Capitolo 13- Un Insolito Coinquilino

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Ero sdraiata nel mio letto, quando Arthur mi raggiunse e si sdraiò al mio fianco cingendomi da dietro. Mi tesi e cercai di allontanarlo. «Vattene.»

Sospirò, poi mollò la presa. «Che cavolo stavi facendo?»

Non lo sapevo, ma era stato tutto così naturale da lasciarmi basita. Ero stata davvero bene con Jonathan e in un modo diverso dal solito: si era creato una sorta di feeling che neanche io stessa riuscivo a spiegarmi.

«Lo sai vero che lavoro fa?» chiese.

«Rilassati! La tua incolumità è salva.» Mi allontanai da lui, lasciandogli intendere che non lo volessi intorno in questo momento; non dopo quello che avevo sentito o meglio che non avevo sentito uscire dalla sua bocca.

«Non è di questo che sto parlando.»

«Ah no?» risi amaramente. Lui mi tirò per una spalla per potermi vedere in volto e sentii la rabbia esplodere. «Non permetterti mai più di comportarti come hai fatto poco fa, devi imparare a controllarti», dissi.

«Io dovrei controllarmi? E tu no, invece?» mi provocò. «Non ti puoi fidare, potrebbe fare il doppio gioco.»

Mi ammutolii e temetti che stesse dicendo il vero o che, in futuro, si fosse rivelata tale la sua premonizione. Distolsi lo sguardo non avendo nulla da aggiungere: Arthur aveva il potere di inculcarmi strane idee nella testa e farmi sospettare di chiunque, così decisi di non lasciarmi trascinare e di cambiare argomento. «Come va la testa?» chiesi.

«È solo un graffio» sminuì, poi inspirò a fondo. «Vivienne, mi dispiace per ieri sera. Non immaginavo che la situazione precipitasse in quel modo.»

Percepii il suo rammarico, esitando, poi ricordai tutto quello che avevo dovuto passare là sotto e non ce la feci a stare zitta. «Non posso sovraccaricarmi anche di questo adesso, lo capisci?» Mi fissò, poi annuì lievemente. «Ho già abbastanza problemi e poi non hai bisogno di me, puoi cavartela benissimo anche da solo.» 

«Io non credo e ieri sera ne è la prova» mi sorprese e lo guardai alzarsi. «Ma non posso costringerti. Ora devo andare»

Mi sollevai scossa dal tono che aveva usato. «Aspetta...»

«Ho un incontro tra qualche ora.»

«Come? Sei pazzo: non puoi fare un altro incontro stasera, ma ti sei visto? E dopo il blitz di ieri sera dovresti lasciare calmare un po' le acque.» I suoi lineamenti si fecero duri, non apprezzando le mie parole. Si avviò verso la porta, pronto ad andarsene ed evitando così rispondermi, lo seguii. «Arthur!»

«Cosa c'è? Non puoi impedirmelo e non cambierò idea.» Si girò verso di me. «Ho bisogno di soldi e questo è l'unico modo che conosco.»

Mi tornò in mente il tizio di ieri sera e m'irrigidii nel ricordare che cosa avevo rischiato. «Facendoti ammazzare.» La sua respirazione accelerò e capii che la sua rabbia stesse crescendo a dismisura. «Beh, io no invece: posso aiutarti, mettere dei soldi...»

Rise. «Primo, non hai quella cifra; secondo, non ti permetterei mai di usare i tuoi risparmi.»

Mi avvicinai per parlargli a quattrocchi. «I soldi sono i miei e decido io come usarli e in più se ci possono aiutare a uscire da tutto questo schifo, allora dobbiamo farlo.» Corrugò la fronte e mi studiò in silenzio. «Non voglio più stare in ansia o avere paura che possa succederti qualcosa, per favore.» Notai qualcosa vacillare nel suo sguardo e sperai che finalmente mi avrebbe ascoltata o quanto meno dato retta; invece, mi stavo solo illudendo e lo capii dall'espressione che sorse sul suo viso. «Questa cosa ti sta distruggendo e neanche te ne rendi conto.»

«È la mia vita: rispetta la mia scelta, così come io faccio con le tue, giorno dopo giorno.»

Il vuoto si propagò dentro di me, mentre si avviava verso l'ingresso del mio appartamento. Provai a impedirglielo. «Arthur, non puoi combattere in queste condizioni e dovresti saperlo meglio di me!» gli corsi dietro visto che non voleva ascoltarmi ma sembrava del tutto intenzionato a fuggire da me e dalle mie parole. «Se non vuoi farlo per me, fallo per il figlio che aspetti.» Toccai un tasto dolente e ne ero consapevole.

«Ci penso ed è proprio per questo che lo faccio!» sbottò.

Provai ad afferrare il braccio con cui stava per aprire la porta d'ingresso ma mi precedette voltandosi verso di me di scatto e con una rapidità tale che, allungando il braccio nella mia direzione, finì per colpirmi in volto. Ci guardammo in silenzio, entrambi senza sapere cosa fare per aiutare l'altro.

«Non è niente» notando la sua espressione frastornata da quello che mi aveva fatto, mi prodigai a rassicurarlo ma non mi ascoltò e se ne andò, sbattendo la porta, ferito e sentendosi colpevole per avermi colpita. Al solo pensiero che andasse in questo stato ad una delle sue serate il mio cuore smise di battere e, uscendo dal portone di casa mia, lo guardai allontanarsi nella notte con le spalle incurvate e dei pensieri cupi ad offuscargli la mente. La tentazione di corrergli dietro fu tanta ma alla fine non lo feci: rimasi lì a guardarlo colpevole fino a quando non scomparve totalmente dalla mia vista. Gli occhi mi diventarono lucidi senza che potessi far niente per impedirlo: ero disperata perché non sapevo come aiutarlo e lui di certo non mi facilitava il lavoro.

Rientrai in casa delusa da me stessa per non essere riuscita a impormi e recandomi in cucina, dopo aver preso qualcosa da bere, sentii un rumore insolito provenire da dietro il divano e una volta che mi fui avvicinata, sporsi la testa per vedere al di dietro e sbarrai gli occhi: un gatto rosso mi fissava incuriosito mentre facevo altrettanto, domandandomi da dove fosse entrato.

Quando provai a tirarlo fuori da lì, mi soffiò brutalmente e mi trovai a imprecare per la situazione in cui mi trovavo. Mi distesi sul divano senza sapere come liberarmene e quando a un certo punto uscì, sedendosi sul mio divano, dovetti ammettere che fosse parecchio inquietante, soprattutto perché continuava a fissarmi. Provai ad avvicinarmi e mi soffiò nuovamente, così mi arresi. Mi alzai e nell'esatto momento in cui lo feci, si posizionò nella mia stessa postazione sdraiandosi comodo. Lo guardai incredula per diversi minuti. «Ok, vuoi rimanere? Rimani.» Alzai le mani in segno di resa e mi diedi della pazza per mettermi a parlare con un gatto. Me ne andai verso la mia camera per cercare di dormire un po' prima di affrontare un'altra giornata. E non appena mi sdraiai, mi addormentai di colpo accompagnata da un sonno senza sogni né incubi, solo il nulla a farmi compagnia.

***

Mi svegliai alla mattina sentendo caldo e quando aprii gli occhi, mi ritrovai quel gatto malefico sdraiato sulla mia pancia a dormire indisturbato, il primo pensiero fu quello di scappare prima che mi graffiasse, poi mi persi a guardarlo e contro ogni logica presi ad accarezzargli il morbido pelo. Sembrò apprezzare, così continuai ancora un po'.

Quando si fece l'ora, mi alzai e iniziare prepararmi. Prima di uscire lo controllai e, vedendolo sdraiato a pancia all'aria nel punto in cui ero io, un sorriso sorse sulle mie labbra rendendomi conto che da oggi avrei avuto un insolito coinquilino. Gli lasciai una ciotola con dell'acqua e in giornata sarei passata a prendergli qualcosa da mangiare, per poi provare a scoprire a chi appartenesse.

Anche se senza targhetta non sarebbe stato facile.

Andai al lavoro in mattinata e nel pomeriggio quando mi liberai, decisi di andare a trovare i miei: avevo bisogno di un po' di stabilità e lì sapevo che sarei riuscita a trovarla.

Mia madre mi accolse gioiosa e mi lasciai un po' coccolare e viziare. Quando poi arrivò mio padre, m'illuminai visto che avevo un debole enorme per lui: mi dispiaceva solo non essere riuscita a essere quello che volevano o di cui avevano bisogno.

Restai con loro per il resto del pomeriggio, godendomi finalmente un po' di pace. Mi chiesero di Arthur e non seppi così dire, o meglio mentii pur di non farli preoccupare e quando venne l'ora di andarmene, li salutai calorosamente e promisi loro che sarei tornata a trovarli presto.

Prima di andare a casa, però, passai a comprare il cibo per l'animale impiegandoci più tempo del previsto visto che non sapevo quale scegliere tra la grande varietà di prodotti.

Dopo aver parcheggiato davanti a casa mia, scesi dall'auto cercando le chiavi nella borsa che sembravano sparite, ritrovandole all'interno dell'auto senza neanche spiegarmi il perché. Chiusi l'auto e non feci neanche in tempo a muovere un passo che avvertii degli occhi su di me, o meglio mi sentii osservata, così feci vagare lo sguardo per identificare chiunque ci fosse; doveva esserci per forza qualcuno. Non potevo essere diventata pazza così da un momento all'altro ma non riuscendo a vedere nessuno, alla fine mi mossi verso casa.

Quando però udii dei passi avvicinarsi lungo la strada, mi voltai preoccupata alla ricerca del soggetto in questione e, non avvistando nessuno, una certa ansia si diffuse dentro di me. Velocemente entrai in casa, chiudendo il chiavistello dall'interno, per poi tirare un sospiro di sollievo sentendomi al sicuro.

Una palla di pelo spuntò dalla camera, venendomi incontro, per poi strusciarsi nelle mie gambe contento di vedermi. Mi recai in cucina per rovesciargli il contenuto in un piatto: non feci nemmeno in tempo ad appoggiarlo al pavimento che di corsa vi si era già fiondato sopra. Mi persi a osservarlo mangiare per qualche minuto, poi approfittando del fatto che era impegnato, decisi di dedicarmi alla preparazione della mia di cena ma prima che potessi mettermi a tavola bussarono alla porta. Esitai a muovermi perché non sapevo chi aspettarmi, poi andai ad aprire trovandomi davanti un James con espressione alquanto seria. Gettò una rapida occhiata all'interno del mio appartamento, per poi soffermarsi su di me. «Non volevo disturbarti, ma ieri ero passato e non ti avevo trovata, così alla fine non ho potuto fare a meno di preoccuparmi.»

«Non dovevi. Non c'è bisogno che ti preoccupi per me, James» precisai, prendendolo in contropiede.

«Ora non lo sono.» Alzai un sopracciglio scettica di fronte al suo arrampicarsi sugli specchi. «Sei sola?»

Lo fissai per capire se volesse davvero intraprendere questa strada. «No, ho compagnia.»

«Oh...» percepii la delusione nella sua voce. Un miagolio giunse dalla cucina e quello stupido gatto comparve nel momento meno opportuno. Riportai gli occhi su James che ora sorrideva. «È quella la compagnia di cui parli? Non vuoi qualcuno di più collaborativo?»

«Più collaborativo

Questa situazione stava diventando sempre più comica e in un certo senso mi stavo anche divertendo nel vederlo tentare. Annuì intimidito dal mio sguardo e risi senza poterne più fare a meno. «Lo trovi divertente?»

Ora sembrava parecchio imbarazzato: era buffo e non saprei dire come ma riuscì a intenerirmi. «Vuoi entrare?»

Esitò, sorrise e annuì. Lo lasciai passare e chiusi la porta dietro di noi, facendogli strada verso il soggiorno. Il gatto ci seguì e si posizionò ai miei piedi fissando con diffidenza il nuovo arrivato mentre quest'ultimo lo guardava curioso. «Non ti facevo una d'animale domestico», disse.

Non potei trovarmi più d'accordo con la sua constatazione visto che non mi ero mai presa la briga di occuparmi di un altro essere a parte me stessa e il perché era chiaro: ero un disastro sotto ogni punto di vista. «Nemmeno io, ma diciamo che lui la pensa diversamente.» Indicai la palla di pelo che sembrava non volersene più andare da questa casa. Andai a prendere qualcosa da offrirgli e quando ritornai gli porsi un bicchiere che lui non esitò ad afferrare, solo che avvicinandosi alla sottoscritta il gatto soffiò come un dannato, lasciando entrambi basiti.

«Sembra piuttosto geloso.» Sorrise guardandomi. «Non mi sorprende e lo capisco.»

Incastrai i miei occhi ai suoi per poi distoglierli in fretta, non apprezzando la piega che aveva preso il discorso. Sorrisi freddamente per far finta di non aver compreso e mi avviai verso i fornelli.

«Hai già cenato?»

Negò e allora gli chiesi se volesse farmi compagnia, ovviamente accettò: non glielo avevo chiesto perché mi faceva piacere ma perché mi sentivo in obbligo. Iniziai a preparare e i ricordi di Patrick al mio fianco mi sommersero la mente, provocandomi un leggero tremolio alle mani che m'impedii di lavorare correttamente.

«Vuoi una mano?», chiese.

Sussultai nel ritrovarlo a un passo da me. Gli chiesi di apparecchiare e si mise subito all'opera. Quando fu pronto, servii in tavola ricordandomi che l'ultima volta non fosse finita bene, ma contavo che oggi sarebbe stato diverso. Mi parlò della sua giornata e lo ascoltai sentendo il nervoso scemare grazie alla distrazione che mi offrì. E una volta finito di cenare, ci spostammo sul divano con un bicchiere di vino tra le mani mentre il gatto ci fissava immobile senza perdersi neanche una mossa, inquietandomi sempre di più. «Ti vedo distratta.»

Alzai gli occhi su di lui infastidita dalla sua curiosità e alla fine optai per una risposta evasiva. «Non ho avuto dei giorni facili, tutto qui.» Non sembrò convinto e m'invitò a continuare. «Problemi con mio fratello e sensi di colpa verso due genitori che non si meritavano, di certo, due figli così.» Buttai giù un sorso di vino bianco e mi persi con lo sguardo nel vuoto davanti a me.

«Io non lo credo, almeno per quanto riguarda te. Non ti conosco bene ma, per quel poco che ho visto, sei una donna con del carattere», disse «Devono esserne fieri e se non lo sono, beh...» Non lo ascoltai più e mi persi nei meandri della mia infanzia, affliggendomi. Mi sentii male per i ricordi che riaffiorarono e, sommandosi ai problemi odierni, mi sentii soffocare. Una sensazione che ormai conoscevo molto bene. Inevitabilmente mio fratello mi tornò in mente e mi nacque in testa la malsana idea di trovare i soldi per saldare il suo debito: non avevo idea ancora di come fare ma un modo lo avrei trovato, lo trovavo sempre e questa volta non avrei fatto eccezioni. «Vivienne.»

Mi destai dai miei pensieri e mi sentii vuota, odiavo perdere il controllo delle mie emozioni e conoscevo un solo modo per ritrovarlo. Mi voltai verso James che era rimasto in attesa di una mia reazione e presi la mia decisione. «Quanto tempo puoi restare?»

«Perché?»

«Ti va di ripetere?»

Mi scandagliò con attenzione, capendo subito a che cosa mi stessi riferendo. «Vivienne, non credo...»

Non capii perché esitava o si lasciasse prendere dalla morale proprio in questo momento. «È una domanda semplice, James. Sì o no? La prima scelta comporta la camera da letto e la seconda la porta. Ora tocca a te.»

Mi fissò interdetto. Poi si alzò e mi diede la sua risposta avviandosi verso la camera. Guardai il gatto che non aveva smesso di soffiare un attimo e lo chiusi nel soggiorno, per poi seguire l'uomo con cui stavo compiendo un'altra volta la discesa a un mondo da cui non sapevo se sarei mai riuscita ad uscire.

Un mondo in cui perdevo la poca dignità che mi era rimasta e semplicemente me stessa perché non era così che doveva essere ma non riuscivo a farne a meno. In fondo ero un'ipocrita: accusavo tanto mio fratello senza mai fermarmi un attimo a pensare che mi trovavo nella sua stessa situazione, se non peggio. Perché io a differenza sua ne ero consapevole.

***

Ero davanti alla finestra a fumarmi l'ennesima sigaretta, mentre James dormiva indisturbato nel mio letto. Notando che si stava facendo tardi, lo chiamai per dirgli di andarsene e una volta aperti gli occhi, si alzò per vestirsi.

Aspettai in silenzio che se ne andasse lasciandomi finalmente sola e prima di farlo, si fermò a lasciarmi un veloce bacio a stampo che non ricambiai, rimasi immobile aspettando di sentirlo uscire di casa.

Mi sedetti sul letto esausta. Mi strinsi tra le mie braccia alla ricerca di un po' di conforto che non arrivò. Mi alzai e con furia strappai dal letto le lenzuola, gettandole nella biancheria sporca. Era l'alba ma mi vestii in fretta con il mio completo da corsa e, dopo aver nutrito il gatto, scappai fuori per cercare di liberare la mente da tutti i miei pensieri. Corsi senza una meta, corsi senza una direzione precisa... mi piacerebbe dire che corsi senza sapere dove stavo andando ma in realtà ingannavo solo me stessa, perché quando intrapresi la via che mi avrebbe condotta al porto, dovetti per forza ammettere che ero diretta lì solo per vederlo, per sentire di nuovo quelle emozioni che solo lui era in grado di provocarmi.

Mi voltai con una strana sensazione ma non vedendo nessuno, riportai lo sguardo davanti a me alzando il volume negli auricolari. Continuai a correre provando a dimenticare il fatto che mi sentissi osservata. Feci vagare il mio sguardo alla ricerca di qualsiasi cosa che stonasse nel perimetro circostante senza notare nulla di particolare. Velocizzai l'andatura e quando mi ritrovai al porto, mi fermai per studiare la situazione. I miei occhi furono subito attratti da una figura incappucciata da una felpa blu scuro che usciva dalla stessa via che avevo appena percorsa e sentii il battito accelerare. Decisi di spostarmi per nascondermi alla sua vista, velocizzai il passo senza prestare attenzione e andai a sbattere contro un corpo possente che mi trattenne subito per le braccia per frenare il contraccolpo. Mi tolsi le cuffie, vedendo che stava muovendo le labbra e quando lo feci, rimasi come un'idiota a fissarlo, persa nei suoi occhi che avevano subito ricercato i miei per potermi leggermi dentro senza che neanche gli avessi dato il permesso. «Vivienne», disse, sorpreso. Deglutii senza trovare la voce per parlare sotto il suo sguardo severo. «Non dovresti essere qui.»

Il suo rimprovero ebbe l'effetto di una doccia d'acqua gelata addosso, permettendomi però di ritrovare la grinta che era solita accompagnarmi. Lasciò la presa su di me prima di allontanarsi, dirigendosi verso un piccolo magazzino che doveva essere di libero uso per i proprietari delle barche del molo e mi ritrovai a seguirlo. «E perché se mi è lecito chiedere?»

«Per una serie di motivi che ora non mi va di elencare, ma che credo tu sia abbastanza intelligente da intuire.» Sentii la rabbia salire per il comportamento che aveva assunto dopo che neanche poche ore fa stavamo per varcare i limiti consentiti. Era ritornato lo stesso uomo scontroso, burbero e odioso di sempre. «Torna a casa, Vivienne», mi disse.

Mi voltai per guardarmi alle spalle, controllando che il tizio sospetto non fosse più in circolazione, per poi prendere spunto dalle affermazioni di mio fratello. Non mi potevo fidare e provai a ripetermelo come un mantra per vedere se riuscivo a imprimermelo nella mente. Lo sentii avvicinarmisi nell'inutile tentativo di essere più convincente ma prima che potesse aggiungere qualcos'altro, mi alzai gli occhi su di lui. «È ancora valida la tua proposta?» Il suo volto si corrucciò e mi fissò perplesso. Capii così di avere la sua attenzione e ne approfittai sapendo di avere il coltello dalla parte del manico. «Ho deciso di darti una mano, per quanto mi è possibile, a risolvere il caso che riguarda Spencer.»

La sua espressione si fece ancora più confusa, probabilmente perché non si aspettava questa concessione da parte mia ma, dopo aver conosciuto l'altra sua faccia, ero più che convinta che sarei riuscita ad arrivare a ottenere quello che volevo.

Non credevo che se lo meritasse, ma aveva fatto l'errore d'imbattersi nella sottoscritta, perciò, doveva averlo già messo in conto fin dall'inizio. E se non lo aveva fatto, allora sarebbe stato il caso che lo facesse al più presto. 

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