10. Spleen

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Un temporale – Ghemon

Il buio, per Cleo, non era mai stato confortante. Non si sentiva una creatura notturna, né apprezzava la simbologia negativa legata all'oscurità: non si era mai vista sporca, cattiva. Eppure, era da giorni che non usciva dalla sua camera.

Tornata all'appartamento dopo la serata con Giulio, si era rannicchiata sotto il piumone e non era più uscita dal letto per il resto del ponte di Sant'Ambrogio, se non per andare a prendere dell'acqua o fare delle capatine in bagno. Neela aveva provato a spingerla a uscire a suon di sbuffi e insulti non molto velati, ma Cleo aveva stabilito che le opinioni della coinquilina valevano meno di zero e non si era mossa. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto rinunciare al caldo abbraccio delle coperte, in quanto, nonostante tutto, non aveva alcuna intenzione di perdere dei giorni di lezione e mandare all'aria la carriera universitaria per un momento no, ma il pensiero del mondo esterno, dove Corrado, Francesco e Giulio camminavano e le tendevano una mano che non si sarebbe mai meritata, la nauseava.

Era da anni che non le capitava di stare così male.

Nel buio della camera, accentuato dalle tapparelle abbassate e il rifiuto ad accendere una qualsiasi luce, aveva rivissuto attimo per attimo gli avvenimenti dell'ultimo mese e mezzo, sondando quali alternative avrebbe potuto prendere per evitare di rovinare tutto. Si era chiesta se esistesse un modo per sistemare le cose, ma le uniche soluzioni trovate l'avevano spinta alle lacrime: o rinunciava a Giulio, perdendo l'appiglio su cui si era fatta forza negli anni precedenti, nonché l'unico in grado di amarla sul serio, oppure allontanava Francesco e si costringeva a indossare un dolce e falso sorriso fino a quando il suo ragazzo non si fosse stancato di lei. C'era addirittura una terza opzione, che di certo sarebbe stata caldeggiata Corrado, ma l'idea di rinunciare a entrambi era ancora più terribile. Non voleva tornare a essere come prima di Giulio.

Avrebbe solo voluto essere felice, una normale ragazza di ventitré anni pronta a conquistare il mondo e affiancata da un amore importante, una famiglia che le voleva bene e dei cari amici. Non poteva essere così difficile, no?

"Allora perché sono finita in questa situazione?" si chiese ancora una volta, chiudendosi su se stessa.

Dov'era l'errore? Forse il problema erano solo il suo egoismo e la sua cecità, che le avevano impedito di vedere e comprendere le premesse da cui era nato tutto. Oppure era solo debole, una ragazzina incapace di sopportare le decisioni prese e portarle avanti fino in fondo. O ancora era semplicemente una brutta persona, e queste si sa che non meritano nulla dalla vita.

L'unica certezza posseduta era di non voler uscire dalla stanza. L'idea di affrontare gli altri le era intollerabile, tanto che aveva spento il cellulare e perso del tutto la cognizione del tempo e dello spazio. Se qualcuno si fosse in effetti preoccupato, sapeva dove abitava e poteva raggiungerla.

Tanto non gli avrebbe comunque aperto la porta della camera, che si era decisa a chiudere a chiave dopo l'ennesima intrusione di Neela, che aveva addirittura osato spalancare la finestra e dirle che la stanza puzzava di stalla. Cleo aveva atteso paziente che se ne andasse e, quando la coinquilina aveva compreso che non c'era proprio nulla da fare, aveva di nuovo serrato tutto, anche l'uscio.

Nessuno doveva intromettersi o pensare di essere in grado di placare le sue colpe. A un certo punto avrebbe trovato il nodo da sbrogliare e tutto sarebbe tornato al suo posto, nulla di più o di meno.

Il mondo esterno, però, non pareva essere del suo stesso avviso.

Un bussare frenetico, seguito dalla voce del fratello, spezzò la quiete ovattata della stanza, portandola a sbuffare.

"Cleo, apri subito la porta."

Lei non si mosse, preferendo anzi infilare la testa sotto il cuscino, decisa a non farsi smuovere dal tono di supplica che grondava dalle parole di Corrado. Non doveva coinvolgerlo nei suoi problemi, non ne aveva alcun diritto.

"Cleo, dai..." continuò l'altro a voce alta. "Non rispondi al telefono, mi preoccupo, arrivo qui e scopro che sei chiusa in camera da tre giorni. Fammi entrare, ti prego."

La ragazza strinse il cuscino sulle orecchie, nel tentativo di isolarsi del tutto. Corrado, però, non pareva intenzionato a cedere, tanto che diede ancora un paio di colpi alla porta, e Cleo sentì alla perfezione che chiamava Neela chiedendole se ci fosse una copia delle chiavi da qualche parte – tentativo inutile, visto che erano nel cassetto del comodino.

"Senti." Nonostante la percezione fosse ovattata sia a causa della stanchezza, sia degli strati che la separavano dal fratello, Cleo avvertì quanto fosse stanco e arrabbiato. "Non vuoi uscire? Va benissimo. Cazzi tuoi. Ma almeno fammi sapere che sei ancora viva, altrimenti chiamo un cazzo di ferramenta o butto giù io la porta."

"Tanto non ci riusciresti..." mormorò lei, prima di decidersi a scivolare fuori dal letto. Fu colta da un capogiro appena si mise in piedi, tanto da valutare di aprire almeno la finestra almeno per rimuovere l'aria stantia che si era accumulata, ma una nuova minaccia da parte di Corrado la costrinse a barcollare verso la porta, alla quale si aggrappò senza forze.

Incapace di parlare, la bocca arida, diede un paio di colpetti sul compensato, per poi sedersi sul pavimento con la schiena appoggiata all'uscio. Forse avrebbe dovuto rubare qualcosa da mangiare durante la prossima sgattaiolata in cucina.

"Cleo, non so cosa ti stia succedendo, ma non mi pare il miglior modo di reagire" le disse il fratello. Un leggero tonfo le fece pensare che si fosse posizionato speculare a lei. "Mi ha chiamato papà, sai? Anche lui è preoccupato. E pure Giulio. E Neela, che non capisco come ti abbia sopportato. Ma se di me e questi due non ti importa niente, almeno qualcosa lo dovresti a papà."

"Dopo lo chiamo."

Corrado diede un colpo alla porta. "E cosa gli dirai? Qualcosa tipo Scusami se mi odio così tanto da allontanare tutti?"

"Tu non capisci" mormorò Cleo, sentendo nuove lacrime pizzicargli le guance. "Mi odieresti."

Si strinse le ginocchia al petto, grata che il fratello non avesse sentito le ultime due frasi, e sperò che se ne andasse.

"Davvero non mi vuoi dire cosa ti succede?"

Cleo deglutì e, solo per un attimo, soppesò l'idea di aprire la porta e farlo entrare, così da raccontargli tutto e chiedergli come uscire dal disastro in cui si era infilata, ma il pensiero del suo giudizio – l'unico a cui tenesse davvero – la zittì. Aveva bisogno dei suoi tempi, dei suoi spazi, e non poteva costringerla ad affrontare qualcosa che non era in grado di fronteggiare. Non ancora, almeno.

"Non posso" gli rispose, cercando di non far tremare la voce. "Non ora. Non è nulla di importante, però. Non devi preoccuparti."

"Come puoi chiedermi di non preoccuparmi se ti sei barricata in camera?"

Cleo tirò su col naso; in effetti, il fratello non aveva torto. "Ho solo bisogno di tempo" provò a insistere, ma già sapeva che non sarebbe bastato a convincerlo.

"Hai fino a domani" replicò infatti. "Fammi un regalo per Sant'Ambrogio ed esci. Altrimenti arrivo qui con qualcuno e butto giù la porta sprangate."

Non rispose. Sentì il peso che la sosteneva dall'altra parte della porta alleggerirsi, seguito dal rumore di passi che si allontanavano, e si odiò per non aver spalancato l'uscio per far entrare Corrado. Lui era l'unico a cui non avrebbe mai voluto fare del male, in nessun caso, ma ci era riuscita in ugual modo. Non si meritava niente.

Si sdraiò sul pavimento e pianse fino a quando non crollò addormentata.

Quando Cleo riaprì gli occhi aveva mal di schiena. Si tirò su a fatica, sentendo ogni singolo osso scricchiolare mentre si aggrappava alla maniglia della porta, e raggiunse il comodino; evitò di sedersi sul letto, certa che sarebbe crollata sul materasso senza più alzarsi per chissà quante altre ore, e accese il cellulare, che accolse la sua decisione con una vibrazione.

Mentre finiva di caricarsi, Cleo barcollò fino alla finestra e alzò le tapparelle, per poi spalancare i vetri sulla città addormentata. La pelle si increspò di brividi quando l'aria di inizio dicembre scivolò nella stanza, ma non osò spostarsi dal davanzale; preferì alzare il viso verso il cielo di un blu petrolio, illuminato solo da una sottile falce di luna e il riverbero dei lampioni, e inspirò a fondo, sentendosi all'improvviso più lucida di quanto fosse stata in precedenza.

Non sapeva ancora cosa avrebbe fatto, ma ormai non aveva più senso rimanere immobile.

Rinfrancata, socchiuse i vetri e tornò a letto, dove afferrò il cellulare. Sullo schermo, oltre all'orario che indicava che fossero le tre del mattino, capeggiavano le notifiche di tutte le chiamate perse nei giorni di clausura e dei messaggi raccolti. Gran parte provenivano da Corrado, ma ce ne erano di Giulio, di Neela – che doveva aver pensato fosse una buona idea farla uscire tramite insulti di vario genere, anche in indiano – e di Francesco. Cleo bloccò il cellulare, il cuore stretto in una morsa al pensiero che avrebbe dovuto leggerli, e si decise ad aprire l'uscio; il piccolo corridoio immerso nel buio e la porta chiusa davanti a lei le suggerivano che la coinquilina stesse dormendo, quindi scivolò all'esterno con passi leggeri, per poi andare in bagno.

Si spogliò del pigiama e si infilò sotto la doccia, decisa a togliersi di dosso il sudore e le lacrime che aveva accumulato sulla pelle. Non si preoccupò di svegliare Neela, che tanto aveva un sonno pesantissimo, e si godette l'acqua calda fino a quando non le venne un capogiro, accompagnato da un crampo allo stomaco che le fece stabilire che la prossima tappa della passeggiata notturna sarebbe stata la cucina. Prima, però, si avvolse i capelli in un telo e, asciugatasi alla meglio, sgattaiolò di nuovo nella sua camera gelida e indossò un nuovo pigiama; presa da un desiderio di ordine improvviso, tolse anche tutte le lenzuola e rifece il letto con delle coperte pulite, per poi tornare ancora una volta in bagno, dove buttò tutto dentro la lavatrice e la fece partire.

Poteva quasi sentire la madre borbottarle nelle orecchie che non si usavano simili elettrodomestici alle tre del mattino, pena lo svegliare i vicini di casa, ma a Cleo non importava granché di loro. Corse a recuperare il cellulare e raggiunse infine la cucina, dove si mise a frugare in dispensa alla ricerca di qualcosa da mangiare. Solo quando un pacchetto di cereali finì sotto le sue mani si sedette al tavolo, pronta a leggere i messaggi.

Prima scorse tra quelli del fratello, che descrivevano un'escalation di preoccupazione che la fece sentire in colpa. Continuando a masticare, lo scricchiolare del cibo sotto i denti amplificato nel silenzio dell'appartamento, gli scrisse che era uscita dalla stanza, si era fatta una doccia e stava mangiando, allegando una prova fotografica sia del suo viso tirato, sia dei Cheerios.

Aprì la chat con Neela solo per eliminare la notifica, non molto interessata a vedere quali colorati insulti si fosse inventata, e poi si decise ad affrontare quella di Giulio, nella quale era indicata la presenza di sette messaggi separati da intervalli di alcune ore.

Ehi, come stai stamattina? Meglio rispetto a ieri?

Cleo? Tutto bene? Cosa succede?

Cleo, mi ha appena chiamato Neela. Mi puoi spiegare cosa è successo?

Se non vuoi parlami a voce, almeno rispondi ai messaggi. Per favore...

Ok, forse hai spento tutto.

Ma perché fai così? Ho fatto qualcosa che non dovevo? Non puoi pensare che le persone capiscano cosa ti succede se non parli.

L'ultimo risaliva a qualche ora fa.

Mi ha appena chiamato Corrado e mi ha riempito di insulti. Io non so cosa stia succedendo, né che cosa tu gli abbia detto per farlo incazzare così, ma non credo di meritarmi un trattamento simile. Mercoledì vengo da te e mi spieghi tutto, a costo di trascinarti di peso fuori dalla camera. Nel caso non te ne fossi accorta, siamo preoccupati per te, e il tuo comportamento infantile non ci aiuta.

Cleo si prese la testa tra le mani e sospirò, sentendo le forze venirle meno. Doveva parlare con Giulio, lo sapeva, ma il pensiero di affrontarlo le era insopportabile, in quanto non aveva stabilito cosa dirgli. L'opzione di giocare la carta della verità le pareva ancora la scelta peggiore, ma non avrebbe mai potuto inventare una bugia in grado di sviarlo del tutto da ciò che era accaduto – forse solo tirando in ballo i genitori sarebbe riuscita a placarlo, ma, se Corrado l'aveva incolpato per ciò che le stava accadendo, non avrebbe mai funzionato.

Ma ci avrebbe pensato domani. Con le dita appiccicose per il simil-miele presente sui cereali, aprì la chat con Francesco, in cui i primi messaggi ricalcavano il tono di quelli di Giulio: richieste di come stava, una leggera preoccupazione e l'idea di aver fatto qualcosa di sbagliato. L'ultimo, però, aveva un che di differente.

Ehi, Cle. Visto che non accedi da un po' penso sia successo qualcosa. Fammi un cenno appena vedi i messaggi (davvero, a qualsiasi ora) e, se hai voglia di parlare, vieni pure da me. Ti ricordi dove abito?

Cleo arricciò il naso deliziata davanti al soprannome, anche se una vocina in lei le sussurrava che poteva essere solo un errore dettato dalla fretta. Senza pensarci, gli rispose dicendogli che non ne aveva idea.

"Ma quindi sei uscita."

Cleo alzò di scatto la testa verso Neela, ferma sulla soglia della cucina col volto gonfio di sonno e il pigiama troppo largo che faceva intravedere il seno. Distolse subito lo sguardo, sentendosi arrossire, e poi prese la scatola dei cereali e la allungò verso l'altra. "Vuoi?"

La coinquilina strinse gli occhi. "Ma vaffanculo. Dal profondo del cuore. E asciugati i capelli."

Detto questo la ragazza girò sui tacchi e tornò in camera, mentre Cleo si mise a ridere a bassa voce, cercando di non fare ancora più confusione di quanta non ne avesse già fatta. Tornò a guardare il cellulare, che le era appena vibrato tra le mani, e si sorprese nel vedere che Francesco aveva letto il messaggio e le aveva risposto, indicandole l'indirizzo preciso e rinnovando il suo invito.

Come ho detto prima, quando vuoi. Durante la settimana ci sono più o meno dalle sette di sera.

Cleo sorrise. Avrebbe trovato un modo per sistemare tutto, ne era certa.

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