👑 IMPERIAL TRIUMPHANT | ALPHAVILLE 👑

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Artista: Imperial Triumphant
Album: Alphaville
Anno: 2020
Generi: Black Metal, Avant-Garde Metal, Jazz, Technical Death Metal

Buonasera, cari sinfonauti. Per la seconda puntata di questa rubrica cambieremo totalmente le carte in tavola. Già, perché a differenza dell'album dello scorso episodio, delicato e rilassante, questa volta ci tuffiamo nel metal. Premetto subito che non sono né un metallaro né minimamente un esperto del genere (neanche un buon conoscente, in realtà) ma occasionalmente mi c'immergo dato che mi affascina. E poi tutti i metallari che ho conosciuto sono persone simpaticissime e con un'innata capacità di azzeccare ciò che potrebbe affascinarmi. Infatti è proprio grazie al consiglio di un amico che ho scoperto quest'album.
Alphaville (no, non la band di Big in Japan, per quanto quella canzone sia stupenda) è il quarto LP della band black metal americana Imperial Triumphant: un trio di musicisti mascherati che, citando la loro bio su Spotify, vogliono "incorporare il sound di New York. Il caos, la cattività, i pericoli e la magnificenza della città più gloriosa del mondo. In più, vogliono mostrare il grande divario tra la lussuria della società elitaria e la lordura e degrado urbano dei bassifondi".
Insomma, più che a Satana questo black metal sembra interessato alla politica. C'è quindi un messaggio dietro alla loro musica, anche piuttosto banale, ma non è il messaggio in sé che rende la band così interessante. Semmai è come viene presentato. In Alphaville, infatti, gli Imperial Triumphant fondono black metal e technical death metal con elementi retrofuturistici sfruttando momenti jazz, ambient e marziali. No! Aspettate, non ve ne andate! So che sembra terribile descritto così ma fidatevi di me quando vi dico che resta comunque un album lugubre e sudicio. Non preoccupatevi, non vi sto consigliando l'equivalente metal dell'electroswing. Questi elementi, infatti, sono condimenti per dare carattere alla musica e creare un'estetica ben precisa. Non suonano mai ridicoli. I tromboni sono distorti fino a sembrare lamenti, i momenti jazz sono cupi inni alla distopia, non c'è clean singing (anzi, i growl di Goddessraper fanno raggelare il sangue in certi momenti) e tutto si amalgama in modo davvero convincente nella maggior parte delle tracce. Ho ascoltato parecchie band che hanno tentato di fondere metal e jazz, come i Thank You Scientist o i Rivers of Nihil (meh, non mi hanno convinto) o gli Shining (anche qui il troppo stroppia nonostante Healter Skealter sia interessante), e nessuno lo fa bene come gli Imperial Triumphant.
Come ho già detto, Alphaville è il quarto disco della band, ma non si differenzia moltissimo dai precedenti per estetica e temi trattati. Sin dagli esordi, gli Imperial Triumphant hanno fatto tesoro del concept che continuano a portare avanti e si sono proposti di svilupparlo ed evolverlo sempre di più. Alcuni, tuttavia, potrebbero fraintendere l'intenzione della loro musica. Ho sentito lamentele a proposito dell'abbondanza di scontento politico ripetitivo e banale nelle loro tracce, ma, come hanno più volte chiarito, il loro obiettivo non è esprimere le proteste del proletariato né attaccare il governo e i potenti. Loro sono solo degli spettatori, il classico stereotipo degli artisti troppo distratti dalla musica per occuparsi di politica, e semplicemente riversano ciò che vedono nelle proprie tracce senza giudicare. Almeno questo è ciò che dicono loro. In realtà è evidente la concezione negativa che affibbiano all'alta borghesia, troppo occupata con orge e champagne per ricordarsi dell'esistenza di violenza e povertà, e i dettagli in cui scendono nel descrivere la spietatezza del divario economico sono parecchio stranianti. Le loro ispirazioni sono i film fantascienza vintage (Metropolis in primis) e la musica jazz di alto borgo. Il cupo abisso tra ricchezza sfrenata e miseria infinita è filtrato dalle loro menti folli, macinato dalle sinapsi e dagl'incubi e infine trasformato in un paesaggio musicale unico e pittoresco. Ma parliamo un po' del disco.
Come ho già ribadito più volte, Alphaville mischia black metal e technical death metal con jazz ed elementi apocalittici retro (un po' stile Fallout per fare una comparazione stupida e facilmente evitabile). Non è un album molto lungo ma riesce a condensare davvero parecchio materiale nella sua durata relativamente normale. La produzione è piuttosto pulita per un album black metal, con il basso in posizione dominante e schitarrate assolutamente distorte ma non nebulose. In effetti lo stereo widening è ben gestito accumulando la gran parte dei suoni al centro e questo rende l'ascolto stranamente claustrofobico. Ci sono più volte passaggi musicalmente complessi (tipici del technical death) con la batteria che s'impenna su poliritmi disorientanti ma che non distraggono troppo grazie all'ottimo mixaggio. In ogni caso non sembra mai troppo proggy e non esagera mai, restando abbastanza contenuto nelle impennate tecniche (eccetto nell'ultima traccia dove avviene il caos) e la maggior parte delle intuizioni musicali sono godibilissime.
Le tracce sono abbastanza differenti tra loro, nonostante rimangano sempre coerenti, e ognuna è memorabile a modo suo. In alcuni momenti la musica metal si ferma per dare spazio a jazz, blues e spezzoni dark ambient (come in Excelsior e la fantastica Transmission to Mercury) e in altri momenti i generi si fondono in maniera creativa e talvolta cervellotica (come in The Greater Good, dove le schitarrate creano un'indecifrabile estetica retro con sottigliezza magistrale). È grazie a queste parti più melodiche che l'album risulta abbastanza accessibile anche a coloro che hanno indugiato poco nel mondo del metal estremo (tipo io, per fare un esempio). Tuttavia, Alphaville non si risparmia mai in quanto a dissonanze, lancinanti strilli femminili e growl demoniaci e incalzanti. L'atmosfera, nonostante non possa competere con i lavori black metal più sporchi e terrificanti, resta pur sempre oppressiva e angosciante per un ascoltatore non ferrato come me. Ed è proprio grazie all'atmosfera che ho trovato quest'album particolarmente memorabile. So che è uno dei pregi più soggettivi, forse secondario rispetto a buon songwriting e ottime performance, ma è costruita con troppa sapienza per passare inosservata. Tutte le canzoni sono imbottite di dettagli e i momenti jazz non sono mai stranianti: ogni elemento va a delineare un paesaggio sonoro che catapulta l'ascoltatore nel mondo immaginato dagli Imperial Triumphant. Quest'album ha davvero pochi difetti dal punto di vista critico: qualche situazione ripetitiva e carente d'idee (in particolare nelle prime tracce) e un finale non memorabilissimo, perciò è l'epitomo dell'album il cui apprezzamento deriva dall'impressione dell'ascoltatore. Lo consiglio ai cari metallari che hanno deciso di gettare un occhio su questa rubrica e a tutti coloro che amano le chicche retrofuturistiche. Non è una grossa challenge d'ascolto visto il buon mix e la creatività della band (oh, le vere sfide arriveranno dopo, non temete) né un lavoro rivoluzionario. È semplicemente un ottimo album con un'atmosfera unica, tracce scritte con ingegno e ispirazione e fusioni di genere che tanto eccitano i bimbi facilmente impressionabili come me. Un progetto davvero soddisfacente e mai sopra le righe. Ho blaterato fin troppo, come sempre, ma spero almeno di aver incuriosito coloro tra di voi che non sono corsi a sentirlo solamente dopo aver visto i generi sotto cui ho classificato l'album. E voi? Che ne pensate di fusioni tra generi che dovrebbero stare debitamente separati? Quanto è importante l'atmosfera di un album in questi anni? Riversare pensieri politici nella propria musica la lega a un contesto storico o non influenza più di tanto la sua durabilità? Vi ringrazio di avermi dedicato del tempo, cari sinfonauti, e vi ricordo che sono sempre disponibile per discussioni e consigli. Alla prossima puntata!

Tracce Preferite: Rotted Futures / Atomic Age / Transmission to Mercury / Alphaville

Bizzarrometro: 3/5

Voto Personale: 8+/10

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