Capitolo 5

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A mezzodì il ponte del Lusitania iniziava a svuotarsi. I passeggeri della prima classe avevano la loro lezione di canto, un piccolo intrattenimento che il capitano Turner aveva loro concesso. Quelli della seconda classe se ne stavano a sorseggiare un thè nella loro cabina e quelli di terza facevano l'unica cosa che potevano: osservare il mare appoggiati alla ringhiera di metallo.

Samuel si era svegliato di buon'ora e, prima degli altri, era andato a fare colazione con Lovett. Poco dopo si erano uniti i Torres al completo. Al termine del pasto che consisteva in caldi croissant francesi, thè e succo di mirtilli, la più giovane dei Torres propose una passeggiata sul ponte. Quello della prima classe, per l'appunto, poteva definirsi quasi deserto. Il cielo appariva azzurro, l'aria calda infiammava i visi dei passeggeri portando le donne a sventolarsi con i loro colorati ventagli di pizzo, il sole giocava a nascondino con le poche nuvole bianche e quest'ultime prendevano le forme più bizzarre. Mentre Lovett era immerso in una profonda conversazione militare con Mr. Torres, Mrs. Torres e la figlia più grande si erano allontanate dal loro campo visivo, lasciando la più piccola in compagnia di Sam. Quest'ultimo si sentì preso per un braccio e, colto di sorpresa, fu portato un poco più lontano.

"Guardate, brigadiere! Secondo voi che forma hanno quelle?" Allegra e spensierata, tanto da ricordare una bambina, la ragazzina indicava all'uomo due nuvole che si assomigliavano tra loro.

Samuel inclinò la testa, stando al suo gioco. "Due conigli che inseguono una farfalla." Costatò, lasciando che la giovane ridesse della sua visione. Aveva un viso aristocratico, delicato, e il poco trucco tendeva a nascondere le lentiggini sul suo volto. Indossava guanti corti, di pizzo bianchi, e aveva il corsetto un po' troppo stretto. Sicuramente era un dettaglio che serviva a mettere in mostra il suo petto abbondante, un po' troppo per la sua giovane età. Sam cambiò la direzione del suo sguardo, spostandolo un po' oltre. Su una panchina non troppo lontana c'era una donna bionda, che teneva tra le braccia un neonato, avvolto in una copertina avorio con dei merletti bianchi. Ai suoi piedi c'era una bambina un po' più cresciuta, dai corti ricci biondi e un cappello non proprio saldo sulla testa. La donna sembrò divertita dal modo in cui la figlia voleva liberarsi di quell'accessorio. In effetti tendeva a nasconderle parte del viso roseo e florido. E sembrò quasi che il cielo stesse ascoltando il suo pensiero quando, un vento leggermente più prepotente, sciolse il nastro rosa che teneva legato il cappello sotto il mento della piccola e volò fino ai suoi piedi.

Sam lo guardò, cogliendo l'occasione per liberarsi dalla stretta della signorina Torres, dal nome che ancora dimenticava. Raccogliendolo, si sentì gli occhi della bambina e della donna puntati addosso. Curvò un angolo della bocca all'insù e con quattro passi fu vicino a loro.

"Perdonate mia figlia, soldato, è molto maldestra." Si scusò la donna con un tono decisamente divertito.

La bambina, dal canto suo, mise il broncio incrociando le braccia al petto in una posa seccata. Quel comportamento divertiva anche lui. "Non si preoccupi, Signora. È l'età dell'innocenza. Lasciate che lo sia." E così dicendo si chinò sulla piccola e rimise il cappello sulla sua minuscola testa.

"Ringrazia questo soldato gentile, Ellie." Le disse la madre con una nota piegata in una forma più seria.

Ellie, la bambina dal viso angelico, guardò l'uomo con i suoi piccoli occhi verdi. Le sue gote iniziarono ad arrossire per l'insistenza in cui il soldato la guardava con fare divertito. Quella piccola fagottina vestita a festa non poteva certo immaginare che Samuel stava tornando, mentalmente, indietro nel tempo. Quando era entrato nella stanza padronale della sua villa, dopo cinque ore di travaglio della madre in cui aveva dato alla luce quella che sarebbe stata l'ultimogenito della famiglia Putnam. Riposava in una copertina simile a quella che aveva la donna. Terribilmente lunga che c'era il rischio di inciampare in essa. Fortunatamente non era mai accaduto.

"Gr-grazie." Balbettò in risposta la piccola, spostando il suo sguardo.

"È stato un piacere, signorina." Rispose Samuel, alzandosi in posizione eretta. Avrebbe voluto che sua sorella fosse rimasta nella fascia dell'ingenua età che era l'infanzia per molto tempo. E invece era partito che era cresciuta, prossima a spegnere delle candeline in più su una gustosa torta di compleanno. Sam si voltò verso la donna, facendo a quest'ultima il saluto militare. "Arrivederci, Signora."

"Arrivederci, soldato, e grazie."

Samuel si allontanò da loro, tornando nel punto in cui era prima con la signorina Torres. Con suo sommo sollievo notò che quest'ultima se ne era andata. Se si era sentita offesa dal suo comportamento non era di certo affare suo, giacché la più piccola della benestante famiglia spagnola tendeva ad essere anche la più appiccicosa.

Lovett l'attendeva poco lontano dal punto in cui l'aveva lasciato. Aveva un passo lento e meditativo, come se ogni falcata fosse un pensiero nascosto. Una volta che gli fu accanto, il tenente guardò il mare da dove erano circondati da troppi giorni. Esattamente come la maggior parte dei soldati, anche lui agognava di mettere i piedi sulla terra ferma. Ormai aveva imparato a memoria ogni cosa di quella nave: quanti gradini c'erano per ogni scala, quanti passi lo dividevano dal ponte o dalla cabina privata, quante donne c'erano a bordo per ogni classe, quanti libri aveva portato con sé da New York.

Fu proprio Sam, però, assorto dai mille dubbi a prendere la parola. "Signore... cosa succederà quando giungeremo a Liverpool?"

Lovett non ci pensò neanche un momento. "Prenderemo la prima nave in partenza per New York e torneremo a casa. È chiaro che ci hanno teso un brutto scherzo, per distrarci dall'obbiettivo principale. Vorrei solo capire cosa hanno promesso a Roges per passare dalla parte del nemico."

Samuel strinse le labbra in una linea dritta e contrariata. Aveva ancora difficoltà ad accettare il fatto che Ed Roges, suo compagno dai tempi dell'addestramento nella squadra, fosse un traditore e ancor meno che giaceva ora in fondo al mare. Non aveva avuto la possibilità di dire qualcosa, né di giustificarsi. Anche se non c'era ragione che teneva per essere passato al lato opposto, per aver accettato di spiare i propri compagni. La stessa domanda che si era posto Lovett, se la poneva anche lui da ben due giorni. Cosa aveva portato Roges a tradirli? Ogni minima prova era contro di lui e questo confermava il fatto che era, a tutti gli effetti e contro ogni ragione logica, stato convinto da qualcuno a passare al lato dei nemici, da coloro che dissanguavano non solo l'Inghilterra, ma anche le forze italiane, le forze russe, francesi e giapponesi. Quanti uomini dovevano ancora morire? Per quanto tempo ancora Wilson poteva chiudere entrambi gli occhi? Non per sempre, continuava a ripetersi Sam. Prima o poi affronterà la realtà e i fatti evidenti. E allora sarà troppo tardi.

"Davanti una cospicua somma l'uomo diventa un burattino." Commentò Lovett, che per tutta la durata di quei pochi minuti in silenzio aveva osservato il volto pensieroso del suo brigadiere generale. "Il denaro uccide, soldato, ricordalo sempre." È detto ciò, gli diede una amichevole pacca sulla spalla a modo di incoraggiamento. Roges non c'era più ma poteva ancora contare su Parker e il maggiore Cameron Mendel. "Dove sono gli altri, brigadiere?"

"Penso che Parker sia a chiacchierare con lady Gabrielle Hall. Penso si sia preso una brutta sbandata per quella lì. Per quanto riguarda Mendel... sono più che certo che sia intento a scrivere qualche missiva. Da quando è successa... quella cosa a Roges è diventato particolarmente silenzioso." Rispose l'uomo, ricordandosi di dover ancora scrivere un telegramma da inviare alla famiglia e soprattutto a Raissa. Non aveva sue notizie da qualche giorno e non voleva farla stare in pensiero. Poteva quasi immaginarla. Di notte, avvolta da una sola vestaglia di seta grigia e seduta davanti la finestra della sua stanza al bordello, in attesa di un suo arrivo. La sola immagine, creata provvisoriamente nella sua testa, gli stringeva il cuore.

Lovett annuì, togliendosi il berretto e sventolandoselo come un ventaglio. Il caldo iniziava a farsi sentire sempre di più. "L'ho notato anche io. Vai a distenderti sulla tua branda, soldato. Ci vorrà ancora qualche ora prima del nostro arrivo." Consigliò lui. Per quanto lo riguardava, aveva dormito per sole sei ore di fila e si sentiva fresco come una rosa. Osservando il suo brigadiere, però, non poteva dire lo stesso.

Samuel fece il saluto militare, con la mano posta al lato della testa e la pancia in dentro, la poca che aveva. "Agli ordini, tenente generale." Rispose, rompendo le righe solo pochi istanti dopo, quando si avviò a grandi falcate verso la cabina della seconda classe, dedicata alla squadra dei marines.

Per le scale della prima classe incrociò alcune donne ben vestite che rivolsero lui un sorriso gentile, a modo di saluto e, in modo altrettanto da gentiluomo fece un gesto da militare semplice, un saluto simile a quello che faceva quando era davanti ad uno dei suoi superiori, ma in modo più disinvolto. Era stata una delle prime cose che si imparava, nella fase di addestramento. Quella di ubbidire ai propri superiori, di seguire ogni ordine anche se questo dovesse portare a morte certa. Pochi, al di fuori di quella vita, potevano comprendere appieno ciò che si provava. Quando il petto si gonfiava d'orgoglio all'udire il proprio grado, seguito dal nome, quando si tremava all'aperto, nel freddo, durante una missione, quando si aveva la consapevolezza che quello poteva essere l'ultimo viaggio. Non c'era la paura nei marines, solo una passione smisurata per la propria patria, nel difenderla anche a costo della propria vita. Un'emozione che faceva dimenticare persino il pericolo, che rendeva la morte quasi più dolce, quasi come se fosse una normale fase d'addestramento. Se si passava, si era pronti a tutto.

Come gli aveva suggerito il suo superiore, Sam si stese sulla branda. Quel tuffo nella riflessione delle emozioni gli avrebbe dato difficoltà nel prendere sonno. Preferì concentrarsi su un paio d'occhi chiari, una cascata di capelli bruni mossi come il mare che ospitava il Lusitania, e un sorriso angelico capace di alleviare ogni dolore e sofferenza. Si addormentò con un'espressione serena in volto, come un bambino felice al pensiero di quale sarebbe stata la sua prima tappa una volta che avrebbe messo piede nella città di Liverpool. Come tale ricordò i giorni felici in cui aveva imparato ad andare a cavallo. Aveva avuto, si e no, nove anni e mezzo. In groppa all'animale correva per i verdi prati di una Riverdale primaverile, dal sole opprimente che ricordava la stagione estiva. Con lo sguardo nel cielo azzurro, Sam ricordò di aver mollato le briglie del cavallo e, aprendo le braccia per imitare un'aquila che volava sulla sua testa, immaginò di perdersi tra quelle nuvole bianche, di nascondersi dal caldo sole, e di viaggiare aldilà della città dov'era nato. Ah, quanti posti inesplorati aveva ancora da vedere! Quanti volti ancora da conoscere! Perso nel suo sogno più bello, quella della sua infanzia ormai dimenticata, Sam fece due respiri profondi. Si immaginò ancora come una giovane aquila, piena di vita e voglia di esplorare. Ma come qualsiasi essere vivente con troppa voglia di fare, qualcosa prese il sopravvento e nell'aria si udì uno sparo che a malapena raggiunse le sue orecchie.

Sam fu quasi buttato fuori dalla sua branda quando, all'inizio di un incubo, si sentì sbattuto in malo modo verso il pavimento. Strinse la ringhiera della branda, mettendo a fuoco la stanza con un po' di difficoltà. Istintivamente immaginò che fosse uno dei soliti scherzi di Parker, l'unico che si prendeva la briga di prenderlo in giro. E invece nella cabina non c'era nessuno.

Strabuzzò gli occhi, guardandosi intorno. Era ancora giorno e non si udiva nessuno per i corridoi. Possibile che fosse stata solo la sua immaginazione a provocargli quella vertigine nel sonno? Scettico, mise i piedi a terra massaggiandosi le tempie. Non riusciva neanche a ricordare del bel sogno che aveva realizzato e, forse, era meglio così. Si passò una mano tra i capelli, imperlati di sudore per il caldo. Guardando le sue gambe, però, notò un altro particolare strano: stava tremando. Non riusciva a stare fermo, era come se qualcosa si muovesse sotto di lui. Fu colto alla sprovvista da una vertigine che lo portò ad inclinare la testa di lato.

Che diavolo sta succedendo?

Un suono rispose alla sua domanda. Un allarme, quello della nave, si espanse per tutte le stanze della prima, seconda, e terza classe. Nei corridoi, come un eco, risuonava lo stridulo delle campanelle suonate dai marinai. Samuel scattò in piedi, precipitandosi con difficoltà fuori per il corridoio deserto. Il Lusitania era sotto attacco.

L'aria soleggiata di qualche ora prima non c'era più. Oltre la ringhiera a malapena si riusciva ad intravvedere il mare con tutta la nebbia che c'era. Le persone correvano da ogni classe, la maggior parte tenevano per le mani i bambini che, dai visi assonnati o impauriti, seguivano i propri genitori. I marinai si erano divisi sul ponte, creando delle file di passeggeri e dar loro le varie istruzioni.

"Signori, vi prego di stare calmi! Non c'è alcun motivo di agitazione. Il capitano Turner si è raccomandato di radunarvi affinché possiate lasciare la nave. Ripeto: non agitatevi e mettetevi in fila! Non spingete!" Ma a niente servirono le rassicurazioni per niente tranquille dei marinai. Sebbene cercavano di apparire calmi e di trasferire quella calma ai passeggeri, il risultato fu l'esatto opposto. Sam osservò la scena di sfuggita. I passeggeri, dai più poveri ai più ricchi, si mescolavano in folle accalcate che non permettevano neanche a lui di camminare. Si allontanò verso una parete e con lo sguardo cercò di cogliere quello di Lovett, quello di Parker o quello di Mendel. Ma nessuno dei tre sembrava farsi vivo. Era bloccato in mezzo ad una folla inferocita che chiedeva solo di scendere da quella nave.

Sembrava l'inizio di un altro incubo. La nebbia, le voci che si accalcavano come le persone che sgomitavano per accaparrarsi la propria salvezza insieme ai propri cari, i passi svelti, i pianti... e poi le grida. Ancora una volta Sam fu trascinato, seguito da una buona parte di passeggeri, verso destra. Ma stavolta non riuscì a mantenere l'equilibrio e cadde al suolo. Uno scoppio risuonò per tutta la nave, creando un panico maggiore di quello di prima. Rialzando lo sguardo, Samuel riuscì a vedere del fumo e, nel mare, dei pezzi di metallo. Sbarrò gli occhi mentre iniziava a farsi strada in lui una strana consapevolezza. Assurda ma vera, seguita da quelle urla, c'era una parola magica che nessuno di loro avrebbe mai voluto pronunciare. Quella che i marines non temevano, quella che sfidavano ogni qualvolta erano in missione: morte.

Cercando di rimettersi in piedi, come la gran parte dei passeggeri, Sam si rese conto che quelle vertigini non erano dovute ad una sua immaginazione. La nave si stava inclinando. Stava accadendo qualcosa di pericoloso... e stava accadendo troppo in fretta.

"Brigadiere generale Putnam!" All'udire il suo nome, Sam guardò davanti a sé la figura del suo superiore corrergli incontro e tendendogli una mano per rialzarsi.

"Tenente generale, grazie a Dio!"

"Aspetta a ringraziare Dio, soldato. Ho i miei dubbi che sia qui, in questo momento." In un misto di ironia e serietà creati dal contesto dov'erano, Lovett aveva un'aria cupa e preoccupata ad ombrargli il volto.

"Che cosa è successo?"

Lovett aspettò a rispondere al suo brigadiere. Si guardò intorno e, prendendolo per un braccio, lo portò lontano dal campo visivo dei passeggeri che pensavano a salvarsi la vita nel modo più sciocco ma, apparentemente, più solido che esisteva: gettarsi in mare. Salvagente o meno, tentare la sorte era l'unica scelta che avevano. "Un siluro tedesco, lanciato da un sommergibile U-20. Non esistono altre spiegazioni. Non c'è alcuna nave nemica nelle acque." Si limitò a dirgli, una volta appartati sulla soglia delle scale che conducevano alle cabine della prima classe.

"Oh, mio Dio!"

"Invocalo, ci servirà, ma non ringraziarlo. Non ancora."

"È stato il siluro a provocare lo scoppio di poco prima?"

Lovett scosse la testa, con somma sorpresa del brigadiere Putnam. "Non ne sono sicuro... ma penso che il siluro sia andato nel luogo sbagliato al momento sbagliato." Il tenente guardò fuori sul ponte. Il panico tra le persone stava peggiorando. "Dove sono gli altri?"

"Non lo so. Quando mi sono svegliato non c'era nessuno nella cabina."

"Bene. Ecco la sua nuova missione: trovi Parker e Mendel e li porti sul ponte. Io vi attenderò qui e cercherò di rassicurare i passeggeri e di gestire i posti delle scialuppe." La nave si inclinò ancora, come a spronare il soldato a darsi una mossa. Ogni secondo era prezioso e ogni minuto poteva essere l'ultimo.

Putnam cercò di reggersi in piedi tra sgomento e confusione. Era come trovarsi in mezzo al nulla, senza un'arma e in un campo pieno zeppo di nemici. La morte era più che certa. Solo un ingegnoso piano di fuga poteva salvarlo e, se poteva farcela lui, stessa cosa non si poteva dire dei passeggeri a bordo. Lanciò uno sguardo lì dove aveva guardato Lovett, realizzando solo in quel momento che la maggior parte di quelle persone non si sarebbero mai salvate. Potevano sperare di sopravvivere alle onde del mare, di gettarsi tra di esse trovando conforto. Alcuni, però, dopo averlo fatto chiedevano aiuto perché realizzavano di non poter competere con le profondità marine. In particolare, Sam colse lo sguardo di una donna che si era lanciata con suo figlio, che riconobbe essere quella di qualche ora prima, seduta alla panchina. Cosa diamine le era saltato in mente? Quando la vide riemergere, vide la disperazione sul suo volto. Le onde, con un'abilita maligna, avevano inghiottito il neonato che stringeva al seno. Erano nel mare aperto, buon cielo!

"Tenente generale, mi dica la verità. Quante persone riusciranno a sopravvivere?" Osò chiedere Putnam, prossimo ad allontanarsi da quel luogo riparato e a buttarsi tra la folla sempre più accalcata di persone per eseguire l'ordine del suo superiore.

Quest'ultimo levò nell'aria un sospiro, quasi non completamente udibile con le urla sul ponte. Urla di persone che imploravano aiuto e di avere salva la vita. "Forse neanche la metà, Putnam. Ora vada, faccia presto!" E lo spinse definitivamente fuori sul ponte.

A fatica riuscì a raggiungere il corridoio che l'avrebbe portato nella seconda classe. Dove potevano essere quei due? Potevano essere bloccati da qualche parte, potevano essere caduti, potevano aver battuto la testa o addirittura potevano essere già in mare spinti dalla folla inferocita. Sam fece un respiro profondo, passandosi una mano sul viso sudato.

Calmati! Resta calmo o non otterrai nulla. Continuò a ripeterselo per almeno dieci volte, mentre cercava di fare due passi senza sbandare per via dell'inclinazione che la nave stava prendendo. Controllò le cabine dei passeggeri della seconda classe, la maggior parte erano spalancate con gli effetti personali a soqquadro. Poltrone, divani, profumi e vestiti erano riversi a terra. Vetri rotti, gioielli e pettini sparsi per le stanze e il corridoio. Dava già l'impressione di qualcosa di abbandonato, di morto. Sam fece un altro respiro. In un altro contesto avrebbe richiesto la presenza di una sigaretta, anche come ultimo desiderio di un condannato a morte.

Una nuvola di fumo iniziò ad espandersi verso una scala che conduceva verso la terza classe, completamente annegata dall'acqua. Sam sbarrò gli occhi, ancora una volta colto di sorpresa. Stavano incamerando acqua! Di quel passo l'affondamento sarebbe stato tra qualche minuto.

Tornò indietro con passo più rapido, attraversando nuovamente il corridoio della seconda classe. Fu tornando verso la cabina che condivideva con il maggiore Mendel che sentì qualcosa cadere pesantemente a terra. Qualcosa di molto pesante. Putnam avanzò verso la porta, spalancandola. Riverso a terra c'era Parker, privo di sensi e con una ferita aperta sulla testa, dove stava perdendo sangue.

Dannazione!

Senza pensarci due volte corse nella sua direzione, cercando di tirarlo a sedere e facendogli appoggiare la schiena al muro. "Parker, mi senti? Soldato, rinsavisci! Non è questo il momento di dormire! Che è successo?" Provò a scuoterlo tre volte. Verso l'ultima, Parker sembrò di riprendere conoscenza aprendo le palpebre a fatica.

Provò ad aprire la bocca per parlare ma da essa uscì solo del sangue che macchiò la divisa da marines del brigadiere. "Merda!" Imprecò, osservando l'amico chiudere di nuovo gli occhi. Deglutì, lanciando un urlo disperato e un pugno al pavimento che li costò un persistente dolore alle nocche divenute rosse. Strinse gli occhi scuri, cercando in modo quasi surreale di mantenere la poca calma rimasta.

Fu allora che sentì la porta della cabina chiudersi. A chiave.

Samuel guardò fisso il legno chiuso, come se fosse sigillato. E lui era lì dentro! Si alzò e corse in quella direzione, cercando di aprire la porta senza successo. Iniziò a sbattere i palmi su di essa. "Hey! Chi c'è lì fuori? Aprite! Aprite questa fottuta porta, dannazione! Questo non è uno scherzo. La nave sta affondando! Aprite!" Urlò nella speranza di sentire qualcuno correre alla sua richiesta d'aiuto. Recuperando il fiato, Sam tese l'orecchio alla porta. Nessun passo, nessuna voce. "Merda! Merda!" Imprecò ancora, come se fosse l'unica ancora di una salvezza inesistente.

In cerca di una via di fuga iniziò a far vagare lo sguardo per la cabina. Aprì il baule che teneva sotto la branda ed estrasse una pistola che teneva di riserva. Una semplice colt.45. Samuel strinse l'impugnatura dell'arma, levando la sicura e mirando alla serratura della porta. Ci vollero due colpi prima che questa saltasse. Stringendola in una mano, Putnam si precipitò fuori incontrando un corridoio che iniziava a riempirsi d'acqua. Doveva muoversi. Prima di incamminarsi lungo il corridoio che l'avrebbe portato al ponte, lanciò uno sguardo al corpo morente -se non già senza vita- di Parker. Rispettosamente gli fece il saluto militare, rimanendo in quella posizione per un minuto e mezzo d'orologio.

Hai onorato la patria, soldato. Dio non è qui con noi, questo pomeriggio, ma è tra le sue braccia che ci abbandoniamo nella crudele culla della morte. Riposa in pace.

Sul ponte, la folla era aumentata. Tanto che non riusciva neanche più a vedere i marinai e di Lovett neanche l'ombra. Doveva ancora capire che fine aveva fatto Mendel. Decise che era meglio fare un giro veloce per risalire dal lato opposto. In questo modo avrebbe colto lo sguardo di Lovett accanto ai marinai che cercavano di far salire i passeggeri a bordo delle scialuppe e avrebbe dato il suo contribuito a salvare, almeno in parte, quella gente.

Attraversò velocemente il corridoio della prima classe, scendendo due scale che continuavano ad incamerare dell'acqua. C'erano sedie e vestiti che galleggiavano attorno a lui. Per risalire dall'altro lato, Sam dovette trattenere il respiro sott'acqua e passare sotto l'arco di una porta. Una volta che ebbe salito i primi cinque gradini, riemerse. Non voleva diventare una vittima del mare, non ancora. Mentalmente lanciò delle maledizioni a Mendel. Ma dove diavolo si era cacciato?

Nella sala da pranzo della prima classe tutto tremava, tutto prendeva ad inclinarsi. E fu proprio in una delle stanze a vetro che riconobbe la figura di Scott. Il leccapiedi di Lovett. Stava parlando con un'altra persona, seduta di spalle. Non voleva trarre conclusioni affrettate ma era più che certo che era una divisa dei marines quella che la persona di spalle aveva addosso. Parker era morto, Scott riusciva a vederlo in volto, Lovett era sul ponte per occuparsi dei passeggeri. Rimaneva solo il maggiore Mendel. Dentro di sé sentì montare una rabbia oscena. Avevano sentito l'allarme? Lo scoppio? La nave che si inclinava? Non era certo il momento migliore per bere del brandy. Ancora si chiedeva come aveva fatto, una persona come Cameron Mendel, a diventare maggiore. Non aveva rispetto per la divisa che indossava! La nave stava affondando, andando in fiamme probabilmente, e loro si preoccupavano di sorseggiare il liquore? Avrebbe avuto qualcosa da raccontare al colonello Greyson, non appena avrebbe fatto ritorno a New York.

Samuel prese a fare grandi falcate verso la sala da pranzo ma una voce, dal tono conosciuto ma dall'accento decisamente diverso, lo portò a fermarsi sul posto e a chinarsi per non farsi vedere.

"Ich habe dir gegeben, was du wolltest." Mendel sapeva parlare in modo impeccabile il tedesco?

"Ich erhielt ein Telegramm von Wagner. Er ist sehr zufrieden mit den Neuigkeiten, die Sie gegeben haben." Alle orecchie di Sam arrivò tutto in una stretta parlata tedesca e riuscì a capire ben poco. Anzi... nulla. Solo un nome li suonò familiare: Wagner. Era la stessa persona con quale teneva la corrispondenza Roges. Ma la domanda più importante era come mai entrambi stavano parlando nella lingua del nemico.

"Wie geht es Paulne?"

Scott sembrò sorridere in modo quasi perfido alla richiesta di Mendel. "Besser als du denkst."

Sam osservò le mani chiuse a pugno di Mendel poggiate sul tavolo. Non aveva capito molto della conversazione, non riusciva a comprenderli. Ma chi era Paulne? Poteva essere la bambina della foto che aveva trovato alcuni giorni fa sulla scrivania? Ancora una volta, però, si chiese cosa potesse centrare tutto quello con il fatto che erano nel bel mezzo del mare, su una nave prossima all'affondamento. Poi i suoi pensieri si fermarono. Mentre quei due all'interno del salone continuavano a parlare, Samuel fece rapidamente due calcoli. Non era un caso che Parker fosse morto, neanche che lo stesso Putnam fosse stato chiuso a chiave in cabina. Qualcuno stava cercando di metterli a tacere per sempre. E quel qualcuno -ora ne aveva la certezza- non era stato Ed Roges. Non era il compagno di squadra che, ingiustamente, era stato condannato a morte dal tenente generale.

Sam si morse le labbra per non urlare. Avrebbe avuto voglia di alzarsi, entrare nel salone e uccidere quei due traditori.

E pensare che Lovett si fidava di Scott.

Come gli altri generali e ufficiali si fidavano di Mendel. Samuel, ora più che mai, era certo che all'interno della squadra c'era più di una mela marcia. Ma forse non era ancora tutto perduto. La nave si inclinò ancora e Sam dovette aggrapparsi alla prima cosa che gli capitò a tiro per non far rumore e manifestare la sua presenza. Impugnò la pistola e provò a rialzarsi appena, assumendo sempre una figura bassa in modo da non essere completamente percettibile in modo visivo.

Fece fare capolino alla canna della colt dalla porta spalancata e aspettò due minuti. Il tempo necessario per prendere la mira. Non voleva sprecare i proiettili. Ci sarebbero voluti solo due colpi. Doveva solo mirare alla testa di uno e spostarsi velocemente alla testa di un altro. Il tutto in un minuto e mezzo.

"Steh auf!" Si sentì urlare da vicino. E solo quando Samuel volse la testa verso la voce sconosciuta vide che c'era un uomo che lo minacciava con una Dreyse M1907. Un tipico modello di pistola a canna corta, progettata in Germania. Con l'arma, l'uomo li fece cenno di alzarsi, traducendo -probabilmente- l'ordine che gli aveva urlato poco prima. Alzandosi in piedi in modo eretto, l'uomo indicò la colt che il soldato impugnava. "Werfen Sie es!"

"Gettate la pistola, brigadiere generale Putnam." A tradurre il secondo comando del tedesco ci pensò Scott che raggiunse i due, seguito da Mendel.

Sam si vide in netto svantaggio. Erano tre uomini contro uno. Fece cadere la colt senza esitazioni, lasciando che il piede del tedesco la spingesse lontano da loro. Senza difese e completamente al loro evidente divertimento, Scott mise le mani dietro la schiena. "Immagino che lei non abbia capito una sola parola della nostra conversazione."

Gli occhi scuri di Samuel si ridussero a due fessure minacciose. "Non ci vuole molto a capirlo. Roges non poteva essere un traditore, lo sapevo. Voi avete tradito la vostra patria! I vostri ideali! E per cosa poi? Per del denaro in più? Non oso immaginare cosa penserà il tenente quando gli riferirò tutto questo."

Scott rise di gusto, come se avesse appena preso parte all'ascolto di una barzelletta divertente. "Sehr lustig, brigadiere. Molto divertente." Con un gesto veloce della mano riuscì ad impugnare una colt americana, che teneva legata al fodero. Levò la sicura, puntandogliela contro. "Peccato che non sarete di certo voi a dirglielo, se mai lo verrà a sapere."

Putnam deglutì silenziosamente. Delle gocce di sudore, unite a quelle dell'acqua della quale era zuppo dalla testa ai piedi, iniziarono a fondersi con tutto il corpo. La nave si inclinò ancora di più e portò gli uomini a barcollare ma non così tanto da perdere l'equilibrio o la visuale. Lanciò un'occhiata a Mendel, che non aveva espressione particolare sul viso. Sembrava quasi uno spettatore infastidito. "La squadra contava molto su di te. Tutti si fidavano e prendevano per oro colato ciò che dicevi. Perché arrivare al tradimento, maggiore? Risponda almeno a questa domanda."

Gli occhi chiari di Cameron Mendel presero a luccicare. Un'emozione che cercava di tenere nascosta nel profondo del suo cuore e della sua anima, che non poteva assolutamente far trapelare. Troppe vite erano in gioco, troppe volte aveva rischiato di vacillare e farsi scoprire. Ed ora come ora non poteva permettere a Samuel Putnam di mandare tutto in malora. Ciò che doveva fare era solo ignorare gli avvenimenti che sarebbero accaduti tra lì a qualche minuto.

"Ci sono cose che non si possono spiegare, brigadiere generale. Bisogna passarci. Onestamente non credo che lei possa comprenderlo ma vorrei dirle che dietro ogni scelta c'è una spiegazione. Anche se è la più sciocca, in queste circostanze è lo stesso."

"Oh, basta parlare!" Esclamò Scott, infastidito dalla situazione poetica che si era venuta a creare. Fece cadere la pistola tedesca tra le mani del maggiore. "Uccidilo tu, Cameron. A te l'onore di servire ancora una volta la nostra vera patria." Disse in modo divertito, allontanandosi di qualche passo indietro.

Quando la nave prese ad incamerare acqua anche nella sala da pranzo della prima classe, Scott fulminò l'uomo tedesco davanti a sé. "Wir müssen gehen!" Poi si voltò ancora una volta verso Mendel. "Fai in fretta e raggiungimi sul ponte se vuoi avere salva la vita." È detto ciò se ne andò correndo lungo il corridoio opposto.

Il Lusitania iniziava ad emettere strani rumori, sembrava che fosse davvero pronto ad immergersi per sempre nelle profondità del mare. L'acqua accarezzava gli stivali delle uniche anime presenti nella sala da pranzo della prima classe. Tra qualche minuto sarebbe aumentata a dismisura e nessuno dei due avrebbe più potuto salvarsi.

Samuel avrebbe voluto sapere cosa passasse per la mente del maggiore in quel momento. Rabbia? Rancore? Amarezza? Pentimento? Non poteva darsi una risposta, giacché il giovane marines era stato sempre silenzioso e poco incline a mostrare le sue emozioni agli altri. Ma in quel momento avrebbe voluto sapere le sue intenzioni. Voleva ucciderlo o rendergli salva la vita? Avrebbe sbagliato fino in fondo o avrebbe cercato di redimersi?

"Che cosa state aspettando, maggiore? Sparate." Iniziò Sam, ottenendo l'attenzione del soldato su di sé. Quest'ultimo teneva la pistola tra le mani ma non la impugnava a dovere, né si preoccupava di mirare in un punto del corpo in particolare. Un sorriso amaro e provocatorio si dipinse sulle labbra di Putnam. "Cos'è? Non ne avete il coraggio?"

"State zitto!" Urlò di rimando lui.

"Quando avete tradito la vostra patria non vi siete fatto tanti scrupoli, però."

"Tacete!"

"Neanche quando avete incolpato Roges, ben sapendo che lui non c'entrava niente. Che pena che mi fate! Voi non siete un marines, non siete un uomo! Valete poco di niente!"

"Halt den Mund!" Urlò Cameron, con ancora più fiato. Fu forse una delle ultime cose che Samuel riuscì a percepire in modo vivido, in modo reale. Perché sentì la testa girargli ancora una volta, in una vertigine ancora più peggiore di quelle di poco prima. Non riuscì neanche a sentire il suono del suo corpo cadere a terra, in mezzo all'acqua. Quando provò ad aprire gli occhi, aveva dinanzi a sé solo il viso del maggiore contratto in una smorfia infastidita. "Du weißt nichts! Niente!" Ringhiò infine, in un tedesco perfetto e in un inglese zoppicante.

Chiuse gli occhi, sentendo come ultimo suono quello di uno sparo. Non riuscì neanche a rialzarsi, si sentiva privo di ogni forza e, man mano che l'acqua copriva il suo volto, la voglia di riposarsi si faceva così forte che alla fine ebbe la meglio. Un sonno destinato ad unirsi a quello di altre milleduecento uno vittime.



«Il mare era pieno di rottami d'ogni genere, di morti di tutte le età, molti con indosso il salvagente. Il signor Lauriat, due marinai ed io ci dirigemmo a nuoto verso una zattera pieghevole e ci salimmo sopra, cominciando a raccogliere naufraghi finché non ne salvammo 34. Arrancammo verso la costa e due ore dopo fummo presi a bordo da un peschereccio che era la sola vela in vista.»

-Testimonianza di James Brookes, passeggero. -



Wolf's note:

Sì, con un giorno di ritardo ma alla fine c'è l'abbiamo fatta! Vi chiedo scusa perché il capitolo sarebbe dovuto uscire ieri in serata ma siccome da me ha fatto il diluvio universale, la connessione ha detto per un pò: "bye bye!" E ho dovuto aspettare che la sistemassero prima di poterlo pubblicare ma finalmente c'è l'ho fatta!

Tante cose sono accadute in questo capitolo. Tante e forse anche troppe. Inizio subito col dirvi che per tirarlo giù ho sfogliato più libri che non libri circa la tragedia del Lusitania, con annessi documentari di ogni genere. Che trasparentesi, ci stavo pensando giusto ieri, Lunedì 7 Maggio ricorreva l'anniversario della tragedia. 

Molte domande qui trovano delle risposte e molte altre ne troveremo, nei capitoli successivi, che saranno forse "la chiave" dell'intera vicenda della storia. Prima di lasciarvi alla traduzione delle frasi in tedesco, vi annuncio che il sesto capitolo di "Quante gocce nel mio mare" sarà online Martedì 15 Maggio! Segnatevi la data, mi raccomando! <3

Ora passiamo alla traduzione:

*Ich habe dir gegeben, was du wolltest. = Ti ho dato quello che volevi.

*Ich erhielt ein Telegramm von Wagner. Er ist sehr zufrieden mit den Neuigkeiten, die Sie gegeben haben. = Ho ricevuto un telegramma da Wagner. E' molto contento delle informazioni che hai dato.

*Wie geht es Paulne? = Come sta Paulne?

*Besser als du denkst. = Meglio di quanto pensi.

*Steh auf! = Alzati!

*Werfen Sie es! = Gettala!

*Sehr lustig. = Molto divertente.

*Wir müssen gehen! = Dobbiamo andare!

*Halt den Mund! = Stai zitto!

*Du weißt nichts! = Tu non sai niente!


Vorrei ringraziare tutti voi lettori che mettete il vostro tempo nel leggere e lasciare un commento, anche per scrivermi i vari messaggi privati che mi inviate. Grazie davvero! <3 Grazie, grazie, grazie, e GRAZIE! 

Vi ricordo che, se vi va, potete seguire la mia pagina facebook dedicata alle mie storie. Al seguente url: https://www.facebook.com/lememoriediwolfqueenroarlion/ (Link cliccabile dalla mia pagina d'autrice qui su Wattpad!)

Per ora vi lascio con un abbraccio! 

Alla prossima,

Wolfqueens Roarlion.

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