Figliol Prodigo

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"Cosa sei venuto a dirmi?" sbottò Ahriman.

Espero alzò un sopracciglio, fissandolo sulla porta d'ingresso di un monolocale incastrato tra centinaia di appartamenti di un rione popolare.

"Tu che dici?" rispose al fratello, indeciso se entrare o meno in quella specie di scatola fattiscente per umani.

"Non voglio sentire prediche!" ribatté il mortale, obbligando il gemello ad entrare.

"Non voglio farti una predica! Volevo solo passare a trovarti, è proibito?".

"Sei un angelo. Gli angeli non passano a trovare i mortali a caso, tanto per fare qualcosa!".

"Sono tuo fratello, Ary. Angelo o no, lo sarò per sempre. Che ti piaccia o meno...".

Espero rasentava il soffitto con la testa e decise che era meglio sedersi al tavolo della cucina, adatto a solo due persone.

"E a che ti serve? Tu sai sempre tutto, perciò sai come me la passo. Non hai di meglio da fare? Tipo, chessò... scoparti mia madre?".

"Non sono così malmesso da andare in escandescenze per una mera provocazione. Ma gradirei del caffè, se non ti dispiace".

Ahriman obbedì, sbuffando, spostando alcuni libri che aveva lasciato dove capitava.

"Quindi... ora abiti qui" si guardò attorno l'angelo della Sapienza "Decisamente un downgrade rispetto alla tua casa e all'attico in hotel".

"È quel che posso attualmente permettermi senza i soldi di papà e lo stipendio del Kerigma".

"Guarda che nessuno ti vieta di avere soldi da papà o dal tuo lavoro al Kerigma".

"Papà è il Diavolo. Non si va certo in Paradiso usando i soldi del Diavolo!".

"Nemmeno contraendo il colera perché si vive in un buco di merda in mezzo a tossici e puttane, fratello!".

Ahriman si accigliò, incrociando le braccia.

"E il bambino? Dov'è?".

"Momentaneamente con Lailah, nell'altro universo. Appena mi sarò sistemato, lo riprenderò con me".

"Sistemato... attendi forse un miracolo per sistemare tutto questo?!".

"La fai facile tu! Tu sai sempre tutto! Tu sai perfettamente se chi hai davanti vuole fotterti, darti un abbraccio o spararti in testa! Io no!".

"Lo so che non è facile" parlò con calma Espero "E sono felice che tu stia continuando le sedute di terapia con Raphael. Ma non puoi cambiare ciò che sei. Qualsiasi cosa tu decida di fare, sarai sempre il figlio di Lucifero. E, sinceramente, non vedo cosa ci sia di male. Anch'io lo sono e sono un angelo! C'è chi mi guarda male e mi giudica per questo? Certo. Cazzi suoi!".

"Ma tu hai una posizione! Io sono un mortale! Al minimo sbaglio, come figlio di Satana, verrò ricacciato all'Inferno! Non avrò sconti di alcun tipo!".

"Perdonami ma... è stata una tua scelta essere mortale. E poi non è vero quel che dici. Verrai giudicato come tutti gli altri e fin'ora non hai alcun motivo di preoccuparti: sei destinato al Cielo".

"E allora perché sono finito nella Gehenna?!  Quel posto è... indescrivibile per quanto sia allucinante e terribile! Non puoi nemmeno immaginarlo!".

"Sono stato all'Inferno, Ary. Parecchie volte".

"Non è la stessa cosa!".

Espero ruotò gli occhi al cielo, finendo il caffè con lieve disgusto.

"Sai..." riprese a parlare, poggiando la tazzina "Uno dei primi comandamenti recita: onora il padre e la madre. E tu li stai ignorando entrambi".

"Sono demoni!".

"Sono i tuoi genitori! E, ripeto, capisco il tuo punto di vista. Ma fino a un certo punto! Tu hai paura di tornare all'Inferno frequentando i demoni e lavorando in hotel, ma non funziona così! Pensa a quanti angeli sono nella tua stessa posizione! Sono ospiti in albergo o addirittura ci vivono o lavorano. Fanno aperitivi e cene assieme a papà. Un angelo ha perfino sposato papà!".

"Nessuno di loro rischia di finire all'Inferno!".

"Sbagliato! Tutti rischiamo di finire all'Inferno! Tutti possono cadere, Ahriman. Pure io. Non puoi vivere nel costante terrore di finire agli Inferi".

"Continuo a dire che tu la fai facile. Tu sai tutto. Magari potessi essere come te!".

"Davvero?! Vuoi davvero sapere ogni singola cosa che accade, senza poter far nulla per evitarlo? Io sapevo che volevano ucciderti e ho visto quando lo hanno fatto, ma non ho potuto dire o far niente. È bello,  secondo te?".

"No, ma...".

"Ma ognuno ha i proprio problemi! E nascondersi non li fa di certo scomparire. Ma se vivere qui ti rende più tranquillo, va bene. Solo ti chiederei di fare un colpo di telefono almeno a tua madre ogni tanto. È in pensiero. La faresti felice".

"Non credo che le interessi la vita di un mortale. Ha già avuto un altro marmocchio con papà per rimpiazzarmi, io sono di troppo".

"Rimpiazzarti? Sei serio?".

"Lo sai che sono serio...".

Ahriman incrociò di nuovo le braccia, poggiando la schiena sul lavandino a pochi passi dal tavolo.

"Pensi davvero che non gli importi di te?! Sei incredibile...".

Con un gesto, Espero evocò delle immagini davanti agli occhi del fratello e gli mostrò come i due genitori avessero reagito alla morte del figlio, lasciandolo momentaneamente senza parole.

"Tu fai parte della famiglia, Ahriman. E ti prometto che in molti vegliano sulla tua amima affinché l'errore della Gehenna non si ripeta. In molti ti vogliono bene, fratello mio. E se qui sei felice, ok. Ma se non lo sei, non lasciare che la paura ti governi. Non sarà di certo un tè con nostro padre a trascinarti agli Inferi!".

Ahriman annuì, poi sospirando.

"Io mi meriterò il Paradiso, Espero. E per quel che riguarda mamma e papà... puoi dire loro che sto bene e che sono molto riconoscente per quel che hanno fatto per me. Ma ora è tempo che vada per la mia strada. Sarà forse sbagliato o stupido, ma ho deciso così".

"Cosa vuoi che dica in tua vece alla riunione? So che non ci sarai...".

"Amo il Kerigma" ammise Ahriman, dopo qualche istante "Ci ho messo davvero il cuore in quel progetto. Ma era prima che accadessero tante cose. Era un demone, ero un tentatore...".

"Eri un archietto. Cosa che potresti ancora fare. Così come potresti gestire un albergo in modo normale, senza tentare anime".

"Sinceramente, non voglio tornare in quel posto. Mi ricorderebbe troppe cose spiacevoli. Lascio a papà ogni decisione in merito. Se vorrà continuare a gestirlo, faccia pure. Se vuole venderlo, demolirlo, ignorarlo... affar suo. Affar vostro".

"Basta che tu ne sia sicuro. Come proprietario e progettista, potresti concordare una vendita e usarne il ricavato per comprarti una casa decente e ripartire in modo più che dignitoso".

"Mi pare di averti già spiegato che non è quel che voglio. Quel luogo è legato al Diavolo!".

"È un albergo...".

"Ho altri progetti".

"Sì, lo so...".

"Non parlarne non papà. Penso che ne sarebbe piuttosto deluso".

"A papà basta che tu stia bene, sia felice e che non rompa i coglioni per niente. E il terzo punto vale per tutti, non solo per te. Per quel che riguarda il tuo progetto... anche Asmodeo è entrato a far parte del mondo ecclesiastico, lo sai? Però dovresti avere un qualche tipo di vocazione, che tu non hai. Sai che Dio esiste, sai che il Diavolo esiste, ma questa non è fede. È qualcosa che hai visto con i tuoi occhi e non puoi negare".

"Già. La faccenda della vocazione un po' mi blocca. Ma pensavo più a qualcosa di vicino ma non proprio ecclesiastico. Tipo quei tizi che si fanno spedire in giro per il mondo ad aiutare i bisognosi in mezzo alle guerre, o roba del genere. Mi renderei utile e farei qualcosa che di certo mi aiuterebbe a guadagnare il Paradiso, dico bene?".

"Se lo fai con una certa dose di sentimento, sì. Altrimenti nulla ti garantisce il Paradiso, manco essere il papa!".

Ahriman sospirò di nuovo.

"Sai cosa mi manca dell'essere demone?".

"Il fatto di non dover pensare a tutta sta menata del Paradiso?".

"No! Anche... ma principalmente mi manca il poter volare. Io amavo volare. Lo potresti fare tu per me, ogni tanto? Specie quando... non ci sarò più?".

"Lo farò. Ma ora smettila di farti tante seghe mentali. So che è quel che fanno gli umani ma... cerca di evitarlo!".

I due fratelli per qualche istante si sorrisero. Poi Espero si alzò, congedandosi. Era un casino sapere tutto e non poter dire nulla. Per qualche istante invidiò chi non possedeva tale potere e volò via pensando a quanto potesse essere bello svegliarsi e non essere più la Sapienza. Nello stesso momento Ahriman, ammirando le ali del fratello, pensò a quanto sarebbe stato bello poter riavvolgere il tempo e ascoltare l'unica persona che ora tentava in ogni modo di evitare: suo padre. Era un vero casino la vita...




"Hei, coglione!" chiamò Azazel, seduto in uno dei tavolini esterni del Kerigma.

Erano stati uniti diversi tavoli e molti demoni sedevano, ridendo e concedendosi una birra a fine turno lavorativo. Astaroth, seduto al lato opposto del messaggero, si voltò a guardarlo e Azazel rise.

"Non tu! L'altro coglione!" rise ancora il receptionist, rivolto a Turek e chiedendogli di tirargli l'apribottiglie.

"Al volo, stronzo!" rispose il figlio di Asmodeo.

"Tra stronzi e coglioni, facciamo proprio una bella tavolata!".

Tutti risero. Erano di buon umore, non sapevano nemmeno bene il perché. Lucifero li osservava, qualche tavolo più in là, sorseggiando in silenzio una birra su un tavolino solitario. Il giovane Rashaverak, appena chiuso il negozio in hotel, passò a salutare prima di congedarsi.

"Vuoi una birra, ragazzo?" propose Lucifero ma lui scosse la testa.

"Come mai ve ne state qui da solo e non andate a bere con loro?" chiese il giovane.

"E tu perché non vai da loro? Sei un dipendente come loro, sarebbe il tuo posto".

"Non mi sento molto a mio agio...".

"Bene. E io non faccio sentire a proprio agio gli altri. È una questione gerarghica".

"Ma... non siete più il re".

"Già. Cose complicate...".

"Ok...".

Il figlio di Astaroth era un po' agitato, non sapeva bene come comportarsi e  colore dei suoi capelli mutavano seguendo l'altalenarsi di quelle emozioni.

"Mia moglie ha visto il tatuaggio che mi hai fatto" gli sorrise il Diavolo "E lo ha trovato molto bello".

"Mi fa molto piacere! Per caso... le avete detto che io sono...".

"È mia moglie. Mi pare ovvio che debba sapere che ho un figlio in più. E poi lo sanno tutti. Astaroth non sa tenere la bocca chiusa, specie per una cosa del genere".

"Oh. Ora capisco perché mi fissavano tutti stamattina...".

"Impiccioni come sempre. Bene... immagino che tu sia stanco, signore dell'abisso. A domani".

"Signore dell'abisso?!".

"È il tuo nome. Rashaverak. Non lo sapevi?".

"No...".

"Ah, male! Il nome, assieme al sigillo, è fondamentale per un demone. Racchiude il proprio potere e la propria essenza. Devi averne cura e considerazione".

"Perdonatemi ma, da quel che so, nessuno conosce il Vostro nome".

"È corretto quel che dici. Circa. L'unico a conoscere il mio vero nome, oltre a Dio ovviamente, è Espero. Non perché volessi farglielo sapere, ma perché tempo fa ha dovuto saperlo per riparare alcuni miei danni fisici. Mi ha curato e ha dovuto saperlo, o non ci sarebbe riuscito".

"E come mai tutta questa segretezza, se si può sapere?".

"Il vero nome di Dio nessuno lo sa. Ha tanti nomi, tutti diversi, e in qualche modo tutti veri. Allo stesso modo, io sono Lucifero tanto quanto sono Satana, Samael, Helel e via discorrendo. Sono sempre io, con significati diversi. Ora va a casa, immagino tu abbia di meglio da fare che discutere con me. Subito me ne vado pure io, sto aspettando che stacchi mia moglie".

"Oh... certo... buona serata. Però... un giorno, magari, potremmo fermarci a parlare. Non so. Per la questione di essere padre e figlio. Immagino che...".

"Vieni domani sera alla riunione. Una volta finita, sarò a tua disposizione".

"A riunione? Io? E perché? Non sono mica un demone importante...".

"Sei mio figlio. Inizia a capire quel che vuol dire...".

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