La villa in collina

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Mi ero innamorata di lei in Aprile.

Riposava accanto ad alberi bassi, spogli di foglie, completamente coperti di vellutati fiori bianchi; nella strada poderale da cui la sbirciavo c'era assoluta quiete.

Tornai a spiarla in estate, quando gli stessi alberi s'erano caricati di piccole pere croccanti, verdastre e rosso ruggine; il terreno, invaso d'erba, s'era acceso di giallo e, a tratti, di violetto intensissimo.

Trascurata, la villa dai muri scrostati di un polveroso ocra affogava in una estensione di olivi secolari, e io tornavo a visitata spesso, camminando lungo il perimetro recintato, occhieggiandola attratta da quella dignitosa solitudine. Persa nelle campagne del paesino, avrebbe avuto bisogno di molto lavoro, che la riportasse alla vita. Molto lavoro, e dunque molto denaro.

Ma infine, mi informai. Qualcuno mi accompagnò per una frettolosa visita, di giorno, vista la mancanza di corrente elettrica. Incaricai un geometra di città di fare le opportune ricerche. Il prezzo era veramente troppo basso, ipoteche, forse abusi edilizi, qualcosa doveva pur giustificare quella svendita!

In inverno, ecco i preventivi per la ristrutturazione, ancora una volta con ditte di città; nessuno del paese aveva voluto lavorarci come nessuno del paese aveva voluto abitarci, da quasi un secolo. Per questo era in vendita a quel prezzo: superstizioni talmente radicate che persino gli olivi erano coltivati di malavoglia, con la fretta di stare nella tenuta il meno possibile. Vecchie storie di famiglia, storie di violenza, di abusi, di sangue che facevano sembrare il medioevo dietro l'angolo. Mancavano le streghe, e il campionario sarebbe stato completo.

Ristrutturarne il solo piano terra costò molto più che acquistare l'intera proprietà. Ma dopo mesi, agli inizi dell'autunno, potevo infine traslocare.

Avevo lasciato le stanze superiori chiuse, raggiungibili solo da una scala esterna. Avrei potuto a suo tempo farne un appartamentino indipendente. L'ampia cantina, anche, l'avevo voluta raggiungibile solo dall'esterno, avendo scelto di far murare la ripida scala che in passato vi scendeva, dalla cucina.

A tempi migliori il recupero di quelle parti, per il momento mi bastava avere un discreto spazio che sapesse d'antico, ma rivisitato con criteri moderni; e mi ero trasferita.

Per la prima volta, il caminetto acceso scaldava la sala grande, mentre fuori calava la sera.

Da dietro i vetri ammiravo il cielo incendiato, col sole che si abbassava precipitoso sull'orizzonte, piombando tra gli olivi statuari, immobili, insanguinati. Poi attimo per attimo il cielo s'era illividito, vestendo il viola e infine il nero. Ed ecco, oltre la finestra non si distingueva più niente; la luce accesa alle mie spalle non arrivava, attraverso la vetrata,  che a illuminare un po' di mattonata, sotto il portico.

Aperta la finestra per chiudere le persiane, avevo ascoltato la notte; silenzio, appena rotto da un misero frinire lontano. Col freddo, i grilli non cantavano quasi più.

Avevo chiuso pensando ai pochi amici che avevano tentato di dissuadermi. In piena campagna, da sola... 

Ma che volete mi succeda! Sono vecchia, mi basta poco per star bene. Mi prenderò un cane, avevo promesso. E con un grande congelatore farò la spesa una volta alla settimana.

Finalmente potevo sedermi a godere il fuoco, ipnotico, con un libro tra le mani. Ero libera persino di addormentarmi sul divano, volendo. E invero, l'avevo fatto. Mi aveva svegliata il singhiozzare d'un bambino.

Capitava, che facessi sogni vividi, ma quel pianto perdurava anche se ero ormai sveglia; spaccava il cuore, tanto era disperato e veniva da fuori, sembrava. Avevo aperto la finestra per vedere chi ci fosse, ma nulla, nessuno aveva risposto. Si era placato quasi all'alba, lasciandomi sfinita. E la notte dopo, era ricominciato. E quella dopo ancora.

Era trascorsa così una ventina di giorni. Pensavo a uno scherzo, o a una truffa. Vogliono cacciarmi, rimuginavo. In paese, quando scendevo, mi guardavano straniti. La proprietaria del supermercato mi aveva persino chiesto, cauta, se tutto va bene. Mi ero stretta nelle spalle, non avrei alimentato le dicerie intorno alla villa.

Ma i truffatori, non demordevano. Anzi, avevano preso a bussare al muro dove un tempo c'era la porta che conduceva in cantina. Però l'indomani non trovavo impronte, né orme o segni qualsiasi d'effrazione.

Finché, un bel momento, ho deciso di doverli affrontare; e senza darmi tempo di pentirmi, ho progettato che fosse quella stessa sera. Ho aperto la porta di casa, preparato una torcia potente, spento le luci e atteso il calare della notte. 

Ed eccomi, decisa a mettere fine a questa storia. Al principiare del pianto mi sono avventurata nel buio. Una bambina dalla pelle perlacea è comparsa nel mio fascio di luce improvviso. 

Non me l'aspettavo, pensavo a un registratore, far impersonare una scena così a un'attrice in erba, per ripetute notti, col freddo che faceva... "Vieni dentro!", le ho intimato con fermezza, chiedendomi se sarebbe fuggita. Invece ha affievolito il lamento, si è raddrizzata penosamente piano e si è mossa, ancora in lacrime, verso la porta che ho lasciata aperta. 

L'ho seguita dirigendo la luce verso l'ingresso, il fascio è sembrato attraversarla,  quando è stata proprio davanti. Un ologramma? Mi son chiesta. Ma gli ologrammi necessitano di apparecchiature, proiettori... Sono entrata chiudendo la porta. Le finestre e le imposte, son accostate da prima. Il caminetto è acceso, ma lento, la fiamma sopita. La bambina si siede lì davanti, sul tappeto. Le vedo attraverso le fiamme, e non proietta ombre. 

Così, non è un trucco. Non una truffa, un ologramma, una allucinazione. Sono vecchia, ma sobria e in me. Mi siedo in poltrona e faccio la sola cosa che posso: le parlo. Mi racconta, chiede, io spiego. Quello che una bambina non sa, non capisce, e che la tiene imprigionata qui. È uscita dal tempo, ma non può procedere, perché nessuno la guida. La storia di crudeltà che ha subito mi spezza, erano vere le dicerie del paese.

Che si fa, con un fantasma? Come faccio a liberarla? Il catechismo non prevedeva che dopo la morte qualcuno accogliesse le anime, soprattutto quelle degli innocenti?

"Mio padre era cattivo, disse che mi avrebbe usato per ottenere il favore di qualcuno molto, molto potente",  mi riferisce.

Così, esiste veramente? Fa veri contratti? Chiede veramente il sangue delle vergini? E su questa villa c'è il sigillo del male, così forte ancora da imprigionare una vittima innocente? Sono arrabbiata, ora, veramente arrabbiata. Io non sopporto le ingiustizie, e questa storia è durata anche troppo. 

"Tu non piangerai più, piccola. Questa è stata l'ultima notte. Un contratto lo faccio anch'io, vediamo chi sceglie l'avvocato migliore".

La villa color ocra, è una bellezza. I miei amici riconoscono che avevo scelto bene. 

In città mormorano che in tutto ci ho vissuto appena venti giorni ma che, se nessuno mi ha disturbato, in questo breve tempo, forse i fantasmi sono andati via. 

Forse non ci sono mai stati!, ridono i giovani.

Non sanno. Quel pazzo maledetto aveva davvero sacrificato la figlia al demonio!

Ma io ho invocato l'arcangelo Michele e proposto un patto: la mia vita in riscatto della piccola.

Una vecchia insignificante per un'anima bambina, non c'è rapporto, aveva ruggito il demone.

"Avrei ancora molto da fare, io!", avevo protestato e agitato un fascio di fogli: "questo non è ancora pubblicato, e mai lo sarà, se il patto viene accettato! E il dolore di non finire questo lavoro solo il cielo può conoscerlo. È la mia idea più geniale, per poter completare la quale ho cercato un posto dove ci fosse silenzio e raccoglimento; è la cosa migliore che abbia mai scritto! Ti offro la mia vita e il mio orgoglio, toglili la bambina e butto questo nel fuoco!"

Un infarto, hanno detto. E del romanzo nel camino non si sono accorti. Ma la piccola è con me, ora.

Affrettatevi a raggiungerci, questo posto è uno sballo.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro