07. Bentornati a casa (I)

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Lunedì - Salmo

Da bambina, Cleo aveva sempre visto casa sua come l'unico luogo dove sarebbe sempre tornata, qualsiasi cosa fosse accaduta. Lì c'erano Corrado e suo padre. Per un certo periodo, quando usciva, era arrivata addirittura a sognare il momento in cui avrebbe rimesso piede nell'appartamento in centro città, un piccolo angolo sicuro in cui i suoi spigoli avrebbero trovato i loro incastri.

Dopo l'inasprirsi della situazione familiare e il trasferimento a Milano, però, l'aura di soffice sicurezza di cui si era vestita la casa durante l'infanzia era svanita, sostituita da un triste e soffocante velo di disagio; purtroppo non sarebbe mai stata più quella di prima. Altri luoghi avevano preso il suo posto, creando nuove nicchie in cui Cleo si nascondeva volentieri quando non riusciva più a sopportare il peso del mondo, e quindi il diradarsi delle visite a Como era diventato naturale, nonostante il pensiero di non vedere spesso il padre la lasciasse con l'amaro in bocca.

"Non sarà così terribile, dai" si disse per l'ennesima volta, mentre attendeva fuori dal portone del condominio l'arrivo di Dado. Ficcò le mani coperte dai guanti in fondo alle tasche, tremando dal freddo, e alternò il pensiero precedente all'altro che le aveva fatto compagnia nei dieci minuti appena trascorsi. "Ma dove accidenti è finito?"

Corrado, infatti, era in ritardo di almeno mezz'ora, nonostante fosse stato lui stesso a ordinarle di essere puntuale per le nove del mattino.

"Ma quando arriva lo strozzo" pensò, arricciando il naso. Le venne naturale confrontare la situazione attuale con l'uscita di venerdì, quando aveva trovato Francesco pronto ad accoglierla, così come le venne da sorridere nel rivivere ciò che era accaduto; nonostante l'iniziale timore, era stata molto bene, tanto che quando era rientrata verso l'una si era sentita talmente leggera da non riuscire ad addormentarsi. Immersa nel buio, aveva preso e scomposto ogni avvenimento della serata, partendo dalle parole di Neela fino ad arrivare a quando Francesco l'aveva salutata con un leggero bacio in testa, augurandole la buonanotte. Cleo riusciva ancora sentire il modo in cui la sua mano le era scivolata tra i capelli, così da avvicinarla.

Era del tutto presa a sognare ad occhi aperti quando due colpi di clacson la fecero sobbalzare.

"Su, sorellina! Ti sei congelata?" le urlò Corrado dal finestrino dell'automobile, per nulla interessato alla coppia di vecchiette che si stavano dirigendo in chiesa per la funzione del mattino. Cleo arrossì davanti agli sguardi accusatori delle due, al contrario del fratello che, invece, diede un ulteriore colpo di clacson.

"Avevo capito, accidenti a te!" sibilò, entrando nell'abitacolo. "Ma dove eri finito?"

L'altro abbassò appena gli occhiali da sole che indossava, alzando le sopracciglia quasi a dirle che non era affatto in ritardo, e poi mise in moto l'automobile e partì. "Ho pensato avresti preferito dormire di più" le rispose dopo qualche attimo, guidando tra le vie semi-deserte.

"Il che è come dire che non ti sei alzato."

"Tu sei troppo puntigliosa."

Cleo gli fece una linguaccia, a cui Dado rispose con un sorriso sbarazzino, e si avventò sulle manopole del riscaldamento, girandole al massimo. Non era possibile che all'interno della vettura facesse più freddo che in strada, ma le nuvolette di condensa che si formavano davanti a lei quando apriva bocca indicavano tutt'altro.

"Aspetta e spera" le disse Corrado, rimettendo la manopola al minimo. "Il riscaldamento è rotto e butta fuori aria fredda. Appena arriva la paga di dicembre porto a sistemare questo rottame, ma per ora nisba."

Cleo fece un verso strozzato, stringendosi su stessa nel tentativo di scaldarsi. "Non potevi chiedere aiuto a papà? Non si sarebbe fatto problemi ad alzarti qualcosa."

"Forse vorrei evitare di dipendere sempre e soltanto da lui?"

Il tono acido della risposta le suggerì di non replicare, nonostante la parte di lei infreddolita e infastidita dal ritardo bramasse lo scontro. Talvolta il fratello era troppo orgoglioso, incapace di accettare le possibilità che gli erano offerte, e la sua mania di non chiedere mai soldi ai genitori, neppure nei casi peggiori, la lasciava non poco interdetta. A un certo punto, quando aveva appena iniziato il dottorato, aveva saltato un paio di pagamenti dell'affitto, e Cleo era stata costretta a intercedere per lui; Corrado l'aveva guardata malissimo quando gli aveva messo in mano a forza l'assegno firmato dal padre, ma non aveva osato dirle niente. Nel corso degli anni successivi, però, si era impegnato a restituire tutto, fino all'ultimo centesimo.

"Comunque, buongiorno" le disse all'improvviso, mentre imboccava lo svincolo autostradale. "Come è andata venerdì? Non mi hai più detto niente."

"Niente di particolare..." mentì, cercando di non pensare ancora una volta a Francesco e alla sua mano tra i capelli. "Serata tranquilla."

Corrado fece schioccare la lingua sul palato, senza aggiungere niente. Cleo poteva sentire le rotelle del cervello dell'altro correre nel tentativo di capire se ci fosse qualcosa al di sotto delle sue parole e sperò che non ci leggesse nulla; non sarebbe stata in grado di spiegargli cosa era accaduto, né di sostenere a lungo la bugia senza tradirsi. Oltretutto, non voleva subire un processo per delle scelte che, per quanto infantili fossero state, l'avevano fatta sentire viva: Moby Dick a parte, era da mesi che non stava così bene dopo un'uscita, carica e pronta a fare qualsiasi cosa.

Tuttavia, Corrado la colpì preciso, ricordandole quanto fosse da sempre trasparente ai suoi occhi. "Non me la racconti giusta" le disse, mentre frenava al casello. "E passami un euro e settanta, per favore."

Cleo obbedì con le mani che le tremavano, ringraziando tra sé e sé il freddo; almeno quella reazione involontaria aveva una scusa valida.

"Allora?" insistette il fratello, rimettendo in moto la vettura. "Sicura di non aver niente da dirmi?"

"Di cosa vuoi che ti parli? Non è che sia successo molto..." replicò, procedendo sulla linea della menzogna. Tuttavia, sapeva che in tal modo sarebbero finiti per parlare per l'ennesima volta di quanto la situazione tra lei e Giulio non funzionasse e tutta la pappardella che ne derivava, cosa che proprio non voleva affrontare. Sarebbe stata perfetta della musica per rallentare la curiosità di Corrado, se non addirittura zittirla.

"Illuminami" continuò intanto il fratello, mentre lei estraeva dalla borsa il cavetto del cellulare. "Lo sai che faccio così solo perché..."

"Ti preoccupi per me. Certo che lo so." Cleo collegò il telefono allo stereo e si mise a scorrere tra le canzoni scaricate nei giorni precedenti - poche, ma almeno aveva qualcosa da ascoltare mentre camminava. "Non c'è niente di nuovo, sul serio. Anche se forse hai ragione a dire che dovrei pensarci più seriamente" ammise, per poi fare partire un brano qualsiasi.

Corrado inarcò un sopracciglio con tale veemenza che gli occhiali gli scivolarono lungo il naso. "Da quando ascolti la musica?"

Cleo socchiuse le labbra, maledicendosi per la sua ingenuità, mentre l'altro storceva la bocca in un'espressione infastidita.

"E chi conosci che ascolta 'sta roba? Non dirmi Neela perché non ci credo nemmeno per sbaglio."

"Degli amici di Giulio, l'altra sera" borbottò, dandosi della stupida. "Hanno parlato per non so quanto di alcune canzoni, facendomele anche sentire..."

"E ti sono piaciute?"

Cleo scrollò le spalle. "Sì. Altrimenti perché le starei ascoltando?"

Tra loro cadde un silenzio improvviso, che neppure le parole del brano che stava scorrendo in sottofondo, qualcosa che in effetti aveva proprio sentito venerdì sera, riuscivano riempire. Per un solo attimo, mentre Corrado guidava silenzioso, Cleo pensò di raccontargli ogni singola cosa, senza mai fermarsi: forse aveva davvero bisogno di uno sguardo esterno, di qualcuno che la sgridasse per le sue decisioni, ma che fosse in grado di comprendere i motivi che le avevano mosse. Qualcuno come il fratello.

Fece per aprire bocca, un milione di parole pronte a essere vomitate sull'altro, ma lui la precedette. "Non capisco... ma, se hai davvero stabilito che la musica non ti fa più schifo, almeno fatti consigliare qualcosa di decente" le disse, tamburellando le dita sul volante. "Tipo Paolo Conte, Battisti, o Battiato... o ancora qualcosa di più contemporaneo, come Fulminacci. Cioè, proprio il rap? Ma lo sapevi che..."

Cleo non ebbe il coraggio di interrompere il monologo musicale.

Se il concetto stretto di casa, col passare degli anni, si era modificato per lasciar posto a un'informe quantità di luoghi e persone, Cleo aveva capito che c'era qualcosa che le sarebbe sempre mancato dell'infanzia: Como stessa. Nonostante non amasse ammetterlo, preferiva di gran lunga la città sull'omonimo lago alla caotica metropoli di Milano - troppa massa in movimento, troppa fretta, troppo grigio. Le mancava uscire verso il tramonto e trovare a due passi la superficie increspata dell'acqua lacustre dove galleggiavano pigri i battelli, immersi nella calda luce del sole calante, così come spesso aveva nostalgia delle camminate fatte tra le viuzze del centro, senza preoccupazioni di perdersi, visto che avrebbe sempre trovato un modo per tornare indietro. Non era disturbata della ripetitività, la trovava anzi confortante, e Milano non era e non sarebbe mai stata in grado di darle una simile pace.

Corrado, al contrario, non le era mai parso molto nostalgico, ma forse era dovuto a ciò che gli era accaduto dai dodici ai diciannove anni, quando infine se ne era andato. Come amava ripeterle spesso, tornare a Como era come mettere piede nel bagno di un autogrill.

"Sei confortato dal fatto che sia sempre tutto uguale, non importa quanti chilometri o anni sono passati, ma al tempo stesso fa ancora schifo."

Cleo aveva provato a dirgli che il paragone non fosse molto calzante, ma il fratello aveva insistito, convinto che fosse perfetto e lei quella incapace di comprenderne la genialità intrinseca.

"Pronta?" le chiese Corrado, col dito a pochi centimetri dal citofono. Piazza Volta, dietro di loro, era immersa in una tranquillità cristallina, lontana dall'ansia che provavano entrambi.

"Non penso si possa tornare indietro..."

Dado schioccò la lingua e, senza nessun'altra esitazione, premette il pulsante. Non ci volle molto prima che il portone venisse aperto, nonostante nessuno dall'altro capo avesse chiesto chi fosse.

"Questo era papà" commentò lei, mentre il fratello entrava annuendo. Rimasero in silenzio per il breve tragitto fino al secondo piano, incapaci di sentirsi confortati dall'immutabilità dell'androne e delle scale dove avevano corso fin troppe volte, guadagnando rimproveri non solo da parte dei loro genitori, ma anche della vecchia custode morta l'anno precedente. Cleo sentì sulla lingua l'aspro sapore delle caramelle al limone che ogni tanto le dava, portando un dito rachitico alle labbra per dirle che era un piccolo segreto tra loro - forse sarebbe dovuta andare al funerale, ma era stata avvertita dell'accaduto in ritardo.

"Adesso tocca a te suonare il campanello" le mormorò Corrado, dandole una leggera spallata. "Uno a testa, ricordi?"

"Sarà aperta come al solito, figurati" replicò lei, girando il pomello della porta che, in effetti, si spalancò sotto il suo tocco. "Ehilà! Noi siamo arrivati" disse ad alta voce, mettendo piede all'ingresso. Senza neanche accorgersene, riprese subito le antiche abitudini, abbandonando il cappotto su una seggiola poco lontana, sotto la quale ficcò le scarpe; Corrado la imitò titubante, lanciando anche lui una voce verso il salotto vuoto.

"Ma dove saranno finiti...?" si chiese Cleo, prima di avventurarsi verso le ampie finestre che davano sulla piazza sottostante. Si mise a guardare l'esterno, seguendo il movimento delle poche persone attorno alla statua centrale di Alessandro Volta, mentre il fratello si sedette su quella che era da sempre la sua poltrona - la più lontana dal televisore, così da leggere in pace quando gli altri guardavano un film.

Cleo si girò verso di lui, che replicò con un'alzata di spalle per poi spostare gli occhiali da sole sul capo a tirargli indietro i capelli che, quel giorno, erano più ribelli del solito. Nonostante il nervosismo che lo portava a stropicciare l'orlo del golfino, non le parve però troppo turbato.

"Vedrai che andrà bene" gli disse, giusto un attimo prima di scorgere il padre con la coda dell'occhio che, trafelato, appariva dal vano del corridoio.

Alto, secco e disarticolato quanto Corrado, ma con lo stesso taglio degli occhi di Cleo e le medesime sopracciglia folte, portava sempre con sé un'aria tale da farlo apparire del tutto fuori posto e perso nel suo mondo; forse erano le iridi di un azzurro slavato ad aumentare la sensazione, o ancora i folti capelli ormai argentati che non pettinava mai. Di certo il modo in cui si muoveva, come se fosse sempre alla ricerca di qualcosa, contribuiva molto all'insieme.

"Ma la porta era aperta?" chiese loro. Senza attendere una risposta, andò all'uscio e girò un paio di mandate, mentre Cleo lo osservava ridacchiando.

"Ciao anche a te, papà" gli disse Corrado, alzando una mano dalla poltrona per farsi vedere.

"Vi ho visto, vi ho visto" borbottò lui, per poi scompigliargli i capelli e avvicinarsi a Cleo, che strinse in un abbraccio.

"Bentornata" le sussurrò all'orecchio, e lei si lasciò cullare come una bambina. Era a casa.

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