Capitolo 3- Pochi Attimi Di Pura Magia

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Azionai la musica. Le note di una sinfonia classica si diffusero tra le pareti di casa mia. Radunai i miei quaderni per gli appunti e stavo per sedermi pronta ad iniziare la mia routine, quando suonarono alla porta. Sospirai seccata, poi mi avviai ad aprire.

Sul portico vi trovai il muratore che aveva promesso di passare in giornata. Senza volere mi soffermai ad analizzarlo. Occhi verdi, capelli biondi, tatuaggi, un uomo ben piazzato. Mi guardò incuriosito dal mio esame discreto, per poi accennare un sorriso. Lo feci accomodare all'interno e gli indicai lo scantinato che necessitava di impermeabilizzazione per colpa del freddo e dell'umidità. Scese le scale e, dopo che ebbe acceso la luce, lo seguii anche io. Sondò il terreno e le pareti con accurata attenzione prima di acconsentire a iniziare il lavoro personalmente. «Ho tutto il materiale sul furgone, posso iniziare anche subito» mi disse.

Mi guardai intorno e acconsentii. Prima avrebbe iniziato, prima mi sarei tolta questo grattacapo.

Andò a prendere tutto l'occorrente, lasciandomi a contemplare l'area che finalmente avrebbe assunto un aspetto quasi normale.

Inizialmente, quando avevo acquistato questa casa, non avevo mai avuto nemmeno il coraggio di venirci qua sotto, poi col tempo ci avevo preso l'abitudine ed era diventato una sorta di magazzino per le cose che non usavo più visto che il terriccio alle fondamenta non mi permetteva di adoperarlo.

Mi avvicinai a degli scatoloni e, sollevandone uno, lo portai su per le scale iniziando a liberarlo. Per poco non mi scontrai con il muratore in cima alle scale e, dopo essermi scusata, mi scostai per lasciarlo passare. Ripetei l'operazione per un paio di volte e nel mentre lui iniziò a raschiare le pareti per eliminare la vecchia vernice. Non saprei dire come successe ma misi male un piede negli ultimi gradini e caddi sul pavimento, sbattendo il fondoschiena, mentre gli oggetti all'interno della scatola si sparpagliarono in giro. L'imbarazzo mi colpì in pieno quando si mosse verso di me per aiutarmi. «Si è fatta male?» 

«Credo di sì» esagerai. 

Lui, guardandomi con apprensione, mi porse la mano affinché mi ci aggrappassi. «Venga, l'aiuto.» Mi sollevai e osservai il contenuto che si era rovesciato. Mi chinai per rimetterlo dentro la scatola senza neanche accorgermi che il muratore fosse rimasto a poca distanza da me. Alzai lo sguardo confusa, ma lui si chinò a darmi una mano. Raccolse una cornice e me la passò, le nostre mani si sfiorarono e continuai a osservarlo perplessa. «Chi è il bambino nella fotografia?»

Corrugai la fronte, poi mi concentrai sulla foto che mi aveva allungato. Ritraeva me bambina insieme ad Arthur e un sorriso comparve sulle mie labbra. «Mio fratello... Anche se non credo che siano affari suoi.»

Sorrise, sollevandosi. Poi suggerì: «Credo che starebbe meglio sulla credenza dell'ingresso, invece che chiusa in una vecchia scatola.»

Lo guardai interdetta, mentre tornava al suo lavoro. Rinfilai la cornice nella scatola e affrontai le scale con maggior attenzione.

Passai un'altra buona mezz'ora a svuotare lo scantinato, per poi prendermi una pausa: mi sedetti sul divano e afferrai il libro di testo che avrei affrontato questa settimana. Lessi qualche compito, li corressi, ma dovetti interrompermi quando sentii dei passi salire le scale e l'uomo comparire sulla porta. «Non è che avrebbe un po' d'acqua?»

«Scusi, non ci avevo proprio pensato.» Mi alzai per prendergli un bicchiere e gliela servii.

«La ringrazio.» Bevve in due sorsi, perdendosi a guardare in giro.

«Si figuri, per così poco.»

Appoggiò il bicchiere, tornando con lo sguardo su di me. «Ho un lavoro da sbrigare da un'altra parte, ma ritorno nel pomeriggio. Da quello che ho capito ha bisogno che lo finisca in fretta...»

Mi scocciò ma era ovvio che poteva avere altri lavori da portare a termine, così assecondai la sua proposta e lo lasciai andare. Mi avvertì che la maggior parte del suo materiale sarebbe rimasta nello scantinato e lo guardai andarsene solo con alcuni attrezzi. Mi avvicinai all'ingresso per chiudere la porta dietro di lui e prima di scomparire si voltò verso di me. «Sono James, comunque, non sono mai stato un amante delle formalità.» Mi porse la mano e, anche se sporca di vernice, gliela strinsi.

«Vivienne.»

Mi osservò per un attimo di troppo, poi annuì. «A dopo, Vivienne. Cercherò di essere puntuale.»

«Non cerchi, lo sia per favore.»

Sorrise nuovamente. Non volevo apparire simpatica eppure, per qualche strano motivo, mi aveva trovata divertente. Chiusi la porta e mi recai a fare quello per cui un attimo prima ero stata interrotta.

Avendo la giornata libera, ne avrei approfittato per dedicarmi un po' a me stessa. Pranzai e prima di uscire mi tornarono in mente le parole di James e senza capirne il motivo, aprendo la scatola, afferrai la fotografia e la posizionai sul mobile nell'ingresso. L'osservai soffermandomi sul mio sorriso e su quello di Arthur che mi abbracciava da dietro, stringendomi a sé e un nodo mi strinse la gola.

Cercai il telefono e lo chiamai sentendomi un po' in colpa per averlo ignorato. Mi rispose al secondo squillo sorpreso di sentirmi e gli proposi di vederci nel pomeriggio. Accettò subito, così gli diedi appuntamento a casa mia, all'orario concordato, e una volta che ci fummo salutati, presi le chiavi e senza portarmi dietro niente uscii di casa.

Odiavo rimanere al chiuso per troppo tempo: avevo bisogno di stare un po' all'aria aperta e visto che oggi era anche una bella giornata, decisi di approfittarne e senza esitazioni mi recai nel mio posto preferito.

Presi l'auto. Guidai fino alla mia meta e quando raggiunsi il sentiero che mi avrebbe portato fino all'altura da me tanto amata, scesi pronta a percorrerlo. Mi sarei sporcata lungo la strada visto che era piovuto da poco, ma non m'importò.

Ad ogni passo che feci, sentii un peso togliersi dal mio cuore e quando raggiunsi la cima, mi sentii completa, un tutt'uno col mondo. Respirai a pieni polmoni e l'unica cosa a cui pensai fu che mi sarebbe piaciuto spiccare il volo il più lontano possibile da tutto e tutti per poter essere finalmente me stessa. E sapevo che solo lì sarei stata libera da qualsiasi catena mi tenesse prigioniera in una realtà non mia.

Le parole della poesia letta in classe mi tornarono in mente e la mia vista si appannò.

Vorrei andarmene scalando una betulla e salire rami scuri lungo un tronco innevato, verso il cielo, fin dove l'albero non potrebbe condurli ma fosse pronto a piegare la cima e riportarmi giù.
Sarebbe bello andare ed al contempo ritornare.

Aprii le braccia e avrei voluto farlo davvero. La brezza mi scompigliò i capelli e il sole illuminava tutta la vallata davanti a me, permettendomi di godere della vista della città e fu facile credermi più grande di quello che in realtà fossi, quasi invincibile.

Mi avviai verso casa malvolentieri ma mio fratello sarebbe arrivato entro poco. Contavo, però, di ritornarci molto presto; appena ne avrei avuto di nuovo occasione.

Parcheggiai e avvistai Arthur sulla porta ad aspettarmi e, appena mi notò, mi osservò perplesso. Dedussi così di non avere un bell'aspetto. «Dove sei stata?», chiese. Presi le chiavi e aprii la porta. «Anche se un'idea credo di avercela.» Sorrisi scettica e mentre entrava in casa, brontolò: «Credi che non mi ricordi niente? Tu che torni sporca di fango e con le guance rosee: puoi essere stata in un solo posto.»

«Ah sì?»

«Sì, hai quella strana luce negli occhi che di solito sei brava a nascondere.»

«Quale luce?»

Abbassò gli occhi su di me guardandomi come se la mia domanda fosse scontata e che dovessi già conoscerne la risposta. «La luce della vita, ne hai così tanta da abbagliarci tutti...»

«Arthur, sei mio fratello ma...» iniziai.

Mi si avvicinò. «Sì, sono tuo fratello, ecco perché spetta a me dirti la verità. Altrimenti chi altro lo farebbe? Il damerino con cui ti vedi? Non credo proprio.»

Gli diedi le spalle irritata. «Non tirarlo in mezzo. Patrick è...»

«Speciale?» rise, provocandomi. «Non lo sai nemmeno tu.» Mi sedetti sfiancata dalle sue parole. «Te lo dico io perché credi che lo sia: colma il vuoto ma così, in realtà, non fai altro che ampliarlo e te lo dice uno che ne sa qualcosa.»

«Se mi avessi lasciato finire» ribattei. «Avrei detto che Patrick è e resta fuori da tutta questa storia.» Annuì poco convinto. «Non lo conosci e non me la sento di negare che ha qualcosa di speciale, ma è finita, ok?» gli confidai. «Mi dispiace per l'altro giorno, dovevo farti restare e mandare via lui, ma mi hai preso alla sprovvista.» Distolse lo sguardo, così mi avvicinai a lui e gli presi il volto tra le mani perché mi guardasse. «Dico sul serio, non dovevo lasciarti solo.»

Mi guardò, poi lasciò trasparire un piccolo sorriso sulle sue labbra. «Allora ce l'hai un cuore.»

«Non dirlo a nessuno però, ho una reputazione da mantenere» stetti al gioco. Rise e mi strinse tra le sue braccia, mi crogiolai del suo caldo abbraccio facendo un viaggio nel tempo perché lì, a stretto contatto con lui, mi sembrò di tornare bambina. Da un lato tirò fuori la felicità, dall'altro mi fece sentire vulnerabile e le mie paure tornarono a galla, così mi staccai prima di soccombere. «Ora basta parlare di me, dimmi cosa ti sta succedendo.»

M'indicò il divano e ci accomodammo. «Ti ricordi il caso per cui sono finito dentro? Solo per aver fatto il mio dovere?» domandò. Dissi di sì. «Comunque mi hanno prosciugato e una volta uscito, mi sono ritrovato con parecchi debiti e l'unico modo per uscirne senza perdere tutto è stato quello degli incontri.»

Mi riversò addosso un peso di cui difficilmente mi sarei liberata. «Perché non mi hai detto niente?»

Esitò, prima di dire: «Non volevo sobbarcarti di altri problemi.»

«Sei mio fratello, Arthur. Dovevi parlarmene.»

Annuì, ma non mi sfuggii che fosse avvilito per la situazione incasinata in cui fosse finito e solo per fare il suo dovere.

Non sapevo le dinamiche precise. La polizia ce le aveva taciute. Lo stesso Arthur non si era mai addentrato nei particolari. Ma, a grandi linee, aveva finito per uccidere un criminale della malavita. Solo che a quanto era risultato in seguito non era armato, come invece aveva fatto credere; quindi, la pallottola che alla fine lo aveva colpito non era stata per legittima difesa e l'accusa aveva puntato proprio su questo riuscendo a farlo accusare di omicidio colposo. Non era stato un bel periodo per nessuno, soprattutto per i nostri genitori.

Il silenzio divenne pesante. Guardai l'uomo al mio fianco. Rammentai il legame che ci univa. I ragazzini che eravamo stati. I momenti passati l'uno in compagnia dell'altro. I sorrisi e i pianti. Il sostegno che mi aveva dato come nessuno. Inspirai a fondo. «Dovevi parlarmene, così sarei venuta a fare il tifo per te.» Ci mise qualche secondo per accorgersi di quello che avessi appena detto e quando si voltò la sua espressione fu da Oscar. «Dimmi che almeno l'hai steso come solo tu sai fare.» Sorrise e alla fine annuì. Dopo essere riuscita a distogliere l'attenzione dai suoi problemi, tornai seria. Presi le sue mani tra le mie. «Ottimo, ma è stato l'ultimo. Troveremo un altro modo per risolvere questa situazione, ok? Promettimelo, Arthur.»

«Troveremo

«Sì esatto: io e te.»

Me lo promise, ma non lessi neanche un po' di pura convinzione e questo mi allarmò. Per il momento dovevo fare affidamento solo sul fatto che avrebbe mantenuto la sua parola.

«E in cambio cosa vuoi?» mi chiese. 

«Una cena dai nostri genitori, non hai idea di quanto ti vogliano vedere.»

«Mi hai incastrato proprio per bene» mi rimbeccò. «In tutti questi anni non ho ancora imparato che sai essere molto brava a ottenere quello che vuoi.»

«Io e te contro il mondo, no?» Sorrise malinconico prima di stringersi a me. Guardai l'orario e mi accorsi che il tempo fosse volato e che del muratore non vi fosse traccia. Intuii così che non si sarebbe più fatto vedere per oggi e, stranamente, non mi arrabbiai ma rimandai il tutto a quando si sarebbe ripresentato alla mia porta; per il momento volevo dedicarmi solo a mio fratello. «Hai fame?» ormai si era fatta ora di cena, Arthur annuì sovrappensiero e allora ne approfittai. «Chiamo nostra madre allora.»

«Vivienne.»

«Ce la puoi fare», gli dissi. «Sei un fifone. Affronti avversari il doppio di te e hai paura dei tuoi genitori.» Mi fulminò con lo sguardo, sapendo di non averla vinta con me. «Ci penso io, ok? Non faranno domande sulla tua brutta cera, è una promessa.»

«Ti odio.»

Risi. «No, è per questo che mi adori.» Presi in mano il cellulare e feci partire la chiamata. Non impiegai più di pochi minuti per avvertirli. Una volta terminata, mi voltai verso di lui con un sorriso vittorioso.

Scosse la testa. «Andiamo dai, prima che cambi idea.»

Ci avviammo verso la casa in cui eravamo cresciuti. Come due soldati al fronte tutto a un tratto coraggiosi, solo perché eravamo insieme. 

***

Era impossibile descrivere a parole la gioia di nostra madre quando ci vide arrivare. Non esitò ad abbracciare Arthur, mentre io andai a salutare mio padre che mi accolse a braccia aperte. «Sei tremenda, figlia mia. Visto che siamo soli, spiegami come hai fatto a convincerlo.»

Sorrisi e, guardando mia madre e mio fratello parlare, ricambiai la stretta di mio padre soddisfatta del risultato ottenuto.

Prima di andarcene, ero sulla porta ad aspettare Arthur che era stato intrappolato in una conversazione sportiva con nostro padre, quando mia madre mi raggiunse. «Grazie. So che il merito è tuo. È sempre stato un capoccione, ma con te diventa un pezzo di pane e, di sicuro, non sa dirti di no.» Spostai lo sguardo su mio fratello. «Stagli vicino, per favore. A me non lo permette più come una volta.»

Percepii il rammarico per un figlio che non mostrava più lo stesso affetto slanciato di un tempo. «Non è vero, vi vuole molto bene. Sta solo attraversando un momento un po' difficile.»

Mi abbracciò forte. All'inizio m'irrigidii, poi ricambiai. «Ti vogliamo molto bene, Vivienne. Sei un dono prezioso per questa casa.»

Mi commossi ma cercai di trattenere le emozioni. Notai mio fratello guardarci e avvicinarsi pronto ad andare. Salutammo nuovamente, per poi avviarci lungo il vialetto. «Non è stato poi così male, no?» chiesi.

Mugugnò qualcosa, facendomi sorridere. Era orgoglioso come la sottoscritta e questa era sempre stata una delle principali cause dei nostri problemi.

Mi stavo avviando verso la mia auto quando disse qualcosa che mi portò a fermarmi. «Ho conosciuto una...»

Lo guardai sorpresa. Mi parve teso nel comunicarmelo, così pensai di stuzzicarlo un po'. «Sembra una cosa seria.»

«Non prendermi in giro e lasciami finire.» Alzai le mani in segno di resa. «Ci hai visto giusto comunque, questa volta è diverso.» L'ascoltai con attenzione curiosa di scoprire che cosa si provasse quando s'incontrava la persona giusta. «Aspettiamo un figlio.» Sbarrai gli occhi perché non me lo aspettavo. «E ho intenzione di chiederle di sposarmi.»

«Lo fai per il bambino?»

Negò subito. «No, il bambino mi ha dato il coraggio per chiederglielo. Non l'ho mai fatto prima perché temevo un suo rifiuto.»

La sua insicurezza m'intenerì. «Come darle torto.» Mi gettò un'occhiataccia, poi gli scappò un sorriso. «Sono felice per te, davvero. Ma la mia domanda era riferita ad altro.» Mi fissò confuso, poi trasformò la sua espressione. Indietreggiò e decisi di continuare. «Tutto questo lo stai facendo per il bambino, Arthur?» me ne resi conto solo adesso e capii che sarebbe stato più difficile del previsto. «Non devi dimostrare niente a nessuno. Lei lo sa?»

«No, e non lo deve sapere.»

M'innervosii per la sua testardaggine. «Non è qualcosa che puoi tenere nascosto.» S'irritò. «Non puoi nasconderle che combatti in locali clandestini nel tempo libero.»

«Chi lo dice questo. Tu?» rise sarcasticamente e mi sentii punta sul vivo, ma soprattutto compresi di aver rovinato la serata. Dovevo lasciar perdere come mio solito e invece per qualche folle ragione, questa volta, avevo dovuto fare un'eccezione. In fondo non erano affari miei e stavo per dirglielo, quando mi precedette. «Cosa ne vuoi sapere tu di relazioni? Non ti ho mai vista impegnarti con lo stesso uomo per più di pochi giorni e ora mi vieni a fare la morale? Sei sempre alla ricerca disperata di qualcosa che non troverai mai se continui di questo passo.» L'unica cosa che feci fu incassare in silenzio. «Non riesci a provare niente perché non vuoi provare niente, Vivienne.» Mi chiusi in me stessa e soffocai qualsiasi emozione, impedendo che prendessero il sopravvento e mi annientassero. «Una seconda occasione non viene data a tutti, eppure tu sembri non volerla cogliere.»

Alzai gli occhi su di lui senza lasciarmi intimorire dalla sua esuberanza e dall'invadere con così tanta facilità il mio spazio; infatti, era pronto a guardarmi dall'alto in basso, pronto a giudicare come tutti. «Come stai facendo tu o mi sbaglio? Hai la felicità a portata di mano e preferisci rischiare la vita per del denaro» lo presi in contropiede. «Ti volevo aiutare davvero, Arthur. Ma l'insensibile qui, ora, penserà a sé stessa. Prova a cavartela da solo se ne sei in grado, perché io ho chiuso.» Gli diedi le spalle, pronta ad andarmene.

«Non puoi chiudere con me. Per chi mi hai preso? Per uno dei tuoi spasimanti?» mi gridò dietro.

Sospirai stufa di questa grande perdita di tempo. «Assolutamente no, perché nessuno di loro mi ha mai trattato come stai facendo tu.»

«Vivienne.»

«No», sbottai. «Tu vuoi che stia al tuo fianco, per cosa? Per raccogliere i pezzi? Te lo puoi scordare: non voglio vivere con il terrore che ti possa succedere qualcosa o anche solo guardarti mentre ti fai ridurre in pezzi.» Si passò una mano sul viso. «Ci sono sempre delle alternative, la scelta è limitata certo, ma nessuno ti obbliga a farlo, così come non posso obbligarti a smettere. Devi essere tu a volerlo.» Tirai fuori le chiavi della macchina e mi avviai verso di essa con tutta l'intenzione di prendere le distanze da ciò che mi aveva ferita e che avrebbe ancora potuto farlo, perché continuavo a fare l'errore di dargli il potere per riuscirci. «Stammi bene, perché sono del tutto intenzionata a fare lo stesso.» Lo salutai sarcasticamente. 

Nel momento in cui aprii la portiera, mi raggiunse e mi si rivolse con tono apprensivo. «Non starò bene se non termino quello che ho iniziato e nemmeno tu, per quanto invece ti ostini a dire a tutti il contrario. Perciò, ti prego, sostienimi in questa cosa. Non sarà per sempre...»

Scossi la testa. «Ti ho già detto come la penso e che sarei più che disposta ad aiutarti, ma alle mie condizioni.» Mi scrutò serio. «Se è il sostegno quello che vuoi sono la persona sbagliata, perciò la mia ora di bontà è finita. Ora ho di meglio da fare. Tipo occuparmi di me stessa e, fidati, non è così facile come voglio far sembrare.» Salii in auto e misi in moto, lasciandolo sul marciapiede basito.

Alzai la musica e, aprendo il finestrino, lasciai che l'aria entrasse per permettermi di respirare a pieni polmoni. Misi una mano fuori per sentire il soffio del vento sulle dita e acquistare così il controllo di me stessa.

Voleva andare per la sua strada? Ottimo, era adulto, ma che poi non venisse a piangere dalla sottoscritta perché avrei finito per sbattergli la porta in faccia ancora una volta.

Arrivai a casa con l'umore nettamente migliore, ma una volta che ebbi parcheggiato mi accorsi di una persona ferma davanti alla mia abitazione e, chiudendo l'auto, mi avviai verso di essa confusa non sapendo chi aspettarmi. Mi bastò, però, arrivare sotto la luce che il lampione rifletteva per riconoscerla e rimasi ancora più perplessa di trovarmela davanti.

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