Capitolo 14- Un Accordo Vantaggioso

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«È ancora valida la tua proposta?» domandai. La sua espressione si fece interdetta. «Ho deciso di darti una mano, per quanto mi è possibile, a risolvere il caso Spencer.»

Ci fissammo per un lungo attimo. «No, non è più valida. E ora torna a casa prima che perda la pazienza», disse alla fine, lasciandomi di stucco.

«Non dici sul serio, altrimenti...»

«Mi credi un idiota?» sbottò. «Mi credi così idiota da credere alle tue buone intenzioni quando, fino a poche ore fa, eri irremovibile sull'argomento.»

«Ho semplicemente cambiato idea.» Rise sarcasticamente senza credere minimamente a qualsiasi cosa stesse uscendo dalle mie labbra. Decisi così di cambiare strategia, altrimenti non ne sarei uscita e, vedendolo pronto a ritirarsi, lo fermai prendendolo per un braccio. Si voltò verso di me e lasciai subito la presa dal suo braccio, come scottata dall'averlo sfiorato. «Voglio solo aiutare, lasciamelo fare.» Mi studiò con attenzione e capii che questa volta fosse lui quello in difficoltà. «Sei stato tu a chiedermelo. Perché, tutto a un tratto, dovrebbe essere un problema?»

«Non lo è, ma non riesco a levarmi dalla testa che tu voglia fregarmi.»

Un sorriso comparve sulle mie labbra e lui spostò lo sguardo su di esse, per poi riportarlo nei miei occhi. «Ha importanza?» usai la stessa frase che mi aveva detto sulla barca e infatti mi guardò con più attenzione. «Tutti e due vogliamo ottenere qualcosa e l'accordo si rivela vantaggioso per entrambi, perciò non vedo perché tu debba porti tutti questi problemi.»

Inspirò a fondo. «Vuoi aiutarmi? Va bene, ma si fa a modo mio e dovrai seguire solo ed esclusivamente i miei ordini. Non voglio che tu pensi neanche un secondo di poter fare di testa tua perché ti rovino, sono stato abbastanza chiaro?» Annuii poco convinta e mi si avvicinò. «Prova anche solo a cercare di fregarmi e non m'importa niente di chi sei perché ti...»

«Fammi indovinare: mi rovini?» annullai la minima distanza tra noi, sfidando il suo auto-controllo. Serrò la mascella. «Sei stato chiaro; comunque, non ti darò problemi. Puoi stare tranquillo.» Non ci credetti io a dirlo e nemmeno lui, eppure era quello che voleva sentirsi dire. «Quando si comincia?»

Si lasciò scappare un verso simile a una risata, sorpassandomi, e mentre se ne andava lo sentii imprecare contro il cielo per la situazione in cui si era cacciato.

Mi presi un momento per me: accesi una sigaretta e, dopo qualche tiro, lasciai trapelare un sorriso di soddisfazione sul mio volto. Uscii dal magazzino per finire la sigaretta all'aria aperta e, alzando lo sguardo, non potei fare a meno di soffermarmi sulla persona che ora a distanza mi fissava: sentii l'ansia aumentare nell'identificarlo nello stesso uomo incappucciato di prima. Mi voltai alla ricerca di Jonathan e quando riportai gli occhi sul molo, il persecutore era sparito nel nulla, facendomi credere di essere pazza. 

«Sembra quasi che tu abbia visto un fantasma.» Sussultai e Jonathan mi guardò confuso per la mia reazione e mi ritrovai a dar credito alle sue parole: forse era davvero un fantasma, frutto solo della mia immaginazione o della tensione a cui ero stata sottoposta negli ultimi giorni tanto che finii per crederci. Osservai Jonathan depositare degli oggetti nel magazzino. Poi si voltò verso di me e chiese: «In che modo dovrebbe essere vantaggioso per te quest'accordo? Spiegami.»

Probabilmente dovevo imparare a dosare meglio le parole perché Jonathan non lasciava mai scorrere nulla. Mi guardò aspettando una risposta. Decisi di stuzzicarlo un po'. «Solo per il piacere della tua compagnia, Jonathan.» Gli sorrisi maliziosa prima di andarmene, ritornando sui miei passi. Lo immaginai irritato per la mia presa in giro senza sapere che, in realtà, un sorriso era comparso sul suo volto non appena gli avevo voltato le spalle.

Lungo la strada di casa, scrissi ad Arthur per chiedergli dell'incontro e quando mi rispose che era stato rimandato a questa sera, non riuscii a fare a meno di cogliere la palla al balzo e gli dissi che lo avrei accompagnato lasciandolo incredulo. Alla fine, però, accettò perché era quello che voleva.

Una volta arrivata a casa, presi l'auto e mi recai all'officina a cui ero solita rivolgermi per chiedere un consiglio su quale fosse la migliore concessionaria a cui poterla vendere: era praticamente nuova, l'avevo comprata l'anno scorso e speravo di tirarci su un bel gruzzolo per saldare i debiti di quel pazzo di mio fratello.

Probabilmente non se lo meritava, ma se gli fosse successo qualcosa non me lo sarei mai perdonato.

Dopo che me ne fu suggerita una, mi ci recai immediatamente per ottenere la parte della somma che avrei dato questa sera e non appena mi fecero una buona offerta accettai e, infilando i soldi nella borsa, sentii un peso sovraccaricarsi sul mio petto.

Forse non era la scelta giusta da prendere, ma avevo davvero una scelta? 

Tornai indietro con il primo autobus disponibile. Una volta a casa, a risollevarmi l'animo ci pensò il gatto che mi corse subito incontro. Mi chinai per prenderlo in braccio e bearmi del suo calore. Brontolò scocciato dalla mia presa, per poi smettere di miagolare una volta che gli servii il pasto. Lo lasciai sul bancone della cucina e mi sdraiai sul divano. Scrissi nuovamente a mio fratello per chiedergli di passarmi a prendere e, dopo che lo ebbe visualizzato, chiusi gli occhi ma non riuscii a dormire a causa dei mille pensieri che offuscavano la mia mente. Il gatto mi raggiunse e, dopo essersi posizionato al mio fianco, sbadigliò accoccolandosi tranquillo. In fondo era una buona compagnia e mi permetteva di sentirmi meno sola all'interno di questa casa. Continuai a guardarlo fino a quando non mi addormentai.

Mi svegliai tardi e, saltando la cena, mi preparai mentre aspettavo l'arrivo di Arthur. E stavo indossando il solito completo anonimo per queste occasioni, quando ci ripensai e optando per un tubino nero aderente e tacchi a spillo mi ritenni abbastanza appariscente per arrivare dritta allo scopo che mi ero posta. Mi raccolsi i capelli lasciando il collo scoperto e mi truccai per rendere il mio volto più presentabile. Quando sentii un clacson suonare, mi precipitai fuori. Chiusi a chiave prima di dirigermi verso l'auto che mi aspettava parcheggiata. Arthur era al telefono e mi guardò con espressione corrucciata, non feci in tempo a sedermi che mi attaccò verbalmente. «Dove credi di andare conciata così?»

«Non cominciare, per favore.»

«Non cominciare?» mi fissò scioccato, per poi adirarsi. «Ma le senti le idiozie che dici? Lo dico per te e per la mia sanità mentale: non posso stare tutto il tempo a controllare che non ti saltino addosso.»

«E non ce ne sarà bisogno, vuoi partire adesso.» 

«Non è il posto adatto per venire vestita così, Vivienne», insistette.

«Non è il posto adatto per me e per nessuno, Arthur, eppure non ti ha mai frenato dal chiamarmi» lo rimbeccai.

Mi gettò un'occhiataccia, poi accese l'auto e partì verso la nostra destinazione. «Fa come ti pare, ma poi non venire a lamentarti da me», disse, con una tale rabbia da scuotermi. Diressi lo sguardo sulla strada e sperai che il viaggio durasse il minor tempo possibile, così come questa assurda situazione.

Dopo una buona mezz'ora, raggiungemmo il punto d'incontro che era naturalmente diverso da quello del precedente. Arthur mi precedette nervoso e cercai di stargli dietro, décolleté consentendo. A volta mi sembrava proprio che tornasse a farmi gli stessi dispetti di quando era bambino. Lo seguii oltre l'ingresso principale, poi ci addentrammo nella mischia e questa volta almeno mi si affiancò per tenermi sotto controllo. Raggiungemmo il suo spogliatoio improvvisato e mi ritrovai ad aspettarlo, mentre si preparava.

Una volta che ebbe finito, mi mossi per uscire insieme a lui ma mi bloccò prima che potessi farlo. «Mi faresti il favore di rimanere qui dentro, solo per la durata dell'incontro, altrimenti rischio di distrarmi.»

Lo guardai, meditando sulle sue parole, mentre mi supplicava con gli occhi di acconsentire e alla fine lo feci: la solita bugiarda. Mi sorrise riconoscente prima di uscire seguito dalla sua troup, mentre rimasi avvolta dal silenzio della stanza contrastato dalle urla della folla al di fuori. Attesi di sentire il megafono che annunciava l'inizio dell'incontro per uscire alla ricerca del verme della scorsa volta.

Mi feci largo tra la folla che incitava lo scontro urlando il loro aspirante vincitore e mi soffermai con lo sguardo su Arthur che aveva già diverse ferite sul volto e sul petto, persi un battito e sentii la determinazione crescere sempre più a quella vista. Mi diressi al banco delle scommesse e puntai una bella cifra su mio fratello tanto ero più che sicura che avrebbe vinto ancora una volta: puntando sul terzo round. E attesi di conoscere il verdetto per poter affrontare a tasche piene qualsiasi conversazione che avrei dovuto intraprendere durante la serata.

Passai il resto del tempo a seguire l'incontro con una leggera trepidazione e quando al terzo round distese al suolo il suo avversario, esultai colma di soddisfazione. Presi qualcosa da bere e passai a ritirare la mia vittoria. L'intascai, per poi attraversare il corridoio che abbelliva lateralmente l'area e una volta che ebbi raggiunto il centro, mi fermai a contemplare la furia di mio fratello avvicinandomi al ring. 

Ero lì ferma, concentrata a studiare ogni sua mossa e quelle dell'avversario, quando sentii una presenza dietro di me e una mano posizionarsi sul mio fianco. «Mi sembra piuttosto corto questo vestito, non credi?» 

M'irrigidii, riconoscendo all'istante di chi si trattasse. Trattenni il respiro nell'averlo così vicino tanto da poter sentire il suo profumo. Esitai qualche attimo prima di reagire, forse troppo, perché lo sentii togliere la mano dalla sottoscritta e quando mi voltai, era sparito nella folla. Imprecai ad alta voce senza capire perché avesse voluto palesare la sua presenza e, cercando di non farmi prendere dal panico, rimasi immobile senza dare a Jonathan alcuna soddisfazione. Guardai mio fratello e non potei fare a meno di preoccuparmi.

Speravo solo che fosse venuto da solo.

E dopo un attimo di frastornamento, decisi di spostarmi per attenermi al mio piano originario fregandomene della sua presenza. Avanzai tra la massa gremita, evitando come la peste occhiate e mani lunghe. Cercai lo stesso punto dove lo avevo incontrato la scorsa volta e mi sorpresi di ritrovarlo lì, per la precisione nella zona vip se così si poteva chiamare. Lo fissai aspettando che mi notasse e quando lo fece, un sorriso sinistro comparve sul suo volto.

M'incamminai nella sua direzione e quando un uomo fermò la mia avanzata per impedirmi di accedere a quell'area, aspettai che facesse sentire la sua voce. Gli diede il permesso e lo raggiunsi, mentre l'uomo non aveva smesso un attimo di far scorrere il suo sguardo languido sul mio corpo ma finché andava a mio vantaggio e non superava i limiti non protestai. «Quale onore... in che cosa posso esserti utile, tesoro

Ignorando il suo sarcasmo, gli dissi che avevo portato i soldi di Arthur come aveva chiesto la scorsa volta e mi guardò sorpreso prima di annuire in attesa di vederli. Tirai fuori i soldi dell'auto e della scommessa, mostrandoglieli. «Allora, siamo a posto?» chiesi, con una certa durezza.

«Ne mancherebbero dieci mila ma siamo a posto, dolcezza.» Alzai un sopracciglio diffidente e sorrise spalleggiato dai suoi colleghi. «Anche perché il tuo bel ragazzo sta per andare a tappeto regalandoci un bel guadagno, quindi goditi lo spettacolo.» Sbarrai gli occhi e me ne andai sentendo le gambe tremarmi al solo pensiero. «È stato un piacere, torna quando vuoi» mi gridò dietro.

Ritornai sui miei passi per cercare di arrivare il più vicino possibile a mio fratello, non potendo credere neanche per un attimo che avesse accettato una cosa del genere: gliele avrei cantate se ne fosse uscito vivo e con questo pensiero sentii il vuoto propagarsi dentro di me.

Tenni gli occhi fissi su di lui che continuava imperterrito a tirare pugni addosso al malcapitato che sembrava non avere scelta che prenderle e aspettai, aspettai di vedere avverarsi quanto aveva detto quell'uomo meschino ma non avvenne nulla fino a quando non sentii qualcuno pressarmi in avanti. Mi voltai furiosa per affrontare chiunque avesse osato toccarmi e non appena lo feci, mi ritrovai davanti proprio quest'ultimo con uno strano sorriso sulle labbra. «Raggiungi la piattaforma, dolcezza. Se fai la brava, non ti faccio niente.»

Notai che aveva qualcosa in mano ma non riuscii a identificare che cosa, perché mi spintonò in avanti e, facendoci largo tra la gente, arrivammo a destinazione. Mi trattenne da dietro e capii solo dopo le sue intenzioni quando ormai era troppo tardi, mi tesi e guardai da pochi centimetri di distanza Arthur buttare a terra il suo avversario senza il minimo sforzo. Mantenne lo sguardo su di lui che faticava a rialzarsi e sorrise vittorioso lasciando vagare lo sguardo attorno a sé prima di soffermarsi purtroppo sulla sottoscritta. Appena si accorse di chi avevo alle spalle, lessi la rabbia nei suoi occhi ma aveva le mani legate e lo sapeva anche lui: doveva perdere e non stava per niente facendo il loro gioco: stava disobbedendo.

Abbassò gli occhi su di me e quello che vi lessi mi crepò qualcosa nel petto, qualcosa che non credevo più di avere. Distolse lo sguardo per riportarlo sull'avversario che ora si era rialzato ed era partito alla carica contro di lui. Non ce la feci a guardare, così provai a spostarmi inutilmente. «Non perderti neanche un minuto, tesoro. Non è qualcosa che si vede tutti i giorni.» Mi trattenne al suo fianco, impedendomi di andarmene e mi trovai costretta ad alzare lo sguardo sull'uomo che ancora una volta stavo mettendo nei guai: l'avversario ricaricò per l'ennesima volta il destro colpendo Arthur alla nuca con una tale potenza da sconvolgermi. Rintronato dal colpo inferto, si ritrovò a vacillare sulle sue stesse gambe, per poi essere sbattuto contro le corde ancora una volta e a farmi più male era il fatto che lui non reagiva.

«Fallo smettere.» Gli occhi mi diventarono lucidi e lo sentii ridere dietro di me, propagando così il senso di vuoto che sentivo.

«Sai loderò al capo le tue doti, magari troviamo qualcosa anche per te.»

«Fallo smettere, dannazione!» lo strattonai per liberarmi. Non mi ascoltò, alzando il volto per godersi lo spettacolo. Mi voltai per vedere Arthur cadere come un albero abbattuto sul palco rialzato e il suono che fece, accasciandosi, mi trafisse nell'animo.

«Non si fermano, è all'ultimo sangue: sono le regole, niente di personale.» Mi lasciò andare. «Il debito è saldato, faglielo sapere.» Dopo aver ammiccato nella mia direzione, se ne andò, così com'era venuto.

Rimasi a fissarlo per diversi minuti, tra le urla di scontento generale dall'inaspettata vittoria e quando ritrovai la forza, mi avventurai in quello che sarebbe diventato il mio calvario.

Mi feci largo tra la folla, per poi salire io stessa tremando alla vista di mio fratello inerme e disteso sul ring. Mi piegai sulle ginocchia, cercando di capire se fosse cosciente e quando mugugnò qualcosa in risposta, provai a farlo alzare. L'aiutai a sollevarsi con molta fatica, non era molto collaborativo a causa dei colpi che aveva preso alla nuca. «Forza, Arthur!» Lo tenni per il busto e si aggrappò a me, appoggiandosi con tutto il suo peso. Mi disperai capendo che non ce l'avrei fatta a riportarlo a casa, quando qualcuno lo sostenne con forza. Guardai Jonathan dapprima interdetta, poi mi preoccupai nel caso fosse venuto qui per portarlo in centrale. «Ti prego, non...»

«Non è mia intenzione, Vivienne.»

Lessi sincerità nei suoi occhi color ghiaccio, così gli credetti e gli concessi di aiutarci. Non seppi che cosa pensare o se oltre quel portone le sue intenzioni sarebbero cambiate, ma decisi di seguire il mio istinto: non lo avrebbe consegnato, almeno non per il momento.

Ci avviammo verso un'uscita secondaria, per poi ricordarmi che le sue cose fossero rimaste nello spogliatoio ma Jonathan fu categorico al riguardo. «Non ci vai da sola, te lo puoi scordare. Tuo fratello tornerà a prendersele da solo quando si sarà rimesso. Muoviti, adesso!»

Me la presi per i suoi modi ma non mi badò concentrato com'era a reggere quest'ultimo su per delle scale. 

Una volta all'aria aperta, si diresse subito verso una precisa direzione e cercai di capire quali fossero le sue intenzioni. «Dove stai andando?»

Inizialmente m'ignorò, poi mi rispose scocciato. «Vi porto con la mia auto.» Caricò Arthur nei sedili posteriori e notai che a malapena si reggeva a sedere. «Avanti sali, Vivienne.»

Mi avvicinai reticente, poi lo seguii in auto, allacciai la cintura e mi voltai verso mio fratello. «È meglio che lo porto all'ospedale per farlo controllare, dici che faranno domande?»

Rimase in silenzio qualche minuto, meditando sul da farsi. «Lascia parlare me, una volta arrivati.»

Mi voltai verso di lui stupita. Che volesse davvero aiutarci? Non lo sapevo ed era questo a confondermi di più.

Partimmo alla volta dell'ospedale e quando arrivammo, lasciai fare a lui e, dopo essermi assicurata che lo avrebbero sottoposto a tutte le cure possibili, uscii per fumarmi una sigaretta e liberarmi così dal nervosismo che mi aveva colta.

Jonathan mi seguì per fare lo stesso e restammo in silenzio per diversi minuti; la luna era ancora alta nel cielo ma tra qualche ora avrebbe albeggiato e, meravigliandomene, capii di non essere per niente stanca. «Grazie», gli dissi.

«Figurati, non ho fatto niente.»

«Non per me.»

Incastrò i suoi occhi ai miei. Finii la sigaretta e la spensi nel portacenere all'ingresso. Ero del tutto intenzionata a tornare dentro per aspettare l'esito di mio fratello ma Jonathan mi fermò. «Ti va di fare un giro? Così parliamo» mi prese in contropiede.

«Parliamo?» 

«Di lavoro, Vivienne.» Il sorriso sarcastico che gli spuntò sulle labbra mi punse sul vivo.

«Non credo sia il momento adatto.»

«Ok, allora facciamo solo un giro.»

La sua risposta fu così rapida da non darmi il tempo di intendere e di volere. Sospirai innervosita dalla sua insistenza e indecisa sul da farsi. Ci guardammo senza lasciar trapelare nulla dei nostri pensieri e, studiandolo, non potei che arrivare a un'unica conclusione. «Perché ho la netta sensazione che tu stia cercando di fregarmi?»

Sorrise nel sentirmi ripetere la sua stessa affermazione di questa mattina, anzi di ieri mattina per l'ora che ormai si era fatta. «Perché è così.» Le mie labbra si incurvarono verso l'alto nello scoprire che fosse perfettamente in grado di reggermi il gioco. Gettai un'occhiata dentro l'ospedale indecisa su quale fosse la decisione giusta da prendere. «Non ti preoccupare di lui, probabilmente starà ancora dormendo quando ritornerai.»

Incrociai il suo sguardo e non saprei dire che cosa vi lessi ma non ebbi più dubbi su quale sarebbe stata la mia scelta.

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