Capitolo 37 - Promesse

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Aprii le finestre per far entrare la luce del mattino e, dopo essermi vestita, uscii sul portico di casa mia. Il vento mi scompigliò i capelli e il profumo del mare m'inebriò. Il rumore delle onde contro la scogliera mi cullava giorno e notte e ormai era una colonna sonora di cui non avrei più saputo fare a meno.

Erano passati quattro mesi da quando avevo deciso di dare un taglio netto al passato e finora era andato tutto a gonfie vele. Non avevo avuto ancora il coraggio di andare a scoprire di che sesso fosse il bambino ma forse un giorno lo avrei fatto, la gravidanza procedeva bene e questo era l'importante.

Avevo dato un taglio a qualsiasi vizio potessi avere e mi sentivo come rinata in questo posto sperduto e isolato dal resto del mondo: era un piccolo paradiso.

Ero solita fare lunghe passeggiate sulla spiaggia fino al faro che si ergeva con la sua possanza a poca distanza da qui. Avevo trovato lavoro nella piccola libreria del paese e per adesso mi ritenevo soddisfatta, amavo i libri e non avrei mai smesso di farlo. Magari un giorno avrei ripreso anche l'insegnamento se ne avessi avuta la possibilità, ma per ora mi andava bene così. Non avevo molte pretese, né le avrei più avute. Volevo godermi finalmente questa pace ritrovata e ormai, settimana dopo settimana, mi ero convinta di aver chiuso con tutto quello che riguardava la Vivienne che ero prima di aver superato il periodo buio della mia vita. Di aver messo una pietra sopra ogni cosa. Di aver voltato pagina, ma scoprii presto purtroppo non essere così.

Quando ritornai a casa mia nel pomeriggio, trovai qualcuno ad attendermi sul portico. Qualcuno che sinceramente credevo che non avrei più rivisto e che, dopo essersi alzato, mosse qualche passo nella mia direzione prima di fermarsi a pochi metri da me, scandagliandomi in un modo che mi fece ritornare indietro nel tempo.

Jonathan era qui davanti a me e non seppi che cosa provare, ebbi quasi un mancamento perché l'ultima cosa che mi sarei mai aspettata era quella di rivederlo. Mi ero immaginata nella mia testa come avrebbe potuto essere se un giorno ci fossimo rincontrati ma si era sempre trattata solo di una fantasia.

Credevo di essere diversa, di essere cambiata, di essermi costruita qualcosa ma, osservandolo, sentii crollare le mie difese.

Non dissi niente perché non sapevo il motivo che lo avesse spinto a venirmi a cercare, né lo avrei voluto sapere. Non adesso. Perché ero più che convinta che avrebbe ribaltato l'equilibrio che mi ero costruita con tanta fatica.

M'incantai a fissare i suoi occhi azzurri come il mare; quel mare che non avevo fatto altro che osservare con una certa malinconia in questi mesi e dovetti ammettere con me stessa che mi era mancato. Mi era mancato davvero averlo al mio fianco o anche solo vederlo e compresi che non ero riuscita minimamente a soffocare i sentimenti nei suoi confronti. Non ci ero riuscita ed era chiaro come il sole che ci riscaldava la pelle. 

Ero indecisa se parlare o meno ma non mi dovetti porre il problema perché fu lui a farlo per primo. «Non è stato facile trovarti», disse.

Continuai a guardarlo in silenzio, non avevo un bel ricordo dell'ultima volta che ci eravamo trovati a parlare l'uno di fronte all'altra. Mi aveva spezzata in pochi secondi, solo con uno sguardo e ce ne avevo messo di tempo per ricucire le ferite e ora lui era qui. Di nuovo. 

«Non mi sembra.» Non riuscii a non essere acida ma avevo paura di quello che provavo e ormai sapevo che lui riusciva a farmi male come nessuno. 

Se ci rimase male non lo diede a vedere ma, di sicuro, intuì che non dovesse farmi piacere l'averlo trovato qui. «Mi dispiace, Vivienne.» Mi tesi sorpresa, perché non era quello che mi aspettavo sarebbe uscito dalla sua bocca. «Mi dispiace davvero, per tutto. Non vado fiero del mio comportamento e se potessi tornare indietro...»

«Ma non puoi.»

Serrò le mascelle, poi annuì con delusione. La mia espressione però non lo condusse a smettere d'insistere. D'altra parte, non lo aveva mai fatto con la sottoscritta. «Ti chiedo scusa e sono venuto qui per dirti che ti aspetterò, non importa quanto ci vorrà, ma ti aspetterò fin quando vorrai.»

«Non ti ho chiesto di seguirmi né di venire, Jonathan. Non ti avevo chiesto di salvarmi e neanche di aspettarmi, ma soprattutto non ti ho mai chiesto di farmi felice», risposi. «Ho preso decisioni sbagliate e proprio per questo merito di stare sola; perciò va avanti, non sentirti in colpa neanche per un minuto, perché io non te ne faccio alcuna. La colpa è solo mia.» Lo superai decisa a nascondermi tra le mura di casa mia.

«Non ho bisogno di andare avanti, non senza di te» sbottò. Fermai i miei passi. Lo stava rifacendo di nuovo, mi faceva sentire una persona migliore di quello che in realtà ero. «So che ti ho ferita ma so anche che se continuiamo ad affondare nel fango e a odiarci, non andiamo da nessuna parte.» 

Mi sentii vulnerabile e indecisa sul da farsi ma non riuscii ancora a trovare il coraggio di voltarmi verso di lui, vederlo mi avrebbe fatto desistere.

E con lui ero debole, eccome se lo ero.

«Non sono quel tipo di ragazza, Jonathan. Non ti salverò proprio da un bel niente e un giorno ti dispiacerà l'avermi incontrata, perciò diamoci un taglio», dissi, voltandomi. «In fondo ti sei già dimostrato bravo in questo.»

Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, sentendosi in colpa per quel maledetto giorno. Diressi lo sguardo verso il mare alla ricerca di un po' di conforto che non avrei trovato, non dopo averlo rivisto. «Vivienne, le cose sono andate diversamente da come speravamo ma questo non vuol dire che non possano essere migliori. Ci ho messo un po' per capirlo, anzi per ricordamelo, ma l'unica cosa che volevo allora e che voglio ancora adesso: sei sempre e solo tu.»

Il mio cuore perse un battito. «Non afferri il mio punto di vista, mi sono rifatta una vita e...»

«E tu non afferri il mio» m'interruppe e mi si avvicinò di gran passo. «Io ti amo. Tu lo sai ed è la verità e quando si ama così intensamente, non te ne liberi più.» Gli occhi mi diventarono lucidi e mi morsi il labbro inferiore scossa dalla sua confessione. «Non importa quello che hai fatto, perché i miei sentimenti sono rimasti immutati. Sei solo tu che voglio, tu e mio figlio. Solo questo del resto non m'importa.»

Era tornato lo stesso Jonathan di sempre e un nodo mi si formò in gola nel realizzarlo. Indietreggiai. «Non posso. Non dopo come mi hai guardata l'ultima volta, perché il terrore che tu possa rifarlo non mi abbandonerebbe mai.» Mi osservò indecifrabile. «E ora vieni qui e... è troppo, non lo capisci?»

«È troppo per te? Che ti prende? Ho le stesse paure e le stesse cicatrici che hai tu, ma non ho avuto paura di mostrartele. Credo però che l'unica differenza tra me e te sia che hai paura di amare. Devi guardarmi negli occhi e farmi capire la verità. Per favore.» Alzai gli occhi su di lui per poi distoglierli subito dopo, sentendomi in trappola sotto il suo sguardo penetrante e supplichevole. «Guardami negli occhi e dimmelo. È molto semplice.» No, per me non lo era. Non avevo paura di amare, avevo paura di amare lui, ecco qual era la verità. «Lo so che provi quello che provo io allora perché non lo confessi!»

Il suo tono concitato mi fece sobbalzare. «Io non lo so perché... ma non ci riesco.» 

«Perché sei terrorizzata, ma lo sono anche io.» 

Mi prese il volto tra le sue mani. «Credi di aver trovare l'equilibrio perfetto in questo posto dimenticato da Dio, non è così. L'equilibrio è non permettere a nessuno di amarti meno di quanto tu ami te stessa.»

M'immersi nei suoi occhi cristallini e mi persi talmente tanto nel turbinio delle sue emozioni che mi sentii sopraffatta, così allontanai le sue mani dal mio volto. «Io non ho bisogno di amare te per provare che amo me stessa.» Gli diedi le spalle un'altra volta, incamminandomi verso la mia abitazione.

Alzò la voce con determinazione per farsi sentire. «Scappi da me? Allora scappi da tutte le grandi possibilità della tua vita.»

Fermai la mia fuga solo per ammettere con me stessa che aveva ragione. Era lui che volevo ma non sapevo se potessi fidarmi, non dopo quanto era avvenuto e avevo paura di riaprirmi un'altra volta senza sapere a cosa sarei andata in contro, perché ero più che sicura che non avrei retto un'altra delusione. 

«Posso farti una domanda?» mi voltai verso di lui e sentii delle lacrime uscire minacciose dai miei occhi. Annuì preso in contropiede dalla mia reazione. «Che cosa vedi adesso quando mi guardi?»

«Che cosa pensi che veda?» mi si rivolse duro e freddo, forse ferito dalla mia domanda o ferito da sé stesso per l'aver gestito male la situazione a suo tempo.

«La morte.» La voce mi uscì spezzata.

Si premurò subito di scuotere la testa in segno di diniego. «No, Vivienne.» Mi si avvicinò e lo vidi sfuocato a causa del mio pianto. «No, non è questo che vedo. Tutt'altro.»

«Che cosa vedi allora?» gli richiesi perché volevo averne la certezza e volevo sentirlo uscire dalla sua bocca. Mi afferrò di nuovo il volto tra le sue mani. Mi guardò fin dentro l'anima, spogliandomi di tutto prima di calarsi a incontrare le mie labbra ma all'ultimo mi scansai per impedirglielo. «Non è quello che vuoi.»

Rinsaldò la presa su di me e parlò con decisione: «Sono un uomo adulto, Vivienne. So quello che voglio.» Non mi diede il tempo di rispondergli che si calò a carpire le mie labbra dapprima con dolcezza, poi con sempre più voracità. Mi ritrovai a ricambiare, mi aggrappai a lui con tutte le mie forze come se fosse la mia ancora di salvezza, mentre lui mi stringeva a sé fino quasi a stritolarmi. 

Mi sollevò e, reggendomi con le sue forti braccia, s'incamminò verso la casa con determinazione e desiderio. Lo lasciai fare e mi scappò una risata quando rischiò d'inciampare, facendolo sorridere sulle mie labbra. 

Mi era mancato, così come mi era mancato il suo tocco ed ero più che sicura che non sarei più riuscita a farne a meno.

Mi adagiò sul pavimento e con lentezza disarmante mi tolse gli abiti che indossavo e, inginocchiandosi davanti a me, mi accarezzò il mio addome. Vi lasciò una scia di baci, sorrise malizioso, tentennò e mi morsi il labbro inferiore ma subito si risollevò, sovrastandomi, per poi riprendere a divorarmi la bocca. La sua lingua ricercò subito la mia in una danza simulatrice di quello che sarebbe avvenuto tra pochi attimi tra di noi.

Mi fece distendere delicatamente sul letto e senza neanche accorgermene era già dentro di me impaziente ma dolce come mai lo era stato nella mia vita. Ci intrecciammo perfettamente l'uno nell'altra, assaporando ogni secondo senza fretta per goderci appieno il nostro riavvicinamento. E quando portammo a compimento l'amplesso, qualche lacrima sfuggì dai miei occhi per le emozioni che mi avevano colta: l'amavo e ce l'avrei messa tutta per non perderlo di nuovo.

Si fermò sopra di me senza gravarmi addosso e mi fissò rapito e soddisfatto. Raccolse la lacrima che non era sfuggita al suo occhio attento e si perse ad ammirare le linee del mio volto. Feci lo stesso e senza neanche rendermene conto mi lasciai sfuggire quanto desideravo. «Non lasciarmi più, Jon.»

Immerse gli occhi nei miei stupito dalla mia richiesta e non seppi che cosa avrebbe risposto fino a quando non comparve un sorriso dolce a delineargli le labbra. «Mai.» Suggellò la sua promessa con le sue labbra. Ricambiai il bacio fino a quando non si staccò da me con un'espressione titubante sul viso. Lo guardai perplessa, mentre si alzava per dirigersi verso la sua giacca e rovistare in una delle tasche. Sempre più confusa seguii ogni sua mossa e quando mi raggiunse sul letto, sdraiandosi al mio fianco, mise sulle lenzuola in cui avevamo appena consumato il nostro amore una piccola scatola.

Alzai gli occhi su di lui e notai che aspettava in silenzio una mia reazione con sguardo penetrante. Esitai a dargliela perché troppo sconvolta, così mi confessò a bassa voce qualcosa che mi sorprese ancora di più. «Ce l'ho da quel lontano giorno sulla barca e da allora è sempre stata con me. Credo che volessi aspettare solo il momento giusto.» Gli occhi mi si appannarono e aprii quella scatola, incredula. Un anello vi brillava all'interno e lo fissai senza sapere che cosa dire. «Vuoi sposarmi, Vivienne?» Alzai gli occhi su di lui e mi stupii la determinazione che lessi sul suo volto, non aveva avuto alcuna esitazione e questo stava a significare solo una cosa: ormai aveva preso la sua decisione e questa ero io. «Una piccola cerimonia, solo io e te in quella bella chiesa che si erge sulla scogliera.» 

Continuai a fissarlo incapace di articolare alcunché perché mi sembrava surreale che me lo stesso chiedendo davvero. Ma alla fine, guardandolo negli occhi, non trovai un solo motivo per dirgli di no e così annuii tra le lacrime. Il suo volto s'illuminò e mi infilò al dito l'anello che ancora non avevo avuto il coraggio di toccare. In un secondo verificammo che mi calzava a pennello: era perfetto per la sottoscritta, così come l'uomo che mi stava davanti. Mi allungai verso di lui per unire le nostre labbra piena di gratitudine ed emozionata oltre ogni limite, ma non avrei mai pensato che non sarebbe stato niente in confronto al giorno in cui ci saremmo scambiati le promesse in quella piccola chiesetta in segreto e con solo il nostro amore come testimone.

Quel giorno fu perfetto: Jonathan era bellissimo nel suo completo e mi ritrovai a credere che fosse tutto un sogno perché non poteva essere reale, lui non lo era per il semplice fatto che aveva scelto me.

Nel percorrere la navata m'immaginai che mio padre fosse lì con me ad accompagnarmi all'altare e mi venne spontaneo pensare che forse, entrambi i genitori che mi avevano cresciuta, sarebbero stati orgogliosi di me per la mia scelta.

Non mi sfuggì l'emozione sul volto di Jonathan nel vedermi raggiungere l'altare e, sorprendendomi, lo rimase per tutta la funzione. Ogni tanto si voltò verso di me per guardarmi e compresi che, come per me, anche per lui stesse diventando una realtà solo ora. Allo scambio degli anelli mi tremò la mano e lui non esitò a stringerla tra le sue per farmi capire che finalmente non sarei stata più sola. «L'uomo non separi ciò che Dio ha unito...» proclamò il prete. Lo guardai e tutto il resto si annullò, non sentii più nulla e quando si calò per suggellare il nostro patto, sentii il mio cuore esplodere dalla gioia al lieve contatto con le sue labbra. Non era la prima volta che lo sfioravo, eppure in questo giorno mi sembrò la prima talmente era tanta l'emozione.

Firmammo quello che ci fu da firmare e una volta fuori dalla chiesa, ci fermammo nel piazzale, perdendoci ad ammirare la vista sul mare ancora increduli di quello che avevamo appena fatto.

Mi prese per mano e mi condusse al limite, appoggiandosi al muretto che ci separava dall'immenso. Ci guardammo e insieme a lui realizzai che fosse tutto vero: eravamo marito e moglie. Ripensai alle sue parole e rimasi sorpresa dal corso degli eventi. Era dal giorno sulla barca che voleva dichiararsi, ancora prima che scoprisse del bambino e ancora prima che passassimo in mezzo all'inferno. E dopo tutto quello che avevamo vissuto, niente lo aveva fatto desistere dai suoi propositi.

Mi sentii esplodere di felicità e, allacciandogli le braccia attorno al collo, lo rimirai mentre lui faceva lo stesso e poi, come calamitati l'uno dall'altro, unimmo le nostre labbra ancora una volta al tramontare del sole.

***

Nei giorni a venire ci costruimmo il nostro piccolo paradiso. Vivevamo ogni giorno come se fosse l'ultimo, con un'intensità tale da stordirmi: era il compagno ideale. Vivemmo lontano da tutti e tutto, solo io e lui, per recuperare tutto il tempo perduto e gli attimi di tranquillità di cui non avevamo mai goduto nei primi tempi.

La mia pancia cresceva a vista d'occhio e ogni giorno si divertiva a scherzarci e a parlare con il bambino che si muoveva agitato all'interno. Era un guerriero e non smetteva un attimo di vantarsene, assegnandone a lui tutto il merito. Risi come mai avevo fatto e al suo fianco il sorriso non abbandonò più il mio volto. Passavo ore e ore a coccolare il rigonfiamento fuori sulla veranda mentre mi godevo il panorama. Avevo lasciato il lavoro solo momentaneamente, visto che il parto s'avvicinava sempre più e la cosa mi terrorizzava parecchio ma quando venne quel giorno, con Jonathan al mio fianco, mi sentii invincibile.

Diedi alla luce una bellissima bambina e non dimenticherò mai l'espressione di adorazione che comparve sul volto di mio marito nel tenerla tra le braccia. L'amò follemente fin dal primo attimo tanto che non potei fare a meno di sentirmi un po' gelosa di quel piccolo pargoletto e quando mi dimisero, potei finalmente godermela appieno tra le mura della casa che avevo scelto per lei.

La nostra vita cambiò radicalmente dal suo arrivo ma in certo senso la rese ancora migliore. Appena potevamo ci ritagliavamo attimi per noi e la nostra passione, quest'ultima col tempo non si era di certo affievolita, anzi tutto l'opposto: stavamo imparando a conoscerci con calma e senza fretta, un passo alla volta. Un passo dopo l'altro per sempre.

La pace che si respirava qui era un toccasana per noi, ma anche per la bambina. Passavamo ore e ore fuori in giardino o giù alla spiaggia, con lei al nostro fianco, senza mai stancarci e alla sera la passavamo l'uno stretto nelle braccia dall'altra in pace con noi stessi e il resto del mondo.

E così senza neanche rendercene conto volò il tempo. Passarono gli anni e la nostra piccola Samantha crebbe: era bellissima e Jonathan non smetteva mai di ripeterlo. Era una forza della natura, ribelle e fin troppo intelligente, e a ogni secondo che passava assomigliava sempre di più a suo padre. Quest'ultima lo adorava e ogni mattina era la prima a buttarsi tra le sue braccia. Erano inseparabile tanto che ogni tanto mi sentivo quasi di troppo: amavo lo sguardo che Jonathan le rivolgeva. Non ne avevamo mai parlato, ma sapevo che rivedeva in lei la sua figlia perduta e allora lasciavo che si godessero appieno la compagnia reciproca. In realtà, non avevamo più affrontato i discorsi sul passato: si era attenuto alle sue promesse diligentemente e anche se c'erano ancora molte cose nascoste tra di noi, nessuno dei due sembrava voler riaprire l'argomento. Finalmente eravamo felici e solo questo contava.

***

Passarono quattro anni, i quattro anni più belli di tutta la mia vita. Non ero più ritornata a lavorare per occuparmi a tempo pieno di mia figlia mentre nel frattempo Jonathan era riuscito a trovare, grazie alle sue referenze, un posto nel dipartimento del paese vicino. Aveva lasciato il suo vecchio lavoro ed ebbe il coraggio di dirmelo solo dopo un po' di tempo che ormai vivevamo insieme: aveva lasciato la carriera che tanto amava per seguirmi e non potevo che sentirmi lusingata ma al contempo rattristata dall'influenza che avevo avuto sulle sue scelte. Sapevo che gli mancava l'azione e l'importanza del suo precedente ruolo ma sembrava piacergli lavorare anche qui, soprattutto perché era a poca distanza dalla sua piccola bambina.

Non mi parlava mai di quello che faceva e io non glielo chiedevo perché mi fidavo, lo avevo fatto all'inizio e avrei continuato a farlo anche ora, ma mi sbagliavo perché il nostro sogno - il nostro piccolo paradiso - andò in fumo poco tempo dopo.

Avevamo appena passato un weekend meraviglioso, all'insegna del divertimento e se ci avessi pensato ora, le lacrime mi sarebbero salita agli occhi per le loro espressioni felici. Jonathan con sua figlia, l'uno nelle mani dell'altro a camminare lungo la riva del mare. Le loro risate, i loro scherzi, le loro frasi piene d'affetto e commoventi ormai sarebbero state solo un lontano ricordo perché il rumore del mare le aveva spazzate via.

Eravamo appena tornati dalla spiaggia, quando trovammo degli uomini ad attenderci davanti a casa nostra. L'espressione di mio marito mutò nel vederli. Mi passò la bambina che si strinse a me con le sue piccole braccia e, vedendo che aveva tutta l'intenzione di dirigersi verso di loro, lo fermai. «Che sta succedendo, Jon?»

Esitò a rispondermi. Poi mi si avvicinò. «Sono qui per me, non pensavo che sarebbe successo così presto ma...»

Sentii il vuoto propagarsi dentro di me. «Che sarebbe successo così presto, cosa?»

Mi scrutò in silenzio e capii che la risposta non mi sarebbe piaciuta per niente al mondo. «Devo assentarmi per qualche giorno, ma ti assicuro che è solo di questo che si tratta.» La paura mi avvolse perché qualcosa dentro di me mi suggeriva di non lasciarlo andare. «Hanno bisogno di me e non mi è consentito rifiutare.»

Diressi lo sguardo alle sue spalle, sui due uomini misteriosi, e inevitabilmente non riuscii a restarmene tranquilla e fare finta di niente. «Prima il lavoro, giusto?» Indietreggiò preso in contropiede dalla mia constatazione ma non disse nulla e fu proprio questo a fare più male. «Non andare, ti prego.» Avevo un brutto presentimento ma sembravo l'unica a percepirlo.

«Tornerò presto, Vivienne. Ti puoi fidare, ti ho promesso che non ti lascerò più sola e sarà così ma ora... devo andare.» 

Lo fissai, perdendomi nel suo sguardo: volli credergli. Lo volevo davvero con tutta me stessa, così dopo aver annuito delusa, lo sorpassai per entrare in casa ma prima di farlo mi voltai per guardarlo mentre si allontanava, parlando con i due estranei. Mi sentii tradita ancora una volta e, voltandogli le spalle, abbassai lo sguardo su nostra figlia che non aveva ancora smesso di tenere gli occhi incollati a suo padre. Alzò una mano per salutarlo, ignara di quello che realmente stava accadendo.

Sentii lo sguardo di Jonathan su di me ma evitai di voltarmi perché aveva fatto la sua scelta e ancora una volta non mi aveva ascoltata. Sapevo già, però, che me ne sarei pentita molto presto perché Jonathan, il mio Jon, non fece più ritorno a casa come aveva promesso. Non tornò più dalla sua famiglia né nei giorni successivi né nei mesi che seguirono. Eravamo rimaste sole e ovunque cercassi o chiunque chiamassi, nessuno mi sapeva dire qualcosa sull'agente Walker o semplicemente non volevano dirmelo, così mi arresi, perché in fondo ero rimasta sempre la solita Vivienne: mi ero solo illusa di essere cambiata, ma la verità era che ero forte solo con lui al mio fianco. Il mio cuore si sgretolò lentamente, in una dolorosa e crudele litania a ogni giorno e a ogni attimo per colpa della sua assenza finché non sarebbe arrivato il tempo in cui non ci sarebbe più stato nulla da cui ritornare. Solo che quel tempo arrivò prima del previsto.

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