Capitolo XIII

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Ai gomiti e ai piedi avranno stelle

Benché impazziscano saranno sani di mente

Benché sprofondino in mare risaliranno a galla

Benché gli amanti si perdano l'amore sarà salvo

E la morte non avrà più dominio

(Dylan Thomas)

* * *


Cap. XIII

Lo sguardo serio e cupo di Ben era fisso sulla figura immobile di Rey.

La morettina intraprendente capì al volo che era più saggio eseguire il suo consiglio alla lettera, e lasciò la camera senza fiatare, portandosi appresso l'unità medica GH-7, che invece si ostinava a protestare.

Quando rimase finalmente da solo con lei, una sensazione di inquietudine lo pervase. Si respirava un'atmosfera strana tutt'attorno. Aveva la certezza che si fosse consumato qualcosa di grave fra quelle mura, ma il suo cervello era in modalità autodifesa e si ostinava a non volerlo accettare. Si avvicinò al corpo di Rey lentamente, quasi ne avesse paura, divorato dal timore di conoscere la verità atroce che aleggiava nell'aria, e la studiò angosciato.

Il corpo della jedi era sdraiato sul fianco sinistro, sotto una coperta leggera dal quale fuoriuscivano solo la testa, le spalle e le mani, posate sul cuscino, accanto al viso esangue.

Aveva gli occhi aperti, ma il suo sguardo era perso nel vuoto, le labbra erano pallide e disidratate. Il suo respiro era debole, appena percettibile. Di tanto in tanto sbatteva le palpebre, ma sembrava più un movimento riflesso che volontario. Non si era nemmeno accorta della sua presenza, sembrava ipnotizzata, completamente estraniata dalla realtà. Ben si rese conto che era sotto choc.

Deglutì a vuoto e si fece coraggio, la raggiunse e, con cautela, si sedette sul letto accanto a lei, come se avesse timore di farle del male, ma nemmeno in quel momento Rey reagì alla sua vicinanza. Gli sembrò di rivivere la scena agghiacciante di Exegol, quando l'aveva vista a terra, poco lontano da lui, dopo essere riemerso da quel maledetto burrone senza fondo.

Rey gli restituiva solo sensazioni negative. Non erano solo le loro anime ad essere legate, ma anche i loro corpi, in modo indelebile. Percepiva tutta la sua sofferenza come se fosse lui stesso a provarla. Sollevò la mano e sfiorò, con la punta delle dita, la sua fronte cerea, in cui spiccava una piccola ferita suturata di fresco; la sua pelle era fredda e sudata, scese delicato sulla guancia, ed un brivido gelido gli attraversò tutto il corpo.

«Rey» la chiamò in tono fermo, anche se dentro di sé era terrorizzato, sperando che lo sentisse, ma lei si limitò a sbattere lentamente le palpebre e a sussultare appena, senza voltarsi a guardarlo.

Allora la sollevò, prendendola tra le braccia e la strinse forte, esattamente come aveva fatto su Exegol, con la stessa disperazione e lo stesso terrore negli occhi. Fu allora che si rese conto di quello che le era realmente successo e rimase pietrificato.

Una serie di immagini terribili gli scorsero davanti agli occhi, colpendolo come uno schiaffo violento. Il legame lo costrinse a guardare, ad assistere come uno spettatore impotente, alla tragedia che non aveva potuto evitare. Vide Rey seduta per terra, al lato del letto e sotto di lei un lago di sangue, la sentì invocare il suo nome e poi urlare. La vide ansimare, e disperarsi subito dopo aver perso il bambino e qualcuno accorrere in suo aiuto.

Nel momento peggiore della sua esistenza non era stato accanto a lei. Quello che aveva percepito durante la gara non era stata solo una sensazione negativa, il presagio di qualcosa di orribile, ma la cruda realtà.

Deglutì a vuoto e soffocò un singhiozzo, non era quello il momento di piangere, Rey aveva bisogno del suo intervento e alla svelta. Continuava a rimanere apatica, inerme, abbandonata tra le sue braccia. Ben sapeva che era cosciente, anche se debole, ma si sentiva svuotata, nel corpo e nell'anima, incapace di reagire. Aveva avuto una violenta emorragia che l'aveva quasi dissanguata.

La depose delicatamente sul cuscino e mise la mano sul suo ventre. Chiuse gli occhi e rilasciò l'aria dalle narici, concentrandosi. Percepì il vigore della sua energia vitale vibrare in ogni cellula del suo corpo, e lasciò che ne defluisse un po' verso quello bisognoso di Rey. Stavolta non era ferito a morte, non era in fin di vita, era nel pieno delle sue forze e l'avrebbe curata senza riportare alcuna conseguenza.

Nel vedere il volto di lei riprendere colore, le sue labbra tornare rosee, e il respiro farsi più regolare e tranquillo, emise un sospiro di sollievo, ma non riuscì a gioire. Non poteva, sapendo che aveva perso il loro bambino.

Se solo fossi arrivato in tempo, se solo fossi stato con lei...

In quel momento si rese conto di aver commesso un errore madornale e che suo figlio ne aveva pagato le conseguenze con la vita. Quell'atroce consapevolezza lo avrebbe tormentato per il resto dei suoi giorni.

Rey emise un respiro profondo, sollevando il petto seminascosto dalla coperta e sbatté velocemente le palpebre. Il suo sguardo non era più assente, ma vigile. Aveva risanato il suo corpo ma, sarebbe mai stato in grado di curare le ferite della sua anima, quando lui stesso era spezzato?

Le iridi ambrate di lei saettarono rapide nel vuoto fino a quando non incontrarono il suo viso, e si fermarono a scrutarlo. Corrugò la fronte e le sue labbra furono attraversate da un fremito. «Ben» pronunciò, con filo di voce, «sei... sei davvero qui?» chiese incerta e incredula, sforzandosi di distendere i lineamenti tesi.

«Sono qui» le confermò, facendole un cenno con la testa e stringendole la mano che era diventata più calda.

Rey deglutì e cambiò repentinamente espressione, i suoi occhi si velarono di lacrime e sul suo viso comparve un'ombra straziante di disperazione. Si sollevò dal letto e si gettò su di lui abbracciandolo. Lo strinse fin quasi a fargli male, come se volesse accertarsi che il suo corpo fosse concreto e reale, e non una proiezione del legame.

«È troppo tardi. L'ho perso» mormorò, tra i singhiozzi, e in quell'istante, si sentì morire un'altra volta.

Avvertì il bisogno di ricambiare la sua stretta e l'avvolse con le sue braccia possenti, ma il suo cuore era straziato di dolore. Non si sarebbe mai ripreso da una realtà del genere, lo sapeva. Era stato uno stupido a pensare che l'avrebbe fatta franca, che avrebbe potuto essere felice, e che la vita finalmente sarebbe stata indulgente con lui. Il destino gli si era rivoltato contro, più crudele che mai, e gli aveva strappato la sua gioia più grande.

Mai come in quel momento ebbe la conferma che, per quelli come lui, non esisteva la felicità, non poteva esserci redenzione, era tornato in vita solo per continuare a scontare la sua pena e soffrire come un cane fino alla fine.

«Mi dispiace... non ho saputo proteggerlo» gli confessò invece Rey disperata, spiazzandolo, abbandonandosi ad un pianto angosciato contro il suo petto.

Ben non riusciva a capire il motivo di quello sfogo improvviso e cercò di rassicurarla. La scostò da lui prendendola per le braccia, catturando i suoi occhi smarriti, deformati dalle lacrime. «Non provarci nemmeno ad essere crudele con te stessa. La responsabilità di quello che è successo è solo mia. Se ti avessi seguito, se fossi stato con te, quando tutto è iniziato, avrei potuto salvarlo... Invece ho pensato solo a me stesso. Avevi ragione tu, avevi ragione su tutto. Ho messo in primo piano una stupida gara, invece del mio amore per te. E non me lo perdonerò mai» le confessò, determinato e angosciato, fissandola serio, preparato e rassegnato a subire tutto il suo odio, e stavolta l'avrebbe ampiamente meritato.

Sperò con tutto se stesso che quella tragedia non rappresentasse la fine della loro relazione, ma, in caso contrario, l'avrebbe potuta capire.

A quelle parole Rey reagì sussultando e negando con tutte le sue forze. «No. Io lo sapevo che correvo dei rischi... il droide medico mi aveva avvisata. Avevo l'ordine di restare a riposo, ma non l'ho preso sul serio. Sono stata superficiale e incosciente. Mi sentivo bene, mi credevo invincibile e Temiri aveva bisogno di me. Ero convinta che la Forza mi avrebbe protetta. Ma mi sbagliavo... Non devi sentirti in colpa per qualcosa che avrei potuto impedire. Non farti questo Ben, non lo potrei sopportare.»

Nell'udire quella straziante confessione, fissando il suo volto sformato dal dolore, si sentì ancora più dilaniato. Entrambi avevano giocato a fare i prepotenti, a far valere ognuno le proprie ragioni, in modo egoistico, senza pensare alle possibili conseguenze. E il destino li aveva puniti nel modo peggiore.

Si sentì pervadere da un intenso senso di rabbia, il cuore gli palpitava furioso nel petto, il respiro divenne affannoso e irregolare. Si allontanò da Rey, alzandosi di scatto dal letto e crollò in ginocchio di fronte a lei.

L'energia negativa che aveva accumulato nelle ultime ore premeva per esplodere furiosamente e, se non l'avesse sfogata, sarebbe scoppiato.

Digrignò i denti e strinse i pugni per contrastare con tutte le sue forze quell'ondata di dolore che lo stava scuotendo come un uragano, ma sapeva che era una causa persa fin dal principio. Tutti i piccoli oggetti che erano presenti nella stanza presero a fluttuare a mezz'aria, mentre lui ansimava sempre più veloce.

Il pavimento iniziò a tremare fino a creparsi in più punti, sotto di lui; chiuse gli occhi, rilasciando l'aria dalle labbra e il vetro della grande vetrata, che illuminava la stanza, finì in mille pezzi, investito da un violento flusso di Forza bruta.

Rey saltò giù dal letto impaurita e si inginocchiò davanti a di lui prendendogli il viso tra le mani. In quel momento era furioso, respirava a fatica. Se qualcuno non lo avesse fermato non sarebbe riuscito a controllarsi e avrebbe distrutto ogni cosa. Ma Rey lo obbligò a riaprire gli occhi, catturando il suo sguardo con prepotenza. «Ben... Ben, ti prego, guardami e ascoltami. Non è colpa tua. Ragionare con i se può farti impazzire, e non cambierà in nessun modo quello che è successo. Sei tornato da me, ed è questo quello che conta. Adesso ti devi calmare, non risolverai nulla in questo modo, ed io non posso vederti così... »

L'appello accorato di Rey gli giungeva ovattato, come se la sua voce fosse lontana. La vista era annebbiata dalla rabbia. Si sforzò di tornare alla realtà e calmarsi, cercò di aggrapparsi all'amore disperato che provava per lei, ma era estremamente difficile. Sentiva le sue mani calde e ferme sulla faccia, e si costrinse a soffocare quell'immensa sensazione di disperazione che lo stava prevaricando.

«Calmati, per favore. Non riuscirò mai a superare tutto questo, se non ti avrò al mio fianco. Adesso più che mai ho bisogno di te» lo supplicò Rey, obbligandosi a trattenere le lacrime, «sai, l'ho visto anch'io. È apparso anche a me. Era bellissimo il nostro piccolo Han. Mi ha fatto promettere di non piangere... e adesso ho capito perché. Lui sapeva...»

Ben sentiva il tocco delle dita di Rey sulle sue guance roventi, riaprì i pugni serrati e afferrò i polsi della jedi aggrappandosi a lei come se fosse un'ancora di salvezza.

Respirò profondamente per allontanare dal suo animo gli ultimi residui di rabbia. Allentò la stretta delle mani sui suoi polsi e le lasciò scivolare a terra reggendosi sui palmi, chinò la testa e si abbandonò ad un pianto liberatorio.

In tutta la sua vita tormentata non si era mai lasciato andare alle lacrime in quel modo, le aveva sempre trattenute con orgoglio per non sentirsi debole, anche quando era solo un ragazzino. Non ebbe nemmeno un briciolo di vergogna nel mostrarsi fragile e distrutto agli occhi di Rey, con nessun altro si era mai esposto così tanto, non gli importava nulla della sua dignità, sentiva solo la necessità di sfogare il suo dolore.

La jedi invece si costringeva ad essere forte, ma poteva sentire chiaramente, attraverso il loro legame, quanto le stesse costando non cedere alla disperazione. Stava cercando di resistere per lui, affinché non venisse sopraffatto dal turbine di sentimenti che lo stava agitando. Rey avvicinò la fronte alla sua, gli posò le mani sulle spalle e, lentamente lo tenne stretto a sé.

In quel momento, tutti gli oggetti che stavano fluttuando a mezz'aria tornarono a posarsi dolcemente al proprio posto, e il tumulto della Forza che si era generato dal suo stato d'animo straziato, lentamente si quietò.

Rimase allacciato a Rey, consolandola e facendosi consolare, senza alcuna fretta di staccarsi dal calore del suo corpo, si prese tutto il tempo necessario per metabolizzare il suo dolore e questo gli permise di ritrovare, sebbene all'apparenza, un po' di pace.

Ma sapeva che per Rey era diverso e che non sarebbe stato facile superare quel trauma, in quel momento si stava obbligando ad essere forte per entrambi, ma Ben sapeva che, prima o poi sarebbe crollata. Fisicamente non era più in pericolo di vita, ma psicologicamente era molto provata. Quando sarebbe accaduto non l'avrebbe mai lasciata sola.

*

«È vero, Rey? È vero che hai perso il bambino?» la voce tremante e angosciata di un ragazzino lo fece sussultare, mentre era ancora stretto alla jedi. Sollevò la testa indolenzita dal turbine di emozioni che lo avevano investito, e si girò verso di lui.

Finalmente il famoso Temiri, gli apparve in carne ed ossa, in piedi sulla soglia, mentre li fissava stranito e agitato. Gli sembrò così minuto, spaventato e pericolosamente fragile.

Anche Rey si voltò turbata nella sua direzione, staccandosi dall'abbraccio. Si asciugò in fretta le lacrime col dorso delle mani, forse nella speranza di apparirgli meno sconvolta, ed annuì.

Il piccolo sussultò come se fosse stato colpito da una scossa. «È colpa mia...» sussurrò disperato, negando con la testa come se non riuscisse ad accettare la verità, stringendo le mani in un pugno, «sono stato io... » mormorò in lacrime, «l'ho ucciso io» ripeté, con il viso sofferente e il corpo attraversato da tremiti.

Rey reagì rapida, alzandosi in piedi. «Temi, non devi nemmeno pensarla una cosa del genere. Io stavo già male quando ho deciso di addestrarti. Sono stata molto imprudente, avrei dovuto stare a riposo, ma non l'ho fatto. Tu non c'entri niente, te lo giuro» cercò di rassicurarlo. Le sue parole però, non sortirono l'effetto desiderato. «Stai mentendo. Lo stai dicendo solo per non farmi piangere. Ma è colpa mia, lo so. È sempre colpa mia!» Urlò stravolto, e la sua reazione violenta, a Ben, sembrò tristemente familiare.

Rey si mosse per andargli incontro, ma Temiti fu più svelto, si girò di scatto e corse via, lasciandola sconvolta ed ansimante, con il corpo proteso verso di lui.

«Ferma, dove credi di andare?» Fece appena in tempo a trattenerla per un braccio, prima che facesse una stupidaggine e peggiorasse ulteriormente la situazione.

«Devo raggiungerlo, devo andare da lui» protestò la jedi, dimenandosi e cercando di divincolarsi dalla sua presa ferrea, ma senza successo. «Gli avevo promesso che lo avrei aiutato, che non l'avrei mai abbandonato. Ho visto nella sua mente quello che è successo durante il massacro di Kalist VI. Non posso permettere che continui a pensare di esserne responsabile. Non posso perdere anche lui!»

«Tu non puoi andare da nessuna parte nelle tue condizioni» le intimò serio e glaciale, continuando a trattenerla.

«Sto bene adesso. Io devo andare... » insistette lei, cercando disperatamente di liberarsi. Ma lui si rifiutò di lasciarla. Anche se aveva risanato perfettamente il suo corpo, Rey era troppo sconvolta e provata per affrontare anche il dramma di Temiri.

Le prese pure l'altro braccio e la scosse con prepotenza per farla rinsavire, imprigionando gli occhi di lei, sconvolti e arrossati, ai suoi. «Non te lo permetto» le ordinò perentorio, e solo in quel momento Rey smise di agitarsi e si quietò, esausta, rivolgendogli uno sguardo interrogativo e corrucciato. «Ci vado io» sentenziò in tono fermo, e il suo cuore perse un battito nel vedere l'espressione sorpresa e meravigliata sbocciare sul viso stravolto di Rey, nell'udire le sue poche parole. «Nessuno meglio di me sa come ci sente ad essere considerati un mostro.»

Rey annuì e gli sorrise debolmente, e non era mai stata così bella, nonostante i suoi lineamenti delicati fossero provati dalla sofferenza.

«E poi... dove vorresti andare conciata in quel modo?» Ironizzò gettando uno sguardo divertito alla maglia nera sbrindellata che indossava e che, a mala pena, arrivava a coprirle metà delle cosce. Aveva riconosciuto quella maglia, era quella che aveva indossato su Exegol, con cui era morto e poi era tornato alla vita. Aveva ribaltato il suo bungalow da capo a piedi per ritrovarla, ma sembrava sparita nel nulla. Ecco dove era finita: Rey se ne era furtivamente appropriata e aveva pazientemente ricucito tutti i buchi per tenerla per sé.

Alla sua provocazione la jedi sgranò, per la sorpresa, gli occhi arrossati, poi abbassò il viso per guardasi. Nel momento in cui si accorse in quali condizioni penose stava per uscire dalla stanza, tornò a fissarlo trattenendo a stento un singhiozzo e sorridendo tra le lacrime.

Fu felice di essere riuscito a farla ridere di nuovo, anche in quella drammatica situazione, l'amava più della sua vita, e sarebbe stato capace di affrontare qualunque avversità se l'avesse avuta al suo fianco. «Tu resta qui. È bene che qualcuno rimanga in casa, se dovesse decidere di ritornare.»

* * *

Quando Ben scese al piano inferiore, vide la brunetta e il traditore confabulare tra loro preoccupati. Strinse le labbra e deglutì a vuoto, quello era il momento della verità. Aveva evitato quell'incontro per troppo tempo, ma ora era arrivata la fatidica resa dei conti. Non appena Finn si accorse della sua presenza, si mise subito sulla difensiva, lanciando un'occhiata allarmata alla sua compare, che si girò subito nella sua direzione.

La ragazza, stranamente, non gli restituì la stessa espressione tesa e torva dell'ex assaltatore. Si era già accorto, dalla sua dolcezza e dalle vibrazioni positive che gli aveva trasmesso, appena aveva messo piede nella stanza di Rey, che era diversa dal resto della combriccola di ex ribelli.

«Da che parte è andato il ragazzino?» chiese rude, rivolgendosi a lei, che era sicuramente meglio predisposta nei suoi confronti.

«Lo stavo dicendo proprio adesso a Finn. L'ho visto uscire dall'ingresso principale poco fa, e correre via sconvolto. Sai cosa cosa gli è successo?» La ragazza riuscì a stupirlo un'altra volta. Si era rivolta a lui in tono tranquillo, anche se traspariva dal suo viso pieno, tutta la preoccupazione del momento.

«Che cosa gli hai fatto?» Lo aggredì invece brutalmente il traditore.

Digrignò i denti e lo guardò di traverso. Peccato che non aveva il tempo di prenderlo a pugni, ma si ripromise di rimediare, non appena le cose si fossero sistemate.

«Sta' zitto Finn. E lascialo parlare» lo difese invece la brunetta intraprendente e non poté fare a meno di sorridere tra sé nel vedere lo zoticone fare a malincuore marcia indietro.

«Si sente responsabile per la perdita di Rey.» Gli costò molto pronunciare quella frase. Avrebbe dovuto dire della nostra perdita, sarebbe stato più corretto, dato che era anche figlio suo; ma di sicuro del suo dolore non sarebbe importato nulla a nessuno. «Dobbiamo ritrovarlo e alla svelta, prima che commetta qualche stupidaggine.»

«Per le stelle! E come a fatto a sapere di Rey? Non doveva scoprirlo da solo. Finn ti avevo pregato di sorvegliarlo! Sei sempre il solito sciagurato!»

Il rimprovero meritato al traditore presuntuoso e attaccabrighe, non poté che fargli piacere, e risollevargli il morale, quasi quasi gli stava simpatica quel tipetto tutto pepe.

«L'ho lasciato nella sua camera, credevo che dormisse. Quel piccolo delinquente mi ha preso in giro e poi se l'è svignata» si giustificò Finn, in evidente stato di difficoltà di fronte a lui.

«Dobbiamo trovarlo» ribadì serio ed agitato, e questa volta nessuno ebbe il coraggio di obiettare. La ragazza annuì determinata e rivolse uno sguardo eloquente anche a Finn, che fu costretto a darle ragione. «Come sta Rey adesso?» Gli chiese con cautela, consapevole di essersi addentrata in un terreno delicato.

«Fisicamente sta bene» tagliò corto lui seccato, facendole capire che non aveva alcuna intenzione di approfondire l'argomento, e la giovane ex ribelle, gli rivolse un sorriso benevolo. «Sapevo che la tua presenza l'avrebbe aiutata. E tu come stai?»

Aveva capito bene? Davvero Rose si stava interessando al suo dolore? Non riusciva a crederci, apprezzò il suo interessamento ma evitò di manifestarle qualsiasi stato d'animo. La ragazza annuì e sembrò capire la sua reazione forse fin troppo fredda, si avvicinò a lui tendendogli la piccola mano ferma. «Sono contenta di averti conosciuto finalmente, Ben Solo, il figlio del nostro amato e compianto Generale. Io sono Rose.»

Fissò le sue dita protese verso di lui per un po', come imbambolato, prima di rendersi conto della portata di quel gesto. Poi, titubante, le strinse la mano ed annuì, forse sul suo viso era comparso anche un lieve accenno di sorriso. Avrebbe davvero voluto fidarsi di lei come si fidava di Elnor e Dana, ma il suo istinto di sopravvivenza gli urlava a gran voce di andarci con i piedi di piombo. Aveva preso talmente tante batoste dalla sua famiglia e dai membri della Resistenza che l'ennesima bruciante delusione non l'avrebbe tollerata.

Uscirono tutti e tre dalla villa e si guardarono intorno per cercare qualunque indizio che potesse portarli ad individuare la direzione presa da Temiri.

«Dividiamoci. Avremo più possibilità di trovarlo» esclamò, rivolgendosi ai due giovani che parevano spaesati.

* * *

Ben era inquieto e pensieroso, mentre si inerpicava su per uno stretto sentiero, opportunamente nascosto tra gli alberi. La zona boscosa intorno alla villa di famiglia la conosceva molto bene, ci aveva passato tutta l'infanzia, a parte quei brevi periodi in cui suo padre lo aveva portato con sé, insieme al wookiee, sul Falcon, per delle innocue e veloci missioni. Sua madre non era mai stata del tutto propensa a lasciarlo andare, e aveva ragione. Ricordava ancora quella volta in cui era sgattaiolato sul mercantile corelliano di nascosto, e aveva salvato le chiappe a padre e zio Chewbe, che si erano cacciati nei guai per una spinosa questione riguardante una stupefacente specie di farfalle azzurrine.

Non gli sarebbe stato difficile stanare il ragazzino. Nel corso della sua vita aveva dato la caccia a creature di gran lunga più nascoste e pericolose, ma Temiri, in qualche modo, lo incuriosiva, lo attirava. Era un tipo strano e non assomigliava in nessun modo ai tipici ragazzini petulanti e fastidiosi della sua età. C'era qualcosa in lui che gli ricordava insistentemente il suo passato, il suo sentirsi solo ed incompreso. Gli era bastato guardarlo, udire le poche frasi pronunciate da lui, per farlo entrare in empatia con la sua situazione.

Avrebbe potuto seguire le flebili vibrazioni della Forza che il piccolo padawan si era lasciato incautamente alle spalle, ma decise invece di assecondare il suo istinto. Se davvero Temiri aveva così tanto in comune con lui, se rappresentava lo specchio della sua infanzia tormentata, sapeva anche dove si sarebbe rifugiato, per sfuggire ai sensi di colpa che lo attanagliavano e ritrovare un po' di pace. Una pace che, purtroppo, sarebbe stata solo illusoria.

C'era un luogo, nelle vicinanze della villa, completamente immerso nella natura selvaggia, a cui si accedeva esclusivamente per un sentiero ripido e sconnesso: una piccola piazzola di pietra sporgente a picco sul mare. Il panorama che si poteva ammirare da quel punto era mozzafiato, ma era anche un posto molto pericoloso.

Da bambino ci andava spesso quando sentiva il bisogno di riflettere, quando doveva sfuggire ad una meritata punizione, quando non riusciva a quietare le voci insistenti che gli sussurravano nella testa. L'ultima volta che ci era stato era la vigilia della sua partenza per il tempio jedi, dove Luke lo stava aspettando. Erano passati più di vent'anni da quel giorno e ancora ricordava perfettamente tutte le emozioni contrastanti che aveva provato, mentre il suo sguardo si perdeva all'infinito, nell'immensa distesa immobile del Mar d'Argento.

Aveva provato rabbia, per essere stato costretto a lasciare la sua famiglia contro la sua volontà; angoscia, perché era consapevole di avere sulle spalle una pesante eredità che forse non sarebbe riuscito a sopportare; paura, per l'ignoto che lo attendeva come allievo di Luke.

Si era avvicinato pericolosamente al precipizio e, per un istante, un solo ed unico istante, aveva pensato di lasciarsi cadere di sotto, dove le onde si infrangevano tumultuose, fra gli acuminati ammassi di rocce. Ma una voce suadente gli aveva parlato, distogliendolo da quel gesto disperato che però sentiva necessario, un sussurro amico che l'aveva fatto sentire importante, un bene prezioso. Solo allora aveva fatto un passo indietro ed era scappato via, correndo a perdifiato lungo il sentiero, per ritornare a casa.

Quella sera era stata l'ultima volta che sua madre l'aveva tenuto tra le braccia, poi non l'aveva più vista. Oh certo, i suoi messaggi gli erano sempre arrivati, puntuali ed affettuosi, per anni, anche quando con Luke si spostava in zone pressoché irrintracciabili della galassia. Ma non aveva potuto più riabbracciarla, così come non aveva più incontrato suo padre, se non il giorno in cui lo aveva ucciso.

Se avesse dato retta al suo istinto e si fosse buttato, tante tragedie si sarebbero potute evitare. Avrebbe dato un dolore immenso ai suoi genitori, ma avrebbe risparmiato loro pene di gran lunga più grandi, e forse in quel momento sarebbero stati entrambi ancora vivi. Scosse la testa e si impose di scacciare quei ricordi dolorosi. Fare i conti col passato era un pegno che sapeva bene di dover pagare, rimettendo piede su Chandrila, ma quello non era il momento di farsi distrarre.

Finn e Rose erano poco distanti da lui, riusciva ancora a sentire i loro discorsi preoccupati. Si augurò di aver avuto la giusta intuizione e, non appena raggiunse la sommità della collina, e sorpassò la fitta boscaglia che precedeva la terrazza di pietra, la figura minuta di Temiri gli apparve di spalle, a poca distanza dal bordo del dirupo.

«Non ti muovere di lì, vengo a prenderti» gli intimò preoccupato. «L'ho trovato!» urlò poi agli atri due, sperando che l'avessero udito, dato che non erano molto lontani. Il bambino si girò di scatto e gli riservò uno sguardo sorpreso.

«Come hai fatto a trovarmi?» gli chiese spaventato, con quella sua stridula voce infantile.

«È stato facile» gli spiegò con l'intenzione di farlo parlare e tenerlo impegnato, almeno fino a quando non lo avrebbero raggiunto i due ex ribelli, sperando che non si fossero persi, «questo posto piaceva tanto anche a me.»

«Davvero? Come fai a conoscerlo?» domandò curioso, e Ben sorrise tra sé, felice di essere riuscito ad attirare la sua attenzione.

«Da piccolo vivevo qui, con la mia famiglia» gli rivelò e riuscì a vedere un accenno di stupore nascere sul viso del bambino.

«E poi che è successo?» insistette lui, genuinamente invadente.

«A dieci anni mi hanno portato al tempio jedi, per essere addestrato. E non sono più tornato, fino ad oggi.»

Gli occhi di Temiri si velarono di lacrime. «Tu sei Ben, vero? Il compagno di Rey.»

Annuì e si protese verso di lui. «Non avvicinarti!» Gli intimò il piccolo spaventato e subito si bloccò.

Temiri era pericolosamente adiacente al precipizio, e sarebbe bastato un movimento falso per farlo cadere. Avrebbe potuto portarlo in sicurezza usando la Forza, se solo fosse stato un bambino normale. Ma il piccolo avrebbe potuto reagire in modo violento al suo tentativo di attirarlo, il suo gesto avrebbe potuto provocare una sua reazione uguale e contraria e spingerlo direttamente nel burrone. Doveva trovare un altro modo per convincerlo a spostarsi. Doveva cambiare strategia. «Perché non vieni più vicino?»

Temiri scosse la testa e si tirò ancora più indietro. I suoi piedi erano quasi giunti sul ciglio, alcuni pezzi di pietra si staccarono sotto il suo peso, precipitando nel vuoto. «Mi dispiace per te e Rey» mormorò col tono rotto dall'angoscia, «non volevo che accadesse, è stata tutta colpa mia.»

«Ti capisco, so come ti senti» lo rassicurò, «ma adesso devi starmi a sentire» cercò di metterlo a suo agio e distrarlo, non sarebbe stato facile farlo allontanare dallo strapiombo, ma per amore di Rey, e per farsi perdonare almeno una parte della sua stronzaggine, ci doveva almeno provare.

Temiri annuì, pulendosi le lacrime dagli occhi col bordo della maglia e tirando su col naso. In quel momento gli sembrò così fragile e sensibile, e gli fece quasi tenerezza. «Bene» assentì, felice che si fosse dimostrato ragionevole.

Nel frattempo erano sopraggiunti anche Finn e Rose, ansimanti per l'arrampicata, e gli si affiancarono sconvolti nel vedere il ragazzino in quella posizione. Fece loro cenno di non avvicinarsi ulteriormente e di restare in silenzio. La situazione era troppo rischiosa, qualsiasi passo falso avrebbe potuto provocare la reazione disperata e irrazionale di Temiri.

«Quando avevo la tua età, ero simile a te, avevo tra le mani un grande potere, ma non lo sapevo gestire, ero spaventato, lo usavo in modo istintivo e spesso combinavo dei guai» iniziò con cautela, «ero un pericolo per me stesso e anche per gli altri. E mi sentivo esattamente come te, un piccolo mostro incompreso che nessuno voleva avvicinare, con cui nessuno voleva giocare, ed ero terribilmente solo.»

Temiri lo ascoltava con attenzione ma, arrivato a quel punto, lo interruppe. «Ma io ho fatto delle cose orribili. E adesso non posso più rimediare» si sfogò disperato, mentre le lacrime sgorgavano copiose dai suoi grandi occhi arrossati.

«Le ho fatte anch'io credimi, e di sicuro più orrende delle tue. Perché non me ne parli?»

Temiri strizzò gli occhi e fu scosso da un singhiozzo. «Quelle persone, su Kalist VI erano cattive, volevano consegnarmi al Primo Ordine...» iniziò con timore.

«Continua...» lo incalzò, sperando che riuscisse a sfogarsi anche con lui.

«Ci avevano imprigionato e io... ho usato il potere per aprire la porta. Volevo solo scappare, ma uno di loro mi ha visto.»

«Bravo, stai andando bene. E poi cos'è successo?»

«Siamo fuggiti, ma un gruppo di assaltatori ci ha sorpresi e ci ha riportato in cella. Alcuni di loro ci hanno puntato addosso le armi e ci volevano uccidere. Ma l'uomo che mi aveva visto, si è fatto avanti e ha raccontato il mio segreto al loro capo. Voleva consegnarmi, in cambio della sua libertà.»

Pian piano tutto iniziava ad essere più chiaro. «E poi cosa ha fatto?»

«Quell'uomo voleva essere sicuro che dopo non lo avrebbero ucciso e lo avrebbero lasciato andare. Il capo degli assaltatori gli ha dato la sua parola e lui ha indicato me.»

«Come ti sei sentito in quel momento?» gli chiese, vedendolo tremare dalla paura nel rivivere la scena.

«Io ero terrorizzato, non riuscivo nemmeno a muovermi. Mi sentivo tradito, abbandonato. Ero arrabbiato.»

Annuì e gli riservò uno sguardo comprensivo. Indubbiamente Temiri era stato molto più sfortunato, nella sua breve esistenza. Lui aveva avuto la fortuna di crescere in una famiglia benestante e protettiva e, nonostante questo, era stato problematico. Quel ragazzino invece aveva sperimentato la schiavitù, l'abbandono, la fame e il tradimento, ed aveva dovuto affrontare tutto completamente da solo. Era già tanto che non fosse sprofondato nel lato oscuro ancora prima di iniziare l'addestramento con Rey. «Avevi ragione a sentirti così, ne avevi tutto il diritto.»

Temiri distolse gli occhi da lui e abbassò la testa, come se si stesse improvvisamente vergognando. «Uno degli assaltatori mi ha preso per un braccio e mi ha costretto ad usare il potere per dimostrare che ne ero capace, ma io non ho fatto niente. Mi ha picchiato con la sua arma, e mi ha preso a calci, ma io sono rimasto fermo. Si è convinto che non era vero niente e mi ha ributtato in mezzo a tutta quella gente. Ha detto che eravamo condannati a morte e ha aperto il fuoco, e anche gli altri assaltatori hanno fatto lo stesso.

Allora io ho chiuso gli occhi e ho spostato il corpo di quell'uomo cattivo davanti a me, quando è stato colpito mi è caduto addosso, e mi ha protetto. I colpi e le grida degli altri sono l'ultima cosa che ricordo. Mi sono svegliato sul letto di una nave ospedale e c'era Finn accanto a me.» Sollevò di nuovo lo sguardo verso di lui e pianse. «Sono morti tutti a causa mia, capisci?»

Ben scosse la testa e sorrise leggermente. «Se avessi manifestato i tuoi poteri, li avrebbero uccisi lo stesso, e tu adesso saresti nelle mani del Primo Ordine, perso nel lato oscuro» gli spiegò concentrato, «hai fatto l'unica scelta possibile. Sei stato molto coraggioso.»

«Non è vero. Il potere mi fa fare cose brutte. Ho fatto del male ad un mio compagno, l'ho quasi ucciso, e a Rey che mi stava aiutando. Io... io, non volevo. Ma la Forza è uscita fuori da me, all'improvviso, e ha distrutto tutto. Lei si è trovata in mezzo e si è fatta molto male. È colpa mia se ha perso il bambino» urlò, coprendosi il viso con le mani.

A quel punto Rose si intromise e la cosa gli diede molto fastidio. «Temi, ascoltami. Ben ha ragione, non sei tu il responsabile di tutto questo... devi ascoltarlo, allontanati da lì.» Si girò verso di lei e le riservò un'occhiataccia eloquente. Doveva chiudere la bocca se non voleva peggiorare la situazione.

Prese coraggio ed iniziò. «È stata solo colpa mia, invece» confessò, consapevole di dover esporre la parte più nascosta e vulnerabile di sé anche ai due ex ribelli, ma non aveva scelta, «tra me e Rey esiste un legame speciale. Quando è stata male io l'ho sentito, ad anni luce di distanza, ma ero troppo lontano e non sono arrivato in tempo. Se fossi stato lì, accanto a lei, avrei potuto salvare nostro figlio. Tra noi abbiamo anche questo potere. Non me lo perdonerò mai e vivrò con questo rimorso per sempre. Ma vedi... io, a differenza di te, credo di meritarlo. Non sono stato un jedi tanto buono. Adesso però avvicinati, ti prego.»

«Perché? Sei stato un jedi cattivo? Che significa?» gli chiese il piccolo, con un filo di voce, enormemente spaventato.

«Ti racconterò tutto, ti dirò tutto quello che vuoi sapere, ma prima prendi la mia mano, è molto pericoloso stare lì.» Si rese conto di non aver mai parlato a cuore aperto come in quell'istante, a quel ragazzino impaurito e confuso. Ma le sue parole non ebbero l'effetto sperato.

Temiri indietreggiò ancora di più, come se avesse timore perfino di lui. «Ho paura, Ben... ho paura di quello che potrebbe ancora succedere» mormorò tremando, il suo viso rigato di lacrime era deformato dalla sofferenza.

«Ti aiuteremo. Ti aiuterò. Ma tu adesso devi prendere la mia mano» lo incoraggiò di nuovo, in tono fermo, avvicinandosi lentamente, fissando i suoi occhi impauriti.

Il bambino arretrò ancora, mise il tallone sul bordo roccioso, un pezzo si staccò sotto il suo peso e perse l'equilibrio. Il suo corpo si sbilanciò e cadde all'indietro.

Ben agì d'impulso, corse verso il ciglio e si inginocchiò per sporgersi in sicurezza, allungò una mano verso di lui, allargò le dita e lo trattenne con la Forza, prima che si sfracellasse contro le rocce acuminate.

In quel momento drammatico si ricordò di un episodio avvenuto quando era ancora apprendista, il giorno della distruzione del tempio di Luke, e tre dei suoi compagni lo avevano inseguito per ucciderlo, credendolo responsabile. Aveva spinto Voe verso il burrone, durante lo scontro, ma se ne era subito pentito amaramente. Aveva cercato di impedirle la caduta, ma non era riuscito a trattenerla, la ragazza era precipitata di sotto atterrando malamente sul corpo di Tai. Da allora erano passati otto anni ed era diventato infinitamente più potente.

Il corpo di Temiri rimase sospeso a mezz'aria, era così piccolo e leggero e gli costò un minimo sforzo trattenerlo. Lo sollevò nel vuoto fino al livello della lingua di roccia e poi, lentamente, lo attirò al sicuro sulla piazzola.

Nel momento in cui rimise piede al suolo, Rose e Finn si avvicinarono per soccorrerlo, ma Temiri li ignorò completamente, gettandosi invece disperato su di lui, per abbracciarlo.

Quella reazione lo turbò fin nel profondo e si sentì piacevolmente frastornato. Ricambiò il gesto e lo strinse a sua volta.

«Ben mi dispiace... mi dispiace tanto» singhiozzò il piccolo disperato, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo, stringendosi a lui con forza, come se lo conoscesse da sempre.

«Va tutto bene. Sei al sicuro adesso» lo tranquillizzò, infilando una mano tra i suoi capelli chiari. Si rese conto di non essere il massimo nel dare conforto, ma il ragazzino pareva che non stesse aspettando altro che un suo gesto amichevole per affidarsi completamente a lui. Questo lo fece sentire straordinariamente bene, lo fece sentire importante, nonostante la sua anima fosse straziata da un dolore immenso.

In quel momento provò una strana sensazione. Temiri era molto diverso dalla visione che aveva avuto di suo figlio Han, anche se potevano avere più o meno la stessa età, eppure sentì di provare lo stesso profondo affetto anche per lui.

Rey aveva ragione, aveva sempre avuto ragione, ed ora si sentiva finalmente al suo posto: non avrebbe mai permesso che Temiri commettesse i suoi stessi errori, non lo avrebbe fatto sentire mai più solo e abbandonato a se stesso. Non avrebbe girato la testa di fronte al pericolo concreto della nascita di un nuovo Kylo Ren.

«Grazie Ben... » sentì pronunciare da Rose, e ne fu sinceramente felice. Finn non disse nulla, si limitò a riservargli uno sguardo in cui poteva scorgere un lieve accenno di gratitudine, ma riuscì a percepire attraverso la Forza, che il suo gesto verso Temiri lo aveva colpito positivamente. Magari non lo avrebbe amato alla follia, però era sicuro che aveva rinunciato definitivamente all'idea di fargli la pelle.

Si alzò in piedi, col bambino ancora in braccio, avvinghiato addosso come una piovra e si incamminò verso il sentiero che li avrebbe riportati a casa, seguito dai due ex ribelli.

Quando ritornarono alla villa, vide Rey da lontano che li stava aspettando impaziente, davanti al portone principale. Per fortuna si era tolta la sua maglia sbrindellata e si era vestita in modo più decoroso. Non appena la jedi si accorse del loro ritorno, gli corse incontro irrequieta.

Si fermò a poca distanza da lei con il bambino tra le braccia e le riservò uno sguardo sereno, addirittura fiducioso.

Rey gli regalò un sorriso lucente, pieno di speranza, anche se aveva il volto rigato di lacrime, un sorriso che non vedeva da moltissimo tempo, e poi si unì al loro abbraccio.

Continua...

______________

Note:

Ebbene sì, dopo aver visto la seconda parte del filmatino su Ben di Star Wars RollOut, non ho potuto fare a meno di schiaffare nel capitolo un ricordo di lui che salva le chiappe a padre incosciente e zio Chewbe. Era doveroso, anche perché è CANON (porcazzozzona ^^') e tutto ciò che è canon di Bennino mio bello <3 io lo spammo come se non ci fosse un domani B)

Idem per l'episodio in cui salva il culo a quella stronza invidiosa di Voe, che viene direttamente dal terzo numero di The Rise of Kylo Ren, per me ha fatto bene a farla precipitare, (e anche ad infilzarla come un cosciotto allo spiedo dopo) ma io sono una brutta persona, cattiva e perfida.

La faccenda di Kalist VI invece è tutta di mia invenzione (lo so non è un granché, ma mi serviva un evento drammatico per provocare i poteri di Temi).

Angolo dell'autrice che è arrivata agli sgoccioli ^^'

Eccoci qua, diciamo che questo capitolo rappresenta il clou della storia e, non a caso, è tutto dal pov di Ben... Scriverlo è stata una faticaccia immane e gli ultimi aggiustamenti li ho fatti stanotte (me tapina U_U). Insomma in questo capitolo si condensa un po' quella che è la mia personale visione di questo meraviglioso personaggio. L'animo di Ben è fondamentalmente buono, però non disdegna la stronzaggine quando ce vole XD. Spero di averlo reso al meglio, ho sempre paura di farlo sembrare un cretino, patetico, o troppo sdolcinato Y.Y Ecco, quello è che ammiro immensamente di lui è che conserva un granitico decoro, anche nella sofferenza più intensa, ma quando è con Rey riesce a lasciarsi andare e mostrare la parte più fragile di sé.

So che a qualcuno non è piaciuta la piega che ha preso questa storia, ma io sono fatta così, mi piace rendere le mie storie il più vere possibili, mi piace provocare i personaggi con dei drammi veri per farli crescere e maturare. D'ora in avanti, ci sarà un cambio di rotta e il tono dei capitoli sarà più leggero, (però non vi dico di mettere via i fazzoletti perché ci sarà ancora qualche momento topico) fin verso l'inesorabile conclusione... ho ancora qualcosina da dire su questi poveri disgraziati innamorati stellari, quindi aspettatevi ancora qualche capitolo, affinché la visione della storia sia completa, infatti, alcune cose si capiranno solo nell'epilogo.

Besitos

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