Capitolo 4

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng


Il 6 Maggio era finalmente arrivato.

Di buon'ora e con l'aiuto di Clarisse, un nuovo acquisto di Madame Le Blanche, si preparò. Il pacchetto, contenente il regalo per la piccola Amelia, era stato incartato già da qualche giorno. Vi aveva incastrato, tra due nastri celesti, una rosa bianca che aveva colto dal giardino del bordello. Era certa che il suo regalo le sarebbe piaciuto molto. Non ne aveva fatto parola con nessuno, neanche con Leonard che era venuto in visita a City Island la sera prima, per discutere degli ultimi preparativi. Non era una sorpresa per nessuno, neanche per Amelia stessa. Ma felice sarebbe stata la sua espressione nel vedere il regalo che i due fratelli, chi vicino e chi lontano, avevano preparato per lei.

Scelse un abito semplice, di giorno, senza fronzoli o bagliori inutili. Un verde petrolio che le dava un'aria austera, quasi come quella che aveva dipinta Madame ogni giorno sul viso. Maniche larghe le sue, un poco riempite, anche se lo sbuffo era passato ormai di moda, e camicetta in tinta abbottonata sino sotto al collo. Sembrava veramente un'educanda dei tempi andati. La chioma mossa era lasciata libera sulle spalle e teneva solo due ciocche acconciate dietro la testa, tenute ferme da un fermaglio dorato a forma di corona impreziosito da pietre dure di giada. Un regalo di uno dei suoi ultimi clienti, prima della conoscenza con Samuel. Con il viso rinfrescato dall'acqua di rose e un delicato profumo francese al collo, uscì dalla stanza armata solo di pacchetto regalo.

Scesa le scale vide una grande agitazione tra le ragazze. Per essere appena mezzodì erano fin troppo in movimento e solitamente, a quell'ora, erano ancora ai sonni profondi visto che il bordello non era attivo se non dopo le due del pomeriggio. Gridolini eccitati, sguardi sognanti e occhiate curiose si alzavano per la sala, rivolte in un punto ben preciso. La luce filtrava dalle finestre e, al vetro, riuscirono a rivelare a Raissa una chioma dal rosso scuro, nascosta da un turbante blu acceso con una pietra azzurra posta a reggerlo. Seduta su un divanetto rosso dall'aspetto ottocentesco c'era una donna anziana, che vestiva come una zingara. Gonna dall'orlo stracciato e infangato, corpetto rovinato e dai lacci spezzati, maniche basse che lasciavano scoperte una proporzione di spalla dalla pelle rugosa, occhi piccoli e scuri, scavati e segnati dal suo stile di vita, sorriso sdentato. Solitamente le persone come lei venivano emarginate dai commercianti, passanti e persino dai pescatori. Sembravano tutti temere quella povera donna anziana che aveva appeso un cartello sul viso che recitava chiaramente la parola aiuto.

Povera donna. Pensò subito Raissa, colpita dal modo in cui conversava con le ragazze. Prendeva loro la mano e leggeva il loro futuro con doti che un tempo erano etichettate come maledette. Raissa, però, non aveva paura di lei. Non aveva paura della donna, né di ciò che avrebbe potuto ipoteticamente dirle. Dopo le sue grandi disavventure, l'essere sbattuta -nel vero senso della parola- a destra e manca per l'America prima di giungere lì a City Island, sentiva che niente più potesse turbarla o colpirla. Come le favole che le raccontavano da bambina, presto avrebbe trovato il suo lieto fine e mai nessuno dei suoi figli o nipoti avrebbe saputo la facciata lugubre e nera che c'era dietro. Dal giorno in cui aveva incontrato Samuel aveva imparato ad amare la vita, a rispettarla, e ad alzarsi sempre col sorriso sulle labbra anche quando fuori il cielo era grigio e con nuvole cariche di pioggia. La tempesta nel suo cuore era cessata ed era quella a farle più paura. Arrivata la quiete, non temeva più nulla.

Ripresasi dal suo stato di dormiveglia da ricordi che avrebbe preferito dimenticare, Raissa lanciò uno sguardo a Madame Le Blanche, che diversamente dalle ragazze se ne stava in disparte a fumare. La maitresse ricambiò il suo saluto con un sorriso benevolo e così la ragazza avanzò verso la porta principale, senza curarsi delle altre troppo indaffarate a sognare le predizioni dell'anziana zingara. Leonard gli aveva detto che sarebbe passato a prenderla, dopo aver accompagnato i genitori al ristorante dove avevano appuntamento.

"Raissa! Raissa, vieni anche tu!" Urlò Betty, la più svampita delle ragazze del bordello, ma anche la più simpatica. Colei che ripeteva, ad ogni cliente con la quale stava, che non faceva la prostituta di professione, o almeno non l'avrebbe fatto sempre, ma era un'attrice di prosa.

Raissa sospirò, desiderando con tutta sé stessa uscire in strada e prendere una boccata d'aria, piuttosto che stare lì a sentire un'anziana zingara che, per quanto la intenerisse, non credeva ad una sola parola da lei detta. "I Putnam mi aspettano, Betty, sarà per un'altra volta."

"Sciocchezze! L'auto di tuo cognato non è ancora arrivata. Vieni, dai! Del resto, non si dà fretta alla perfezione, no?" E le fece l'occhiolino, facendole cenno di avvicinarsi a sentire anche lei.

A che serviva, dunque, continuare a dirle di no? Come gli aveva detto, l'auto di Leonard non era ancora fuori dal cancello e poteva concedersi solo due minuti. Soltanto due. Stringendo in grembo il pacchetto regalo per Amelia, Raissa fece due passi indietro e andò verso destra, proprio dinanzi ad uno dei quadri più vecchi del bordello: L'origine du monde, dell'artista francese Gustavo Courbet. E per quanto Madame continuasse ad insistere che fosse l'originale, Raissa era tutt'oggi convinta che si trattava solo di una ben fatta imitazione.

Quando la russa si avvicinò al gruppetto, la zingara sollevò i suoi occhi -quasi spariti nel viso dalla pelle raggrinzita- e li piantò nel volto ancora fresco e giovane della ragazza. "Ma che bella fanciulla! Non sei americana, vero?"

"Ho la cittadinanza anche qui in America, ma sono originaria di Pietrogrado." Rispose, cercando di mantenere la mente al presente e di non riportarla nuovamente indietro nel passato.

Il volto della zingara parve illuminarsi, assumendo un'espressione simile a quella di una madonnina in una chiesa. "Ah, Pietrogrado!" Esclamò sognante. "Peterhof, Ermitage, canale Griboedova, il palazzo d'inverno. Che meraviglia il luogo d'origine vostro! Dopo l'America, la Russia è senz'altro il posto in cui preferirei vivere e morire." Un dì anche Raissa aveva provato un desiderio simile. Lieta d'esser nata in una ricca città come Pietrogrado, aveva auspicato di invecchiare in una casa isolata e morire lì, esser sepolta accanto ai suoi cari. Ma egli ora riposavano nel mare, distruggendo in poco tempo l'unica ambizione che una ragazzina di sedici anni poteva provare. Ricordava ancora, però, in uno stretto angolino del suo cuore, tutti i luoghi citati dalla zingara. Dalla reggia al palazzo d'inverno, passando ovviamente per la prospettiva Nevskij. Gli occhi si fecero lucidi ma fortunatamente fu noto solo alla diretta interessata e alla zingara.

"Sì... è una bella città." Anche se aveva slegato il nodo che la teneva legata alla Russia, anche a Raissa capitava di sentire della malinconia, qualche volta. Samuel aveva promesso che, a guerra conclusa, sarebbero andati lì per fare una piccola luna di miele. Contava in quel sogno che gli sembrava dietro l'angolo, ma ancora troppo distante come se questo fuggisse in continuazione.

"Saresti felice di tornarci?" Le chiese la zingara, con un tono simile a quello di una madre verso un figlio. Colmo d'affetto.

"Ovviamente. Il mio fidanzato mi ha promesso di portarmici, dopo il matrimonio." A conclusione di quelle parole un sospiro sognante si alzò accanto a lei, partito da ogni ragazza che la circondava.

"Ah, che fortuna che hai Raissa! Io con un uomo come Samuel Putnam andrei anche all'inferno." Cinguettò una.

"Già. Un bellissimo soggiorno!" Cinguettò un'altra, ridacchiando assieme alle altre.

Raissa si accontentò di sorridere. Non vi era rivalità alcuna tra le ragazze del bordello, si aiutavano sempre l'un l'altra e, proprio come sorelle, erano sempre pronte a difendersi a vicenda. Quando Raissa aveva messo piede lì, per la prima volta, si era sentita un pulcino impaurito, colto di sorpresa da un temporale. E proprio come tale si era presentata alla porta di Madame Le Blanche, zuppa dalla testa ai piedi, affamata e stanca. Ognuna delle ragazze lì presenti, escluse quelle arrivate dopo, l'aveva aiutata a rimettersi in piedi e, senza un posto dove andare, aveva accettato di rimanere. Con riluttanza aveva ceduto alla vita di prostituta ma per lei, venuta da una terra così lontana, c'era posto solo per quello. Senza contare che l'unico fruttivendolo che le diede un posto di lavoro cercò di approfittarsi di lei, durante l'orario di chiusura. Allora aveva detto basta ed era tornata nel bordello, giurando a sé stessa di non uscire più da quelle alte e protette mura.

La zingara sbatté gli occhi dalle lunghe ciglia scure. "Vogliamo dare un'occhiata ai tempi?" Chiese tendendo le mani a coppa.

Raissa guardò un attimo le altre ragazze che annuivano. Alcune, da dietro, la incoraggiavano a darle la mano per fargliela leggere. "Non penso sia una buona idea."

"Dai, Raissa! Che ti costa? Ci vorrà solo un momento." Le disse una delle ragazze, cercando di afferrarle il braccio che rimaneva saldo lungo il fianco.

"Qui qualcuno ha paura del proprio destino. Non devi, cara." Disse la zingara, osservando la ragazza con sguardo paziente e benevolo.

Raissa non aveva paura ma aveva subito abbastanza, nel corso degli anni, da non volerne sapere più del suo destino. La sua ruota aveva iniziato a girare per il verso il giusto il giorno in cui aveva incontrato Sam. Lui era il suo destino e attendeva con ansia il giorno in cui l'avrebbe riabbracciato.

"No, davvero. Mi scusi ma sono in ritardo." Rispose la russa, sottraendosi ancora una volta a quel rito che, per le ragazze, sembrava più un divertimento per far passare le ore e ammazzare la noia. Fece qualche passo indietro, sperando di sentire il clacson dell'auto di Leonard. La sua unica e vera salvezza. Ma ciò non accadde, anzi... le ragazze sembravano più agguerrite che mai a non lasciar scappare Raissa.

"Su via, codarda! Guarda che la zingara non ti mangia! Non sei curiosa di sapere tra quanto il tuo Sam tornerà? Pensaci. Ci possono volere giorni, settimane, mesi o addirittura anni!" La incitò con fare teatrale Betty, posizionatasi alle sue spalle per sbarrarle la strada.

Raissa tornò a guardare la zingara, ancora con le mani tese e unite. Niente clacson all'orizzonte, niente auto che sostava fuori dal cancello. Sospirò, avanzando di due passi per giungere alle mani dell'anziana indovina. La sua era molto più piccola, dalle dita più fine e delicate. Si vedeva lontano un miglio che le sue erano mani ben curate, che ogni sera immergeva in un catino di acqua e limone per rafforzare le unghie. In seguito, una volta asciutte, applicava una crema di papaveri che le aveva fatto scoprire la stessa Betty. Da allora, il dorso, appariva più setoso. Nessun bagliore di gioiello a nessuna delle sue dita. Ma ben presto, si ripeté mentalmente, ne avrebbe avuto uno da far invidia a quello delle dive del cinema.

La zingara osservò le linee della mano della russa, percorrendo con l'indice tozzo e grosso ogni segno che potesse aiutarla in una possibile previsione. Ci furono minuti di silenzio, in cui tutte le ragazze, Raissa compresa, trattennero il respiro. Alla giovane parve di scorgere, di sfuggita, anche Madame guardare l'indovina con impazienza. La russa tornò a concentrarsi sul turbante della zingara, mentre arrivarono le sue prime parole.

"Il tuo passato è stato parecchio burrascoso. La linea della vita si è interrotta più volte ma... vedi? Sei rinata grazie all'amore. Te ne nutri ogni giorno e non attraverso i tuoi clienti, ma attraverso un bel ragazzo dalla divisa militare. Egli ora è in viaggio. Riesco persino a sentire le onde del mare, fanciulla, e un sussurro nel vento. È lui che chiama a gran voce il tuo nome." L'espressione soave e felice mutò ben presto in una tesa e preoccupata. "Ma per ogni rinascita c'è una morte che attende. La linea della vita qui, in questo punto, si è spezzata di nuovo. Se non è ancora successo... si spezzerà molto presto."

Raissa si ipnotizzò sul colore del turbante dell'indovina, mentre le sue parole funsero da incenso rilassante. Sbatté le palpebre. Che aveva detto? Ah, sì. La linea della vita si interromperà ancora. Sbarrò gli occhi. La sua sofferenza, dunque, non era ancora giunta al termine?

Samuel. Non seppe dire nulla, non seppe commentare quella previsione con l'entusiasmo che sperava. Torna presto, ti prego. Uno strano presentimento prese a farsi strada dentro di lei. Il mare, le onde alte, e lui in mezzo a loro che chiedeva aiuto, che implorava il suo nome. Riusciva quasi a sentirlo.

Poi un suono e nulla più. Il clacson tanto atteso, ma non apparteneva alla macchina di Leonard, bensì ad un cliente arrivato in largo anticipo. Raissa deglutì, ritirando la mano come se si fosse scottata. "G-grazie." Riuscì a dire solamente. Stringendosi più a sé il pacchetto regalo, si allontanò in modo rapido, affinché nessuna potesse di nuovo fermarla.

Fuori dal bordello chiuse gli occhi. Respirò a pieni polmoni l'aria che già sapeva di mare. Ancora mare. Pulito, erba tagliata, fontane zampillanti d'acqua limpida come quella del cortile. Fu seduta sul bordo di questa che attese Leonard, mentre un pensiero negativo alleggiava dentro di lei. Pensava di aver abbandonato la nuvola nera della disgrazia anni fa ed invece osava ripresentarsi di nuovo nella sua vita.

Fece un secondo respiro profondo. Doveva solo attendere. Era certa che, verso la fine della seconda settimana, Samuel le avrebbe mandato un nuovo telegramma dove le annunciava il suo rientro a Riverdale. Tornò ad immaginarsi i festeggiamenti del suo ritorno, i preparativi delle nozze, il suo trasferimento definitivo nella residenza Putnam, e il suo abito da sposa, bianco come i petali della rosa che decorava il pacchetto regalo che stringeva tra le mani. Bianco come le nuvole che decoravano il cielo azzurro. Bianco come il suo cuore e l'amore che provava per Samuel, il suo eroe.

****

"Posso aprirli adesso?"

"Ancora un secondo. Tienili chiusi."

Non nascondeva che faceva molta fatica a farlo. Il fatto di non poter vedere cosa accadeva attorno a lei le dava un senso di impotenza, senza il tatto della vista si sentiva persa. Era come addentrarsi in un bosco pieno di sentieri senza una bussola per potersi orientare. Amelia teneva le sue palpebre serrate con forza, perché la voglia di aprirle era molto forte ma dall'altra parte era curiosa.

Leonard non si era lasciato andare a molti dettagli. All'alba aveva bussato alla sua stanza, svegliandola con un bacio sulla fronte. Non appena aveva aperto gli occhi, ancora impastati dal sonno, si era vista il viso sorridente del fratello che le augurava buon compleanno. Poi le aveva scostato le coperte e a niente erano servite le sue proteste. Era il suo compleanno, buon cielo! Poteva dormire più del dovuto? Evidentemente no.

"Forza, dormigliona! Non sei curiosa di vedere il tuo regalo?" Amelia gli aveva lanciato un'occhiata interrogativa, senza parlare. Leonard era uscito dalla stanza, strizzandole l'occhio con fare complice. "Ti aspetto di sotto."

Ed ora si trovava lì. Riusciva a sentire l'aria calda che si respirava all'esterno, l'ombra ripararla dal sole, segno evidente che doveva trovarsi sotto qualcosa. Un edificio aperto? Una grande quercia? Per essere curiosa lo era, ma di quel passo l'avrebbe divorata per intera. L'odore del grasso e dei motori le pizzicava le narici. Cercò di reprimere un sorriso, perché forse aveva intuito dove si trovava e mentalmente iniziò a conteggiare quanti passi avesse fatto da casa sua fino a quel luogo misterioso.

"Posso aprirli adesso? Per favore, Leonard." Lo supplicò lei.

"Un attimo solo." Amelia sentì una presenza accanto a sé. "Aprili." Disse Leonard, liberando la sorella da quella evidente tortura.

La bionda aprì le palpebre proprio nel momento in cui Maurice, all'angolo del suo garage, levò un grande telo rivelando quello che doveva essere il suo regalo. Amelia sbarrò gli occhi, coprendosi la bocca con le mani. Via via che prendeva considerazione di ciò, iniziò a saltellare, manifestando la sua sorpresa e la sua gioia. "Non posso crederci!" Urlò allegra, lanciandosi poi in braccio a Leonard che l'afferrò al volo. "Grazie, fratellone! Grazie!"

"Sappi però che è stata un'idea anche di Samuel. Economicamente ha contribuito anche lui." Le fece presente, spostando lo sguardo sul modesto ma affascinante modello di Fokker E.I, il caccia di punta che usavano in quel periodo di guerra. Gli era ancora sconosciuto come Maurice era riuscito ad ottenere il progetto realizzato in Germania e, per di più, di come era riuscito a personalizzarlo per renderlo più pratico ma ciò che contava di più era la felicità sul volto della sorella. Sapeva che gli sarebbe piaciuto e anche Sam era stato dello stesso parere.

"Gli invierò un telegramma per ringraziarlo. Oh, non posso credere ai miei occhi!" Esclamò ancora gioiosa, lasciando il fratello lì per avvicinarsi al monoplano dalla vernice fresca, di un marrone scuro come la corteccia di un albero. Nel guardarlo, Amelia riusciva quasi ad immaginare ogni suo meccanismo all'interno. Motore Oberursel U.0, una potenza di almeno 59 watt, e velocità di prestazione pari a 132 km/h, e in salita ad almeno 2.000 m in soli quindici minuti. "Wow!" Esclamò ancora, sfiorando la fiancata con una mano.

Solo in quel momento, guardandolo più attentamente, notò che vi era un particolare interessante, quasi personalizzato. I tedeschi erano soliti dipingere una croce nera al centro del modello, al suo vi era solo un grande giglio bianco, contornato da un leggero verde lime. Stampa esattamente uguale a quella del suo vestito: bianco, tempestato di gigli gialli contornati dalla stessa tonalità di verde del velivolo. Amelia non credeva che si trattava di una coincidenza. Suo fratello la conosceva bene e sapeva che quell'abito lo indossava solo per le occasioni speciali.

"Posso provarlo?" Osò chiedere lei, lanciando uno sguardo al fratello. Quest'ultimo stava per dire qualcosa -dall'espressione probabilmente una risposta positiva- ma intervenne Mrs. Putnam, apparsa sulla soglia del garage con il marito, anch'essi vestiti in modo elegante e impeccabile.

"No, cara. Abbiamo almeno venti minuti di strada da fare, senza contare che Leonard deve andare a prendere anche la... signorina Kovic." Mrs. Putnam si lasciò andare ad una leggera tosse nervosa, beccandosi un'occhiataccia da parte del figlio. "E bada bene, io e tuo padre abbiamo accettato ad una sola condizione: prima di lasciarti pilotare da sola questo... coso, tuo fratello dovrà farti un po' di scuola. Mi sono spiegata?"

Ecco. Troppo bello per essere vero. Amelia alzò gli occhi al cielo. "Certo, madre."

Leonard si avvicinò a sua sorella, che aveva già messo il broncio per la risposta negativa alla sua richiesta, e le sorrise, aggiustandole lo scialle crema che avvolgeva il collo e copriva parte della profonda scollatura dell'abito. "Ti prometto che domani mattina ti faccio fare un giro. Sei abbastanza magrolina e in due penso che ci stiamo. Va bene? Fammi un sorriso." Le disse lui, puntandole gli occhi addosso. Non voleva che quella giornata andasse storta, anche per il più banale dei capricci. Sua sorella doveva avere sempre la risata sulla bocca.

Amelia annuì, sfoderando un piccolo sorriso.

Soddisfatto, Leonard le diede un buffetto sul naso. "Ora andiamo." E la fece mettere sottobraccio a lui.

Prima di andarsene, però, Amelia ringraziò con gratitudine anche Maurice che si era occupato di tutto. Dal progetto arrivato non si sa come dalla Germania, alla realizzazione -con qualche modifica- del monoplano. Il tutto in sole due settimane. Quell'uomo era pieno di sorprese. L'aveva sempre saputo.

Un piccolo ristorante che si affacciava sul mare di City Island era il luogo d'incontro per i pochi invitati di quel giorno di festa. A parte la presenza di zia Evelyn Putnam, venuta direttamente dal centro di New York, Amelia notò con sorpresa e allegria che vi era anche Jennifer Kelly, la capo infermiera che aveva conosciuto pochissimi giorni fa. Quando chiese spiegazioni a Leonard, quest'ultimo si limitò a dirle che forse, la loro severissima madre, stava valutando l'ipotesi di far fare alla bionda un corso da infermiera. Ma restava ancora una ipotesi campata in aria. Suo fratello entrò proprio accompagnato da Raissa, che era andato personalmente a prendere al bordello dove viveva. Ancora per poco, a detta proprio del giovane Putnam.

C'erano poche persone nel modesto ristorante. Dove era seduta la sua famiglia c'era un'intera parete a finestra, che faceva godere della vista del mare a chiunque entrava dalla porta principale. Erano tutti eleganti e immersi in una fitta conversazione in un tavolo dove c'erano più donne che uomini. Alle spalle della festeggiata, le onde del mare si abbattevano violentemente sugli scogli. Sembrava inquieto, sotto un cielo che non presentava alcuna nuvola carica di pioggia. C'era solo un caldo e opprimente sole ad illuminare l'isola. Dopo sarebbe scesa sulla spiaggia e, tolta le scarpe, avrebbe camminato sulla riva e, guardando all'orizzonte, avrebbe rivolto un saluto da lontano all'unico componente della sua famiglia assente.

Prima di iniziare a mangiare, con la stessa vivacità di un bambino il giorno di Natale, Amelia aveva insistito per scartare i doni che le avevano portato. Jennifer aveva puntato su qualcosa di sicuro: un libro. Un tomo di ben cinquecentoventi pagine che trattava argomenti legati alla medicina in generale e alle mansioni delle infermiere. Nel darglielo, la bruna le aveva strizzato l'occhio, come a farle intendere che prima o poi le sarebbe tornato utile. Amelia l'abbracciò, ringraziandola. Poi toccò alla zia Evelyn, che aveva puntato sulla bellezza regalandole un abito bianco con delle farfalle azzurre. E infine fu il turno di Raissa. Il suo regalo lasciò tutti un po' spiazzati, ma non la festeggiata. Anche lei aveva deciso di puntare su qualche regalo in fatto di abbigliamento ma in modo diverso.

"Era uno degli ultimi." Spiegò la donna, mentre Amelia aveva gli occhi puntati sul reggiseno contenitivo, che andava molto di moda per quel tempo. Ma con una madre come Mrs. Eleanor Putnam la parola progresso non poteva neanche sperare di entrare nella loro casa. Aveva sempre combattuto con il genitore per fargliene avere uno, ma la donna si imputava dicendo che non aveva bisogno di una cosa così sconveniente. E infatti la sua espressione alla vista del regalo era un tutto dire. Leonard osservava la scena divertito, così come Jennifer, zia Evelyn e Mr. Putnam. Amelia, invece, dovette trattenersi dal non scoppiare a ridere. Si limitò a piegare le labbra in un sorriso vittorioso.

"Grazie mille, Raissa." Rispose, ripiegando il reggiseno nella busta regalo e abbracciando la donna.

Sua madre aveva ancora il viso scandalizzato quando iniziarono a portare i primi piatti.

La giornata di sé trascorse tranquilla. Jennifer iniziò a parlare con Mrs. Putnam di ciò che si provava a fare la vita di un'infermiera e tutti quanti le prestarono orecchio. Essere a disposizione del più bisognoso era qualcosa di indescrivibile, che ti metteva costantemente alla prova. Un'infermiera non aveva ideali politici. All'occorrenza doveva occuparsi anche del più peggiore dei nemici, anche di un tedesco ferito se solo questo si sarebbe presentato all'ospedale. Jennifer Kelly portava avanti con ardore e passione il suo ideale politico di infermiera, che non escludeva nessuno e che niente aveva a che vedere con le sparatorie al fronte. Leonard, per tutto il tempo, l'ascoltò con molta attenzione. Più volte fu d'accordo con lei, altre volte meno. Senza accorgersene, entrambi, avevano iniziato una conversazione su quelle che sarebbero state le decisioni dell'America circa la guerra che si combatteva in Francia.

"All'inferno giacchierà quando il presidente Wilson prenderà una decisione." Affermò Jennifer con rabbia non celata.

In effetti, quello era il pensiero di molti. Quando sarebbe arrivato il momento in cui l'America avrebbe dato il suo contributo? Nessuno sapeva darsi una risposta. Neanche Mr. Putnam che, da giornalista, avrebbe avuto le prime notizie riguardanti le decisioni del presidente degli Stati Uniti. Fino al Maggio del 1915 tutto taceva. Era come se non fosse successo niente, come se l'Inghilterra non stesse sanguinando. L'America era sorda ai bombardamenti e alle perdite nel campo militare inglese.

"Sono certo che non appena tornerà Samuel le cose cambieranno." Affermò Leonard con convinzione.

Non era stato mandato a Liverpool proprio per quello? Non era stato costretto a separarsi ancora una volta dalla famiglia per il proprio dovere verso la patria? Amelia era certa che il suo ritorno avrebbe contribuito a dare una spinta alla nazione per la decisione definitiva: entrare in guerra. Wilson non poteva restare a guardare per sempre.

Amelia si strinse al braccio del fratello in modo protettivo. "Non ti verrà mica in mente di arruolarti, vero?"

Leonard le sorrise in modo rassicurante, accarezzandole la testa con fare fraterno. "Tranquilla, Lelia. Lascio a nostro fratello questo compito. Di eroe in famiglia ce ne basta uno." Rispose, quasi celando una ironia mal riposta.

Raissa li guardava con affetto, rivolgendosi alla fanciulla non appena quest'ultima colse il suo sguardo. "Cosa ti ha regalato tuo fratello, Amelia?" Chiese curiosa, volendo cambiare discorso a tutti i costi. Era al corrente della commissione del velivolo ma non voleva pensare al suo fidanzato imbarcato all'inizio del mese.

Gli occhi della piccola di casa Putnam si illuminarono al solo pensiero del dono che i suoi fratelli le avevano fatto. "Un bellissimo biplano! Raissa, ci pensi? Io volerò nel cielo come un qualsiasi uccello o come i piloti in guerra! Mi sembrerà di dare il mio contributo, stando lassù." Esclamò gioiosa la piccola biondina.

Leonard le scompigliò i capelli. La gioventù. Pensò istintivamente. Gli piaceva vederla così spensierata e cosa non avrebbe fatto per vedere quell'espressione ogni giorno sul suo volto. Ce l'avrebbe messa tutta. Non garantiva la riuscita della sua missione ma ci avrebbe messo il maggiore impegno.

Mrs. Putnam alzò gli occhi al cielo sentendo il delirio della figlia, mentre Mr. Putnam condivideva quella felicità infantile insieme ai suoi ospiti, specialmente con la sorella Evelyn. E fu proprio quest'ultima che, rimasta vedova alla sola età di trentanove anni, espresse la sua opinione: "Siete sicuri che possa essere una eccellente infermiera? Io la vedo più come una piccola guerriera."

"Oh, Evelyn! Non mettertici anche tu a metterle strane idee in testa, ti prego." Esclamò Mrs. Putnam, quasi al limite della sopportazione. "Si trovasse un buon partito piuttosto." Ancora una volta sua madre ricominciava con la storia del matrimonio, del buon marito e della buona moglie. Amelia era certa di non sopportare una parola di più ma soppesò le parole della zia.

Io la vedo più come una piccola guerriera.

Quanto si sbagliava! Le donne non avevano il permesso di arruolarsi, era qualcosa che toccava solo ai componenti maschi della famiglia. Solo Dio sapeva, in realtà, quanto le sarebbe piaciuto seguire le orme di suo fratello Sam, stare sotto i suoi ordini e abbracciare un'arma per guardargli le spalle in battaglia. Un po' come quando era ancora una bambina, quando si faceva male alle ginocchia e puntualmente c'era uno dei suoi fratelli a soccorrerla. La sorte si sarebbe mai capovolta? Un giorno sarebbe stata lei a prendersi cura di loro esattamente come avevano fatto con lei? Fin quando le leggi non cambiavano non poteva aspettarsi molto. Poteva concedersi il lusso di volare, però. Quello non poteva toglierglielo nessuno. Sopra quel cielo, tra le nuvole, poteva sentirsi libera da qualsiasi legge che le imponeva di restare a casa, che le imponeva di avere un uomo al proprio fianco. Nel cielo non c'erano differenze tra uomo e donna. Lì era solo Amelia. Una donna senza cognome, senza imposizioni e senza doveri. Nessuno le poteva dire come comportarsi o cosa doveva fare. Lì era solo lei con il suo biplano. E l'indomani avrebbe avuto il suo primo volo! Tremava dall'eccitazione al solo pensiero.

"Madre, vi supplico, non ricominciate." Disse in modo di preghiera Leonard, stringendo la mano della sorella seduta al suo fianco.

Amelia non rispose all'ennesima provocazione di sua madre, preferì cogliere lo sguardo di zia Evelyn. Una donna che la fanciulla aveva sempre etichettato come moderna. La sorella più piccola di suo padre vantava un grande talento nella pittura. Talento che l'aveva portata a viaggiare tra New York, Parigi, Madrid e la bella Italia, tra cui figuravano Firenze e Roma tra le principali città visitate dalla donna. Un animo pieno di creatività e idee nuove. Idee che Mrs. Putnam non avrebbe mai capito, venendo da una famiglia antica e severa come quella doveva viveva prima di incontrare Mr. Daniel.

Era una bella donna sua zia. Aveva dei lunghi capelli neri ondulati, la pelle bianca che sembrava di porcellana e due grandi occhi verdi che sapevano guardare ben oltre le apparenze, ragion per cui non era apparsa scandalizzata quando aveva saputo che suo nipote si era fidanzato con una prostituta. L'unica scioccata per quella storia risultava essere ancora Mrs. Putnam.

Anche quel giorno di festa non si era risparmiata un'occhiata disgustata alla vista della giovane e futura nuora. Prontamente, però, Leonard le lanciava un'occhiataccia come se fosse una spada pronto a difendere la donna. Tutti i componenti della sua famiglia l'avevano accettata, perché sua madre faticava tanto? Perché non riusciva a vedere cosa c'era dietro la maschera di quella ragazza che si era ritrovata in mezzo alla strada quando era ancora una bambina? Una ragazzina che si era ritrovava a sacrificare la sua innocenza per potersi concedere un pasto caldo e un tetto sopra la testa. Leonard si era ritrovato ad osservare ogni movimento di Raissa, durante il pranzo. Il modo in cui rideva, quando scambiava qualche parola con sua zia Evelyn, il modo in cui mangiava e il modo in cui si relazionava con gli altri. Iniziava a capire sul serio perché Sam era così attratto da lei al punto da sposarla. Al contrario di Mrs. Putnam, nessuno si lasciava influenzare troppo dalla professione svolta da Raissa. Loro la vedevano per com'era realmente: una donna fatta e finita, con una brutta storia alle spalle ma con una grande forza di rialzarsi e combattere. Ed era proprio la forza e l'amore che aveva per Samuel a tenerla in piedi, a non crollare ogni qual volta non riceveva un telegramma da parte dell'amato. Perché lei sapeva che, ovunque egli fosse, la portava nel cuore.

Prima dell'arrivo della torta, Mr. Putnam e Leonard si erano allontanati verso un balcone per fumare un sigaro, una sorta di pausa dall'ingombrante pranzo appena consumato. La capo infermiera parlava insieme ad Amelia accanto al pianista che aveva iniziato ad intrattenere i pochi clienti -a parte loro- nella sala con una piacevole performance. Mentre Mrs. Putnam, seguita dalla zia Evelyn, si erano addentrate nelle cucine per chiedere informazioni circa il taglio della torta e come procedevano gli ultimi ritocchi. Raissa era scesa in spiaggia e, con le scarpe penzolanti in una mano e le braccia al petto incrociate, osservava il mare muoversi sinuoso dinanzi a lei.

"Dovresti fare più attenzione." Lo intimò suo padre, arrivandogli alle spalle.

Leonard si voltò verso di lui con un sopracciglio alzato, togliendo il sigaro dalla bocca e tenendolo stretto in due dita. "Cosa?"

Daniel Putnam rivolse al figlio uno sguardo complice. "Avanti, figliolo. Non nascondere ciò che è evidente anche ad un cieco che vede tramite le percezioni. Ti piace quella donna, vero?"

"Ma cosa vai a pensare? È stata Amelia a dirtelo?" Cosa gli aveva detto a proposito di smetterla con determinate sciocchezze? Era ovvio che si era lasciata scappare una parola di troppo con qualche membro della servitù.

"L'hai appena confermato tu, Leonard. E no, non è stata Amelia. Ti ricordo che sono stato giovane anche io e so cosa può scatenare una bella donna in un ragazzo, specialmente se è libero da ogni legame. Cosa che non si può dire della donna in questione." Mr. Putnam tirò fuori dalla bocca una nuvola di fumo che sapeva di vaniglia.

Leonard si accigliò. Cos'era? Ora anche suo padre ci si metteva a fargli la predica? Scosse la testa. "Ti sbagli." Vi sbagliate tutti. "Ho promesso a Samuel di prendermi cura di Raissa fino al suo ritorno. Tutto qui." Rispose, tornando ad osservare la figura di spalle della donna, sotto di lui.

Mr. Putnam seguì lo sguardo del figlio, piegando le labbra in una smorfia non proprio convinta. "Sarà meglio che sia così, figliolo. In questo modo sarà meno doloroso quando Sam tornerà. Anche se io e te sappiamo che non è come dici tu. Il modo in cui l'hai guardata per tutto il pranzo, il modo in cui regolarmente le fai visita ogni due giorni. Puoi rifilarmi tutte le scuse che vuoi, Leonard, ma so la verità. È la verità è che Raissa ti attrae in un modo così spaventoso che persino tu hai paura di questi sentimenti." Daniel lanciò uno sguardo nella sala e vide che due camerieri iniziarono a portare una torta di compleanno al loro tavolo. Rientrando, mise una mano sulla spalla del figlio, ottenendo l'attenzione di quest'ultimo. "L'amore è anche sacrificio." E rientrò, spegnendo il sigaro sulla ringhiera bianca del balcone ovale.

Leonard rimase solo con i suoi pensieri. Tirò un'altra boccata di fumo prima di imitare il padre nello spegnere il sigaro, tenendo sempre gli occhi fissi sulla donna che, ignara della conversazione, continuava a guardare il mare.

Io non provo niente per lei. Non provo niente. Niente. Si ripeté almeno dieci volte, prima di attraversare il salone del ristorante per scendere sulla scala, posta a fianco dell'edificio, scendendo in spiaggia.

Ignorò la fitta al cuore quando si ritrovò a pochi passi da lei. "Raissa?" La chiamò. Ma lei non rispose e non si voltò verso di lui.

Leonard alzò un sopracciglio, avanzando fino ad arrivarle di fronte. La donna teneva gli occhi chiari rivolti alle onde, lucidi di lacrime, come se non fosse lì davanti.

Ignorò ancora quel dolore all'altezza del cuore. Alzò una mano per accarezzarle una guancia. Quel gesto sembrò destarla dai suoi pensieri e finalmente ottenne la sua attenzione. Raissa strabuzzò gli occhi, pulendosi con la manica dell'abito quelle poche lacrime che le rigavano il viso delicato come un vaso di cristallo.

"Che ti succede?" Le chiese, prendendola per le spalle.

"Mi manca, Leonard. Mi manca terribilmente." Sussurrò in risposta in un filo di voce, talmente basso che lo stesso Putnam dovette avvicinarsi di più per comprenderla, affinché il rumore del mare non coprisse la sua voce.

Il ragazzo la tirò sul suo petto. "Lo so. Manca tanto anche a noi. Ma tornerà molto presto e terrà fede alla promessa di sposarti. Abbi fede, Raissa. Sono certo che ovunque sia, in questo momento quella dannata nave, lui ti starà pensando. Ti ama tantissimo." La cullò come una bambina tra le sue braccia, come faceva quando Lelia era piccola e spaventata dai temporali. "Ancora pochi giorni, me lo sento. Pochi giorni e potrai riabbracciarlo."

Raissa alzò lo sguardo verso il suo volto, restando sempre attaccata al suo petto. "Grazie, Leonard. Sarei persa se non ci fossi tu." E chiuse gli occhi ancora, solo per un altro po'. Fosse stato per il giovane Putnam il tempo poteva anche fermarsi lì, con loro due abbracciati alle spalle del mare che creava una cornice drammatica in un momento triste come quello. Perché non c'era niente che lo rendeva più impotente che vedere le persone che amava consumarsi dal dolore. La sua famiglia per la lontananza di un figlio e un fratello, e Raissa per la lontananza dell'uomo che amava. In mezzo, come sempre, c'era lui. Quel Leonard Putnam che nessuno avrebbe più calcolato con il ritorno del figlio prediletto, l'eroe della patria. Eppure, in quel primo pomeriggio, niente lo rendeva più felice delle parole dette da Raissa. Una felicità sciocca e insensata, che aveva i giorni contati. All'alba di un giorno qualsiasi sarebbe morta, come il suo cuore e i suoi sentimenti per lei.





Wolf's note:

Avete fatto un buon ponte?

Come dite? Basta lacrime? Ma se abbiamo appena iniziato! Eh.. lo so, lo so. Ma ormai penso che conoscete il mio modo di sviluppare i fatti. Quindi... non riponete la cassettina dei fazzoletti perché al prossimo capitolo ci servirà. Ve lo garantisco, così come nei prossimi a seguire. Però, tranquilli. Ci saranno delle pause. Mica possiamo piangere per sempre, no?!

Comunque... compleanno della piccola Putnam, regali apprezzabili, sentimenti contrastanti che iniziano ad essere noti a molti. Nel prossimo capitolo... avverrà ciò che tutti noi già sappiamo: l'affondamento del Lusitania. Sarà un capitolo intero dedicato alla tragedia con molti punti di vista (sempre narrati in terza persona). Io ve lo dico di tenere i fazzoletti a portata di mano.

Prossimo capitolo online Martedì 8 Maggio. Capitolo come già detto molto ma molto intenso. Per eventuali avvisi, foto, news, eventuali spoiler, video, e molto altro, vi invito a seguire o mettere un bel "like" sulla pagina facebook dedicata alle mie storie: https://www.facebook.com/lememoriediwolfqueenroarlion/ (Link cliccabile anche dalla mia pagina d'autrice qui su Wattpad.) Se avete domande non esitate a contattarmi. <3

Colgo l'occasione, come sempre, di ringraziare voi lettori. Grazie per il sostegno, i complimenti, le critiche (perché anche quelle sono sempre ben accette), i messaggi, e tutto quanto! Un grande bacio a tutti voi.

Alla settimana prossima.

Un abbraccio,

Wolfqueens Roarlion.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro