07. Bentornati a casa (II)

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Lunedì – Salmo

Visto che sua madre risultava al momento dispersa e le lasagne erano pronte in forno da scaldare per il pranzo, Cleo approfittò del tempo libero per rintanarsi nella sua stanza. Lasciò il padre e Corrado in salotto, intenti a discutere su come stesse andando il lavoro a quest'ultimo, e percorse il lungo corridoio sul quale si affacciavano, oltre alla sala da pranzo e la cucina, anche le varie camere, ciascuna fornita di un bagno; arrivata in fondo, socchiuse la porta della sua e sbriciò dentro, in parte convinta che avrebbe trovato un fantasma di se stessa intenta a piangere dalla rabbia sul letto, ma ciò che l'accolse fu solo la fredda atmosfera che si portavano sempre con sé i luoghi vuoti.

Si andò a sedere sul materasso, sul quale era rimasto il copriletto estivo che aveva usato ad agosto, quando era rimasta per un paio di settimane. Al contrario della stanza a Milano, quella in cui si trovava era di gran lunga più rappresentativa di lei stessa, nonostante a un occhio poco attento potesse apparire anonima in ugual modo; nonostante l'ordine forzato, dato dalla mano esperta della domestica, si potevano notare tanti suoi piccoli segni – medaglie vinte a nuoto, delle stampe di marine di Turner appese alle pareti, una copia de I Promessi Sposi abbandonata sulla scrivania vicino a quaderni di appunti e un portapenne stracolmo. Niente CD e pochissimi libri derivati più da richieste scolastiche che amore personale, ma tra le pareti verde slavato della camera Cleo aveva vissuto in ogni modo possibile.

Si spose verso il comodino ed estrasse dal cassetto un piccolo quaderno sformato e dalla copertina dipinta di strisce colorate, per poi sfogliarlo. Dentro aveva inserito, nel corso degli anni, biglietti, fiori secchi, piccole note, scontrini e altri pezzetti di carta che, una parola d'inchiostro alla volta, raccontavano solo a lei il corso della sua vita. Non aveva mai avuto il coraggio di tenerlo a Milano, terrorizzata dall'idea di perderlo, ma quando tornava a Como portava tutti i piccoli tesori raccolti nel corso dei mesi precedenti e si prendeva del tempo per incollarli. Quella volta aveva con sé poco, ma appose soddisfatta sull'ultima pagina lo scontrino guadagnato venerdì sera, unico testimone dell'uscita con Francesco.

"Forse ho fatto un errore" pensò di nuovo, ma l'idea era diventata così sterile da non farle più provare alcun senso di colpa. Era stata bene, quindi non aveva intenzione di rammaricarsi più del dovuto sull'accaduto e, anzi, di sfruttarlo per capire cosa fare con Giulio. L'aveva evitato il giorno precedente, ma sapeva non avrebbe potuto procedere a lungo sulla china scelta.

Cleo sospirò e tornò indietro di qualche pagina, arrivando a un foglio che aveva dipinto con degli acquerelli azzurri e su cui aveva incollato, usando uno scotch colorato di un giallo limone, un singolo biglietto del traghetto. Era legato a un ricordo agrodolce, capace di farla sorridere e stringerle la gola in una morsa di pianto allo stesso tempo.

Quando lei e il fratello frequentavano il liceo erano successe delle cose. Cleo non sapeva ancora se definirle bullismo, mentre Dado evitava l'argomento. Poteva capirlo, in fondo: non c'era niente di eroico nel raccontare di come i propri compagni di classe ti spiavano quando andavi in bagno, o delle frasi oscene che avevano scritto sui muri dello spogliatoio, o ancora degli spintoni ricevuti fuori dall'istituto e da quelli rischiati ogni volta che imboccavi le scale. Non si era mai capito cosa avesse scatenato una simile reazione – omofobia, forse? O ancora semplice invidia? –, ma Cleo, fin dal primo giorno in cui aveva messo piede a scuola, aveva stabilito che ci sarebbe sempre stata per Corrado.

Era stata la sua condanna.

Una di prima ginnasio che osava rispondere ai ragazzi del secondo e del terzo liceo era già di per sé strana, figurarsi se non si risparmiava un'ironia velenosa che li mandava in bestia nel giro di poche parole. Le ragazze della classe di Cleo avevano fatto in fretta a etichettarla come una da evitare, mentre i compagni erano soprattutto incuriositi, nonostante non si fossero mai schierati dalla sua parte.

Poi, quando Corrado era all'ultimo anno, era successo un disastro. Era la fine di maggio e Cleo lo aspettava fuori dall'ingresso, sbuffando per il caldo e pensando a quanto le sarebbe piaciuto poter andare al lago e nuotare fino a non sentire più le braccia. All'improvviso aveva visto apparire il fratello, ma non aveva fatto in tempo a farsi notare che un altro ragazzo lo aveva spinto con cattiveria. Dado era caduto a terra in un groviglio di ossa e pagine del dizionario di greco e lei, senza neanche accorgersene, era scattata.

Si era fatta più male lei nel tirare uno schiaffo a palmo aperto sul viso del bullo che quest'ultimo, ma lo shock dell'altro era stato tale che non aveva neppure fatto caso al fastidio corsole lungo le dita. Gliene avrebbe tirato un secondo, se non fosse stato per la comparsa del fratello che, dopo averla spostata, aveva ringhiato qualcosa contro il ragazzo prima di spintonarlo via sotto gli occhi increduli del professore di lettere che stava uscendo proprio in quel momento.

Nel giro di pochi secondi Cleo si era trovata aggrappata alla mano di Dado e avevano iniziato a correre a più e non posso, come se fosse stato possibile evitare la nota che di certo sarebbe apparsa sul registro, ma era stato bello. Avevano urlato a pieni polmoni qualcosa che non ricordava ed erano fuggiti fino a quando non erano arrivati sul lungolago, senza fiato e coperti di sudore. L'ovvia scelta successiva era stata di salire su un battello qualsiasi.

Corrado aveva pianto per una decina di minuti, mentre erano stretti l'uno all'altra sull'imbarcazione che, lenta, li aveva portati via, e poi le aveva raccontato che non ce la faceva più, che voleva fuggire e compiere uno sterminio di massa allo stesso tempo. Erano sbarcati ad Argegno, convinti fosse abbastanza lontano da ciò che si erano lasciati indietro, ma non troppo per poter tornare a casa con agio, e avevano preso un gelato per mangiarlo su una panchina che guardava il lago. Cleo lo ricordava di un blu intenso, calmo, così come riusciva a vedere di nuovo le montagne che svettavano sul cielo limpido, coperte di un verde talmente folto da averle fatto pensare che non ci fosse nulla di più bello al mondo di quel luogo e istante.

Dopodiché, erano scesi verso la foce del fiumiciattolo che arrivava dalla valle superiore e, tempo di scambiarsi un'occhiata divertita, erano rimasti in intimo e si erano buttati nell'acqua gelida. Per il resto del pomeriggio non avevano pensato più a niente, alternando bagni a lunghi periodi stesi sui ciottoli grigiastri della spiaggia improvvisata, baciati dal sole. Solo verso le cinque si erano decisi ad attendere la corriera e avevano trascorso il viaggio di ritorno accoccolati l'una sull'altro, in silenzio.

Il rientro a casa, però, non era stato altrettanto pacifico. Non che Cleo si fosse aspettata di essere accolta con abbracci e lacrime di preoccupazione, ma neanche dallo schiaffo con cui la madre, rapida, aveva colpito lei e Dado. Il giorno successivo erano visibili i segni degli anelli.

"Ha chiamato la scuola" aveva detto loro, il tono deluso e gli occhi scuri colmi di rabbia. "Mi auguro che sia la prima e ultima volta che accade qualcosa di simile. E ora andate a lavarvi: puzzate."

Due mesi dopo Corrado aveva preso il diploma, per poi andarsene da casa, mentre lei era rimasta bloccata a Como ad affrontare le conseguenze delle sue decisioni; non aveva mai provato rimpianti, ma si era chiesta perché gli altri trovassero così difficile capire quanto il fratello valesse per lei.

"Una vita fa" pensò, chiudendo il quaderno per riporlo. Stava riflettendo su quanto le sarebbe piaciuto vivere ancora una volta le tranquille ore al lago, lontana da tutto e tutti, ma il trillo rabbioso del campanello la riscosse da tali pensieri.

Sua madre era tornata.

Dafne era una bella donna.

Cleo invidiava il modo in cui riusciva a portare spavalda, con un'eleganza inarrivabile, gli stessi spigoli che aveva ricevuto in eredità. Non nascondeva il viso dal naso arcigno con una cascata di capelli, preferendo tenerli corti e mostrare le sue imperfezioni; non copriva con abiti informi gli angoli angusti delle articolazioni e i fianchi, ma li metteva in risalto tramite vestiti aderenti e dai colori neutri o chiari; infine, quando parole affilate le premevano sulla lingua non si tratteneva mai dal dirle, senza pentirsi. Era scomoda e meravigliosa, e a lei e al fratello non era mai stato chiaro come fosse nato il legame con loro padre, molto più morbido.

Funzionavano, però, tanto che Cleo aveva sperato più volte di riuscire a trovare qualcuno che fosse in grado di accoglierla allo stesso modo; negli anni precedenti Giulio era stato la risposta, ma forse poteva essere quella sbagliata.

"Allora... come procedono le cose a Milano?" chiese Dafne, seduta a tavola con un calice di vino in mano mentre il marito serviva le porzioni di lasagne. "Siete entrambi molto impegnati."

Cleo evitò di cadere nella trappola tesa dalla donna, la cui affermazione finale era un'accusa per nulla celata. "Studio e cerco un professore per la tesi" rispose, versandosi dell'acqua. "Tutto tranquillo, insomma."

"Concordo" aggiunse Dado, lanciando una rapida occhiata al padre. "Certo, se lo stipendio da dottorando fosse più consistente non sarebbe male, ma non mi lamento."

"Hai scelto tu di fare il bohemien." La donna storse le labbra, per poi afferrare la bottiglia di vino e squadrarla con le sopracciglia aggrottate. "Sa di tappo."

"Lascialo respirare un attimo e vedrai che è buonissimo" replicò il marito, sedendosi a tavola. "Buon appetito a tutti."

Per una decina di minuti non si udì altro che lo stridere delle posate sui piatti, accompagnato da qualche rapido commento su quanto le lasagne fossero buone, ma Cleo poteva sentire la pressione di un'aria densa, sintomatica di quanto il commento di Dafne non fosse piaciuto a Corrado.

"Poteva stare zitto" si disse, masticando lenta. Sperò con tutta se stesa che la madre accogliesse il silenzio del fratello come una vittoria e lasciasse cadere l'argomento, ma sapeva quanto la donna amasse punzecchiare e andare avanti fino a quando non veniva annunciata una sconfitta certa dell'avversario. Poco le importava se dall'altra parte della barricata ci fosse il figlio.

"Come va coi vostri amori?" aggiunse infatti, avendo capito quanto il fronte del lavoro e università non potesse darle soddisfazioni. "Giulio?" le chiese con un sorriso che Cleo avvertì troppo stucchevole. Nonostante fosse contenta che una dei suoi figli non presentasse strane manie sessuali, come aveva detto dopo il coming out di Dado, anche quando aveva conosciuto Giulio aveva fatto una faccia che era tutta un programma.

"Fammi capire... ma ce l'ha con me perché sono nero?" le aveva chiesto il ragazzo. Lei aveva evitato di rispondere, vistane l'ovvietà.

"Lui sta bene. Siamo entrambi presi dallo studio, ma recupereremo durante le vacanze di Natale" rispose diplomatica, pregando che Dafne non indagasse e che Corrado non si intromettesse con le sue considerazioni. Non aveva la forza di inventare e sostenere menzogne, non quando il ricordo di Francesco era ancora fresco e la madre aveva un'aria più combattiva del solito.

"Selene e Arturo, invece?" chiese Roberto, visto che la donna non pareva interessata a riproporre la domanda al figlio.

"Molto bene." Corrado grattò un avanzo di besciamella dal piatto, respirando piano. "Pensavamo di andare a convivere."

Cleo spalancò gli occhi, sorpresa che il fratello non le avesse ancora accennato a una simile novità, e non riuscì a trattenere il largo sorriso che le premeva agli angoli della bocca. "Che bello!" esclamò, subito seguita a ruota dal padre, che gli chiese se avessero in mente dove andare a stare.

"Ci sono varie ipotesi, a dire il vero..." rispose Corrado, ma la risata strozzata di Dafne gli impedì di proseguire. "Cosa c'è di divertente?" le chiese, pallido. Qualsiasi traccia di felicità era sparita dal viso, cancellata dal graffiare delle risa dell'altra.

"Niente di particolare" rispose la donna, trattenendo il riso. "Insomma, non credevo avresti deciso di portare avanti la sceneggiata fino a questo punto."

"Dafne..." la ammonì il marito, mentre Cleo allungava una gamba sotto il tavolo per tirare un calcio a Dado, nella speranza comprendesse che era meglio rimanere in silenzio e lasciare correre. Riusciva a sentirlo nell'aria: una scintilla e sarebbe scoppiato tutto.

Il fratello, tuttavia, non parve percepire la medesima tensione o, più probabile, non vedeva l'ora di mandare a fuoco il mondo. "Mi dispiace che il concetto di amore ti sia così incomprensibile" iniziò, posando la forchetta sul piatto. Si aprì in un sorriso sghembo e la guardò dritto negli occhi, senza mostrare alcun timore. "Temo che il problema stia nello scopare. È molto soddisfacente in tre, dovresti provare."

Roberto impallidì di colpo, in parte offeso dal commento, mentre la madre divenne livida e il bicchiere di vino le tremò tra le mani, tanto che temette di vederlo volare verso il viso di Dado; non sarebbe stata la prima volta che la donna si lasciava prendere da simili scatti.

"E ti dirò di più" continuò intanto Corrado, incrociando le braccia al petto. "Se fosse possibile n-"

"Stai zitto."

"Cosa c'è, mamma?" la sfidò lui, incapace di sentire l'elettricità che saturava il tavolo. "Ho forse ferito le tue candide orecchie? Oppure odi il fatto che tuo figlio sia felice e appagato?"

Dafne si alzò di scatto, rovesciando la sedia. "Fuori da casa mia" ordinò, sotto lo sguardo attonito degli altri due spettatori. "Subito."

"Con piacere."

Cleo rimase immobile per qualche secondo, giusto il tempo necessario perché il padre le desse un calcetto e la invitasse con un cenno del capo a inseguire il fratello che, nel frattempo, era scappato via dalla sala da pranzo come una furia. Mormorando una scusa, si alzò da tavola e lo rincorse, senza sapere cosa avrebbe dovuto fare; di certo non sarebbe mai riuscita a convincerlo a rimanere, ma poteva fare un tentativo.

"Dado" lo chiamò, mentre l'altro si stava infilando il cappotto con uno strattone, quasi volesse sbrindellarlo. "Dove vuoi andare?"

"Se potessi, a Milano" replicò lui, finendo di vestirsi. "Però, visto che ci sei anche tu, andrò a fare un giro e poi mi rintanerò in auto."

"Ma..."

"Niente ma, per favore." Il fratello la prese per le spalle e la squadrò, una smorfia triste a deturpargli il viso. "Mi dispiace, non ce la faccio. Anzi, scusami se ti ho rovinato il pranzo e scusami papà."

"Se vuoi vengo con te" propose titubante, certa che seguirlo sarebbe stato come dichiarare guerra alla madre. Eppure, per lui sarebbe stata disposta ad abbandonare il poco che rimaneva di lei a Como.

Corrado scosse la testa. "Per quel che puoi, goditi il resto della giornata. Quando vuoi tornare fammi uno squillo, ok?"

Cleo annuì appena e l'altro, dopo averla stretta in un rapido abbraccio, uscì, lasciandola piantata in mezzo all'ingresso con addosso solo una grande voglia di piangere. Sentiva in lontananza i genitori che discutevano, la voce della madre che saliva di svariate ottave quando nominava il figlio, e si ritrovò a pensare a quante volte si fosse già ripetuta una scena simile, nonostante la modalità dell'esilio da casa fosse nuova. Senza pensarci, estrasse il cellulare dalla tasca e scrisse alla prima persona venutale in mente.

Hai qualche canzone deprimente da consigliarmi? Ora ne ho proprio bisogno.

Non sarebbe riuscita a sopportare il silenzio, né a sostenere una qualsiasi conversazione senza scoppiare a piangere, visto il nodo che le chiudeva la gola. Eppure, non riuscì a evitare che un paio di lacrime sfuggissero al suo controllo quando Francesco le rispose con un paio di link e l'invito a chiamarlo.

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