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Dopo aver parlato con Jesse, mi sento un po' più lucido, ma il dolore non se n'è andato neanche un po'. Rimango sdraiato sul letto per qualche minuto ancora e poi decido di alzarmi. 

Devo uscire da questa stanza. Prendo la chiave della camera dal tavolino, vicino alla bottiglia di vodka che ancora mi fissa. Chiudo la porta della camera dietro di me, rendo le chiavi alla receptionist e poi inizio a camminare, so che devo tornare a casa. 

L'aria di mezzogiorno è soffocante, e i miei passi sembrano pesanti, come se ogni metro che percorro mi allontanasse da qualcosa che non riesco ancora a lasciarmi alle spalle.

La strada è silenziosa, e il suono dei miei passi sull'asfalto è l'unica cosa che mi accompagna.

Arrivato a casa, mi butto sul divano, esausto. Prendo il telefono dalla tasca, e la prima cosa che vedo è la nostra chat. Il suo contatto, salvato come "James psicopatico Boyce", un soprannome che gli avevo dato tempo fa.

Ricordo i suoi comportamenti contraddittori, come quando mi cercava e mi provocava solo per poi sparire il giorno dopo. Era sempre un tira e molla, sempre un gioco. Un gioco che non ho mai capito davvero, ma in cui continuavo a cadere.

Un raptus di rabbia mi travolge. Senza pensarci troppo, cancello il suo numero. Sento un senso di liberazione momentanea, come se con quel gesto potessi cancellare tutto quello che mi ha fatto provare. Ma subuti dopo me ne pento, ma ormai è fatta.

La sera arriva in fretta, senza che me ne accorgessi e con essa, il turno al ristorante. 

Mi metto la divisa del Lerchet, il posto dove l'ho incontrato la prima volta Ricordo che era seduto al suo solito tavolo, il 69, uno dei più eleganti. Mi aveva chiesto se volevo una sigaretta mentre cercavo di prendere la sua ordinazione. Poi il resto...

Oggi, però, quel ricordo mi pesa addosso. Ogni volta che passo accanto al tavolo dove era seduto, il cuore mi si stringe. È come se lo vedessi ancora lì, con quel sorriso sornione e lo sguardo che sembrava scavare dentro di me. Lavorare è un inferno, ogni gesto mi ricorda di lui, il tavolo 69 è quello che ci ha uniti e che, allo stesso tempo, ha segnato la nostra distruzione.

Mentre mi affanno tra i clienti, cercando di nascondere il malessere, Katie mi si avvicina. 

"Tutto bene?" mi chiede con un'espressione di sincera preoccupazione. È sempre super attenta ai dettagli ma allo stesso tempo, in questo momento, non deve essere difficile per lei notare che non sono in condizioni brillanti.

"Sto bene," rispondo frettolosamente, abbassando lo sguardo e continuando a sistemare i bicchieri. Non posso parlarne. Non qui, non ora.

Lei mi guarda ancora per un momento, come se non credesse alle mie parole, ma alla fine non insiste.

Spero che la serata finisca in fretta. Ogni secondo al Lerchet è una tortura, e l'unica cosa che riesco a pensare è quanto vorrei solo dimenticare tutto di James, ma mi sembra impossibile.

Finalmente il turno al Lerchet finisce. Esco dal ristorante con i muscoli stanchi e la testa che pulsa, ancora piena di pensieri confusi. La serata è fresca, e il rumore della città è più soffuso rispetto al giorno. Mentre cammino verso l'uscita, tiro fuori il telefono per controllare l'ora, pensando solo a tornare a casa e sprofondare nel letto.

Ma quando sollevo lo sguardo, la vedo. Jesse è lì, di fronte al ristorante, le braccia incrociate e un sorriso rassicurante sul viso. Il sollievo mi travolge all'improvviso. Non sapevo nemmeno quanto avessi bisogno di vederla finché non è apparsa lì.

"Sorpresa!" dice con una leggera ironia nella voce, ma i suoi occhi sono pieni di preoccupazione. "Ho pensato che ti facesse bene un po' di compagnia"

Sorrido

"Jesse..."

Lei si avvicina, prendendomi per mano senza dire una parola di più. "Vieni, andiamo a casa mia. Dormiamo insieme stanotte, ok? Mi sembra che tu ne abbia bisogno"

Non ho la forza di rifiutare e l'idea di avere Jesse vicino, qualcuno che mi conosce meglio di chiunque altro, è come un balsamo per la mia anima in questo momento. Annuisco, senza aggiungere altro. Ci abbracciamo lì, nel mezzo della strada. Sento il suo calore, il suo respiro tranquillo, e improvvisamente mi sento un po' meglio.

Camminiamo verso la sua macchina, tanto io ero venuto a piedi. Stiamo in silenzio per tutto il viaggio ma è il tipo di silenzio che solo due persone che si conoscono profondamente possono condividere. Quando arriviamo, ci togliamo le scarpe e ci sediamo sul divano. Il buio della stanza è confortevole, e la presenza di Jesse accanto a me è l'unica cosa che sembra reale.

"Vuoi parlarne?" mi chiede piano, mentre si sistema più vicina a me.

Non rispondo subito. Invece, mi lascio andare, tutto il peso della giornata, delle ultime settimane, sembra riversarsi fuori. Racconto a Jesse tutto. Le racconto del bacio, delle parole taglienti che lei mi ha detto, di quanto fosse tutto contraddittorio. Della sua freddezza, della bottiglia di vodka, del fatto che ogni cosa mi sembra ancora troppo viva nella mia mente.

Jesse ascolta senza interrompere, il suo sguardo fisso su di me, empatico. Quando finisco, sento il nodo alla gola sciogliersi un po', anche se il dolore non è sparito del tutto.

"Sai," dice dopo un lungo momento, "non hai fatto niente di sbagliato. Lui... non poteva darti quello che ti serviva, e questo non dipende da te. A volte le persone sono ferite in modi che non possiamo aggiustare. Ma questo non significa che tu debba rimanere con quel dolore"

Mi stringe a sé, e appoggio la testa sulla sua spalla, sentendo un po' della tensione allentarsi. Il suo calore è confortante, e il suo profumo familiare mi calma. Rimaniamo così per un po', senza parlare. Il solo fatto di avere Jesse lì, la sua presenza stabile e sincera, mi fa sentire più forte.

Quando finalmente ci spostiamo verso la stanza, si sdraia vicino a me, e mi abbraccia di nuovo, senza bisogno di parole. Non serve che dica altro; Jesse è qui, e questo basta per farmi sentire che, forse, domani sarà un po' meno difficile.

I suoi respiri regolari e profondi sono come un'ancora che mi tiene radicato alla realtà. Eppure, appena mi lascio andare al sonno, la mia mente torna subito a James.

Nel sogno lo vedo. È solo, seduto su un letto che non riconosco, con lo sguardo perso nel vuoto. Non sembra sicuro o indifferente come al solito, ma triste. La sua espressione è diversa da qualsiasi cosa io abbia mai visto quando eravamo insieme. Ha gli occhi gonfi, come se avesse pianto a lungo, e ogni tanto passa una mano tra i capelli biondi, nervoso. Non mi parla, non mi vede nemmeno, ma è chiaro che sta soffrendo.

Mi avvicino, provo a dirle qualcosa, ma la mia voce non esce. Lo guardo mentre affonda la testa tra le mani, e il dolore che trasmette mi travolge, come una marea. Voglio aiutarlo, voglio fare qualcosa, ma non posso. Sono lì, impotente, incapace di muovermi.

All'improvviso, mi sveglio di colpo. Il cuore batte forte nel petto, e ci metto un attimo per rendermi conto di dove sono. La stanza è buia, e accanto a me Jesse dorme ancora profondamente, il viso sereno. Non voglio svegliarla, così mi tiro su dal letto senza fare rumore e vado in cucina.

Accendo una piccola luce e prendo un bicchiere d'acqua. Bevo lentamente, ma la testa è ancora piena di immagini del sogno. Non riesco a smettere di pensare a quello sguardo vuoto, a quella tristezza che sembrava così reale. Mi chiedo se anche lui, in questo momento, stia lottando con i suoi demoni.

Poso il bicchiere e passo una mano sul viso, tornando verso il letto, ma il sonno non vuole tornare, i pensieri mi assalgono. Continuo a pensare a ogni momento con lui, a come tutto sia finito in modo così confuso. Provo a scuotermi di dosso quella sensazione di vuoto, ma è più difficile di quanto pensassi.

Spero che il silenzio della notte mi aiuti a calmarmi. Sdraiato accanto a Jesse, cercando di non svegliarla, chiudo nuovamente gli occhi. Ma la mia mente continua a girare, come un disco rotto, ripensando a tutto. Le sue parole, i suoi gesti, i suoi comportamenti.

Solo dopo quella che sembra un'eternità, il mio corpo finalmente si rilassa. Mi aggrappo alla presenza di Jesse accanto a me, lasciando che mi riporti lentamente verso il sonno. Ma i pensieri rimangono lì, in sottofondo.

La mattina arriva in silenzio. La luce tenue che filtra dalla finestra mi sveglia prima che l'allarme del telefono possa farlo. Jesse è ancora accanto a me, distesa tranquillamente, e il suo respiro calmo riempie la stanza. Mi sento grato di averla accanto a me, di avere qualcuno che mi conosce e mi accetta, anche nei momenti più difficili.

Si sveglia poco dopo, stiracchiandosi lentamente. Mi guarda e sorride. "Come hai dormito?" mi chiede con voce ancora impastata dal sonno.

Mi sento un nodo nello stomaco. Non posso dirle del sogno, di come mi sono svegliato agitato e pieno di pensieri. Così le mento, anche se so che potrebbe capire. "Abbastanza bene," rispondo, cercando di sembrare convincente. "Grazie per essere rimasta."

Lei mi guarda per un attimo, come se stesse cercando di capire se le stia dicendo davvero la verità, ma alla fine sorride e non insiste. "Dai, andiamo a fare colazione."

Ci alziamo e andiamo in cucina, dove Jesse prende una confezione di latte dal frigorifero e prepara un paio di tazze. Io tiro fuori le fette biscottate e la marmellata. Ci sediamo in salotto, con anche il profumo del caffè che ha appena fatto che aleggia nell'aria. Non parliamo molto, ma la compagnia di Jesse è sufficiente a farmi sentire bene. È confortante, come se ogni gesto, per quanto piccolo, avesse lo scopo di farmi stare meglio.

Mentre mangiamo ci scambiamo sguardi complici ogni tanto, nuovamente senza la necessità di parlare. Non sono completamente solo, non finchè c'è lei.

Quando finiamo, mi sento un po' più tranquillo, ma so che è il momento di tornare a casa. Jesse, come sempre, capisce subito.

"Ti accompagno io a casa" dice alzandosi e prendendo le chiavi della macchina dal tavolino.

Il tragitto è tranquillo. Lei guida con calma, e io guardo fuori dal finestrino, osservando la città che scorre veloce. Jesse non fa domande, e per questo le sono grato. Sembra sapere esattamente quando parlare e quando no, come se sentisse che in questo momento ho solo bisogno di silenzio.

Arrivati sotto casa mia, spengo il respiro per un istante. "Grazie, davvero" le dico mentre scendo dalla macchina, la mano ancora sulla portiera. "Non so cosa farei senza di te"

Jesse mi sorride, quel sorriso caldo e sincero che mi ha sempre fatto sentire meglio. "Sai che ci sono sempre, no? Chiamami quando vuoi"

Annuisco e chiudo la portiera, guardandola mentre si allontana. Poi mi dirigo verso casa, pronto a rientrare in quella solitudine che, per quanto dolorosa, adesso so di poter affrontare un po' meglio, grazie a lei.



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