.40. Trucchi del mestiere.

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Barcellona,
19 Marzo 1809.

Finite le varie "questioni da sbrigare" del capo - che altro non erano che riscuotere del denaro da un paio di altri bordelli nel paese - finalmente arrivammo di fronte la villa dei Castro.

Era come la ricordavo: un enorme cancello nero a separare la strada dalla proprietà, un lungo sentiero costellato da cespugli di diverse forme e, alla fine, una scalinata di gradoni di marmo. La villa era immensa; mi venne in mente ciò che pensai quando la vidi per la prima volta: pensai che l'intero mio paese di origine ci sarebbe entrato tutto. Avevo quindici anni e molta irrazionalità.

Ai lati del palazzo potevo scorgere un piccolo lago e le scuderie. Era tutto come lo ricordavo, ma mi sembrò lievemente più trascurato.

<<Sei pronta?>> mi chiese Jonathan una volta scesi dalla carrozza e lasciato andare il cocchiere con la promessa che sarebbe tornato entro un'ora.

Ero pronta ad affrontare la furia del padrone? No, non sarei mai stata pronta per quello. Però ero pronta a rivedere Juan, e quello mi bastava.

<<Sì.>> affermai decisa.

Il cancello si aprì spinto dalla mano del capo. Entrammo subito; io non facevo altro che tentare di frenare il battito accelerato del mio cuore, mentre il mio accompagnatore sembrava tranquillo.

Mi resi conto che la prima impressione non era sbagliata: i cespugli erano trascurati, alcuni bruciati dal sole, altri troppo rigogliosi fino a raggiungere il sentiero. In lontananza sentivo il nitrito agitato dei cavalli.

Raggiungemmo la porta e Jonathan bussò.

Prima che qualcuno aprisse, pensai che avevo percorso quel viale qualche mese prima per scappare da lì e la strada mi era parsa lunghissima, mentre in quel momento mi era sembrata appena di qualche metro.

<<Non essere nervosa.>> mi disse.

Mi schiarii la voce. <<Non lo sono.>> mentii, infatti la mia voce parve incrinata.

Lui non disse più niente, si limitò a girare leggermente lo sguardo e sorridermi appena.

La porta si aprì qualche momento dopo. Era Estrelle, la capo governante. Non avevamo mai avuto un bel rapporto, anzi, ero abbastanza certa che mi odiasse. Però non appena mi vide fece un'espressione sorpresa e lessi paura nel suo sguardo.

<<Dio, Geneviève.>> sussurrò sgranando gli occhi. <<Cosa sei tornata a fare?>>

<<Siamo qui per vedere il signor Castro.>> affermò serio Jonathan riportando l'attenzione a lui.

La donna, ormai superati i cinquant'anni di età, spostò nuovamente lo sguardo su di me e si toccò la fronte. <<Non saresti mai dovuta tornare. Non hai idea di cosa ti farà.>>

Mi sentii mancar le forze, ma non lo diedi a vedere. <<Estrelle, per favore, dimmi se lui è qui.>> dissi avvicinandomi a lei, ma si ritrasse.

<<Non mi caccerò nei guai per colpa tua.>> rispose freddamente, poi guardò il capo. <<Il signor Castro è nel suo studio. Entrate, lo avviso della vostra presenza.>>

Si scostò per lasciarci passare e mi seguì con lo sguardo pieno di odio per tutto il tragitto verso il soggiorno.

Quello stesso soggiorno che avevo pulito e lucidato mille volte, adesso appariva spento e pieno di polvere. Mi chiesi cosa fosse successo in quel periodo che non ero più stata lì.

Ci sedemmo sul divano ma io continuavo a guardarmi intorno stranita. Tutto in quella stanza non mi convinceva affatto.

<<Gabrielle!>> urlò qualcuno dal corridoio, poi una bambina dai capelli scuri entrò nella stanza e si arrestò non appena ci vide.

Sua sorella apparve dietro di lei mugolando qualcosa, poi ci vide e si zittì. Le gemelle perfettamente identiche mi riconobbero subito e mi riservarono lo stesso sguardo di disprezzo e superiorità di quando lavoravo per loro.

<<Cosa ci fai tu qui?>> ringhiò Gwendoline serrando i pugni.

<<Io...>> iniziai a disagio, ma Gabrielle mi interruppe.

<<Non hai il diritto di parlare!>> urlò. <<È per colpa tua che Sara non è più qui!>>

Per la seconda volta nel giro di pochi istanti mi sentii mancar le forze e mi aggrappai al divano.

Jonathan si accorse del mio viso più pallido del solito. <<Siamo qui per vedere vostro padre.>> disse calmo. <<Questo linguaggio non è consono per delle ragazze della vostra età.>>

Gabrielle incrociò le braccia al petto. <<Io parlo come voglio.>>

Il capo scosse la testa. <<Non se un giorno vorrai diventare una dama. Le ragazzine che parlano così non diventano dame, signorina. Finiscono tutte per lavorare come domestiche.>>

Gwendoline abbandonò la sfacciataggine. <<Io so parlare meglio di lei!>> disse indicando la sorella.

<<Non è vero!>> rispose ferita mettendo le mani sui fianchi. <<Io sono più brava di te!>>

<<Anche quelle che litigano sempre non sono destinate a diventare dame. Nessuno ve l'ha mai detto?>> continuò Jonathan, seduto elegantemente sul divano.

Le bambine si misero entrambe le mani alla bocca, colpevoli.

<<Saremo brave da oggi in poi.>> mormorò Gabrielle aggiustandosi le pieghe del vestito.

<<Sì, lo promettiamo!>> confermò Gwendoline prendendo la mano di sua sorella.

Il capo sorrise. <<Bene. Ora andate a studiare.>>

Annuirono e subito andarono via saltellando.

Io ero a bocca aperta.

<<Come...>> balbettai incredula. <<Come avete fatto? In tutti questi anni non ho mai visto nessuno riuscire a fargli fare qualcosa senza minacciarle.>>

Jonathan sorrise di nuovo. <<Trucchi del mestiere, Geneviève. Ho a che fare con bambini capricciosi ormai da tempo e se non sai domarli devi imparare ad ingannarli. Altrimenti prendono il sopravvento e per te è la fine.>>

<<Wau.>> mi limitai a dire. Ero veramente sorpresa.

Sentii il calore tornarmi alle guance, ma per poco perché la frase di Gabrielle mi restò nella testa. È per colpa tua che Sara non è più qui. Cosa aveva fatto a sua figlia?

Abbandonai i pensieri quando Estrelle comparve sulla porta. <<Il signor Castro vi attende nel suo studio.>>

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