Capitolo 5- A Modo Tuo

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Scesi dall'auto frastornata per la mia iniziativa: stentavo ancora a credere di averlo condotto nell'unico luogo che custodivo gelosamente e che non condividevo con qualcuno che non fossi io stessa. Ma evidentemente per lui avevo deciso di fare un'eccezione. Non volli indagare dentro di me le ragioni; le temevo. 

Dapprima Patrick si guardò attorno, poi mi seguì curioso. Non fiatai lungo il tragitto e lui sembrò assecondarmi. E quando finalmente arrivammo in cima, mi rasserenai sentendomi a casa. «Caspita, Vivienne. Ne valeva davvero la pena» parlò con il respiro accelerato e non riuscii a trattenermi dal sorridere: era sfinito. «Come sapevi di questo posto?»

Ammirai il panorama e ogni piccolo particolare che lo caratterizzava: dalla folta foresta agli edifici in lontananza. «Ero solita venirci fin da piccola, inizialmente con mio fratello, poi lui ha smesso... E allora ho continuato da sola.»

«È una vita che vivo qui, eppure non ho mai saputo di questo posto. Come te lo spieghi?» mi chiese.

Alzai le spalle senza trovare risposta. Restammo in silenzio ad assaporare il momento, lontano dal caos e dai problemi fino a quando Patrick disse: «Grazie per averlo condiviso con me.» Gli sorrisi, poi mi andai a sedere sull'erba godendomi così il calare del sole. Lui m'imitò subito dopo. «Ha qualcosa di magico...»

Mi sorprese perché corrispondeva al mio pensiero. Fissai il cielo che iniziò a tingersi di un rosso acceso, quasi un rosso sangue. «Lo penso anche io.» 

Si alzò per dare un'occhiata al dirupo a pochi passi da noi e la sua curiosità mi riportò indietro nel tempo, ricordandomi l'epoca in cui neanche io riuscivo a fare a meno di guardare l'altezza minacciosa per tutto il tempo. Sorrisi al pensiero di mia madre che venisse a scoprire che sua figlia alla veneranda età di dieci-undici anni fosse solita passare le giornate sul bordo di un precipizio. Come minimo le sarebbe venuto un infarto.

Patrick fischiò alla vista della profondità che lo caratterizzava, alle rocce acuminate alle fondamenta. Il vento mi scompigliò i capelli e mi persi a guardarlo mentre era distratto. Percorsi la linea delle sue spalle, l'ampia schiena, la rotondità delle sue natiche, le gambe lunghe. Si voltò con un sorriso da ragazzino. Ci guardammo. Tornò a sedersi al mio fianco. Mi appoggiai alla sua spalla senza dire una parola. Lo sentii irrigidirsi e trattenere il fiato prima di appoggiarmisi contro rilasciando un sospiro che valeva più di mille parole. Non avrei dovuto e lo sapevo bene ma per il momento mi sentivo bene al suo fianco e almeno qui eravamo al sicuro da sguardi indiscreti e malelingue. Potevamo essere solo noi stessi.

Ritornammo sui nostri passi prima che facesse buio e per qualche motivo il ritorno fu più faticoso e lungo dell'andata, forse perché tornava a farsi sentire il peso della realtà.

Salimmo in auto e Patrick imboccò la strada che mi avrebbe condotto a casa. Lungo il tragitto ricevetti un messaggio dal meccanico che m'informava che l'auto fosse già stata sistemata e lasciata davanti alla mia abitazione. Tirai un sospiro di sollievo e diressi lo sguardo sulla strada, lasciando viaggiare la mia mente alla giornata appena trascorsa con in sottofondo una canzone che difficilmente avrei dimenticato.

E quando venne il momento di dividerci, stavo per salutarlo, ma mi precedette parcheggiando e uscendo dall'auto. Rimasi un attimo perplessa, poi lo seguii. Si accorse del mio sguardo interrogativo e si passò una mano nei capelli, un gesto che mi aveva sempre fatto tenerezza, ma che in questo momento mi innervosì visto che non sapevo quali intenzioni avesse. Alla fine parlò dissolvendo ogni mio dubbio. «Non stavo bleffando quando ti ho scritto quel messaggio.» Presi un respiro e lo raggiunsi. «Permettimi di restare al tuo fianco. Permettimelo. E non dovremmo più nasconderci.»

«Patrick...» Chiuse un attimo gli occhi in attesa di quello che gli avrei risposto, come se già temesse quanto di sicuro non gli sarebbe piaciuto. Quando riaprì quegli occhi verdi su di me, tentennai perché mi mancarono le forze per ferirlo ulteriormente. «Ti va di farmi compagnia per cena?» domandai, sorprendendo entrambi. «Non ti prometto niente di eccezionale, ma almeno non morirai di fame visto che ti ho fatto fare tardi.»

Un sorriso fece capolino sulle sue labbra nel sentire che non lo avessi subito respinto. Annuì e gli feci strada verso casa mia, aprii la porta e mi tolsi la giacca depositandola all'ingresso, così come anche lui. Poi mi avviai verso la cucina e mi misi subito all'opera.

Mi accorsi in ritardo del suo sguardo su di me e mi voltai trovandolo alle mie spalle. «Vuoi una mano?» Annuii e mi chiese che cosa potesse fare per essere d'aiuto, glielo spiegai e si dedicò subito alle mansioni che gli avevo affibbiato. La sua espressione concentrata e l'impegno che ci stava mettendo mi sorpresero e mi addolcirono. Mi persi a guardarlo per qualche attimo di troppo, tanto che se ne accorse. «Sto sbagliando?»

Non riuscii a trattenere il sorriso che mi comparve sulle labbra davanti alla sua innocenza e mi avvicinai per lasciargli un bacio sulle labbra. Quando riaprii gli occhi, trovai i suoi intenti a guardarmi sorpresi e mi staccai stupita dal mio stesso gesto, così istintivo e naturale come poche volte mi era mai capitato ma non ero riuscita a resistere. «No, tutto perfetto.»

Incastrammo i nostri sguardi fino a quando non decisi di distoglierlo per prima e, dopo aver apparecchiato, servii le pietanze.

Ci accomodammo e durante la cena non potei fare a meno di notare che il suo appetito fosse senza limiti, lo presi in giro e si finse offeso, facendomi ridere. Chiacchierammo del più e del meno e a cena terminata, mi alzai per sparecchiare e lui mi aiutò mentre riempiva gli spazi di silenzio con qualche battuta o frase al solo scopo di stuzzicarmi e farmi sorridere tanto che dopo un po' ci presi gusto anche io.

Mi scusai per doverlo lasciare un attimo da solo e mi concesse di andarmene a malincuore. Mentre andavo alla toilette, non riuscii più a trattenere il sorriso che era comparso sulle mie labbra. Davanti allo specchio mi contemplai e mi sorprese la donna che vi trovai riflessa, che il merito andasse a lui? Per il momento non ci volevo pensare e così l'unica soluzione fu quella di raggiungerlo nuovamente ma mentre percorrevo parte della casa, lo sentii parlare. Lo cercai prima in soggiorno e, non trovandolo, seguii le voci e quando raggiunsi l'ingresso, m'immobilizzai.

Sulla porta c'era James e stava tranquillamente intrattenendo una conversazione con Patrick che invece mi parve piuttosto teso dalla sua postura. Non compresi il motivo per cui fosse qui finché non mi avvicinai, dapprima titubante, poi sicura di me. «Che ci fai qui, James?»

«Per sbaglio mi sono preso via con me la copia delle tue chiavi e siccome stavo tornando a casa, ho pensato di lasciartele.» Me le porse e le afferrai, ringraziandolo, sperando che se ne andasse ma invece non fu così perché, restando fermo sulla porta, aggiunse qualcosa che non mi aspettavo, non a quest'ora di sera almeno. «Senti, avrei bisogno di un pagamento anticipato. Solo di una quota parziale. Mi scoccia chiedertelo ma...»

Gli chiesi di aspettare un attimo mentre rientravo per prendere il necessario. Patrick mi seguì. «Forse è meglio che vada...»

Mi voltai verso di lui presa in contropiede, poi ripensai ai miei propositi e acconsentii perché sapevo che fosse la cosa giusta per entrambi.

Cercai il mio portafoglio, mentre lui raccoglieva le sue cose. Mi avviai verso l'ingresso per dare una piccola percentuale del lavoro svolto, ma Patrick mi fermò. «Non sparire, Vivienne.» Mi lasciò un bacio sulla fronte, poi si avviò verso la porta sorpassando il muratore che non si era perso una virgola di quello che stava avvenendo.

Lo raggiunsi e mi disse che un centone poteva bastare, glielo diedi e lui mi studiò un attimo. «Sembra un brav'uomo.»

Puntai gli occhi sul soggetto in questione che si stava avviando verso la sua auto, dandoci le spalle. «Sì, lo è. Il problema non è lui infatti» mi lasciai scappare senza neanche fare in tempo a controllarmi.

«Perché lo pensi?» 

Riportai gli occhi sull'uomo davanti a me e quando parlai, non fu certo per dargli una risposta. «Ci vediamo domani, James.»

Esitò prima di annuire. Mi osservò un attimo per vedere se avrei aggiunto qualcosa ma non lo feci, così si avviò sconfitto verso il suo furgone. Lo guardai partire poi notai l'auto di Patrick ancora ferma a distanza. Corrucciai l'espressione e, chiudendomi la porta alle spalle, mi avviai nella sua direzione. Bussai al finestrino e lui mi aprì. «Che stai facendo?»

«Mi assicuravo che se ne andasse», disse.

«Me la so cavare anche da sola, Pat.» Gli sorrisi divertita dalla sua preoccupazione.

«Non lo metto in dubbio, ma la prudenza non è mai troppa.» Gli augurai la buonanotte ma, mentre lo stavo dicendo, mi anticipò. «Sali un attimo.» Esitai, poi acconsentii anche se avrei preferito rifugiarmi dentro casa. Mi sedetti e attesi il discorso che avrebbe di nuovo messo tutto in discussione. «Io non voglio perderti e non posso.» Si voltò verso di me mentre io non potei fare a meno, dopo aver retto il suo sguardo, di dirigere il mio altrove. Non comprendevo tutto questo attaccamento o bisogno che lui invece diceva di sentire e di questo mi sentii in colpa nei suoi riguardi. «Quindi credo che l'unica soluzione che mi resta sia quella di accettare le tue condizioni» mi stupì. «Lasciamo le cose come stanno, continuiamo a frequentarci come abbiamo sempre fatto senza impegni e ti prometto che non ti farò più pressioni. Una sorta di relazione dove tu ti possa sentire a tuo agio e non in trappola. Ti lascio libera, ma non rinunciare a quello che abbiamo. Te lo chiedo in ginocchio se vuoi e se serve a farti desistere dalle tue reticenze.»

Lo guardai incredula. Non me lo aspettavo da lui un discorso del genere, non era per niente il tipo: non avrebbe mai retto e anche se lo negava, non ci avrei mai creduto. Mi commosse, però, il suo voler assecondarmi pur di portare avanti quello che a cui avevamo dato vita ormai da qualche mese, ma non sarebbe stato possibile. Lo sapevo io e anche lui, solo che adesso sembrava averlo dimenticato.

«Non posso permettertelo, Patrick.»

«Qual è il tuo problema?» sbottò. «Qual è il tuo problema, Vivienne? Dico davvero.» Mantenni il suo sguardo incerta se abboccare o meno alla sua provocazione. «Ti ho appena detto che facciamo come vuoi tu e l'unica cosa che mi sai dire è un categorico no.» Sospirò deluso. «Non riesco a capirti, eppure ci ho provato in ogni modo.» Mi chiusi in me stessa, non avendo nulla con cui controbattere. «Rischio di perdere la ragione se non mi dici che per te ha significato qualcosa. Che per te noi abbiamo significato qualcosa.» Mi voltai verso di lui incerta sul da farsi. «Cosa sono stato per te, Vivienne? Perché sei una contraddizione continua.»

Sentii la rabbia crescere ma non volevo riversarla su di lui, altrimenti sapevo che avrei fatto più danni che altro. Sospirai e mi fronteggiò sfidandomi a provare il contrario, così parlai con la schiettezza che ero solita portarmi dietro. «Sai cosa non capisco io, invece? Che cosa tu voglia da me. Non siamo stati in grado di controllarla all'inizio, ma almeno eravamo d'accordo sul non lasciarci trascinare in qualcosa di più, eppure eccoci qui a fare questa conversazione.»

«Allora non mi ascolti, ti ho appena detto...» 

«So cos'hai detto, ma i tuoi occhi dicono ben altro, così come le tue reazioni.» Scosse la testa e glielo ripetei perché fosse chiaro. «So cos'hai detto, ma non ci credo.» Mi guardò in un modo che mi ferì, ma cercai di non darci peso, altrimenti non ne saremmo più usciti. «Non ci credo, perché non sei così.»

«Così come? Di cosa stai parlando?»

«La tua bocca dice una cosa, ma dentro di te vuoi ben altro. Lo hai sempre voluto. Sei un libro aperto: qualsiasi emozione provi la manifesti così intensamente da farmi desiderare di avere un po' della tua empatia.» Mi scandagliò, cercando di capire il mio pensiero. «Non potrebbe mai funzionare perché siamo troppo diversi. Sei una delle migliori persone che conosca e per quanto possa essere fredda e insensibile non potrei mai farti una cosa del genere. Meriti qualcuno di eccezionale. Qualcuno per cui puoi crescere e fiorire insieme, non appassire e decomporti al suo fianco, perché è questo che succederà e che ti farei, perciò no.» I suoi occhi diventarono lucidi e sentii un nodo stringermi lo stomaco a quella vista tanto che non riuscii a trattenermi dal confessare qualcosa che non gli avevo mai detto. «Ci tengo molto a te, Patrick, e proprio per questo motivo non posso accettare di ridurre il rapporto che abbiamo a un mero atto carnale. È l'unico modo che conosco ma con te non riuscirei più a guardarmi allo specchio.» Mi appoggiai al sedile esausta e sentii di essermi lasciata scappare troppo di me stessa; avevo bisogno di riordinare un attimo i pensieri.

«Hai paura» sussurrò. «Hai paura di provare qualcosa, dico bene? Ma la cosa bella e che non vuoi ammettere, forse perché non ci riesci o forse perché non la sai riconoscere nemmeno tu, è che quel qualcosa lo provi già.» Sentii il mio battito accelerare sotto il suo sguardo accusatore e l'unica soluzione che trovai per sfuggire dal suo attacco fu quello di tacere, mentre lui continuava a guardarmi aspettandosi una risposta che non sarebbe mai arrivata perché non ci poteva essere. Non per noi almeno. «Non dici niente?»

«No, perché non posso dirti quello che vuoi.»

Scoppiò in una risata sarcastica. Si sfregò le mani sul volto per cancellare le poche lacrime amare che non era riuscito a controllare e che avevano solcato la sua pelle lasciando segni che si sarebbe portato dietro per un bel po' di tempo, e la colpa era solo mia. 

«Voglio che tu te ne vada» disse a bassa voce. Infilò la chiave nella serratura pronto ad andarsene e lo guardai presa in contropiede. «Voglio che scendi immediatamente da questa dannata auto, Vivienne.»

Non alzò più lo sguardo su di me e senza trovare la forza per risollevare quanto aveva appena spezzato aprii la portiera. Feci appena in tempo a scendere che sgommò via nella notte, lasciando dietro di sé una scia di tristezza e malinconia.

Non riuscii a dormire quella notte e quando mi alzai al mattino, il mio umore era a terra. Seguii la mia routine e mi recai a scuola dove non lo incrociai se non a metà giornata e lo sguardo che ci scambiammo non fu per niente rassicurante: all'inizio mi sembrò sul punto di dirmi qualcosa ma alla fine ci ripensò e mi sorpassò lasciandomi lì ferma in mezzo al corridoio, accompagnata solo dai miei ormai persistenti sensi di colpa.

Al pomeriggio non lo vidi, così come il giorno dopo e quello dopo ancora, anche se verso sera ricevetti diverse sue chiamate a cui non risposi per la sola e semplice paura di un ripensamento e perché credevo fosse finita. Avevo bisogno che lo fosse per togliere finalmente quel peso opprimente dal mio petto.

Il mio desiderio, però, avrebbe dovuto attendere ancora molto per realizzarsi, perché quando arrivai a scuola il giorno successivo dovetti assistere ad una scena a cui non ero per nulla preparata. La polizia pullulava all'ingresso dell'istituto, scatenando il panico generale. Non mi lasciai prendere dall'agitazione fino a quando, durante una mia lezione, il preside non entrò in aula e mi chiese di uscire. Lo seguì nel suo ufficio in stato di apprensione.

Due agenti erano lì ad aspettarci. La paura si insediò dentro di me perché non riuscivo a capire che cosa stesse succedendo e quale potesse essere il mio coinvolgimento con tutto questo casino che si era creato nell'istituto. Lo sguardo del preside su di me poi non mi aiutava a tranquillizzarmi: lasciava trasparire tutta l'ansia e la preoccupazione per una situazione che doveva essere per forza sfuggita di mano e non solo alla sottoscritta, come invece avevo pensato per tutto il tempo.

Una situazione che si sarebbe rivelata peggiore di quanto avessi mai potuto immaginare.

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