.4. La lacrima.

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Barcellona,
17 ottobre 1808.

Quella mattina servii la colazione al solito orario, insieme ad altre due domestiche.

La famiglia Castro mangiava in silenzio assordante.

Le gemelle Gwendoline e Gabrielle si sorridevano a vicenda, probabilmente pensavano alle numerose marachelle che avrebbero commesso nel pomeriggio; la più grande, Sara, sorseggiava il suo thè guardando fuori dalla finestra, persa in chissà quali pensieri.

Alexander e sua moglie si limitavano a mangiare senza troppe cerimonie.
Il padrone alzò la testa e si rivolse ad una delle altre due domestiche presenti nella sala da pranzo.

<<Altro thè.>> tuonò. La donna si inchinò velocemente e scomparve nella cucina.

Alexander posò lo sguardo su di me: me ne stavo in un angolino silenzioso, pronta a esaudire le richieste della famiglia. Lui aprì appena la bocca come per parlare, poi, con una rapida occhiata, guardò sua moglie e tornò a osservare me. La domestica comparve al suo fianco e gli versò il thè in una tazza, poi lasciò lì la caraffa e si allontanò dal tavolo sussurrando un mio signore.

Il padrone non smise per un attimo di guardarmi. Era come se volesse dire qualcosa ma non ne possedesse il coraggio. Mi osservò anche quando bevve il suo thè, molto lentamente. Dopo un frangente che mi sembrò infinito, finalmente slacciò i nostri sguardi ed entrò nella conversazione che stavano avendo le gemelle.

<<Cosa avete da fare oggi?>> chiese interrompendole e rivolto ad entrambe.

Le bambine, perfettamente identiche, si guardarono per qualche secondo, poi risposero in coro come se a parlare fosse una persona sola: <<Equitazione e studio delle lingue.>>

Lorein, la padrona di casa, si pulì la bocca con un fazzoletto. <<E ricamo.>> aggiunse.

Le due bambine abbassarono lo sguardo, rassegnate. Era palese che fosse una cosa che proprio non volevano fare, ma erano delle signorine, e, come tali, dovevano saper fare tutto anche se avevano appena undici anni.

Io, alla loro stessa età, lavoravo senza potermi permettere di obbiettare.

<<Bene.>> disse il padrone, sorridendo alle sue figlie. <<Potete andare.>>

Le gemelle e Sara si alzarono dal tavolo, si inchinarono ai genitori e poi sparirono dietro ad una porta oltre il mio raggio visivo. Alexander rivolse l'attenzione su sua moglie, le sorrise e si alzò anch'esso. Lorein gli sorrise a sua volta, le rughe di espressione sugli occhi si incresparono leggermente.

Il padrone mi passò a fianco riservandomi uno sguardo intriso di mistero e superiorità. Sparì anche lui dietro quella porta.

Guardai sua moglie: sospirò rumorosamente, poi vidi una cosa che in tanti anni non avevo mai visto.

Una lacrima.

La signora Castro stava piangendo.

Avrei voluto chiederle il motivo, ma non ne ebbi il coraggio. Lei alzò gli occhi su di me e si accorse della mia presenza.

<<Cosa sai dell'amore?>> mi chiese. Eravamo sole, ed io avrei tanto preferito andare via da lì.

Probabilmente sgranai gli occhi. La padrona non mi aveva mai rivolto la parola se non per ordinarmi di fare qualcosa.

Non si curò di asciugare un'altra lacrima e la osservai scendere sulla guancia e schiantarsi sul vestito di pizzo azzurro. I capelli color oro, tenuti stretti sulla testa, la rendevano più grande di quello che era.

<<Mia signora.>> dissi per poi inchinarmi. <<In vita mia non ho conosciuto altro se non l'amore di un familiare a me caro.>>

Lorein abbassò lo sguardo sul suo anello di matrimonio, sfiorandolo con le dita. Il diamante rosso rifletté la luce del sole e parve osservare la sua proprietaria a sua volta.

<<Allora mi sei totalmente inutile!>> abbaiò piena di rabbia e mi sorpresi per quel repentino cambio di tono. Alzò lo sguardo e notai nei suoi occhi scuri una nota di rabbia e tristezza. <<Fuori di qui!>> urlò e mi indicò l'uscita.

Mormorai un <<Mia signora.>> poi mi inchinai e uscii a testa bassa dalla sala da pranzo.

Non conoscevo il male che provava la padrona, per questo motivo non riuscii a giudicare il suo comportamento.

Uscendo dalla sala e chiudendomi la porta dietro le spalle, trovai Alexander poggiato con una spalla sullo stipite di un'altra porta non molto distante da dove ero io. I capelli castani e ondulati gli coprivano metà volto, la camicia bianca gli incorniciava il torace.

Quello stesso torace che avevo osservato qualche sera prima.

<<Nel mio studio. Adesso.>>

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