Atto II

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

No, non ci credevo, non era possibile. Keith non avrebbe potuto essere il ladro. No, erano due persone diverse, doveva avermi presa in giro. Io mi stavo innamorando del ragazzo sbagliato. Tutto era sbagliato. Inammissibile. Il dolce e altruista nobile non avrebbe potuto essere uno spregiudicato e malizioso ricercato. No, non era accettabile, forse avevo sbagliato. Forse avevo capito male o avevo frainteso. Non c'erano altre spiegazioni. Ma quelle frasi, le stesse parole, la maschera. Quella notte mi girai e rigirai nel letto. Non riuscivo proprio a immaginare Keith nelle vesti di Rosa Nera. Quindi significava anche che era stato il figlio del Conte Harcourt a baciarmi e a piombare nelle mie stanze. «Noo, basta!», mi sollevai. Cosa mi stava succedendo? La mia vita era così normale e lineare prima di quella notte. Cos'era cambiato? Non avrei potuto lasciar andare il pensiero di quel ragazzo e continuare come se nulla fosse? Guardai fuori dalla finestra, davanti alle illuminazioni vedevo scendere una debole pioggia. Una cosa era certa, non avrei potuto ignorare ciò che provavo per lui.

Era davvero tardi, ma non mi importava, non avevo il minimo sonno per stare a letto. La corsa sotto l'acqua mi aveva fatto riprendere ancora di più. Volevo andare sul Ponte, volevo tentare. Non avevo idea del perché lo stessi facendo. Cosa avrei risolto? Chi mi aspettavo di trovare? Raggiunta la costruzione non vidi nessuno. Mi fermai a prendere fiato, poi salii e mi appoggiai alla ringhiera. Fissai la luna, quasi completamente coperta dalle nuvole.

«Non dovreste essere qui». Mi spaventai e quando mi girai Rosa Nera si ergeva dietro di me.

«Neanche voi», non riuscii a controllare le palpitazioni. Era il mio desiderio che si facesse vivo. Non disse nulla, si appoggiò alla ringhiera opposta e guardò per terra.

«Perché?», gli chiesi, «Perché mi avete detto una cosa del genere?», non ero sicura avesse capito.

«Detestavo l'idea che voi mi disprezzaste».

«Perché?», non ero apparentemente niente per lui.

«Per ciò che avrei fatto, volevo capiste le mie intenzioni e i miei motivi», sostenne il mio sguardo.

«State andando a rubare!?», esclamai con troppa enfasi, quindi mi ricomposi.

«Non ancora, prima bisogna aspettare il giornale di domani o non avrebbe valore».

«Che cosa è successo?», feci un passo in avanti e lui si raddrizzò.

«Lo scoprirete e da quel che ho potuto vedere credo che anche i Crawley possano aspettarsi il mio arrivo».

I Crawley? Un'altra famiglia dell'alta società.

Si voltò e iniziò a camminare dalla parte opposta la mia.

«Aspettate!», lo raggiunsi, «Non potete continuare così, dovete prendervi cura di voi stesso».

«Se pensassi anche a me stesso per le persone non ci sarebbe più scampo», girò il collo per osservarmi. Fu un breve istante.

«Come potete dire una cosa del genere? Ho visto la vostra espressione, siete stremato, dovete fare una pausa dopo tutti quei viaggi...».

Mi parlò sopra. «Perché? Perché dovrei smettere di dare importanza al popolo e agire da egoista come tutti gli altri?», si stava arrabbiando ed era colpa mia.

«Perché voi mi piacete e non lo sopporterei se vi accadesse qualcosa», dissi tutto d'un fiato.

Rosa Nera ebbe uno spasmo e ruotò le sue larghe spalle verso di me.

«L'ho capito da quando quella guardia ha cercato di uccidervi», respirai profondamente, «Keith».

Rimase ancora in silenzio, gli unici rumori la pioggia e il suo mantello. Inaspettatamente si tolse la maschera e lo vidi chiaramente tra le ombre della notte. Era serio, malinconico e stanco, ma soprattutto era Keith Harcourt. Non avevo più scuse, non potevo più negare l'evidenza o avere dubbi.

«Non voglio mettervi in pericolo», sentenziò, «non avrei dovuto espormi così tanto».

«Ma lo avete fatto e poi non mi sento in pericolo, anzi, più al sicuro di prima», non avevo mai avuto paura di lui. Ora capivo il perché. Appoggiai le mani sul suo petto e mi accostai completamente. Finalmente potei rilassarmi e chiudere gli occhi. Mi sentii sollevare e prendere in braccio, poi una brezza fredda mi colpì e quando mi svegliai ero nel mio letto, con il sole ad illuminare la camera.

Sembrava fosse stato un sogno, ma quando comprai il giornale riconobbi la famiglia Crawley. Era vero ciò che aveva detto Keith, il Conte Robert Crawley aveva intascato una grossa somma di denaro imbrogliando proprietari terrieri, vendendo le loro tenute e cacciando i poveri contadini agricoltori. E si aspettava per certo l'arrivo di Rosa Nera, era scritto in caratteri cubitali. Keith avrebbe corso un enorme rischio a presentarsi lì, era inarrestabile, ma troppo prevedibile.

Avrei voluto fare qualcosa. Dovevo o non me lo sarei perdonata.

Fermai un cocchiere in procinto di avviarsi. «Scusate signore, dove si trova la tenuta dei Crawley?».

«Dall'altra parte del Ponte, sulle colline più a Sud».

«Vi ringrazio», avevo in mente un'idea e a Keith non sarebbe piaciuta per niente.

A fine turno mi appropriai di alcune stoffe bianche e nere, un piccolo furto che avrei ripagato immediatamente. Andai a casa e iniziai a cucire il più veloce possibile, avrei dovuto finire prima che facesse buio. Mi cambiai e seguii le indicazioni del cocchiere, sperando di arrivare in tempo. Riconobbi la Villa, perché era circondata da agenti di polizia. Mi arrampicai su un grosso albero dai rami spessi e mi tenni salda ad aspettare. Rosa Nera avrebbe dovuto vedermi per forza, era il punto migliore che dava l'idea di tutta la visuale. Mai mi ero sentita così spaventata e ancora non riuscivo a credere a cosa mi era saltato in testa. Ero completamente impazzita.

«Cosa ci fate voi qui?», sentii la sua voce sconcertata e poi il suo peso che scuoteva il ramo.

«Keith, voglio aiutarvi», la mia determinazione era indiscutibile.

«Come siete vestita?», si accorse subito del nuovo particolare, ma non ero sicura circa il suo stato d'animo. Portavo un abito a maniche lunghe nero con sopra un grembiule bianco e in testa avevo una cuffietta.

«Mi fingerò una cameriera ed entrerò io», decisi.

«No, è fuori discussione», qualcosa faceva supporre fosse contrariato.

«Perché no?», incrociai le braccia.

«E' troppo pericoloso! Non mi sono spinto fino a questo punto per farvi rischiare la vita!».

«Voi siete in pericolo, è voi che cercano e siete riconoscibili anche a distanza!».

Mi puntò il dito contro. «Io ho l'abilità di irrompere in casa e di affrontare chiunque, voi no».

«Dove sono i soldi?», feci un passo indietro e iniziai una nuova conversazione.

«Non voglio rubare i soldi, sono tenuti in cassaforte ed è controllata. Prenderò qualsiasi altro oggetto di valore», confessò.

«Bene», scesi dall'albero e iniziai a correre verso la Villa. Dall'alto mi era parso di vedere dove fosse l'entrata per i domestici. Mi girai a controllare, ma Keith era sparito. Ovunque fosse andato non mi avrebbe mai fermata davanti alle guardie. Ormai avevo deciso. Presi in direzione dell'entrata secondaria e quando fui abbastanza vicina rallentai e assunsi un'espressione tranquilla.

«Fermatevi, voi chi siete?», mi venne puntato il fucile contro, ma non mi allarmai.

«S-sono una delle sguattere di Lady Crawley», improvvisai, più debolmente di quanto immaginassi. Era una sensazione terribile, ma pensai che con tutti i domestici in casa le sguattere fossero le meno calcolate in assoluto.

«Molto bene», si ritrasse l'uomo e io sospirai dal sollievo. Mentre entravo guardai il cielo, ma Rosa Nera non era nei paraggi. Forse me la sarei cavata bene anche da sola.

Davanti a me si presentò un lungo corridoio trafficato da domestici che entravano e uscivano da una stanza con dei vassoi in mano, vino e pietanze, poi salivano le scale. Alla mia sinistra, infatti, c'erano le cucine. Ero arrivata all'ora di cena, dove tutti erano impegnati e non badavano a me. Perfetto. Cercai di passare inosservata, raccolsi uno straccio da terra e seguii i camerieri. Con tutto quel caos non mi dissero niente. Le scale portavano ad un ampio salone tappezzato da quadri e di oggetti vistosi, ma dei Crawley non c'era traccia. Sentivo delle voci chiacchierare sonoramente, ma provenivano da un'altra sala, dove si erano fiondati i camerieri. Alla mia destra c'erano altre scale, non potei chiedere di meglio, che portavano al cuore della Villa. Sarei sparita in un attimo. Corsi di sopra e mi ritrovai immersa da altri corridoi caratterizzati da alti pilastri. Era una casa da sogno, non riuscivo a crederci. Non avrei dovuto distrarmi. C'erano tante porte e ognuna mi metteva soggezione. Cosa avrei trovato dall'altra parte? Ne scelsi una e titubante entrai. Era una camera da letto, decisamente di una ragazza. Mi fermai ad ammirarla quando notai una toletta da trucco e mi ci specchiai. Mi avvicinai pensando a quello che stavo per fare. Anelli d'oro, collane di perle, orecchini con pietre preziose. Presi tutto e nascosi nello straccio. Più frettolosamente di prima e con troppa adrenalina in corpo tornai di sotto. Nel grande salone però trovai un nobile e uno dei domestici, probabilmente il maggiordomo.

«Cosa ci fate voi qui?», mi rimproverò quest'ultimo. «Perdonatemi, Sua Signoria», fece al nobile e poi mi rincorse, nonostante fosse vecchio.

«Chiedo scusa», scappai giù per le scale di servizio e mi scontrai con altre ragazze. Feci molta attenzione a non mostrare i gioielli e corsi via.

«Le sguattere non possono salire!», continuò il maggiordomo e io mi ritrovai tutti gli sguardi puntati contro. Accidenti.

«Rosa Nera!», si sentì dai piani alti e io non fui più oggetto di attenzione.

«Fermatela!», scappai dalla porta secondaria, ma le guardie si erano riunite tutte in un punto e quello ero io. Da che parte sarei dovuta andare? Se fossi rimasta lì mi avrebbero sparato, se fossi tornata indietro mi avrebbero catturata.

Sentii uno sparo e urlai, ma nessuno era stato colpito. La guardia che teneva d'occhio me gridò a sua volta e fece cadere l'arma dalle mani. Era volato qualcosa di piccolo e nero sull'impugnatura del fucile, sembrava un biglietto. Scappai ancora, sperando di non essere vista quando qualcuno mi afferrò. Strillai e calciai, ma una mano bianca mi tappò la bocca. Era Keith. Mi stava portando al riparo, sembrava stessimo volando. Quando fummo ai piedi dell'albero mi fece nascondere dietro al tronco e io ebbi una reazione incontrollata di isteria.

«Avete visto quanto può essere pericoloso!?», mi sgridò, ma a me non importava, continuavo a ridere.

«Li ho presi!», mi sentivo ridicola, ma non riuscii a gestirmi.

«Cosa?», Keith sembrava sorpreso, così gli mostrai il bottino, felice e fiera. Era rimasto senza parole.

«Trovatelo!», di nuovo le guardie.

Rosa Nera mi prese in braccio e fuggì all'interno del bosco, mescolandosi nella notte. In lontananza udimmo delle campane, stavano suonando per lui. Per noi.

Senza sosta raggiungemmo la periferia e correndo sopra i tetti si fiondò in casa mia. Quando toccai terra le gambe mi tremarono e mi sedetti sul letto. «Ho rubato», realizzai. Guardai i gioielli e provai a mettermi un anello, mi stava perfettamente.

Keith si era inginocchiato davanti a me. «Come vi sentite?», mi chiese con uno strano tono.

«Benissimo», risi imbarazzata.

La sua testa era china. «Avete appena infranto la Legge, vi siete appropriata di beni non vostri e voi state benissimo», alzò lo sguardo e i suoi occhi erano bui. «Vi piace quell'anello? Tenetevelo e agghindatevi come una di loro».

«Smettetela!», avevo capito cosa stesse insinuando, perciò mi levai il gioiello e lo lanciai per terra. «Sapete perché l'ho fatto e non è di certo per arricchire la mia collezione», raccolsi il panno. «Prendeteli, questi sono per i bisognosi. Io volevo aiutare voi».

«E siete disposta a ripetere ciò che è accaduto poco fa?».

«Sì», non si aspettava una risposta così immediata. «Farei qualsiasi cosa per vedervi salvo».

Ci mise del tempo, ma accettò i gioielli. «Siete proprio ostinata».

«Finché ci sarete voi a proteggermi», gli presi il cappello e me lo posizionai in testa, «potete chiamarmi pure Rosa Rossa», sorrisi trionfante.

Con uno scatto Keith si alzò in piedi e mise una mano dietro la mia nuca. La sua bocca era sulla mia e chiedeva avida un contatto, insistendo. Gli accarezzai i capelli, lasciando che la sua lingua lambisse la mia in un turbinio di passione. Lui era il mio cavaliere dagli occhi lucenti, occhi che si accesero dietro la sua maschera che feci scivolare via. Lui era tutto per me. Avrei fatto qualsiasi cosa per vederlo salvo, vivo, libero. Sarei morta per lui, ma non lo avrei mai lasciato andare. Mi staccai, anche se premeva stretto. «Vi amo», gli sussurrai sulle labbra. Non mi ero resa conto di quanto fossero morbide.

«Vi amo», il cuore mi si bloccò. Subito dopo mi travolse di nuovo in uno dei suoi appassionanti caldi baci.

Le nostre aggressioni continuarono e di me non si parlò mai. Avevo intuito bene, alle sguattere nessuno dava importanza. Tutto il ricavato veniva smistato tra i poveri più colpiti, esattamente come Rosa Nera aveva promesso. Sapendo che dietro a tutto questo c'era Keith mi fece provare un gran senso di giustizia. Non era affatto come le redazioni lo descrivevano, fortunatamente c'era un giornale, il Monmartre Journal, che apprezzava le gesta del ladro, mostrandolo per ciò che era, un benefattore. Perciò era indubbiamente la rivista più giudicata, ovviamente nell'alta società.

Dopocena ero in procinto di spegnere tutte le candele e riposarmi, quando Rosa Nera entrò nella mia stanza. Non lo vidi subito, prima sentii il fresco della sera spegnermi l'ultima fiamma. Sorrisi, ormai conoscevo il suo stile. Mi voltai e vidi la sua sagoma davanti al camino.

«Buonasera, Milady», si avvicinò per farmi il baciamano.

«Non siate ridicolo, Milord», scherzai, anche se mi sentivo a disagio.

«Iniziate ad abituarvi, perché partiremo per Vienna domani», da sotto il mantello uscì una scatola.

Rimasi incuriosita. «Cos'è quello? Perché Vienna?».

«Prima il piacere», aprì la scatola e tirò fuori quello che sembrava a tutti gli effetti un abito da ballo. Era nero, con il corpetto intrecciato da lacci e pizzo e le maniche ampie a sbuffo. La gonna era formata da un doppio strato di stoffa ed era più grande del mio letto.

«Non lo posso accettare», era troppo per me. «Non fraintendetemi, è stupendo, ma io...».

«Non è solo un regalo», si tolse la maschera e il cappello. «Sono stato invitato a un ballo nella residenza dei Preminger e ho bisogno del vostro aiuto», si fece subito più serio e capii che non era solo un semplice invito per divertimento. Lo feci accomodare su una sedia e lo lasciai parlare. «Hermann, il figlio del Duca di Preminger, ha un debito di migliaia di sterline nei confronti di mio padre. Sono mesi che tarda con i pagamenti e la mia famiglia sta affrontando le conseguenze. Ho scoperto che in realtà il denaro non gli manca, ma lo usa per soddisfare i suoi sfizi, come per esempio organizzare questo ballo. Ha invitato anche mio padre, ma per affari non può presenziare, così ci andrò io. Hermann non mi conosce. Non mi fido di quell'uomo, chissà cosa avrà in mente. E' ora che faccia i conti con Rosa Nera, per la mia famiglia. Voi mi capite? Accettereste, per me?».

«Sapete che vi seguirei ovunque, specialmente per aiutarvi, ma non è quello il problema», mi inginocchiai davanti a lui e gli presi le mani. «Io non sono una nobile, non saprei come comportarmi e rischierei di farvi scoprire», appoggiai la fronte sulle sue ginocchia.

«Non dovete preoccuparvi, basterà che balliate sempre con me e non rivolgiate la parola a nessuno».

«Anche questo è un problema», non ce la facevo a guardarlo negli occhi. «Non so ballare».

Qualche secondo dopo si alzò e tirò su anche me. Con sicurezza mi afferrò la schiena e mi distese le braccia, dopodiché iniziò a ballare formando un cerchio. Mi sentivo un disastro, probabilmente lo ero, ma lui era così bravo. Passi sbagliati a parte, mi sentivo leggera come una farfalla, Keith si muoveva come se fosse su una nuvola.

«Siete un ballerino eccezionale», avrebbe solo sfigurato con me.

«E' stata mia madre a insegnarmi, sia a me che a mio fratello», confessò.

«Avete un fratello?», lui non parlava mai troppo di se stesso, era molto riservato.

«Gemello, sì, Francis».

«E ora lui dov'è?», non me lo sarei mai aspettata, due Keith.

«In un collegio svizzero».

Non aggiunse nient'altro, probabilmente non gli faceva piacere parlare di Francis.

«E vostra madre?», cambiai discorso.

«E' morta».

«Perdonatemi», sussultai.

«Era una donna buona e gentile, ma estremamente infelice. Mio padre la teneva chiusa in casa, anche se lei voleva essere libera. Anche lei amava aiutare il prossimo, ma il Conte non glielo permetteva. Quando morì lui si pentì, per questo motivo iniziò a fare beneficenza, per ricordarla, ma in realtà non gli importa minimamente del popolo».

«E' una storia triste».

«E' il motivo per cui Rosa Nera esiste».

Nel frattempo avevo capito come erano strutturati i passi del valzer. Non erano difficili, ma continuavo a guardare per terra per paura di pestargli i piedi. Cosa impossibile, lui volava.

«Ora sapete qualcosa in più di me», con il naso mi sfiorò la fronte per dirmi di tenere la testa alta. «Parlatemi di voi».

«Non c'è molto da dire, la mia famiglia era povera e non riusciva a sfamarci tutti, così sono andata via di casa in cerca di lavoro, in modo da vivere per conto mio. Mia madre mi insegnò a cucire e così ora sono una delle sarte dell'Atèlier della Signora Felicia», poi risi, «oltre ad essere la complice del famigerato ladro Rosa Nera».

«Un'ottima complice», sorrise.

«Lo credete davvero?», era sempre serio, non aveva l'aria di scherzare su questi argomenti.

«Andate bene, il vestito è molto lungo, coprirà i vostri errori», poi si schiarì la voce. «Nessuno vi guarderà le scarpe», mi riprese, perché non la smettevo di controllare dove mettessi i piedi.

Si fermò. «Ora riposatevi, sarò qui all'alba». Con uno scatto indietreggiò, raccolse le sue cose e com'era arrivato se ne andò, lasciandomi sempre più basita.

Cercai di farmi trovare già pronta, quando Keith si presentò con un nuovo abito da giorno, simile a quelli che cucivo io per le dame di Londra. «Mi rincresce, ma dovete cambiare identità». Mi lasciò altro tempo per vestirmi. Il vestito era semplice, rosa blossom, la gonna lunga e liscia finiva con le balze, le maniche erano lunghe e rigonfie sulle spalle, mentre il collo alto era di merletto bianco con un gioiello rosso. «Non è necessario indossiate il cappello», sbucò Keith all'improvviso, mentre mi stavo ammirando.

«Invece sì, devo essere credibile», in realtà lo teneva già dietro la schiena e me lo porse con eleganza. Era piccolo, solido, scamosciato con una piuma nera fissata dallo stesso gioiello dell'abito. «Come mi sta?», legai i capelli con delle mollette e lo inclinai di lato.

«Siete splendida, Lady Rosamund», mi porse anche dei guanti bianchi. «Figlia della Marchesa di Greenwich».

«Avete pensato a tutto», li presi e li infilai.

«Dobbiamo andare», mi prese a braccetto e uscimmo.

Salpammo su una nave che conduceva in Belgio e da Bruxelles prendemmo il primo treno diretto. Mai avrei pensato di poter viaggiare in Prima Classe. Pranzammo e cenammo insieme nella nostra cabina e ogni tanto il cameriere veniva ad offrirci del tè inglese. Non mi ero mai spostata così tanto e l'idea di questa missione mi intimoriva. Il paesaggio continuava a cambiare, ma ci fece un regalo, facendoci ammirare il tramonto sopra a un lago. I colori spiccavano sul viso di Keith, con il mento appoggiato alla mano e lo sguardo assorto. Mi spostai al suo fianco e appoggiai la guancia sulla sua spalla.

«Andrà tutto bene», gli baciai la clavicola.

«Lo so», rispose secco, così mi sollevai. «Non è quello a cui sto pensando».

«Credete io possa fallire, perché...», successivamente premette un dito contro le mie labbra.

«Hermann è un uomo pericoloso, ma questo non mi fermerà. Devo dimostrare qualcosa a mio padre, lo ammetto, ma qualunque cosa sia spero la comprenda», poi lo tolse.

«Siete un uomo tormentato», commentai con malinconia.

Keith emise un risolino amaro. «Ve l'ho detto, non posso prendermi cura anche di me stesso».

«Lo fareste per me?», mi guardò e parve rilassarsi.

«Non mi amate anche per il mio animo tormentato?», sorrise debolmente.

Mi rassegnai e feci roteare gli occhi. «Sì».

Dalla tasca interna della giacca estrasse qualcosa. Era rosa, decorato in oro, dalla forma cilindrica.

«Che cos'è?», chiesi curiosa.

«Era il caleidoscopio di mia madre. Nel periodo in cui si ammalò lo usò maggiormente. Lo chiamava la mia finestra sul mondo. La faceva sentire meglio. Prendetelo», me lo diede.

Accettai e lo provai subito. «Wow», l'effetto che aveva sul paesaggio era spettacolare. «E' vero, sembrano tante finestrelle», poi lo usai su di lui e vidi Keith in cento sfaccettature. Ognuno di loro esprimeva un'emozione, ciò che restò immutato fu la sua bellezza. Smisi di giocarci e restai ammaliata.

Delicatamente mi attirò a sé e mi baciò le labbra. «Siamo arrivati».

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro