Capitolo 12- Lontano Dai Guai

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

«Stavo per lasciare il porto, quindi si metta comoda», mi disse. 

Guardai la riva allontanarsi e cercai di sistemarmi i capelli che svolazzavano in ogni dove a causa del vento che soffiava imperterrito, per poi godere della vista che si presentò ai miei occhi. La città si stava allontanando e non potei che esserne più felice, sentivo che qui i problemi non mi avrebbero raggiunta e, in un certo senso, mi sentii al sicuro. A questo pensiero, gettai un'occhiata verso Jonathan che era tutto impegnato a maneggiare con grande maestria il timone. Quest'uomo era un enigma e, osservandolo, non potei che ritirare quanto avevo affermato all'inizio: era davvero a suo agio, forse perché anche lui lontano dalla città ritrovava un po' di pace dalla frenesia della vita di tutti i giorni. Ne studiai i lineamenti e il suo corpo per diversi attimi fino a quando non si voltò verso di me, sorprendendomi. Non distolsi subito lo sguardo per non fuggire come una codarda e, dopo una lunga occhiata, riportò il suo sguardo davanti a sé. 

«Vuole provare?» chiese dopo un po'. Fermò l'avanzata e sbarrai gli occhi pensando di aver capito male. Notando la mia reticenza, sorrise e mi soffermai a fissare il suo sorriso che scoprii essere davvero bello e contagioso, peccato che non sorridesse quasi mai. «Non è difficile» insistette. Mi alzai titubante, lo raggiunsi e presi il suo posto posizionando le mani dove mi indicò. Sentii la sua presenza dietro di me. «Non è molto diverso dal guidare un'automobile, ma non esageri con la velocità all'inizio.» Appoggiò le sue mani sulle mie, deglutii, poi accese il motore e sentii la barca partire. «Se ha bisogno, basta chiederlo. Io rimango dietro di lei per qualsiasi evenienza», disse. «La lascio andare, pronta?»

Confermai e lo percepii allontanarsi, le sensazioni che provai nel pilotarla io stessa furono incredibili: nessun ostacolo, niente di niente, solo io e il fiume. Mi sentii libera. Mi voltai un attimo verso di lui, sorridendogli grata e Jonathan non esitò a ricambiare. Mi parve quasi di avere di fianco una persona completamente diversa, un altro Jonathan che non era solito mostrare e forse, dico forse, quest'ultimo mi piaceva ancora di più della prima faccia che mostrava.

Aumentai la velocità distanziandomi sempre più dalla città e immergendomi nella natura che caratterizzava il fiume sull'altra sponda. Continuai con la stessa andatura per diverso tempo finché un dubbio sorse nella mia mente. «Dove dobbiamo andare?»

Alzò le spalle. «Ha importanza?»

«No ma...» rallentai.

Si guardò attorno, per poi indicarmi una direzione da seguire e timonai la barca verso la rientranza da lui consigliata sotto il suo sguardo attento. Quando, però, ci fu da fare manovra per ancorare l'imbarcazione, prese in mano le redini e nel frattempo mi sedetti per godermi il tepore del sole sulla pelle, sporgendo il braccio fuori per sfiorare la superficie dell'acqua emozionata. Osservai i dintorni per accorgermi che ci fossimo fermati davanti a una sorta d'insenatura, come se fosse una sorta d'isolotto separato dal resto del mondo e lo rimirai affascinata. Riportai l'attenzione su Jonathan che, dopo aver ormeggiato nuovamente la sua barca, scese in cabina sparendo dalla mia visuale e allora ne approfittai per sdraiarmi a contemplare il cielo sopra di me che non era mai stato così limpido come oggi. Non c'era neanche una nuvola in cielo e alcuni uccelli volteggiavano, gracchiando numerosi. Chiusi gli occhi e mi rilassai al dondolare dell'imbarcazione e senza neanche accorgermene, a causa del dolce cullare, mi addormentai.

Jonathan mi svegliò e quando aprii gli occhi, me lo ritrovai davanti intento a osservarmi. «Non volevo disturbarla, ma è quasi ora di cena.»

Mi stropicciai gli occhi e mi accorsi che il sole stava tramontando e l'aria si era fatta più fresca. Notai solo dopo che mi aveva coperta e alzai gli occhi su di lui sorpresa, ma lui deviò il mio sguardo tornando verso la cabina. Dopo un attimo di esitazione, lo seguii all'interno. «Scusami se mi sono appisolata.» Mi sorrise rassicurandomi mentre si occupava della cena e io lo fissai interdetta, poi abbandonai le formalità. Lui non mi corresse. «Quando hai detto: è quasi ora di cena, non credevo intendessi che l'avresti cucinata tu e che avremmo cenato sulla barca.» 

«Se è un problema, possiamo tornare indietro.»

Esitai, lui spostò gli occhi su di me, e alla fine non saprei dire che cosa lessi nel suo sguardo ma desistetti dal fare la cosa giusta ancora una volta. «No, nessun problema.»

Mi osservò per capire se stessi dicendo il vero e per evitare di sorbirmi l'effetto del suo sguardo su di me, ritornai nella stessa posizione di prima per godermi il rosso del tramonto, in silenzio.

Quando mi raggiunse, aprì un tavolo sul ponte e m'invitò a sedermi mentre con titubanza lo accontentai; questa serata aveva un non so che di romantico che mi disorientò.

Il tramonto, un bicchiere di vino, un intrigante accompagnatore... Probabilmente, se fossi stata in me, mi sarei comportata come mio solito bruciando tutte le tappe ma per qualche strano motivo non ci riuscivo ultimamente.

Sentii il mio stomaco brontolare e guardai il piatto davanti a me con un certo languorino e infatti non esitai un secondo a iniziare a cenare sotto il suo sguardo divertito per il mio elevato appetito. Bevvi un bicchiere di vino spostando lo sguardo nel panorama che mi circondava e mi venne da ridere senza che potessi far nulla per trattenermi, portando Jonathan a guardami confuso e poi a chiedermi spiegazioni. «Non riesco a capire cosa ci faccio qui» confessai a cuore aperto. Non disse niente. Abbassò lo sguardo e sorseggiò il suo bicchiere di vino, lasciando scorrere un silenzio carico di significato, così preferii togliermi subito il capriccio. «Perché sono qui, Jonathan?»

Fissò i suoi occhi nei miei. «Perché devo sottoporti a un terribile interrogatorio e da qui non puoi scappare.» Lo disse con espressione talmente seria che ci cascai in pieno tanto che la mia espressione dovette essere da Oscar, visto che scoppiò a ridere. 

Molto divertente, davvero! Peccato che per me non lo fosse per niente ma sentire la sua risata cristallina m'impedii di picchiarlo seduta stante. Lo fulminai, per poi ridere anche io per il suo sarcasmo. «Sei odioso.» Sorrise, bevendo un altro sorso. «Quindi non mi farai neanche una domanda? Niente di niente?»

Annuii velocemente, forse troppo. «Esatto, perché qualsiasi cosa mi dirai sarò costretto a riferirla e a metterla nero su bianco.» Mi guardò per farmi capire che diceva sul serio e gli credetti, chiudendomi a riccio perché aveva aperto un argomento che ebbe l'effetto di congelarmi il cuore e la mente. Non dissi niente e lui fece altrettanto, almeno per i minuti successivi fino a quando non se ne uscì con qualcosa di inaspettato. «Lo sai che andavamo alla stessa scuola?»

Lo guardai perplessa per la sua uscita, poi capii che cercasse di cambiare argomento. «Sei serio?» Annuì, pensieroso, facendo dondolare il bicchiere tra le sue mani. «Mi stupisce che te ne sia ricordato, per me quegli anni sono un buco nero.»

Si perse un attimo nei suoi pensieri. «Eri solita stare sempre insieme a tuo fratello, o forse dovrei dire il contrario.»

A sentirgli nominare Arthur m'irrigidii, era un argomento delicato, soprattutto dopo quello che avevamo scampato ieri sera e mi rabbuiai. Rimasi stupita, però, dal fatto che si fosse ricordato della sottoscritta, per me non era lo stesso, ma il motivo del perché non lo ricordassi era uno solo ed ecco perché decisi di non approfondire maggiormente visto che era un argomento ancora più delicato del precedente. Sentii i suoi occhi su di me e li evitai continuando a sorseggiare il mio vino con lo sguardo verso l'orizzonte.

Era fantastico qui, magico, e avevo paura di realizzare che non lo fosse tanto per il luogo in sé ma per la persona che mi sedeva davanti.

Si alzò e si mosse verso la cabina senza disturbarmi. Lo fermai. «Non mi hai ancora risposto.»

Si voltò verso di me, teso, poi rilassò le spalle. «Sei qui perché posso tenerti d'occhio e impedirti di cacciarti in qualche guaio.» Scese in cabina e, dopo il primo attimo di sorpresa, lasciai sorgere un sorriso sulle mie labbra colpita dalla sua ammissione.

Aveva ragione: qui i guai non potevamo raggiungermi. Non aveva considerato però che forse era lui quello che vi ci si stava cacciando, dall'esatto momento in cui mi aveva teso quella mano per farmi salire a bordo e probabilmente lo sapeva anche, ma... non sembrava fargli alcuna differenza. Speravo solo che sapesse quello che stava facendo, perché io non lo sapevo e le mie azioni lo dimostravano una dietro l'altra.

Mi persi nei miei pensieri, godendo di questi ultimi attimi prima di fare ritorno alla terra ferma. Purtroppo sarebbe arrivato presto il momento del ritorno e infatti non appena ritornò, studiò un attimo il cielo e, intuendo che si stava avvicinando un temporale, tornare indietro fu d'obbligo. Ci impiegammo più del previsto a raggiungere il molo visto che senza neanche accorgermene mi ero allontanata notevolmente, tanto che ormai i cumulonembi ci sovrastavano prepotentemente.

Dopo aver attraccato, scese per primo tendendomi le mani per aiutarmi a scendere. Mi allontanai e aspettai che la legasse per bene. Poi mi feci avanti per salutarlo, mentre era ancora impegnato. «Grazie per il giro, sono stata davvero bene.»

Alzò gli occhi su di me sorpreso e subito pensai di aver esagerato, tappandomi la bocca e iniziando a indietreggiare lungo il pontile con tutta l'intenzione di andarmene. «Aspetta, ti accompagno.»

Trattenni il respiro e ora toccò a me guardarlo incredula, ma soprattutto indecisa. Avrei preferito salutarci qui e mettere la parola fine a tutto questo prima ma il suo tono non ammetteva repliche e, dopo aver finito di sistemare, mi raggiunse per fare quanto promesso. «Sono a piedi: non importa, dico davvero.»

Jonathan continuò a camminare, sordo alle mie parole. «Lascia che ti accompagni. Non vorrai litigare qui in mezzo alla strada, vero?»

Alzai gli occhi su di lui seccata dalla sua testardaggine prima di provare a dissuaderlo. «No, ma...»

«Andiamo allora, prima che venga giù il diluvio» mi parlò sopra, interrompendomi. Sospirai, seguendolo dato che era avanti a me già di qualche passo.

Stavamo camminando già da diverso tempo, quando interruppe il silenzio che ci accompagnava. «Ti ho detto che non ti domanderò niente, ed è così, ma se hai bisogno di parlare o di chiedere qualsiasi cosa non esitare perché voglio davvero aiutarti.»

Mantenni gli occhi sulla strada davanti a me terrorizzata dall'alzarli su di lui e scoprire che fosse sincero. Rise sarcasticamente e così, incuriosita, lo guardai. «Non costringermi ad arrivare a usare le maniere forti per farti ragionare.»

«Sono proprio curiosa di vederti all'opera» mi presi gioco di lui.

«Non ti conviene, Vivienne. Non sarebbe piacevole per nessuno dei due.»

Mi morsi il labbro inferiore, sorpresa dalla sua sfacciataggine e intraprendenza. «Ma davvero?»

Fermò il suo avanzare per fronteggiarmi. «Ti piace giocare col fuoco, eh?» mi provocò, divertendomi solo di più. Un sorriso sghembo spuntò sulle sue labbra e scosse la testa, per poi rimettersi in marcia con me al suo fianco fino a che l'acquazzone ci sorprese e una forte pioggia cominciò a scendere dal cielo sempre più copiosa. Prontamente mi afferrò per mano e iniziò a correre, trascinandomi al suo seguito verso la strada che ci avrebbe condotti a casa mia. Senza volere mi soffermai sulle nostre mani unite e strane emozioni mi colsero impreparata. «Muoviti, Vivienne» mi urlò per farsi sentire sopra il frastuono del temporale e provai con tutta me stessa a tenere il suo passo a fatica.

«Faccio quello che posso!»

Mi tirò ancora e m'incavolai, sottraendo la mia mano dalla sua e rallentando la corsa fino quasi a fermarmi. Si voltò a guardarmi e mi persi a fissarlo grondante di pioggia e fradicio fino al midollo. Contro ogni logica non riuscii a staccare gli occhi da lui e dal suo corpo tanto che notai un angolo delle sue labbra sollevarsi ma non ci badai e diressi il volto verso il cielo lasciando che la pioggia mi scorresse sul volto, cancellando tutta la sporcizia che mi portavo addosso. Un sorriso sincero comparve sulle mie labbra. «Prova un po' a divertirti, Jon.» Aprii le braccia e mi godetti appieno questo momento finché non sentii la sua presenza a un passo da me.

«Jon, eh?» mi chiese, ma non voleva davvero una risposta. «Mi sembra di averti già detto che ho i miei modi per divertirmi.»

Mi passai una mano sul viso ormai ricoperto di acqua piovana e sorrisi perché mi divertivo a prenderlo in giro ma non feci in tempo a ribattere nulla che mi ritrovai a gambe all'aria e a testa in giù. Scoppiai a ridere complice anche il vino che avevo bevuto e mi lasciai trasportare verso casa. «Se aspetto te, facciamo in tempo a prenderci una polmonite.»

Risi più forte, facendolo irritare, ma era buffa la sua eccessiva preoccupazione e arrivata davanti al mio portone, mi lasciò scendere e una volta a terra, mi fermai a guardarlo senza fretta siccome ero già completamente zuppa dalla testa ai piedi. «Allora... grazie del passaggio.»

Sorrise e lo seguii subito dopo, poi la sua espressione si fece seria e mi dimenticai perfino del temporale intorno a noi e quando lo vidi accorciare la distanza che ci separava, trattenni il respiro. Immersi i miei occhi nelle sue iridi blu e non capii più niente, se non che non avrei voluto lasciarlo andare via e, guardandolo, capii che era proprio quello che anche lui mi stava chiedendo: di trattenerlo, perché se non lo avessi fatto io, lui non lo avrebbe fatto per rispetto a me e alla divisa che indossava. Con mia sorpresa però mi precedette e, avvicinandosi, mi accarezzò il viso con una mano. Rapita dai suoi gesti e calamitata dai suoi occhi, restai in attesa di una sua decisione e stavo per scoprirlo quando la porta di casa si aprì e una voce tuonò severa alle mie spalle. «Entra in casa, Vivienne!»

Mi voltai esterrefatta verso Arthur. «Scusami?»

Mi ignorò e fissò malamente l'uomo che mi stava davanti e, vedendo che non mi ero ancora mossa, mi tirò verso di lui facendomi perdere l'equilibrio. Ero tornata alla realtà e tutto mi piombò addosso nuovamente, comprese le paure di mio fratello nel trovarsi di fronte un poliziotto e dovetti dargli ragione perché a tutti gli effetti lo era, solo che me ne stavo dimenticando e non era da me perdere di vista gli obbiettivi che mi ero posta.

«Non trattarla così.» La voce di Jonathan risuonò piena di rimprovero verso mio fratello, portando quest'ultimo a fulminarlo con lo sguardo e capii che, avendo a che fare con un soggetto irascibile come mio fratello, fosse meglio evitare di provocarlo; per il bene di tutti.

«Che ci fai qui?» gli chiesi.

Spostò lo sguardo su di me, tacque, così entrai in casa per invogliarlo a seguirmi ma invece che accontentarmi, fronteggiò l'agente e la cosa non mi piacque per niente perché non lo sapevo controllare, così come non ci riusciva lui stesso. Arthur avanzò di qualche passo verso Jonathan, per poi parlare con tono basso e minaccioso ma riuscii a sentirlo lo stesso, per mia sfortuna. «Lascia in pace mia sorella, guai a te se ti rivedo a ronzarle attorno: tu e i tuoi colleghi piedipiatti vedete di stare alla larga da noi.»

Mi avvicinai per provare a farlo smettere e per tirarlo all'interno della mia abitazione senza riuscirci. A stupirmi maggiormente, però, fu Jonathan che non aveva ancora detto nulla, contenendosi senza reagire alle sue provocazioni, ma la mia contentezza durò poco perché senza alcun timore gli si parò davanti e, parlando a denti stretti per fare in modo che non sentissi il loro diverbio, lo mise KO - come anche la sottoscritta - per quello che riuscii a udire. «...Vedi di non coinvolgerla nei tuoi maledetti casini. Non ci sarà una seconda volta, quindi non portarla e non trascinarla in qualcosa che nemmeno tu sai gestire. È tua sorella, porca misera.»

Feci passare lo sguardo su entrambi e acquistai consapevolezza di parecchie cose che mi ferirono come lame in pochi attimi: l'agente spostò lo sguardo su di me e comprese che il mio cervello stesse iniziando a ingranare e a collegare numerosi pezzi del puzzle. Dalle loro parole arrivai a capire che lui sapeva di ieri sera e che pareva conoscere piuttosto bene mio fratello e il suo passato, mentre quest'ultimo notai che non aveva detto ancora nulla, rimanendo in silenzio, e fu questo a ferirmi di più perché sapevo perfettamente a che cosa fossero diretti i suoi pensieri.

Guardai un'ultima volta Jonathan e compresi di aver sbagliato tutto ancora una volta: ecco perché non faceva domande, sapeva già tutto. Imprecai prima di addentrarmi in casa, lasciandoli da soli sulla porta fregandomene altamente di quello che potevano farsi. Anzi, potevano anche ammazzarsi per quanto mi riguardava.

Mi ritirai in casa non prima di aver visto lo sguardo di Jonathan ancora una volta su di me ed ebbe il potere di trasmettermi la tempesta interiore che lo affliggeva, così come lo stesso temporale che scendeva a colpire le nostre teste indisturbato. Con un solo sguardo riusciva a imprigionarmi nella sua ragnatela di pensieri e contraddizioni ma questa volta non ci sarei cascata e, dopo aver distolto lo sguardo, mi sentii tranquilla solo quando sbattei la porta dietro di me.

Mi diressi in camera mia e mi buttai sul letto, non prima però di essermi tolta di dosso i vestiti fradici che ancora indossavo. Chiusi il mondo fuori e provai a cancellare le emozioni provate in questo pomeriggio che avevo creduto perfetto come pochi lo erano stati nei giorni addietro, senza però riuscirci.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro