Capitolo 35 - I Fili Del Destino

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Patrick

Ero in aula professori intento a parlare con un mio studente del programma sportivo quando, alzando gli occhi, mi accorsi di lei. Entrò con la sua camminata sicura e decisa. Non guardava mai nessuno, non gli interessavano gli altri, sembrava quasi viaggiare in un mondo a sé. Non si accorgeva mai del sottoscritto, mentre io non riuscivo a fare a meno di seguirla con lo sguardo in ogni cosa che faceva.

C'era qualcosa in Vivienne che mi affascinava e mi attraeva, non era solo il proibito ma era qualcosa nel suo sguardo che mi calamitava e mi faceva desiderare di ottenere un poco della sua attenzione, della sua approvazione, e senza neanche pensarci mi ero ritrovato a essere vittima della sua ragnatela. Una ragnatela che si era conficcata ormai a fondo nel mio animo. Non mi bastava più essere un collega, non mi bastava più essere un amico o un amante, volevo di più. Volevo lei. Ma non sembrava voler fare eccezioni. Stavamo bene insieme e fino adesso avevamo passato dei momenti fantastici. Ero sposato certo, ma il mio matrimonio era già finito da anni e con mia moglie avevamo solo cercato di mantenere le apparenze insieme alla reputazione per nostro figlio. Quest'ultima non mi amava, né l'aveva mai fatto, e me ne ero reso conto troppo tardi. Non sapevo per quale motivo si ostinasse ancora a voler rimanere con me ma nei fatti eravamo quasi due estranei e l'unico motivo per cui facevo ancora ritorno nella casa che condividevamo era solo per mio figlio. Solo per lui.

Sentii il suo sguardo su di me. Sorrisi in automatico e lei mi sorrise di rimando, lasciandomi inebetito. Distolse lo sguardo quando un collega le si avvicinò per parlarle e allora cercai di tornare concentrato sull'alunno al mio fianco.

Era così ogni giorno: un gioco di sguardi continuo, mi divertivo a stuzzicarla perché sapevo che le davano fastidio le mie attenzioni durante le ore di lavoro. Eravamo sempre stati fin troppo cauti e il merito era soprattutto suo che sapeva mantenere perfettamente il controllo della situazione a differenza mia che invece mi sembrava di impazzire senza poterla toccare ad ogni minuto. Dovevamo sempre aspettare un momento libero per poterci trovare e non era sempre facile. L'attesa, così come la distanza che dovevo mantenere, me lo rendevano sempre meno sopportabile. Ero geloso di qualsiasi altro uomo le puntasse gli occhi addosso e ormai non me ne meravigliavo più perché Vivienne era di una bellezza unica, rara. Era la sua aura di mistero a irretire il cuore di un uomo: c'era qualcosa che la tormentava e col tempo avevo imparato a capirlo dato che non si sbilanciava mai in discorsi pericolosi e personali. Era brava a separare le emozioni da tutto il resto, forse troppo. E ne avevo avuto la prova questo weekend, infatti stavo ancora cercando di metabolizzare il fatto che era davvero finita. Difficilmente sarei riuscito ad accettarlo o a provare a starle lontano e non avevo intenzione di arrendermi. Non ancora.

La vidi uscire dall'aula a passo svelto e la seguii. E quando la raggiunsi, dopo aver controllato che non ci fosse nessuno nell'area attorno a noi, l'afferrai e la trascinai dentro un'aula vuota.

Si strattonò dalla mia presa adirata per la mia improvvisazione, poi distolse lo sguardo dal mio, perdendosi nei suoi pensieri: probabilmente a ripensare alle ultime parole che ci eravamo detti prima che me ne andassi da casa sua dopo il suo categorico rifiuto alla mia proposta.

Alzò gli occhi su di me pronta a parlare per dire la sua ma questa volta non glielo permisi, non volevo sentire più neanche una scusa o una giustificazione uscire dalla sua bocca, così le afferrai il volto tra le mani e carpii le sue labbra. Erano passati solo pochi giorni ma mi erano mancate come non mai. Dopo un attimo di esitazione e di resistenza, ricambiò stringendosi a me. Mi lasciai trasportare: l'accarezzai ovunque prima di sollevarla, appoggiandola sulla scrivania dell'aula. Mi posizionai tra le sue gambe e la divorai come se non ci fosse un domani fino a quando non decise di interrompere tutto, allontanandomi da lei con una mano premuta sul mio petto. Non disse nulla e riacquistando il controllo sulle sue stesse gambe, si avviò verso la porta ma la mia voce la fermò sui suoi stessi passi prima che se ne andasse. «Non mi arrenderò, Vivienne.» 

Mi guardò, per poi sorridere. Un sorriso comprensivo quanto congelante. «Non mi seguire, Patrick.» Aprì la porta, chiudendosela alle spalle subito dopo.

Normalmente le avrei dato ascolto ma non questa volta. Così, approfittando del coraggio del momento, aspettai che entrasse in aula per iniziare la sua lezione e feci lo stesso, sedendomi nella prima fila davanti ai suoi occhi. Mi lanciò uno sguardo indecifrabile e anche se sapevo che dentro di lei stava ribollendo di rabbia, la sfidai con lo sguardo a provare a dire qualcosa.

Abbassò lo sguardo sui suoi fogli, per poi iniziare la lezione e la poesia che lesse davanti ai suoi studenti mi colpii perché mi permise di vederla sotto un'altra luce. Lasciai che le sue parole facessero effetto dentro di me e provai a collocarle nel nostro contesto, trovandovi delle coincidenze evidenti.

Volsi lo sguardo verso i suoi alunni e rimasi stupito dal modo in cui la seguivano, pendendo dalle sue labbra: era una brava insegnante e si vedeva da come l'adoravano.

Aspettai che finisse e quando lo fece, non resistetti dal provare a ottenere le risposte che volevo perché se non aveva il coraggio di darmele in privato, allora avrebbe dovuto farlo in pubblico.

Come al solito, però, l'avevo sottovalutata perché non si lasciò intimorire così facilmente e ne ebbi la prova: le sue risposte furono effimere quanto devianti.

La rincorsi fuori dall'aula senza cercare di dare nell'occhio e quando la fermai per un braccio lungo le scale, mi fulminò con lo sguardo. «Lasciami in pace. Non ti basta già lo spettacolo che hai dato in aula? Dobbiamo darne anche qui?»

Mi sentii colpevole nei suoi confronti perché in fondo se si fosse scoperto della nostra tresca, i problemi maggiori gli avrebbe dovuti affrontare lei. «Forse sono solo stanco di nascondermi, non credi?»

«Con tua moglie non devi farlo» mi rimproverò. «Mi sembrava che avessimo già chiarito tutto tra di noi.»

«Affatto. Dobbiamo parlare.» Mi scrutò in silenzio, fingendosi scocciata. «Per favore.» 

Esitò e stava per darmi la sua risposta, quando il preside c'interruppe e così non riuscii a ottenere nemmeno in quest'occasione una sua conferma. Non mi piacque lo sguardo che quest'ultimo ci aveva rivolto e il dubbio che avesse intuito qualcosa s'insediò dentro di me. La preoccupazione crebbe per Vivienne ma soprattutto perché, una volta che la situazione si sarebbe fatta tesa sul lavoro, quest'ultima avrebbe buttato la spugna e mi avrebbe eliminato dalla sua vita.

L'aspettai a fine lezione fuori dall'istituto e quando la vidi avviarsi alla fermata dell'autobus, decisi di intervenire. L'affiancai con l'auto ma sembrava reticente dal voler accettare un passaggio e il motivo era che glielo avevo chiesto io. «Avanti, Vivienne. Non farti pregare.» Si guardò attorno per controllare se occhi indiscreti stessero assistendo alla scena. «Non c'è nessuno e poi è consentito dare un passaggio ai colleghi. Si chiama buona educazione.»

«Questa è tutt'altro che buona educazione, Patrick. Questa è una persecuzione bella e buona. Cosa speri di ottenere perseguitandomi in ogni dove?»

Sorrisi perché vederla esasperata mi fece intuire che in realtà fossi sulla buona strada. «Il piacere della tua compagnia.»

Sbuffò, poi mi assecondò e salì in auto. Parlammo o meglio parlai, cercando di ottenere un modo per rimanere con lei e non saprei dire che cosa le passò per la testa ma fu lei stessa a chiedermi di accompagnarla in un posto e senza esitazioni acconsentii. Seguii le sue indicazioni e una volta arrivati, parcheggiai e ci incamminammo in mezzo alla boscaglia. Mi guardai attorno confuso senza capire il perché mi avesse voluto portare proprio qui. «Mi hai portato in questo posto sperduto per sbarazzarti di me, Vivienne?» Si voltò verso di me sorridente come poche volte l'avevo vista. «O forse...»

Si fermò e quasi le arrivai addosso visto che stavo controllando il sentiero per evitare di stramazzare al suolo a causa della sua difficile percorribilità. Alzai lo sguardo per incontrare il suo che era piuttosto divertito dal vedermi disorientato e, avvicinandosi, mi posò un dito sulle labbra lasciandomi basito. «Finiscila di dire idiozie, sei qui perché lo voglio io e basta.»

Sorrisi sotto il suo tocco e lei sottrasse la mano con un lieve accenno di ironia sulle labbra. Indietreggiò di qualche passo e la raggiunsi in fretta per non perdere altro terreno come mio solito al suo confronto. E vedendola così spensierata e a suo agio in un contesto completamente diverso, solo io e lei, lontano da tutto e da tutti, liberi di essere chi volevamo senza paura di essere giudicati, decisi di essere sincero. «Voglio stare con te, Vivienne, in ogni modo umanamente possibile. Sono disposto a...» 

Il suo sguardo mi bloccò dal proseguire, poi mi sorrise dolcemente e non era da lei. Si morse il labbro inferiore e con espressione tutt'altro che innocua si avvicinò al mio volto per incontrare le mie labbra in un tocco fugace e delicato che assaporai appieno, preso in contropiede, non essendo abituato alle effusioni tenere da parte sua. Incredibilmente però, dopo diverso tempo, si era ammorbidita nei miei confronti ed ero più che convinto che ricambiasse in parte i miei sentimenti, anche se era molto brava a nasconderli. «E io non posso stare con te, sei troppo buono per una come me.» 

La fissai senza sapere che cosa dire. Non la capivo ma quando rise della mia espressione, rimasi ancora più confuso: si stava divertendo da morire, non perché la facessi ridere ma perché mi trovava divertente. 

Si allontanò su per la montagna con un'agilità fuori dal comune. Provai davvero a mantenere il suo passo ma mi risultò impossibile tanto che la portai a fermarsi per aspettarmi, sentendomi in imbarazzo, e quando mi porse la sua mano, l'afferrai e mi lasciai trascinare verso una meta che conosceva solo lei.

Non si rendeva conto dell'effetto che mi faceva e in più mi stava mostrando parti di lei che non conoscevo e che mi piacevano molto di più della Vivienne che era solita mostrare tutti i giorni. Sapeva essere divertente, spiritosa e insieme altezzosa e fin troppo intelligente da mettermi sempre più spesso in soggezione. Adoravo tutto di lei ma non sembrava esser propensa a consolidare nessun tipo di rapporto con il sottoscritto, anzi era sempre stata molto categorica. Fin dall'inizio c'era sempre stato un muro tra noi invalicabile che non mi aveva ancora permesso di superare e ormai credevo che non me lo avrebbe mai concesso.

Quando finalmente arrivammo nel luogo da lei scelto, rimasi impressionato dalla vista che mi si presentò davanti: era davvero eccezionale ma lo fu ancora di più guardare la sua espressione di fronte a quella meraviglia. I suoi occhi s'illuminarono e sembrò un'altra persona, così piena di vita da farmene sentire misero al suo confronto.

Ci sedemmo sul prato ad ammirare il tramonto in tutta tranquillità e, come se lo facesse da sempre, si strinse a me appoggiandosi alla mia spalla. Mi sentii in paradiso. Sospirai e mi trattenni a stento dal versare delle lacrime per la contentezza di averla al mio fianco. Mi gustai appieno questo momento perché non sapevo se sarebbe durato, ma soprattutto non sapevo se sarebbe mai più ritornato.

E quando facemmo ritorno verso casa e m'invitò a restare per cena, accettai senza remore perché non capivo che cosa stesse succedendo. Stava ribaltando le mie convinzioni e con esse le mie valutazioni su di lei e su di noi. Sapevo che non era il momento e che voleva prendere le distanze, eppure le sue azioni mi stavano dicendo il contrario, ma lo stesso le avrei concesso tutto il tempo che voleva per cambiare idea. Avrei atteso pazientemente fino a quando si sarebbe accorta che forse avrei potuto renderla felice; almeno una minima parte di quanto lei stava facendo con me.

La cena trascorse tranquillamente ma quando, a fine pasto, si dovette assentare qualche minuto, qualcuno suonò alla porta e mi trovai così costretto ad andare ad aprire visto che Vivienne non sembrava aver sentito.

All'ingresso mi ritrovai davanti una persona sconosciuta. Un uomo che dapprima mi studiò in modo inquietante, per poi lasciar trasparire un sorriso per niente amichevole sul volto. Inarcai un sopracciglio innervosito dal suo comportamento prima di rompere il silenzio con tono diffidente. «Desidera?»

Accentuò il sorriso. «Vivienne, devo parlarle.» 

Si atteggiava come se fosse il padrone e quando tentò di entrare in casa come se nulla fosse, non glielo permisi. «Credo proprio che dovresti andartene o almeno dovresti avere la decenza di aspettare che l'avverta della tua visita», parlai duramente.

«Senti... la conosco più di quanto pensi.» Mi si parò davanti. «E ora levati prima che perda la pazienza.» 

Non mi mossi di una virgola e qualcosa mutò nei suoi occhi ma non mi lasciai intimorire e stavo per rispondergli a tono, quando Vivienne mi rubò la scena. Gli ascoltai parlare senza perderlo mai di vista e mentre quest'ultima andava a cercare i soldi che questo losco individuo le aveva chiesto, la seguii per avvertirla che me ne andavo, volendo accontentare i suoi desideri e il suo volere. Esitò prima di acconsentire e mi sarei messo le mani nei capelli perché mi era sembrata titubante nel volermi lasciare andare via. Le lasciai un bacio sulla fronte, sentendo lo sguardo di quello zotico ancora su di me e, dopo averla salutata, me ne andai. Passandogli di fianco, lo fissai e lui fece lo stesso prima di dargli le spalle.

Una volta salito sulla mia auto, aspettai che se ne fosse andato e pensai alle sue parole e a quel "la conosco più di quanto pensi" fino a impazzire perché non volevo pensare che si frequentasse anche con quel tipo alle mie spalle e la paura di perderla si rimpossessò ancora una volta di me.

Attesi che se ne andasse, poi avvistai Vivienne raggiungermi curiosa di sapere perché fossi ancora lì a osservarla come uno psicopatico. Presi coraggio per la terza volta nella giornata e le chiesi di salire per esporle quello che veramente sentivo. Le disse che avrei fatto come desiderava, tutto a modo suo senza esagerare e senza impegnarsi seriamente ma non mi ascoltò o meglio sembrò terrorizzata dalle mie parole e mi sorprese perché era quello che mi aveva sempre detto di volere. Presi così male il suo rifiuto e il suo negare assiduamente che ci fosse qualcosa tra noi che mi distrusse tanto che mi ritrovai a cacciarla dalla mia auto, perché la sola sua vista mi indisponeva. Me ne andai da casa sua in fretta e furia, demoralizzato e privo di tutto, perché ormai avevo compreso che era davvero finita. Non aveva più senso insistere se ogni santa volta mi doveva calpestare come se non avessi avuto il minimo significato. Ma se ne sarebbe pentita perché avremmo potuto avere qualcosa di speciale, lo sapeva benissimo anche lei ed era proprio per questo che aveva preferito finirla. Aveva paura di quello che avrebbe potuto provare perché amava così tanto la sua apatia da rinunciare a tutto, compresa la sua stessa felicità. Non sapevo perché si odiasse a tal punto da autoinfliggersi sacrifici e pene pur di evitare di provare emozioni, ma ero più che convinto che un giorno si sarebbe lasciata andare e proprio allora avrebbe capito cosa volesse dire stare dall'altra parte. Forse lo avrebbe provato lei stessa, anzi quasi sicuramente, perché non si poteva scappare in eterno dai sentimenti; così come non si poteva soffocare l'umanità che ognuno di noi aveva. Non così facilmente come credeva almeno.

Andai a casa ma non riuscii a dormire per nulla e il giorno dopo portai mio figlio a scuola, per poi chiamare l'unica persona con cui sapevo sarei riuscito a parlare senza essere giudicato. Gli diedi appuntamento allo stesso bar in cui eravamo soliti recarci ormai da anni.

Arrivai in anticipo e ne approfittai per prendere un tavolo per due. Nell'attesa feci portare qualcosa da bere e iniziai a sorseggiarmi il mio caffè perso nei miei pensieri alquanto contraddittori. «Scusami per il ritardo, ho avuto un contrattempo sul lavoro.» Mi studiò perplesso mentre si sedeva. «Non hai una bella cera, tua moglie ti ha fatto impazzire un'altra volta?»

Sorrisi amaramente perché non era mia moglie, ma la donna che si era presa il mio cuore prima di ridurlo in brandelli. «No, Monica non c'entra.» Mi chiese con un'occhiata di spiegarmi meglio e naturalmente esitai. Bevvi un altro sorso di caffè. «Devi promettermi che quello che ti dirò te lo porterai nella tomba.» 

Si fece attento e, notando che stavo cercando di scherzarci sopra, decise di accontentarmi annuendo. Fissai il liquido ambrato che stavo facendo ondeggiare nella tazzina, poi alzai lo sguardo e mi accorsi che mi stesse osservando con attenzione analitica. Dopo poco trasse da solo le sue conclusioni. «Ti sei innamorato.» Non riuscii a trattenere la sorpresa sul mio volto. «Non essere stupito, sei sempre stato un libro aperto per me.» Sorrise beffardo e lo fulminai con uno sguardo, sentendomi in imbarazzo per la mia debolezza. «Non lo dirò a tua moglie, non l'ho mai sopportata, quindi puoi stare tranquillo.» 

Alzai gli occhi al cielo e non seppi se ringraziarlo o prendermela per la sua poca cortesia verso Monica. Era pur sempre la madre di mio figlio.

Prese a sorseggiare la sua bibita senza domandarmi nient'altro e lo fissai per cercare di capirlo ma quest'uomo era sempre stato un enigma. Si accorse del mio sguardo e scosse la testa in una tacita domanda. «Non vuoi sapere altro?» chiesi.

«Adesso mi è chiaro perché mi hai voluto vedere: ti serviva una spalla su cui piangere. Allora chi è la fortunata?»

Lo trucidai con un'occhiata e alzò le mani in segno di finte scuse. «Una collega» confessai dopo un'po'.

«La situazione si fa sempre più interessante.» 

«Finiscila di fare lo stronzo.» 

Abbassò lo sguardo sul suo bicchiere con un sorrisone stampato sulla faccia. Poi risollevò lo sguardo e mi scandagliò come solo lui sapeva fare. «Ti ha ridotto proprio male...» tornò serio e parlò apertamente: «Francamente penso che se non ha capito quanto vali, è messa peggio di tuo moglie e quindi non ne vale la pena.»

«Ti sembrerò un folle ma pochi attimi con lei valgono tutti gli anni passati con mia moglie» non riuscii a trattenermi dal difenderla e naturalmente non gli sfuggì. Corrugò la fronte, forse sorpreso dalle mie parole, oppure stava pensando solo a un altro modo per prendersi gioco di me e del mio sentimentalismo. «Dovresti conoscerla per capirmi. È una di quelle che basta incontrarle una sola volta per rimanerne fottuti per tutta la vita.» Mi fissò con scetticismo e fu il mio turno di deriderlo. «Vedo come mi guardi ma se non hai incontrato ancora una donna per cui valga la pena alzarsi al mattino, allora non serve che ti dica nulla. Non capiresti.»

«Sei sempre stato troppo melodrammatico» disse, come se i miei discorsi non lo toccassero.

«Arriverà la donna in grado di sciogliere quel cuore di pietra che ti ritrovi e allora ne riparleremo. Non vedo l'ora che arrivi quel giorno per vedere la tua faccia», ribattei. «Il giorno in cui tutto perderà di valore, compresa la tua carriera che non smetti un secondo di idolatrare.» 

La sua espressione mutò, spaventato dalle mie parole. Era sempre stata l'unica sua preoccupazione, l'unica cosa in cui si era messo anima e corpo da quel tragico giorno ed era più che convinto che fosse l'unico modo per dimenticare. «Non arriverà mai, Patrick.»

Lo vedremo.

Gli sorrisi e non sembrò apprezzare. Ma contavo che la mia premonizione si sarebbe avverata. Accorgendomi, però, del suo cambio d'umore provai ad alleggerire la conversazione. «Anche se con l'orrendo carattere che ti ritrovi, probabilmente hai ragione, e non riuscirai mai a trovare nessuna che riesca a sopportarti per più di due minuti.»

Le mie sottolineature non furono di suo gradimento tanto che mi lanciò un'occhiataccia tra il divertito e l'offeso. «Attento! Sei fortunato che sei mio cugino.» Risi ma la sua espressione non fece una piega, anche se lottò per rimanere serio. Riafferrò il bicchiere e lo alzò nella mia direzione. «Perché sono qui, Pat?»

Indietreggiai, appoggiandomi allo schienale senza sapere che cosa rispondere in tutta sincerità. «Per un consiglio, suppongo.»

Sospirò, restando in attesa: era sempre stato un buon ascoltatore e forse era proprio per questo che era bravo nel suo lavoro. Vedendo che non continuavo, vittima della confusione in cui ero immerso in questo momento, mi disse: «Fammi una promessa: se questa donna vale la pena di mettere in discussione il tuo matrimonio, allora fallo. Forse è proprio la spinta che ti serviva per uscire da una relazione morta da tempo. Basta sacrificarsi, fino adesso non hai fatto altro.»

«Lo sai vero che potrei dirti le stesse parole?» Se ne rimase zitto e ne approfittai. «Voglio che anche tu mi faccia una promessa, Jonathan: se mai incontrerai la tua persona, non lasciartela scappare per nessuna ragione al mondo.»

Fece una smorfia, sentendosi sotto scacco e accennò un sorriso, pensando che fosse tutto un gioco o uno scherzo, ma non lo era affatto. Doveva darsi una possibilità e lasciarsi alle spalle il suo passato una volta per tutte. Ormai era ora. Poi annuì, assecondandomi, e allora lo costrinsi a giurare facendolo ridere, ma rideva bene chi rideva ultimo e quel benedetto giorno sarei stato lì a farlo.

«Facciamo un brindisi allora», propose. «Alla tua fantastica e misteriosa donna che ti ha fatto perdere la testa in pochi attimi e che sembra non voler più avere niente a che fare con te, ma... dalle tempo e scommetto che cambierà idea.» Magari, Jonathan! Ma sarebbero dovuti scendere tutti gli angeli dal cielo per far cambiare idea a Vivienne. «Sei speciale, Pat, e lo capirà.»

«Non lo farà ma niente ci impedisce di brindare, no?»

La mia constatazione lo prese in contropiede e lessi una leggera preoccupazione nei suoi occhi che però svanì in fretta, così com'era venuta. Alzò il bicchiere e lo seguii subito dopo per coronare un brindisi che segnava ancora una volta il legame che ci univa. Lo consideravano quasi come un fratello e mi sarebbe piaciuto vederlo felice un giorno perché, per ora, era ancora troppo legato a un passato che non faceva altro che trascinarlo a fondo sempre più.

***

Tornai verso casa che era già sera. Parcheggiai nella mia zona e m'incamminai lungo il viale senza accorgermi di una persona che era in attesa del mio arrivo fino a quando non mi chiamò. Mi voltai per vedere di chi si trattasse e quando mi si avvicinò, lo fissai interdetto sentendo la rabbia crescere dentro di me nel trovarlo davanti a casa mia e agii di conseguenza. Finalmente si era rivelato per quello che era: uno stalker psicopatico e non esitai a dirglielo. Non dovette piacergli molto essere nominato in tal maniera e lo capii dal mutare della sua espressione. Era di ghiaccio e vi lessi l'odio che non riusciva a nascondere, poi tutto a un tratto ghignò in modo sinistro. «Ha proprio una bella casa, Professore.» Mi tesi e lo fissai, cercando di capire le sue intenzioni. «Una bella moglie, un bellissimo bambino, eppure da quello che ho potuto capire non le bastano.»

«Che cosa vuoi? Perché una cosa che odio è perdere del tempo.»

«Soldi per il mio silenzio, almeno che tu non voglia che la tua famiglia sappia della tua doppia vita o ancora peggio che lo scoprano sul lavoro.» Mi paralizzai alla sua richiesta. «Ci tieni un po' a Vivienne, no? Non vuoi rovinarle la vita, sai bene quanto ama il suo lavoro. Sarebbe un peccato se dovesse perderlo, non credi?» 

«E quanto mi verrebbe a costare il tuo prezioso silenzio, eh?» cercai di mantenere la calma ma la mia pazienza era al limite e la voglia di mettergli le mani addosso era tanta.

«Una cinquantina dovrebbe bastare.» 

Sgranai gli occhi e gli scoppiai a ridere in faccia. «Te lo puoi scordare, non ho una cifra del genere.»

Non si scompose minimamente e, avvicinandosi, mi disse gelido: «Trovala.»

Era materialmente impossibile e lo sapeva, ma forse giocava proprio su questo.

«Le tue minacce non funzioneranno perché avevo già in mente di uscire allo scoperto per Vivienne. Puoi benissimo ficcarti il tuo silenzio dove sai per quanto mi riguarda.» 

«E se fosse stata lei a mandarmi? Magari non ha fatto altro che usarti fin dall'inizio e tu come tanti prima di te glielo lascerai fare.» Sbiancai e persi un battito scioccato dalle sue parole perché non volevo crederci. «Avevi tutti i requisiti, quindi non te ne meravigliare e vedi di sborsare quei soldi» ribadì. «Non costringermi a fare qualcosa di poco piacevole ai tuoi cari. Mi faccio vivo io.» Sparì lungo la strada e impiegai più tempo del previsto a muovermi da quel marciapiede e a trovare così la forza di entrare in casa.

Non sapevo che cosa credere e stavo per impazzire: la cosa che mi sorprese maggiormente, però, era che non stavo pensando minimamente ai soldi, l'unico pensiero di cui non riuscivo a liberarmi era che Vivienne mi avesse tradito, pugnalandomi alle spalle.

Mia moglie mi fece domande per il mio stato sconvolto ma evitai di risponderle e, dopo essermi chiuso in camera, chiamai Jonathan perché era l'unico che poteva darmi una mano e me ne fregai altamente delle minacce appena ricevute. Rispose al primo squillo e senza troppi giri di parole gli esposi i fatti con una certa agitazione. «Rallenta un attimo» mi chiese. «Chi è che ti sta ricattando?» gli dissi che non lo conoscevo e nei fatti era così, non avevo la più pallida idea di chi fosse, e cercai di descriverglielo. «La tua collega c'entra qualcosa?» Sospirai e mi portai una mano alla bocca, esitando. «Patrick? Non ti posso aiutare se non mi dici la verità.»

Sbuffai, prima di parlare in tutta sincerità. «No, non c'entra niente, e ora scusami ma devo andare.» 

Mi apostrofò ma chiusi la chiamata, rendendomi conto di aver sbagliato a chiamarlo perché inevitabilmente avevo già messo nei casini Vivienne e non era mia intenzione. Non c'entrava niente, era solo colpa di quel bastardo che cercava di fottermi il cervello. Jonathan mi richiamò ma non risposi e spensi il telefono.

Il giorno dopo andai a scuola e quando la vidi nel corridoio dell'istituto, mi fermai e mi persi a osservarla per capire la verità. Mi fissò confusa dal mio sguardo e istintivamente avanzai nella sua direzione pronto a parlare di quello che realmente stava succedendo, poi ci ripensai e me ne andai prima di commettere altri errori.

A fine giornata, tornai a casa dopo aver preso mio figlio e passai ore a pensare a come risolvere questa orrenda situazione senza venirne a capo. Mio figlio mi raggiunse, interrompendo il percorso dei miei pensieri. «Papà?» abbassai gli occhi su di lui per incontrare il suo sguardo e m'immersi nei suoi occhietti vispi e furbi. «Andiamo a pescare domenica? È tanto che non lo facciamo.» Sorrisi, sentendo il suo tono supplichevole e non riuscii a resistere dal confermare. Mi saltò addosso e si strinse al mio collo contento. «Grazie, papà. Ti voglio tanto bene.» Ricambiai la stretta e l'ammissione, per poi guardarlo correre in camera sua.

Si era già fatto un ometto ed era l'unica cosa bella di questo matrimonio, così come l'unica che non avrei mai rimpianto per nessuna ragione al mondo.

Provai a non pensare al casino in cui fossi finito e a distrarmi ma alla fine il pensiero di Vivienne mi assillò a tal punto che decisi di chiamarla, perché questa situazione mi convinceva sempre meno.

Non era i soldi che voleva quelli psicopatico, ma allora che cosa? Vivienne fu la risposta più ovvia ma raccapricciante al contempo.

La chiamai ma come previsto non mi rispose, in fondo non ci eravamo lasciati nel migliore dei modi e, cacciandola dalla mia auto, direi che le aveva lanciato il giusto segnale: quello di voler lasciarmela alle spalle.

Le lasciai un messaggio in segreteria e attesi nella speranza che mi richiamasse. Non lo fece ma ricevetti un suo messaggio dove mi chiedeva di trovarci nel luogo che mi aveva mostrato pochi giorni prima e stupidamente non esitai un attimo. Mi fiondai fuori dalla porta dopo aver avvertito mia moglie che me ne andavo con la prima scusa che trovai e mi misi al volante, pronto a raggiungerla. Non sapevo perché volesse vedermi ma fiducioso, come sempre, sperai in una svolta o che semplicemente volesse parlare e così senza rimuginarci troppo, mi diressi alla meta stabilita. Ne avrei approfittato per metterla al corrente di tutto quello che stava succedendo e al diavolo lo sconosciuto.

Parcheggiai e m'incamminai su per quel sentiero che mi parve ancora più difficoltoso senza lei al mio fianco ma quando arrivai in cima, sospirai soddisfatto di esserci riuscito.

Guardandomi attorno, però, notai di essere solo e allora mi persi a osservare il panorama di fronte a me, credendo che fosse in ritardo ma non era così. Perché Vivienne non sarebbe venuta e lo capii troppo tardi, così come capii di essere stato il re degli stupidi. «Prevedibile, Spencer. Lei chiama e tu corri, ecco perché non ti fila pari.» 

Mi voltai, vedendolo comparire dalla salita alle mie spalle e sentii il mio battito accelerare perché ero in trappola e solo come un cane. Me ne rimasi in silenzio perché non sapevo quali fossero le sue intenzioni ma temevo non delle migliori e, guardandolo, il quadro mi si fece più chiaro. «Ci hai seguiti, o meglio stai seguendo Vivienne. Sei malato, lo sai vero?» non avrebbe mai saputo di questo posto altrimenti. «Che cosa credi di fare, eh? Se pensi di poterla perseguitare con me in circolazione, ti sbagli di grosso.»

«Non voglio fare niente o meglio non volevo, ma tu sai essere irritante come pochi», disse. Lo guardai non credendo alle mie orecchie e mi pentii di non aver nulla con me per potermi difendere. «E per essere chiari, non perseguito nessuno, io merito di starle accanto a differenza tua. Dovevi stare con la tua famiglia, andare al lavoro e fare tutto quello che volevi, tranne avvicinarti a lei. Quello proprio non lo dovevi fare.» Indietreggiai. «Ti ho dato una scappatoia ma non l'hai colta e sono stato onesto, fidati. Vivienne vale molto di più di quello che ti ho chiesto.» Mi si parò davanti e inspirai sconvolto dalle sue giustificazioni. «Non hai la minima idea di quanto valga e lo hai appena dimostrato. Non hai le palle nemmeno di lottare per lei, sei una nullità: tua moglie non ti vuole e così anche Vivienne. Le donne se ne accorgono se non vali abbastanza, vogliono il meglio. Ricordatelo la prossima volta.»

Mi schiarii la voce e parlai col solo scopo di pungerlo sul vivo: «Se credi di essere tu il meglio per Vivienne, allora sei più fuori di testa di quanto pensavo. Non è di questo che ha bisogno, lei vuole qualcuno che la porti fuori dall'oscurità in cui è immersa e, scusami se te lo dico, ma sei tutto l'opposto di un angelo dalle ali fiammeggiante pronto a portarla verso la luce tanto agognata. Hai l'inferno sotto i piedi e primo o poi ti ci ritroverai dentro.» 

Si passò una mano sul volto, poi rise istericamente e mi guardò con gli occhi fuori dalle orbite. «Devo ammettere che un po' di palle ce le hai perché nessuno osa parlarmi in questo modo dalle mie parti: sanno che poi la morte verrebbe a bussare alla loro porta.»

Abbassai lo sguardo, sapendo già come sarebbe andata a finire e sentii il vuoto propagarsi dentro di me. Notai che una sua mano non fosse per niente libera e vi impugnava un martello. Alzai gli occhi su di lui che ora mi guardava con una certa curiosità. «Non amo le pistole, mi annoiano e non mi danno la stessa soddisfazione che provo nel farlo a mani nude» mi spiegò come se fossimo in confidenza e compresi che fosse un pazzo ossessionato da una persona che si sarebbe dovuta preparare al peggio nei giorni a venire e purtroppo non sarei stato lì ad aiutarla o tanto meno ad avvertirla. Pensai a mio figlio e al fatto che probabilmente non lo avrei più rivisto e inevitabilmente gli occhi mi si appannarono. Si finse preoccupato per il mio stato. «Senti, se può farti stare più tranquillo, non succederà niente né alla tua famiglia né a Vivienne. Sparirai semplicemente e cercherò di essere veloce, ok? Sai, troppo ormai e so perfettamente che finirai per combinarmi dei casini; perciò, non prenderla troppo sul personale. Non c'è nulla di personale, è puro e semplice egoismo il mio.» 

Non sapevo come, ma trovai la forza di parlare. «Non è me che temi, tu odi che Vivienne provi qualcosa. Qualsiasi cosa per qualcuno. Odi il fatto che non proverà mai niente verso di te.» Sussultò e compresi di aver colto nel segno. «È lei che vuoi, ma facendo così non stai facendo altro che mandare tutto a puttane e se non fossi così accecato dalle tue convinzioni, te ne saresti già reso conto» lo avvertii. «Toccami e segnerai la tua condanna per il resto dei tuoi giorni.» Mi studiò in silenzio, non sapevo se stesse meditando sul da farsi o se ascoltarmi o meno, ma i suoi occhi erano così vitrei e senz'anima da incutermi paura. Mi avvicinai pazzamente a lui e a poca distanza dal suo viso dissi le mie ultime parole: «Tornatene nell'inferno da cui sei venuto e lasciaci in pace.»

Serrò le mascelle e schioccò la lingua, non feci nemmeno in tempo a rendermi conto di quello che stava avvenendo che mi colpì con forza alla tempia, facendomi indietreggiare e barcollare tanto che rimasi in piedi per miracolo. Mi premetti la mano sulla ferita che mi aveva procurato alla nuca, per poi ritrovarmela inzuppata di sangue subito dopo. «Il tuo problema è che parli troppo e ora mi hai fatto passare la voglia di essere gentile.»

Alzai gli occhi su di lui e in un attimo sentii la rabbia scorrermi nelle vene tanto che mi rialzai per colpirlo a mia volta con un destro ben mirato. Non se lo aspettava e riuscii ad acquistare un leggero vantaggio. Imprecò e ci trovammo a lottare come due animali al suolo. Gli sferrai i miei colpi, così come lui i suoi, e quando ci rialzammo eravamo entrambi con il respiro affannato, gli occhi fuori dalle orbite e con parecchio sangue gocciolante sulla nostra pelle a causa dei tagli sul viso. Ci scrutammo e lo vidi sorridere divertito con il sangue a tingergli i denti di rosso per il labbro che gli avevo spaccato. «Non ne vale la pena di perdere la vita per lei, eppure non riuscite proprio a farne a meno: volete cambiarla. Volete salvarla, ma per quelli come noi non c'è redenzione. Non c'è mai.» 

Mi fu addosso di nuovo e questa volta senza pietà. Tentai invano di prevalere ma ero mani nude a differenza sua e quando mi colpì con brutalità alle gambe e alla schiena, per il dolore mi piegai su me stesso. Non riuscii più a stare in piedi e quasi a muovermi tanto che non trovai più nemmeno le forze di reagire sotto i suoi colpi continuati e ferrei. Urla agghiaccianti mi uscirono dalla bocca ma tanto sapevo che non sarebbe accorso nessuno, poi terminarono anche quelle per l'esaurimento a cui mi aveva condotto. Pregai che finisse perché non avevo mai provato un dolore così grande e così esteso da impazzire e desiderare di morire il prima possibile per porre fine a così tanta sofferenza. Poi quando passò ad assestare colpi alla nuca persi finalmente conoscenza e il buio mi avvolse. La riacquistai per poter vedere e sentire che mi stava trascinando per i piedi verso la sporgenza e, rendendomi conto di quale sarebbe stata la mia morte, pregai Dio che finisse in fretta. Vidi tutto sfocato perché il sangue e i colpi alla testa m'impedivano di aprire correttamente le palpebre. Mi fece rotolare fino al limite, per poi spingermi giù da quel dirupo che solo pochi giorni prima avevo guardato tra un sorriso e l'altro insieme alla donna di cui mi ero follemente innamorato e per cui stavo anche perdendo la vita, e non seppi decidere se ne era valsa davvero la pena. Ma forse sì.

Precipitai e in quei pochi secondi che mi rimanevano immaginai la mia Vivienne, ripensai alla sua lezione e le parole della sua poesia mi tornarono alla mente come una sorta di melodia che finì per riscaldarmi l'animo, facendomi sentire meno solo a un passo dalla morte.

Anch'io un tempo amavo dondolarmi fra le betulle.
E così vorrei ancora tornare indietro a farlo. Quando son stanco di considerare, e la vita 
Mi pare troppo simile ad un bosco non segnato da 
Sentieri, e la faccia t'arde e si solletica con le ragnatele Strappate passandovi contro, e gli occhi 
Ti lacrimano, per i ramoscelli che ti feriscono. 
Vorrei andar via dal Mondo, e poi Tornare indietro, e ricominciare. 
Che il Destino non mi disconosca e almeno un poco 
Mi conceda quel che voglio e non mi strappi di mano 
La possibilità di ritornare.
La terra è il giusto posto per amare: non so affatto come potrebbe migliorare. 
Vorrei andarmene scalando una betulla, e 
Salire rami scuri lungo un tronco innevato, verso il cielo, fin dove l'albero non potrebbe condurmi, ma fosse pronto a piegare la cima e riportarmi giù. 
Sarebbe bello andare ed al contempo ritornare. 
Si potrebbe far di peggio che dondolarsi fra le betulle.

Vorrei che il destino mi concedesse la possibilità di ricominciare. Vorrei poter andare, per poi ritornare. Non avrei voluto che mi venisse strappata via la vita, avrei voluto vivere davvero con tutto me stesso ma non accadde perché quando il mio corpo urtò le rocce, lasciai per sempre questa terra. Chiusi gli occhi con l'ultima immagine della donna che amavo e con la sensazione ancora vivida in me di averla stretta tra le mie braccia, in un abbraccio eterno e consolatorio nella lunga notte che mi si prospettava. Il mio ultimo pensiero andò a lei e contavo che mi avrebbe accompagnato anche oltre. Perché credevo con tutto me stesso che ci fosse vita dopo la morte, avevo bisogno di crederlo ed ero pronto a scoprirlo.

Fa attenzione, Vivienne! Il mondo è un enorme covo di serpenti e tu purtroppo, in questo momento, ti ci trovi proprio in mezzo. Veglierò su di te e la morte non riuscirà a impedirmelo, e tu sai bene che non sono uno che si arrende tanto facilmente. Proverò a essere il tuo angelo custode o almeno farò in modo che tu ne abbia uno, anzi sai cosa? Sta già arrivando, non temere. Senza volere l'ho messo sulla tua strada e forse, se il destino lo vuole, lui riuscirà dove io ho fallito.

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