.39. Paladina di ingiustizie infrante.

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Barcellona, 
19 Marzo 1809.

Fui pronta il giorno dopo. La mattina mi svegliai prestissimo e, non riuscendo a dormire ulteriormente, mi vestii e resi presentabile, poi andai dritta nella camera del capo. Bussai piano sebbene avessi così tanta adrenalina da voler mettermi ad urlare e svegliare tutti.

Jonathan aprì quasi subito. Non era in tenuta da letto, anzi si stava sistemando la camicia bianca nei pantaloni scuri, le scarpe lucide già ai piedi e i capelli ben pettinati.

<<Buongiorno.>> disse sorridendomi. <<Ti stavo aspettando.>>

<<Come facevate a sapere che sarei passata adesso?>> chiesi. <<Non lo sapevo neanche io.>>

Lui finì di abbottonarsi la camicia e passò alle maniche, arrotolandole sui gomiti. <<Perché so che sei impaziente di andare, e io ho delle questioni da sbrigare prima non molto lontano da qui. Ti va di accompagnarmi prima di passare dai Castro?>>

Mi toccai nervosamente un braccio. <<Vorrei andare dal signor Castro il prima possibile.>>

Jonathan mi sorrise di nuovo, poi prese la giacca dall'appendiabiti e uscì dalla stanza, chiudendola poi a chiave e riponendola nella tasca dei pantaloni. <<Ti prometto che ci andremo il prima possibile. È molto presto, probabilmente sta' ancora dormendo.>>

Oppure si sta' divertendo a torturare il mio Juan, pensai infastidita, ma non dissi niente e annuii.

Tornai in camera e raggruppai tutte le mie pochissime cose, le misi nella stessa borsa con cui ero scappata dalla villa dei Castro e mi guardai allo specchio: c'era una donna riflessa in esso, pallida e con due belle occhiaie scure sotto gli occhi che non facevano altro che risaltare ancor di più le lentiggini.

Legai i capelli in una treccia frettolosa, poi sospirai. Non sapevo cosa stavo per fare e un po' mi spaventava, ma l'idea che stavo per rivedere Juan mi bastava a donarmi la forza necessaria per lasciare il bordello che mi aveva salvata e protetta per mesi.

........................

Salii in carrozza qualche minuto dopo, dove al suo interno Jonathan mi stava aspettando impaziente. Il cielo era grigio e faceva freddo, il vento soffiava forte facendo innervosire i cavalli.

<<Possiamo andare.>> disse non appena mi sedetti di fronte a lui.

La carrozza partì subito dopo, il cocchiere incitò i cavalli a muoversi e io cercai di rilasciare il fiato. Avevo il cuore in gola per il nervosismo e l'impazienza.

<<Hai freddo?>> mi chiese il capo dopo un po'.

Spostai lo sguardo dal sentiero ancora deserto e lo guardai. <<No.>> risposi.

<<Stai tremando.>> constatò osservando le mie mani strette in un unico pugno.

Le sciolsi e asciugai i palmi sul vestito. <<Sono solo un po' nervosa.>> ammisi.

Il capo accavallò le gambe. <<Non esserlo, andrà tutto bene. Sarò io a chiedergli di Juan e gli chiederò di farmi un prezzo per comprarvi entrambi. Lavorerete per me e tu non dovrai più vivere nel terrore di incontrarlo nuovamente.>>

Battei gli occhi un paio di volte in più del normale e lui se ne accorse perché fece un mezzo sorriso. Aveva capito che non mi aspettavo questa improvvisa gentilezza.

<<Non posso permettervi di farvi spendere tutto quel denaro per me e per Juan. In più lui è di famiglia benestante, non potrà lavorare per voi.>>

<<Dovrà farlo, se vorrà essere liberato. Solo in questo modo, forse, Alexander Castro mi lascerà comprarlo.>>

Mi presi qualche secondo per pensarci. Sempre meglio spogliato delle vesti di un signorino che imprigionato dal padrone, questo lo sapevo bene. Ma lui avrebbe accettato quel compromesso? Era cresciuto in una famiglia benestante, come avrebbe potuto iniziare così, di punto in bianco, a lavorare per vivere? E i suoi genitori avrebbero approvato la situazione o avrebbero cercato di ricomprarlo dal capo di un bordello?

I nostri corpi ballavano mentre i cavalli galoppavano spediti verso il centro della città e il paesaggio fuori dalla carrozza iniziava a diventare leggermente più popolato. Guardai il capo e lo vidi mentre osservava il paesaggio, immerso nei pensieri come me.

<<I Garçia sanno dove si trova il loro figlio?>> chiesi.

<<I Garçia sono convinti che Juan sia partito. Non hanno idea di dove sia.>> rispose subito.

Il padrone aveva fatto in modo di far svanire ogni traccia riconducibile a lui. Sicuramente aveva fatto pulire il sangue dal giardino o aveva semplicemente aspettato che il sole sciogliesse la neve tinta di rosso. Aveva fatto chiudere il varco nei rampicanti e interrogato tutte le domestiche affinché confessassero chi ci avesse fatto scappare. Sperai solo che non avesse recato danni a nessuna di loro, anche perché era stata sua figlia a farci evadere. Chissà se lei conosceva la verità su Juan.

<<Proveranno a comprarlo da voi.>> mormorai.

<<Ed io glielo venderò qualora il prezzo fosse accettabile per ciò che ho fatto per il loro figlio.>>

Abbassai gli occhi. <<È orribile...>> sussurrai guardando le pellicine delle mie unghie rosicchiate.

<<Cosa è orribile?>> chiese curioso lui.

Ne staccai una con l'aiuto di un unghia ancora guardabile. <<Che le persone possono essere comprate e rivendute come se fossero oggetti. Ormai chiunque può comprare una persona se è abbastanza ricco. È una cosa orribile. Mi chiedo tutto questo dove ci porterà un giorno.>> ammisi in un sussurro quasi impercettibile.

Non avrei voluto parlare di quella cosa così delicata con qualcuno, soprattutto con lui, ma a quel punto non ero sicura che ne sarei uscita viva da lì quindi capii che non avevo più niente da perdere. Jonathan non rispose subito come aveva fatto con le altre domande, piuttosto si rabbuiò perdendosi nei pensieri.

<<Avremo mai una vita dignitosa noi gente sfortunata? Avremo mai dei diritti e una dignità?>> continuai ma ormai quella conversazione era diventata un monologo.

Le ultime parole di Geneviève Aguilar, signori e signore. Sognatrice di sogni irrealizzabili e paladina di ingiustizie infrante.

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