11. Punto di svolta

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Grizzly Man – Rockettothesky

Una volta, Corrado le aveva detto di avere delle capacità di recupero sorprendenti. Non importava che cosa le accadesse o quanto a fondo finisse per sotterrarsi: sarebbe sempre riuscita a far sembrare tutto normale nell'arco di poche ore.

"Il problema, però, è che fingi" aveva aggiunto, lasciandole una carezza sul viso. "Questo non va bene. Quanto sei ferita dentro?"

Cleo non aveva risposto – non accoglieva mai simili provocazioni –, ma dentro di sé aveva concordato con l'altro. Sapeva di essere una maestra nel recupero, non solo nella vita, ma anche quando gareggiava e rimaneva indietro.

Proprio a causa di ciò era riuscita a sconvolgere Neela e il padre la mattina dopo l'uscita dalla stanza. La coinquilina aveva trascorso la giornata osservandola sottecchi e cercando di parlarle il meno possibile, forse preoccupata dall'idea che una qualsiasi osservazione l'avrebbe di nuovo spinta a cercare rifugio in camera, mentre l'uomo era rimasto sorpreso dal tono quasi annoiato col quale gli aveva spiegato che si era sentita solo molto stanca.

"Ma perché non rispondere al telefono?" aveva insistito lui, con la voce carica di una perplessità e preoccupazione in grado di farle storcere il naso.

"Ero stanca pure del genere umano."

La risposta caustica era stata accolta dall'altro con una risata amara che l'aveva fatta subito pentire per ciò che aveva detto, nonostante fosse stata una delle frasi più sincere di tutta la conversazione. Aveva voluto essere lasciata in pace per un po' di tempo, non le pareva niente di così sconvolgente.

"Vieni a casa" era stato il saluto con cui si era congedato suo papà, e Cleo aveva mormorato che ci avrebbe pensato. Di certo fuggire a Como le avrebbe regalato del tempo in cui riflettere e stabilire cosa fare, ma non aveva voglia di subire le occhiatacce della madre, a cui di certo erano stati riferiti tutti gli avvenimenti.

Oltretutto, non poteva evitare Giulio. Se Corrado, infatti, aveva accolto l'uscita dalla camera con un silenzio ostinato, che l'aveva portata a pensare si fosse stufato di lei una volta per tutte, il suo ragazzo si era premurato di ricordarle che sarebbe venuto a trovarla dopo le lezioni. Cleo non voleva vederlo, non aveva la forza fisica e mentale per sostenere una conversazione con lui, ma d'altro canto non aveva modo per evitarlo, né desiderava scappare di nuovo.

Di conseguenza, quella mattina si era diretta in università rassegnata, incapace di programmare la qualsiasi. Durante le ore di lezione aveva evitato il pensiero di cosa gli avrebbe detto focalizzandosi sulle spiegazioni, tanto che era certa di aver preso i migliori appunti da un mese a questa parte, mentre nelle pause aveva anestetizzato il cervello trascorrendo il tempo sui social o ascoltando della musica. Se fosse stato possibile, avrebbe anche guardato una serie tv pur di non cadere nel vortice dell'ansia.

Eppure, ferma davanti all'ingresso del condominio, si rese conto che non avrebbe potuto fuggire dai suoi stessi pensieri ancora a lungo. Grazie al pomeriggio trascorso in biblioteca a studiare si erano fatte quasi le sei. Il cielo sopra di lei aveva perso la limpidezza del giorno precedente a favore di una spessa coltre di nubi che inscuriva l'atmosfera più di quanto già non fosse, armonizzandola al suo umore traballante e sull'orlo del collasso. Ma sarebbe andato tutto bene, non poteva essere altrimenti.

Cleo fece per estrarre le chiavi del portone, decisa a salire e a trovare un modo per placarsi fino all'arrivo di Giulio, ma il gesto fu fermato da una mano che le si posò sul braccio, facendola sobbalzare. Si girò verso lo scocciatore e fu sorpresa di vedere proprio il suo ragazzo, dal volto tirato dalla stanchezza e gli occhi gonfi.

"Ma tu di solito non finisci più tardi?" gli chiese, troppo sorpresa per far caso al suo aspetto.

Giulio la lasciò, scrollando le spalle. "Sono uscito un po' prima."

"Quindi serviva mi chiudessi in camera per farti muovere" pensò Cleo, sentendo un'improvvisa fiammata di rabbia risalirle in corpo. Non erano state necessarie le lunghe discussioni, i messaggi, le lacrime che gli aveva versato davanti, no: solo il fondo del baratro era stato in grado di dare all'altro la spinta necessaria per rendersi conto che qualcosa non andava davvero. Le si serrò la gola al pensiero di quanto fosse cieco.

"Andiamo su?" le chiese intanto Giulio, le mani ficcate in tasca e il collo infossato nel giaccone. "Qui si muore di freddo."

"No."

Il ragazzo le riservò un'occhiata sorpresa, aggrottando le sopracciglia. "Cleo..." la ammonì, il tono come velluto. "Non mi pare il caso di stare qui a parlare. Se proprio non vuoi salire in casa, andiamo nella mia macchina."

"No." Cleo incrociò le braccia e si costrinse a respirare piano, nel tentativo di smaltire il ribollire che le montava dentro. "Stiamo qui. Tanto sarà qualcosa di breve, immagino."

Giulio sospirò e alzò gli occhi al cielo. "Senti..." provò a dirle, ma lei fu più rapida a interromperlo.

"Senti cosa?" sibilò, facendo un passo verso di lui. "Davvero per farti ricordare della mia esistenza è stato necessario che mi chiudessi in camera per giorni? A saperlo lo facevo prima, guarda!"

"Non essere ingiusta" disse lui, prendendole le mani. "Ne abbiamo già parlato e ti ho det..."

"Quanto tu debba andare bene in uni e cose simili, lo so, e quanto anch'io avrei fatto lo stesso." Cleo lo guardò negli occhi, scoprendoli carichi di sorpresa e delusione. "Ma non hai mai pensato a quanto mi facesse male comunque?"

"Certo che l'ho fatto."

"Non è vero" replicò subito. "Non l'hai mai fatto. Solo adesso ti sei svegliato e indovina?" Cleo si liberò dalla sua stretta, alzando le mani in aria. "Sono stanca. Stanca di sentirmi una cattiva persona, stanca di vivere nell'attesa che le cose torneranno come prima, stanca di doverti aspettare... stanca di tutto!"

"Cleo, per favore..." provò ancora lui, facendo per riafferrarla, ma Cleo si scostò con uno scatto.

"No, lasciami stare."

"No che non lo faccio." Giulio la bloccò. "Cazzo, ti sei appena rinchiusa in camera per giorni senza mangiare."

"Tranquillo che la prossima volta mi ammazzo direttamente."

Per un attimo Cleo temette che Giulio volesse tirarle uno schiaffo, vista la stretta con cui accolse le ultime parole e il modo in cui aveva contratto la mascella; tuttavia, fu come preso da un'improvvisa debolezza e lasciò libera, portandosi le mani in volto per nasconderlo. Il silenzio calato tra loro fu rotto dal suono dei singhiozzi del ragazzo, e fu solo grazie a questi se Cleo si rese conto di ciò che aveva detto. Per quanto potesse essere arrabbiata o ferita, si era spinta troppo oltre.

"Giulio... senti..." fece, provando a posargli una mano sulla spalla, ma l'altro si scostò, rivelando le guance rigate dalle lacrime.

"Direi che hai già fatto abbastanza" le disse con voce rotta. "Tu non... Ma tu sai cosa vuoi?"

Cleo rimase in silenzio, incapace di rispondere alla domanda che aveva fatto da sfondo ai giorni di clausura che si era imposta. Se avesse trovato una risposta, probabilmente quella conversazione non ci sarebbe nemmeno stata.

"Senti" la chiamò Giulio, inspirando a fondo per tranquillizzarsi. "Adesso andiamo su in casa, ci calmiamo entrambi e ne parliamo con più calma. Va bene?"

"Io..." mormorò Cleo, tagliata dal rombo di un tuono in lontananza. La scelta migliore sarebbe stata ascoltarlo.

"Lo sai che ti amo, e non posso pensare di mandare tutto a 'fanculo solo per un'incomprensione" continuò intanto lui, provando a prenderle le mani. Lei, però, le ritrasse e le infilò in tasca, distogliendo lo sguardo.

"Io..." sussurrò ancora una volta, minuscola davanti all'ennesima dimostrazione di quanto Giulio tenesse a loro. "Io non posso. Non ce la faccio, non adesso. Scusami."

Non stette neppure ad ascoltare la sua risposta e corse fino alla fermata del bus nella trasversale alla via, dove aveva visto arrivare il mezzo. Non si curò se Giulio l'avesse seguita o se fosse rimasto troppo sbalordito per muoversi; senza neanche sapere dove fosse diretto, saltò sull'autobus e si rannicchiò su uno dei sedili in fondo, il respiro corto. Con le mani che le tremavano e nuove lacrime a premerle sulle ciglia, aprì la chat con Francesco.

Cleo era dovuta scendere dall'autobus, raggiungere la fermata di un tram, prenderne un secondo e camminare per una decina di minuti prima di raggiungere il condominio dove abitava Francesco. Nel frattempo, aveva iniziato a piovere, ma durante il tragitto non si era curata delle spesse gocce d'acqua che l'avevano colpita e infradiciata fin nelle ossa, tanto era presa a rivivere nella mente la conversazione appena avvenuta con Giulio. Sarebbe dovuta rimanere e affrontarlo, prendendosi carico della terribile uscita fatta e spiegandogli ciò che era accaduto, eppure aveva preferito ancora una volta fuggire.

"Non avrei mai potuto farcela" pensò, fermandosi davanti al citofono. Tentennò per un attimo, non del tutto sicura che fosse una buona idea intrufolarsi da Francesco, ma l'idea di tornare da Neela le stringeva lo stomaco; era certa che, se solo avesse messo di nuovo piede in camera sua, ci si sarebbe chiusa dentro senza alcuna possibilità di uscirci di nuovo. Oltretutto, non poteva andare da Corrado, visto che l'aveva più contattata, neppure per darle la strigliata che tanto si sarebbe meritata. Non le rimaneva che Francesco.

Dopo aver guardato che ore si fossero fatte – le sette e un quarto – stabilì che doveva essere in casa e si decise a suonare al citofono. Il tempo di attesa prima che una voce gracchiante uscisse dall'apparecchio le parve infinito, tanto che valutò l'idea di girare sui tacchi e scappare. Ma dove? Di certo non poteva tornare a Como.

"Sì?"

Cleo sobbalzò e, schiaritasi la voce, si avvicinò all'interfono. "Ciao... sono io. Cleo. Posso salire?"

"Certo" le rispose Francesco senza alcun accenno di esitazione, mentre faceva scattare la serratura del cancello. "Ti ricordi la scala?"

"Sì."

Cleo si incamminò sotto l'acqua battente, attraversando il cortile dove svettavano un paio di tristi pini dai rami flosci, fino a raggiungere il portone di vetro, dove si ripeté la scena di qualche minuto precedente – anche se la nuova domanda era volta a capire se sapesse il piano.

"Calma" si disse, mentre attendeva l'ascensore. "Ti prendi solo un paio d'ore per stare tranquilla e poi torni a casa. Oppure chiami Corrado e lo supplichi di accoglierti."

Entrò nella cabina a passi pesanti e osservò critica il suo riflesso nello specchio appeso all'interno, che le restituì un'occhiata canzonatoria; era talmente bagnata che sembrava si fosse appena fatta una doccia, visti i capelli arruffati e la pozza d'acqua che si era formata sotto le scarpe. Sembrava una scappata di casa. Non che fosse del tutto sbagliato, del resto.

Quando l'ascensore si fermò con uno scatto, si preparò rassegnata all'ennesimo disastro. Forse non l'avrebbe fatta entrare, considerando il suo stato. Neppure alzò la testa mentre usciva, subito raggiunta dalla voce di Francesco.

"Ehi, non pensavo sare..."

Sentendolo ammutolirsi, scrollò le spalle, incapace di alzare lo sguardo. "Forse è meglio che me ne vada" mormorò, tenendo gli occhi puntati sulle scarpe di pelle infradiciate. Si sentiva da buttare così come lo erano loro.

"Ma cosa cazzo stai dicendo? Vieni dentro."

Si sentì afferrare per il braccio e, senza che potesse opporre resistenza, si trovò nell'ingresso dell'appartamento, subito avvolta da un leggero calore. Con le mani infreddolite, si liberò del giubbotto e lo passò a Francesco, che nel frattempo borbottava tra sé e sé.

"Cos'è successo?" le chiese d'un tratto, rigirandosi l'indumento dalle mani. Vedendo che non gli rispondeva, le alzò il viso alla ricerca del suo sguardo, in un gesto che Cleo fece fatica a sostenere.

"Ho dimenticato l'ombrello" disse a bassa voce, ricevendo in risposta un grugnito.

"Guarda che dico sul serio, Cle. Cosa succede?"

Aprì bocca per rispondere, ma non riuscì a emettere nessuna parola, troppo confusa per spiegare nei dettagli cosa l'avesse portata a trovarsi lì, conciata da far schifo e sull'orlo di una nuova crisi pronta a incatenarla al fondo.

Francesco sospirò e scosse la testa, in un insieme di esasperazione e preoccupazione, e lei notò il suo sguardo scendere e fermarsi all'altezza del petto, dove i vestiti bagnati lasciavano intravedere l'ombra dei capezzoli intirizziti a causa del freddo. Cleo sentì risalirgli in corpo qualcosa di ancora diverso e fece per dirgli di non allontanarsi, di continuare a guardarla come stava facendo, senza vergogna, e a deglutire e a pensare a qualsiasi cosa avesse in mente, che tanto lei non si sarebbe tirata indietro, ma l'altro si scostò senza alcuna parola, portando con sé il giubbotto.

"Ora ti do un asciugamano" le urlò dal bagno, la voce arrochita. "Dammi solo il tempo di trovarlo. Intanto togliti le scarpe."

Cleo obbedì. Eppure, toltele, si rese conto di volere di più. Voleva sentirsi desiderata, voleva dimenticare la sua vita e i problemi che aveva, voleva essere di nuovo felice. Si sfilò le calze e, con urgenza sempre maggiore, anche il maglioncino, la maglietta e la canottiera, per calciare infine via i jeans e rimanere solo nel leggero intimo, anch'esso umido. Non aveva freddo, però. Si tolse il reggiseno nell'esatto momento in cui Francesco tornò con in mano un asciugamano.

Lui si fermò confuso e socchiuse le labbra, ma non disse niente mentre Cleo concludeva la sua opera, i vestiti raccolti in un mucchietto vicino ai piedi.

"Ma tu...?" mormorò Francesco, senza distogliere lo sguardo da lei. "Ma non avevi...?"

"Ho rotto con Giulio."

La bugia le rotolò sulla lingua con una tranquillità che sorprese perfino se stessa. Ormai non le importava di accumulare nuove menzogne e, visto com'era andata col ragazzo, non era più di tanto convinta che in effetti condividessero ancora qualcosa.

Si avvicinò a Francesco a passi leggeri e, quando lo raggiunse, gli avvolse le mani attorno al collo e lo tirò verso di sé. Solo quando l'altro le cinse la vita, l'asciugamano abbandonato per terra e le sue dita ruvide affondate tra gli spigoli della carne di Cleo, colmò l'infima distanza che separava ancora i loro volti. Il suo ultimo pensiero razionale fu a quanto fosse diverso da Giulio. Non c'era delicatezza, non c'era attesa, ma solo lo stesso profondo desiderio di avere sempre di più che aveva preso possesso anche del suo corpo, tanto che ogni possibile e futura riflessione le sparì dalla testa quando Francesco fece scorrere i palmi sulla sua pelle. Fece per togliergli la felpa, ma l'uomo la bloccò.

"Ti ricordi cosa ti avevo detto che dovresti fare per il tuo bene...?" le chiese, col fiato corto.

"Leggere?"

Le rise sulle labbra, prima di afferrarla per le natiche e sollevarla. "Oltre a quello."

"Non eri stato molto specifico" mormorò, aggrappandosi a lui.

"Dovrò rimediare."

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro