla indietreggiare.

Vide Rey sdraiata sul letto, immobile e pallida, e si sentì pervadere da un intenso senso di rabbia e di smarrimento. «Tutti fuori» ringhiò, con lo sguardo cupo, le braccia frementi, abbandonate lungo i fianchi e i pugni chiusi.

«Ben, ascoltami, Rey è molto debole, ha bisogno subito di una trasfusione» lo supplicò la ragazza minuta, ignorando con coraggio, la sua velata minaccia iniziale.

Prese un profondo respiro per calmarsi e rilasciò l'aria dalle labbra.

«Ho detto fuori!»

Continua...

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Angolo dell'autrice sadica e crudele ^^' (no, non sono JJ 2 La vendetta XD)

Ok... credo che non ci sia molto da commentare su questo capitolo. Forse qualcuno aveva già annusato che la storia avrebbe preso questa piega, quindi mi auguro che la botta non sia stata troppo tosta (si fa per dire Y.Y). Dopo la palata sui denti di TROS la mia visione dell'angst si è notevolmente ridimensionata Y.Y

Scrivere questo capitolo è stato molto difficile e doloroso e, ammetto, di aver avuto molte perplessità durante la sua stesura, ma ho deciso comunque di andare nella direzione che mi suggeriva l'ispirazione, perché la storia ha un preciso arco narrativo che deve essere rispettato, in ogni sua parte, per poterne cogliere il senso finale.

I miei personaggi hanno intrapreso un nuovo cammino dopo Exegol e, necessariamente subiranno un'evoluzione. Se sarà nel bene o nel male, non posso ancora rivelarlo. Posso solo dire, a mia discolpa, che tutto, alla fine, avrà un senso, anche se apparentemente crudele e ingiusto. In fondo SW è una storia di speranza ma ha anche un retrogusto dolce amaro. (A parte TROS che è na tragedia selvaggia e basta) Tutto quello che accadrà, da ora in avanti, avrà un fine ben preciso, che spero si capirà, in caso contrario siete liberi di chiedere chiarimenti ed insultarmi ^^'

Al prossimo capitolo, che sarà il punto cardine di tutta la storia e dove si tireranno le somme di tutti i personaggi :)

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