06. Moby Dick (II)

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Tradimento (Il Traditore) – Ernia (feat. Mecna)

C'era stato un momento della sua vita in cui Cleo si era convinta di non essere abbastanza. Durante gli anni delle medie e del liceo aveva fatto di tutto per il fratello e, quando lui se ne era andato a Milano per l'università, aveva sentito sparirle il terreno sotto i piedi: non aveva più nessuno che dipendeva da lei quanto lei dipendesse da lui. Per Corrado, infatti, era stata tutto.

Dopo la sua partenza si era sentita inutile, incapace di fare qualsiasi cosa di buono, e l'ambiente del liceo non l'aveva aiutata a superare simili timori. La solitudine provata nei corridoi e durante i lunghi pomeriggi passati sui libri le aveva ricordato quanto i suoi spigoli la rendessero indigesta e non abbastanza per gli altri – simpatica, bella, socievole, divertente, intelligente... Si era convinta che le importasse poco di qualsiasi opinione non provenisse dal padre o da Dado e, col passare degli anni, il trucco creato per sopravvivere era diventato una realtà. Che la ignorassero tutti, se davvero non piaceva.

Ma poi era arrivato Giulio e le carte si erano scombinate.

Aveva scoperto l'esistenza di una certa reciprocità tra loro – una volta era lei a cercarlo e appoggiarcisi, un'altra la situazione si invertiva, per poi rincominciare allo stesso modo – e ne era rimasta appagata, convinta di aver trovato un equilibrio che le permettesse di vivere al meglio. Detestava ammettere che si era sciolta con l'infittirsi della relazione, abbandonando i capi vestiti con fierezza per anni e lasciando intravedere piccoli tasselli di morbidezza che l'avevano fatta sentire tanto vulnerabile quanto amata. Giulio li aveva accolti e lei si era lasciata inebriare. Era bello avere qualcuno per cui non era necessario essere forti in qualsiasi circostanza.

"E invece..." pensò, dandosi un'ultima sistemata davanti allo specchio. "Chi me l'ha fatto fare di fidarmi."

Dopo una veloce valutazione, infilò nella vita dei jeans scuri il maglioncino a collo alto che aveva scelto, di un rosso cupo che le metteva in risalto la carnagione pallida. Pensò soddisfatta che non fosse un abbigliamento troppo eccessivo – non voleva certo che Francesco si montasse la testa – e si infilò i mocassini neri, per poi raccattare il cappotto; lo stava giusto allacciando quando il cellullare annunciò con un trillo l'arrivo di un messaggio.

Sono qua sotto. Salgo un attimo o sei così brava da essere già pronta?

Cleo alzò gli occhi al cielo, pensando che non c'era niente di più cliché della ragazza maleducata e sempre in ritardo e dell'uomo costretto ad aspettarla per ore.

Io sono sempre in orario. Arrivo subito.

Forse era stata scontrosa nella risposta, ma non le importò granché. Si affacciò alla camera di Neela per salutarla, agguantò le chiavi di casa e uscì. Due gradini alla volta e in meno di due minuti era fuori dal condominio, dove la ventata di gelo che le pizzicò le guance, però, portò con sé degli improvvisi dubbi: non conosceva Francesco, visto che un paio di messaggi e incontri non potevano dirsi la base di chissà quale rapporto, e forse sarebbe stato meglio tornare dentro e lasciar perdere tutto, prima che la situazione volgesse per il peggio.

Uno strombazzare di clacson la fece sobbalzare e maledire la propria ingenuità – se davvero voleva ritirarsi, avrebbe dovuto dirglielo in faccia, senza essere pavida. Prese un respiro profondo e si avvicinò a passi pesanti all'automobile ferma in doppia fila, ripentendosi in testa cosa avrebbe dovuto fare: salutarlo, dirgli che era stata una pessima idea, magari aggiungendo che si sentiva in colpa per il suo ragazzo, e rientrare. Cosa avrebbe detto a Neela per giustificare il suo avanti e indietro l'avrebbe deciso dopo.

Si fermò davanti alla portiera e fece segno a Francesco, di cui intravedeva il profilo illuminato dalla luce bianca dei lampioni, di abbassare il finestrino.

"Ehilà" la salutò con un sorriso nascosto da un accenno di barba, avvicinandosi quanto la cintura gli consentiva. "Dai, salta dentro e andiamo."

"Non credo sia una buona idea."

Francesco aggrottò le sopracciglia. "Ma è per il tuo tipo?"

Cleo si strinse nelle spalle, quasi a dire che fosse ovvio che era per lui, nonostante l'ironia di tutta la situazione avesse fatto risalire in gola una ridarella che le raschiava il palato – usarli entrambi per non uscire con nessuno dei due? Forse Corrado aveva ragione a dire che avrebbe dovuto prendersi del tempo per sé, così da capire cosa ci fosse di sbagliato in lei.

"Senti, ti ho già detto ciò che penso" disse intanto l'altro. "Le infamate non mi piacciono, forse perché me le sono beccate io stesso. Poi, se sei davvero convinta di non volere uscire, non importa."

Cleo aprì la bocca per confermare che in effetti non aveva molta voglia, ma il ricordo della frase detta da Neela, accompagnata dal pensiero che Giulio le avesse sempre mentito, furono più forti del buonsenso. La rabbia provata nei confronti del ragazzo le annebbiò un'ultima volta i pensieri, tanto che si accorse di essere entrata nell'abitacolo solo dopo che Francesco partì sgommando, accompagnato dall'improvviso pompare di nuova musica a palla.

"Dove pensavi di andare?" gli chiese, aggrappandosi alla maniglia della portiera. Andava troppo veloce per i suoi gusti, così come il modo in cui schivava gli scooter e i monopattini le faceva balzare il cuore in gola.

"Da qualche parte verso Moscova, cosa ne dici?" Notando quanto la musica fosse alta, abbassò il volume. "Oppure hai qualche altra idea?"

"L'importante è non andare verso Colonne" pensò lei, visto che Giulio si trovava lì. "Va bene in Moscova. Però devi decidere tu dove, perché non conosco nessun posto."

Francesco alzò un sopracciglio e le lanciò una rapidissima occhiata, prima di tornare a concentrarsi sulla strada. Non commentò la sua uscita, preferendo passarle il cellulare. "Decidi tu cosa mettere. E non voglio sentire storie."

Troppa gente, troppa confusione. In condizioni normali, Cleo avrebbe valutato la scelta di Francesco come pessima, ma, vista la titubanza precedente, la presenza di così tante persone intorno la rasserenava, nonché la spingeva a concentrare la poca rabbia che ancora le pungeva il cuore verso un unico obiettivo: far male a Giulio. Non era tipo da flirt, non ne era capace, ma poteva comunque concedere all'altro qualche sorriso e impegnarsi a rendere la serata il più piacevole possibile per entrambi.

Eppure, mentre era stretta sulla sedia attaccata al muro a mattoni a vista del bar, Cleo si rese conto di non sapere da che parte iniziare. Rimescolò la Coca Cola, arrivata mentre l'altro si era assentato per andare un attimo in bagno, e pensò a quale discorso avrebbe potuto proporre – purtroppo qualsiasi commento musicale legato a ciò che le aveva fatto ascoltare era nato, morto e sepolto durante il tragitto in automobile, mentre una rapida spiegazione sul perché non fosse pratica della zona era già stata fornita durante la ricerca di un locale dove infilarsi. Non poteva certo arrendersi, però, non dopo tutta la confusione creata.

"Ma allora eri seria quando hai ordinato una Coca Cola" commentò Francesco, sedendosi davanti a lei. "Cos'è? Non bevi?"

Cleo storse le labbra, mentre l'altro prendeva una sorsata di una bevanda non meglio identificata. "Non mi piace. Oltretutto, l'alcool fa male e mi annebbia il cervello."

L'altro alzò gli occhi al cielo, prima di allungarle il bicchiere. "Prova" le disse, aprendosi un sorriso. "Fa male solo se esageri. Come tutte le cose, del resto."

"Ma cosa sarebbe esattamente?"

"Rum."

Cleo prese in mano il bicchiere e ne fece girare il contenuto, chiedendosi a quale posizione si sarebbe collocata la scelta di bere nella classifica delle pessime idee della serata; di certo non più in alto di uscire con Francesco, ma il pensiero di ubriacarsi le fece venire i brividi.

"Meglio di no" disse infine, per poi ridargli il rum. "Non penso potrei reggerlo."

"Non conosco nessuno in grado di sbronzarsi solo con un sorso" commentò lui, prima di bere. "Fammi riassumere un attimo" aggiunse, appoggiando il bicchiere sul tavolo. "Sei astemia per motivi discutibili, odi il fumo per motivi sensati, non ascolti musica non si sa bene perché... Cosa manca?"

"Non impreco" replicò lei. "Le bestemmie mi danno un fastidio profondissimo."

Francesco scoppiò a ridere e scosse la testa, per poi togliersi la felpa nera che indossava, rivelando una maglietta a maniche corte dello stesso colore. "Sei assurda, lo sai?" le disse, e Cleo si sentì arrossire davanti ai suoi occhi chiari che la squadravano divertiti. "Ma dove hai vissuto per tutta la tua vita?"

"Di certo in un ambiente migliore del tuo" replicò, schioccando le labbra.

"Questo non è simpatico. Mai pensato di metterti un filtro alla bocca?"

Lei scrollò il capo, per nulla interessata. "No. Oltretutto, non sono abituata a fingermi piacevole" rispose. Fece scorrere lo sguardo lungo il collo dell'uomo, sul quale capeggiava il tatuaggio che aveva già visto, e poi sulle spalle ampie, fino a scivolare sul bicipite sinistro dove si vedeva una balena disposta in diagonale, il cui disegno era sporcato da alcune linee azzurre e blu che definivano una corrente marina.

"Call me Ishmael."

Cleo aggrottò le sopracciglia, Francesco che invece le sorrideva divertito. Picchiettò con l'indice sul tatuaggio, e lei si sentì idiota per il modo così palese con cui l'aveva studiato – un conto era fingere interesse, un altro mostrarlo per davvero.

"È l'incipit di Moby Dick" le spiegò intanto lui. "E il romanzo è il motivo per cui mi sono fatto questo."

"La storia della balena?" chiese, ricordando di averne sentito parlare al liceo e di aver visto un film, costretta dalla famiglia.

"Capodoglio" la corresse, con fare appena piccato. "Melville la chiama balena bianca, ma in realtà è un capodoglio. Mai letto?"

"Non sono tipo da lettura" replicò, evitando però di aggiungere che lo trovava un passatempo inutile, perfetto solo per perdere tempo – aveva come l'impressione che una simile spiegazione avrebbe portato a una conversazione che non aveva alcuna voglia di sostenere, visto che anche Corrado ne era un fanatico e già aveva provato a convertirla. "Perché proprio Moby Dick?" chiese invece, curiosa di capire come mai una persona volesse sottoporsi alla tortura del tatuaggio solo per il disegno di una balena, per quanto bello fosse.

"È un romanzo sull'inutilità della vendetta." Francesco sfiorò il capodoglio, mostrando una delicatezza inaspettata. "Achab muore tentando di uccidere Moby Dick, dopo una vita passata a inseguirlo perché troppo cieco per accorgersi di quante altre possibilità avesse... È un promemoria, insomma. Non è bene farsi accecare."

Cleo deglutì e distolse lo sguardo, a disagio per l'improvviso parallelismo emerso. Il suo era un moto infantile, guidato da una rabbia che ormai era ridotta a una brace prossima a estinguersi, ma quanto aveva in comune con la storia della balena bianca? Per la prima volta da quando era iniziata la serata si sentì in colpa, e tale era la sensazione di soffocamento che ne derivava da farle desiderare di uscire dal locale e scappare via da tutto e da tutti.

"Ma..." Cleo tossì un attimo, cercando di recuperare la facciata indossata fino a quel momento. "Ma leggi tanto?" gli chiese a fatica, per poi gettarsi sulla poca Coca Cola avanzata. Forse bere qualcosa di più forte non era un'idea pessima quanto aveva pensato.

"Prima di andare a dormire, o la domenica se non ho niente da fare" rispose lui, che non pareva essersi accorto di niente. "Di solito i classici, altrimenti mi accontento di ciò che mi capita in mano in biblioteca."

"Sai che non l'avrei mai detto?" replicò lei, raggranellando un po' di coraggio. "Visto la musica che ascolti e come ti atteggi..."

"Mai sentito il detto che l'abito non fa il monaco?" Francesco aprì le braccia, sorridendole divertito. "Non mi vengono in mente frasi fatte su quanto giudicare a priori sia pessimo, purtroppo" aggiunse, lanciandole una frecciatina per nulla celata che ebbe solo l'effetto di farla ridere.

"Colpa mia" ammise, alzando le mani. "Diventi sempre più interessante, anche se certe cose mi danno comunque fastidio."

"Fumo e bestemmie."

"Sei grezzo" specificò Cleo, rilassandosi sullo schienale della sedia. Forse era riuscita ad allontanarsi dal campo minato della conversazione su Moby Dick, nonostante il pensiero della morte di Achab le grattasse sulle pareti del cranio, ricordandole quanto fossero pessime le sue ragioni.

"Ma hai mai provato a fumare?" le chiese curioso.

Cleo fece per dirgli che era ovvio non si fosse mai avvicinata a quel veleno, ma l'occhiata canzonatoria dell'altro la fece mordere la lingua. "Certo" mentì, fingendosi più sicura di quanto non fosse. "Fanno proprio schifo."

"Avrai provato robaccia... Una volta te ne do una delle mie."

"Ma anche no" pensò lei. Si rese conto che, però, la loro uscita sarebbe stata un unicum, quindi la vaga preoccupazione legata al fatto che non avesse mai fumato svanì in pochi secondi – non avrebbe mai dovuto provargli niente.

Francesco, nel frattempo, finì di bere il rum. "Senti..." disse, appoggiando il bicchiere sul tavolo. Iniziò a giocarci, facendolo passare da una mano all'altra. "So che non si chiede, ma quanti anni hai?"

"Ventitré da meno di un mese" rispose lei, per nulla infastidita.

Lui si portò entrambi i palmi in faccia, mormorando una bestemmia sottovoce che le fece arricciare il naso. Stava per chiedergli cosa gli fosse preso, ma l'altro fu più rapido a darle una spiegazione. "Otto anni di differenza" borbottò, scuotendo la testa, un sorriso imbarazzato a scavargli le guance. "Dio cane, mi sento Humbert-Humbert."

"Chi?"

Francesco scoppiò in una risata nervosa. "Non hai mai letto neppure Lolita, noto, anche se immagino tu sappia di cosa parla."

"Di un pedofilo" rispose lei pronta, ricordando all'improvviso di quanto Corrado le avesse parlato del romanzo in questione. Lui e Francesco sarebbero andati d'accordo. "Non mi sembra siano tantissimi" aggiunse, facendosi spingere da altre conversazioni avute col fratello, questa volta su quanto fossero assurde le convenzioni legate alle differenze di età. "Sono maggiorenne già da mo'."

Si rese conto di quanto l'ultima uscita fosse stata infelice quanto l'altro le riservò un'occhiata penetrante e in grado di farla arrossire fino alla punta delle orecchie. Se solo fosse stato possibile, avrebbe preso una pala e si sarebbe scavata la fossa nel locale illuminato da luci al neon azzurre e rosa, sicura che sarebbe stata incitata da tutti gli avventori presenti – non poteva essere stata così ingenua.

"Devo dedurre che il tuo ragazzo sia inesistente?" le chiese, inclinando la testa. "O forse stai pensando di lasciarlo?"

"Ti piacerebbe" sibilò spavalda, nonostante la seconda domanda fosse fin troppo centrata sulla situazione attuale.

"Vero." La replica sincera dell'altro la soprese. "Ma sono un tipo paziente, non preoccuparti."

Cleo, ancora spaesata, strinse le labbra, mentre al grattare di Achab si aggiungeva l'assurdo pensiero che sarebbe stato interessante combinare qualcosa con Francesco. Si allungò sul tavolo, arrivandogli a un soffio dal viso, e gli sussurrò solo poche parole, una piccola menzogna verso sé stessa per salvare la faccia.

"Spero tu sia molto paziente, visto che è probabile come la neve ad agosto."

Francesco si sporse appena verso di lei, senza rompere il contatto visivo. "Non eri molto brava in geografia a scuola, allora."

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