09. In gabbia

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Near Town – The Amazing Broken Man

Cleo aveva conosciuto Giulio a una festa. Era stata imbucata da Corrado in casa di alcuni studenti di lettere, dove per la prima parte della serata era rimasta incollata al fratello; la folla di persone che l'attorniava l'aveva spaventata, tanto da aver pensato a un certo punto di uscire e tornare al suo appartamento, ma l'altro l'aveva trattenuta a forza, provando anche a rifilarla ad alcuni compagni di facoltà. Tutti i suoi tentativi erano falliti fino a quando lei stessa non era stata costretta ad allontanarsi per trovare un bagno; al ritorno, infatti, Dado era sparito.

Per un attimo aveva odiato il fratello, ma il sentimento era durato giusto il tempo necessario per incrociare lo sguardo di un ragazzo che, all'apparenza, sembrava spaesato tanto quanto lei. Gli si era avvicinata titubante e, dopo dei saluti impacciati, avevano preso a parlare prima del più e del meno e, poi, sempre più animatamente, tanto che Giulio aveva addirittura liquidato alcuni amici per stare con lei fino a quando non era riapparso Dado, spettinato e coi vestiti in disordine, dicendole che si era fatto tardi.

Guardando l'orologio, Cleo si era accorta con stupore che in effetti era ormai l'una passata.

"Potresti darmi il tuo numero?" le aveva domandato Giulio, sorprendendola ancora di più.

Era servita una gomitata di Corrado per convincersi a dettarglielo, ma era bastato poco tempo per rendersi conto che era stata una delle decisioni migliori che avesse mai preso.

Era rimasta travolta dall'amore che le aveva riservato il ragazzo e si era scoperta capace di donarne anche lei, piano piano, senza fretta. All'inizio non era stato semplice, soprattutto perché Cleo non riusciva a comprendere cosa l'altro vedesse in lei, che si ricopriva di spigoli ogni volta che le situazioni diventavano troppo difficili per essere sopportate, ma Giulio era rimasto. Quando si era scoperta dipendente da lui era ormai troppo tardi.

Doveva essere stata la solitudine precedente a portarla a legarsi in quel modo a lui, non c'era altra spiegazione: anni di silenzi e vuoto l'avevano resa più fragile di quanto volesse ammettere. All'improvviso, però, l'incantesimo pareva essersi spezzato, solo che Cleo faticava a capire quale fosse stato l'esatto motivo che l'aveva portata ad avvicinarsi a Giulio non più desiderosa di attenzioni, ma con un vago senso di fastidio e disagio. Oltretutto, le era impossibile discernere se un simile sentimento fosse diretto verso se stessa e le sue azioni, o al ragazzo e a ciò che le aveva fatto; una parte di sé ancora arrabbiata con lui puntava il dito alla seconda opzione, ma Cleo sapeva che era più corretta la precedente.

Eppure, non riusciva a sentirsi in colpa. Non davanti alle occhiate preoccupate rivoltale da Giulio durante la cena, non davanti alle parole dolci con cui l'aveva rassicurata per ciò che era accaduto quando era andata dai suoi, non davanti ai piccoli gesti di tenerezza che le aveva riservato – le dita a sfiorarle la guancia per scostarle i capelli finiti sul viso, il prenderle una mano tra le sue, il bacio che le aveva dato appena l'aveva vista, come l'aveva stretta a sé senza alcuna esitazione.

Al contrario, se ripensava a come si era salutata con Francesco dopo che si erano visti l'ultima volta, quando si era addirittura spinta a lasciargli un bacio sulla guancia irsuta, una morsa di sensi di colpa le chiudeva lo stomaco e la portava a rimescolare il piatto con scarso appetito.

Se qualcuno avesse avuto accesso ai suoi pensieri, Cleo era certa che si sarebbe sentito confuso tanto quanto lei, se non di più.

"Sei molto silenziosa stasera..." commentò Giulio, mentre lei si sforzava di finire la fetta di torta che aveva ordinato. Le era parsa una buona idea contrastare l'incipiente malessere con un dolce al limone, ma a ogni boccone si rendeva conto di quanto fosse stata al contrario pessima.

"È un periodo un po' così" borbottò Cleo, prima che Giulio allungasse la forchetta e le rubasse un pezzetto del dessert. "Ehi!" gli fece, nonostante un aiuto non fosse male.

Il ragazzo alzò le spalle. "Non mi sembri molto entusiasta neppure della torta. Che è buona, tra l'altro."

"Lo so che è buona." Cleo gli fece una linguaccia, per poi concentrarsi sul cibo.

"Così in che senso?" tornò intanto alla carica Giulio, mentre lei ingoiava l'ultimo boccone a fatica. Non avrebbe mangiato nulla per i prossimi due giorni, ne era certa.

"Solite cose. L'università, i miei... nulla di particolare. Passerà."

Il ragazzo le lanciò un'occhiata obliqua, quasi a dirle che non le credeva più di tanto, ma ebbe l'accortezza di non scavare più a fondo. Cleo non era certa di come avrebbe potuto reagire, se solo avesse insistito: oscillava tra l'ipotesi che gli avrebbe rivelato tutto, dal passaggio raccolto quando era arrabbiata fino alla cena di qualche giorno fa, analizzando i sentimenti che l'agitavano da ormai troppi giorni, o la possibilità di urlargli contro che non aveva alcun diritto di preoccuparsi per lei, visto che a quanto pare era capace di trovare del tempo per uscire con delle perfette sconosciute ma non con la sua ragazza.

"Io avrei una proposta."

Cleo riportò lo sguardo sull'altro, sorprendendosi del sorriso dolcissimo che le riservò. Deglutì nervosa, non sapendo cosa aspettarsi, mentre Giulio tossicchiava e abbassava gli occhi.

"Potresti venire a stare da me per Natale, visto che coi tuoi le cose non vanno" le disse, arrossendo. Nel corso degli anni precedenti, a Cleo era capitato di passare del tempo durante le vacanze estive dai genitori di Giulio, che abitavano appena fuori Milano, e si era sempre trovata bene; anche loro, come il ragazzo, le avevano donato un affetto incondizionato e incomprensibile, capace di farla sentire in imbarazzo e difetto. Non avrebbe mai immaginato di ricevere così tanto.

"Poi è tornata mia cugina dagli Stati Uniti, quindi non ti troveresti circondata solo da uomini" aggiunse Giulio, riferendosi ai due fratelli e al nonno paterno che riempivano la casa. "Sai la sera che sei stata male, quando sono uscito con alcuni compagni di corso?" le chiese, mentre nel frattempo aveva estratto il cellulare per mettersi a scorrere tra le immagini.

Cleo mormorò un "Sì", mentre un presentimento le pizzicava gli angoli del cervello. "Non può essere" pensò, stringendo le mani a pugno sotto il tavolo per non farle tremare. "Non è possibile che mi sia sbagliata."

Giulio, però, distrusse ogni speranza allungandole il telefono per farle vedere la fotografia di una ragazza dai lunghi capelli intrecciati. "Il pomeriggio sono stato fuori con lei per un aperitivo veloce" le disse, mentre Cleo sentiva rimbombare in testa le parole con cui la coinquilina l'aveva avvertita che non ci fosse niente di cui preoccuparsi. "Ho incrociato Neela, pensa un po'. Te l'avrà detto."

Cleo forzò un sorriso, prima di restituirgli il cellulare. "No, si deve essere dimenticata..." mentì, sentendo il sangue risalirle in testa. Aveva fatto un disastro, un assoluto disastro. "È molto carina."

"Perché io sono brutto?" scherzò il ragazzo, per poi gettarle un'occhiata preoccupata. "Ma va tutto bene? Sei pallida."

"Mi manca un po' l'aria, in effetti" mormorò, appoggiandosi allo schienale della sedia.

"Allora usciamo. Tu fai con calma, che io vado a pagare, ok?"

Giulio si alzò e, preso il cappotto, si diresse verso la cassa. Cleo non trovò neanche la forza per protestare; versò nel bicchiere dell'acqua e la bevve a piccoli sorsi, per poi mettersi a respirare piano, ma non bastò a placare la consapevolezza di ciò che aveva combinato. I sensi di colpa sopiti le crollarono addosso e la lasciarono inerme, esposta in ogni errore ai suoi stessi occhi.

Era lei ad avere rovinato tutto, senza alcuna possibilità di tornare indietro.

Se c'era una cosa che aveva condiviso spesso con Giulio, era il silenzio. Cleo era convinta che blaterare del superfluo per riempire le pause imbarazzanti fosse qualcosa di terribile e inutile, tanto che si era scoperta entusiasta del fatto che il ragazzo riuscisse a capire quando era giusto tacere. Corrado aveva storto in naso davanti a simili considerazioni, abituato com'era a riempire tutto, e lei al contrario gli aveva spiegato più di una volta quanto fosse meraviglioso trovare qualcuno con cui poter rimanere zitti. Faceva bene.

Quella sera, però, Cleo avvertiva le pause come sue nemiche. Era confortata dal fatto che, intorno a loro, il quartiere di Isola fosse pieno di vita, nonostante il freddo che le pungeva le guance e cristallizzava il respiro; illuminato dagli addobbi natalizi che rischiaravano la notte, esponeva locali colmi di persone, intente a ridere e festeggiare. Eppure, non c'era una confusione tale da poter giustificare il non parlare, e Cleo poteva avvertire lo sguardo di Giulio su di sé, forse in cerca di segni che giustificassero il quasi svenimento avvenuto nel ristorante.

"Come stai?" le chiese, per poi prenderla sottobraccio. "Ti va di fare una passeggiata o preferisci che ti accompagni a casa?"

Una parte di lei le urlò di abbracciare la seconda proposta e correre a rintanarsi sotto le coperte, chiusa nella pace di camera sua, ma l'idea di sopportare il lungo silenzio che avrebbe riempito l'abitacolo dell'automobile la costrinse a mormorare tutt'altra risposta. "Non ti preoccupare, sto meglio."

Giulio annuì e si chiuse in una pausa riflessiva che fece tremare Cleo: voleva rivelargli tutto ed essere perdonata, ma d'altro canto non desiderava dirgli alcunché. La scoperta avvenuta al termine della cena le aveva fatto comprendere quando la prospettiva di perderlo la rendesse debole, incapace di sopportare la qualunque. Non le restava altro da fare che rimanere in silenzio, mentire nel caso fosse necessario e, dopo, chiudere qualsiasi cosa stesse nascendo tra lei e Francesco. Non c'era altra soluzione.

"Scusa."

Cleo si irrigidì, colpita dalle improvvise parole di Giulio. "Di cosa?" gli chiese, la bocca arida e incapace di pensare a un torto che avrebbe dovuto perdonargli, troppo schiacciata dalla colpa per ricordare ciò che l'aveva tormentata nelle settimane precedenti.

"Per il fatto che in questo periodo sono stato distante." Giulio sospirò, stringendosi a lei. "So che fai fatica a comprenderlo, ma io devo sempre lavorare il doppio, se non il triplo, rispetto agli altri, e non importa quanto sia brillante."

Cleo strinse le labbra. Conosceva a menadito il discorso, ripetutole svariate volte nel corso degli anni precedenti: se sei nero, le spiegava, sarà sempre tutto lontano dalle tue mani, quindi non ti resta che chinare la testa e lavorare fino a spaccarsi la schiena, ma sempre col sorriso. I lamenti non sono concessi se riesci a iscriverti alla facoltà di medicina. Per quanto avesse tentato di empatizzare, però, le sembrava un ragionamento talmente assurdo da sfuggirle sempre. Non l'aveva mai visto essere discriminato, né il ragazzo le aveva raccontato particolari episodi che la aiutassero a comprendere. Quando ne parlava con Corrado, il fratello la rimproverava dicendole che portava dei paraocchi troppo spessi, per poi farle una manfrina su quanto, al contrario di come lo immaginasse, il mondo fosse ingiusto. Se lei aveva vissuto per anni rinchiusa in una bolla di sapone, cullata dall'idea che non ci fosse nulla di sbagliato, non doveva compiere l'errore di pensare che tutti fossero come lei. La vita non era così.

"Ti prometto che durante le vacanze di Natale sarò tutto per te, sia che tu venga da me, sia che tu vada dai tuoi" continuò nel frattempo Giulio, regalandole un sorriso. "Nonché di cercare di organizzarmi meglio per l'anno nuovo."

"Non ti dovresti preoccupare" protestò Cleo, ma le sue parole suonarono così false anche a lei da farle storcere il naso. Un paio di settimane fa avrebbe dato il braccio per sentirsi dire qualcosa di simile, mentre ora...

Giulio si fermò in mezzo alla via e la prese per le spalle. Un paio di passanti li schiavarono seccati, lanciando loro delle occhiate torve, ma Cleo era più interessata al graffito su una stazioncina elettrica per curarsi di loro; pur di non guardare il ragazzo negli occhi, si soffermò sulla coppia dipinta, l'uno con la fronte appoggiata a quella dell'altra e uniti da un pensiero fluido variopinto, che scivolava tra le teste.

"Cleo..." la chiamò Giulio, per poi afferrarle il mento e girarla verso di lui. "Non voglio tu sia triste a causa mia, ed è palese che ti ho fatto del male."

La ragazza sentì risalirle le lacrime agli occhi, tale era lo schifo che provava verso se stessa e la confusione che la agitava. Desiderò poter tornare indietro fino al giorno del suo compleanno, quando per aveva sentito davvero spezzarsi qualcosa, e trovare la forza per dire a Giulio non poteva trattarla così; avrebbero trovato una soluzione prima che lei incappasse di nuovo in Francesco, e tutto sarebbe andato per il verso giusto. O, nel peggiore dei casi, si sarebbero resi entrambi conto che ormai non avevano più nulla da spartire. Ma non poteva tornare indietro, non poteva sistemare le cose, e rimanere in silenzio e approfittare del buon cuore di Giulio la uccideva. Era un disastro.

"Ehi... non piangere" la richiamò il ragazzo, e a quelle parole Cleo lasciò liberi i singhiozzi trattenuti fino ad allora. Si lasciò abbracciare e, protetta da Giulio, accarezzò ancora una volta l'idea di dirgli la verità, di spiegargli che forse non provava più ciò che sentiva un tempo e che sarebbe stato meglio riflettere entrambi su ciò che volevano fare, ma le carezze dell'altro e le parole che le sussurrò all'orecchio – promesse di future felicità in grado di ammaliarla ancora – le impedirono di agire.

Stette zitta a piangere, chiusa in una gabbia di menzogne impossibile da spezzare.

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