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"Chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo"

C'è un motivo per cui ogni giorno andiamo in piazza sempre alla stessa ora: sappiamo per certo che non troveremo i poliziotti e che quindi non avremo problemi. Ed è quello che abbiamo fatto stamattina, ci siamo svegliate alla solita ora, abbiamo mangiato delle cose che ci ha dato la mamma di Derek e siamo scese in piazza. Tutto andava come ogni giorno, poi abbiamo visto l'auto della polizia in lontananza e, velocemente, abbiamo raccolto le nostre cose e ora stiamo correndo verso non so dove. Non è la prima volta che ci succede, varie volte ci è capitato e siamo sempre riuscite a scappare. Ovviamente non siamo autorizzate a stare in piazza per cantare e ballare, per questo motivo scappiamo sempre quando li vediamo arrivare. Con la chitarra in braccio e la mano stretta in quella di mia sorella, corro il più velocemente possibile. Tante persone si lamentano perché gli andiamo incontro e per sbaglio facciamo cadere loro delle cose a terra, ma per fortuna alcuni ci capiscono e non dicono nulla. Dai loro sguardi noto anche che vorrebbero aiutarci, ma hanno troppa paura delle conseguenze. E io li capisco, nemmeno io metterei a repentaglio la mia reputazione per salvarne un'altra.

Il carnevale sta finendo, mi pare di aver sentito da qualcuno che oggi sarà l'ultimo giorno, per questo motivo ci sono molte meno persone; in tutto credo sia durato tre giorni. Alle nostre spalle, un po' più indietro, ci sono due poliziotti che ci inseguono e ci urlano di fermarci. Superiamo molte strade interne, di quelle che passano vicino ai portoni delle case, poi per impulso cambio direzione e mi infilo in una di queste stradine. Lo stesso fanno loro e ora a dividerci c'è troppa poca distanza.

<<Zoe che succede se ci prendono?>> chiede Alba con il fiatone.

<<Stai tranquilla e corri, andrà tutto bene, pensa a correre!>>

Non c'è praticamente nessuno in giro, solo noi quattro che corriamo verso chissà dove. Sembriamo dei bambini che giocano ad acchiapparello.

<<Zoe non ce la faccio più!>>

<<Corri!>>

Intorno a noi ci sono diverse case molto vecchie, di quelle che hanno superato chissà quanti secoli. Fuori sono decorate da delle pietre nere e grigie, mentre le porte sono in legno di una grandezza forse troppo piccola per una casa. Le varie case sono collegate tra loro da dei fili bianchi, dove sono appesi numerosi abiti bagnati che penzolano verso di noi e che ondeggiano al vento. Fuori alcune porte ci sono delle sedie di legno e anche qualche tavolo vecchio, credo usato per giocare a carte.

Mi piacerebbe un giorno imparare a giocarci.

Arriviamo alla fine della stradina, e ci rendiamo subito conto che non c'è una via d'uscita. Un grande e alto muro ci divide dalla nostra salvezza: un maledetto vicolo ceco. Ansimando lascio la mano di Alba e cerco un modo per scavalcare, ma ogni appiglio non sembra ideale per riuscire a reggere il mio peso.

<<Ferme!>> urla uno dei due poliziotti raggiungendoci.

<<Zoe e ora che facciamo!?>> Alba mi scuote il braccio e si posiziona dietro di me.

<<Che volete?>> dico raccogliendo tutto il coraggio che possiedo.

<<Voi non potete fare quello che vi pare in piazza senza un'autorizzazione dal comune di questo paese.>> dice l'altro, tirando delle boccate d'aria per riprendere fiato.

Oggi la giornata è calda, nonostante le nuvole grigie che coprono il sole, e i nostri due inseguitori sono completamente sudati. Non si sono ancora ripresi dalla corsa, a giudicare dal loro tono di voce. Sento Alba tremare dietro di me, quindi le stringo la mano per darle forza.

Sto per ribattere, ma dal nulla sbuca una figura che salta sopra le nostre teste e arriva a pochi metri dai due poliziotti. Loro arretrano sorpresi, e guardano la figura che sosta davanti a loro. Ha un mantello nero lungo e un cappuccio sul viso, e guarda i due uomini con le braccia incrociate. Mi è familiare la sua forma, ma non posso capire chi sia perché ci dà le spalle. Che sia il ragazzo delle rose?

<<Credo ci sia un malinteso, agenti.>> dice lui, la voce ovattata per via della maschera.

<<Nessun malinteso, queste due ragazze adesso verranno in centrale con noi.>> dice l'uomo senza capelli.

<<E perché?>>

<<Perché non possono fare ciò che fanno ogni giorno.>> sbotta l'altro, un uomo non molto grande, dalla carnagione scura e con un oggetto lungo e nero in mano, che non avevo mai visto.

La figura davanti a noi fa una risata un po' forzata per poi tornare serio, e dice: <<E quindi?>>

<<E quindi ora verranno con noi>> ribadisce uno.

<<Ne siete proprio sicuri?>> commenta avvicinandosi a loro.

<<Sì>> afferma deciso sempre quello. <<Fatti da parte se non vuoi finirci anche tu.>>

L'uomo passa oltre il ragazzo ma, prima di raggiungerci, dà una pacca sulla spalla di quest'ultimo. Lui non la prende molto bene, e afferra con una velocità quasi disumana il polso del poliziotto e lo fa arretrare, fino ad arrivare di nuovo di fronte a lui. Tengo stretta la mano di Alba, che guarda tutta la scena incuriosita ma anche paurosa. Io la proteggo dietro la mia schiena, da brava sorella che sono, e in caso di una rissa sono pronta a buttarla letteralmente dall'altra parte del muro. Una bambina non dovrebbe mai trovarsi a vedere cose del genere.

Vedendo quel gesto, l'altro uomo estrae da una tasca la pistola e la punta contro il ragazzo. Lui ancora tiene stretto il polso del poliziotto, il quale cerca in tutti i modi di liberarsi. Dalla sua faccia capisco che sta stringendo forse un po' troppo.

<<Lascialo subito andare!>> urla il poliziotto, reggendo saldamente la pistola. <<E togli la maschera, sei in arresto!>>

<<Questa maschera qui?>> sbuffa ridendo. <<Ora la tolgo e ti faccio vedere chi hai davvero davanti.>>

Con estrema lentezza leva la maschera e la lascia cadere ai suoi piedi. L'espressione del poliziotto cambia totalmente, insieme alla presa che ha sulla pistola. Ora trema e i suoi occhi esprimono paura. Allora il ragazzo ridacchia e con un solo movimento del braccio butta a terra la sua pistola, che saetta via lontana da loro. Anche l'altro uomo impallidisce e lascia stare i tentativi di liberarsi dalla presa. Velocemente il ragazzo scaraventa a terra quell'uomo e subito si butta sull'altro, che prende ad urlare terrorizzato. Senza pensarci un attimo di più prendo Alba per i fianchi, e lei capisce subito ciò che voglio fare. La sollevo fin dove la mia forza arriva, e lei agilmente riesce a scavalcare il muro. Prima di scendere dell'altra parte, mi tende la mano e io cerco velocemente un buon appiglio per i piedi, mentre alle mie spalle urla e rumori echeggiano nell'aria. Quando lo trovo, le passo la chitarra, mi do una spinta e prendo la sua mano, e con tutta la forza che ha riesce a farmi scavalcare e a raggiungere la sua stessa pozione. Per fortuna sotto di noi ci sono due cassonetti dell'immondizia pieni, quindi indico subito ad Alba ciò che deve fare e lei lo fa con altrettanta abilità. Quando giunge il mio turno, levo prima fuori i piedi e, quando quelli poggiano sulla spazzatura, mi lascio andare.

La camicia si intoppa in un chiodo, graffiandomi il braccio e costringendomi a stare ferma. Non riesco a slegarla, il chiodo si è incrinato e mantiene ben salda la stoffa logora dal tempo. Così non posso fare a meno di guardare la scena che si svolge davanti a me.

Il poliziotto dalla pelle scura è a terra in una pozza di sangue, gli occhi persi nel vuoto in una smorfia di eterno dolore. Il collo è spezzato, la testa piegata in una posizione innaturale con l'orecchio che tocca la spalla. Mi sforzo di trattenere un conato di vomito. L'altro sta indietreggiando a terra, la pistola troppo lontana da lui e il ragazzo con il mantello che lo segue lentamente. Il poliziotto gronda di sudore, le goccioline scendono dalle tempie e vanno a mischiarsi alle sue lacrime.

<<T-Ti prego.>> supplica. Un occhio viola che non riesce neanche ad aprire.

Il ragazzo ride, ride di gusto di fronte all'uomo che supplica per la sua vita. Il poliziotto giunge con le spalle contro il muro e si guarda intorno alla ricerca di una via di fuga. Un'imprecazione sfugge via dalla sua bocca.

<<I miei figli...>> biascica guardando il ragazzo. <<Sei un mostro!>>

Lui si inginocchia alla sua altezza e avvicina il viso al suo. Il cappuccio scivola via dalla testa e scorgo dei capelli neri un po' ribelli.

<<Indovinato.>> tuona, poi si butta sul collo dell'uomo.

Grida di dolore inondano il perimetro ed io cerco disperatamente di liberarmi il braccio. Il mio sangue cola dalla ferita imbrattando il vestito.

Finalmente riesco a liberarmi strappando l'intera manica, così scendo e raggiungo mia sorella che nel frattempo piange terrorizzata nel sentire le urla di dolore del poliziotto.

L'ultima cosa che vedo sono gli occhi rossi del ragazzo che mi guardano, il sangue scuro che cola dalla sua bocca.

. .. . .. .

Decidiamo saggiamente di tornare di corsa al capanno, e per la strada non abbiamo avuto tanta voglia di parlare. In quell'inseguimento abbiamo perso la coperta che usavamo per riscaldarci durante la notte, e, per come è la temperatura oggi, ne risentiremo molto durante questa sera. Abbiamo perso anche il cestino e Alba ha perso il nastrino blu che infila sempre nei capelli. Per fortuna il guadagno di quella mattinata lo avevo già messo nella tasca, altrimenti la fatica di quelle ore sarebbe andata totalmente persa.

Ed io cerco di dare un senso a ciò che ho appena visto.

<<Ho parecchia fame...>> sussurra Alba, poco distante dal capanno. Per fortuna non ha visto ciò che ho dovuto vedere io e non le racconterò mai niente.

<<Anche io...>> rispondo pensierosa. <<Facciamo così.>> la fermo e la guardo, quindi lei si ferma dopo di me. <<Ora tu vai a casa, accendi il fuoco e mi aspetti. Deve esserci rimasto qualcosa da stamattina, dovrebbe bastare per saziarti per un po'.>>

<<E tu? Dove vai?>> chiede.

<<Io vado a comprare qualcosa, vedo che posso prendere con questi pochi spiccioli. Non ti preoccupare per me, vai a mangiare.>>

<<Non lasciarmi sola...>> sussurra abbassando lo sguardo a terra.

<<Mancherò per pochissimo, te lo prometto. Al massimo trenta minuti, non di più. Ora vai paperella.>>

<<Stai attenta.>> mi sorride nel vago tentativo di convincere sé stessa a lasciarmi andare, e la vedo allontanarsi lentamente con la chitarra in grembo.

Mi volto e ripercorro i miei passi. Non avrei voluto lasciare Alba, ma ho bisogno di stare da sola per un po', a pensare a tutto ciò che è successo in due giorni. Non riesco a non pensare al fatto che io ora potrei condurre una vita normale, se solo non mi avessero presa 17 anni fa. Non so nemmeno se devo essergliene grata, non so quante probabilità c'erano che io non ne uscissi viva da li. Magari la mia vera famiglia è ricca, magari ho un fratello o una sorella che hanno ereditato tutto il patrimonio. Chissà se ancora qualcuno pensa a me, ad una neonata scomparsa nel nulla come scompare la condensa che si crea quando il calore esce dalla mia bocca.

La mia mente prende a vagare mentre cammino nella familiare strada che percorro ogni giorno. Immagino un fratello con i miei stessi occhi o i miei stessi capelli, e una sorella con i miei stessi gusti. Immagino tutti noi seduti ad un tavolo mentre mangiamo un pasto caldo e ridiamo e scherziamo sulle cose che ci succedono a scuola, a lavoro e con gli amici. A scuola sicuramente andrei benissimo, perché le cose le apprendo molto velocemente. Avrei tanti amici, una meravigliosa migliore amica e un migliore amico formidabile. La mia stanza sarebbe senza ombra di dubbio priva di ogni colore troppo chiaro, sarebbe stata nera, sempre se i miei gusti attuali sarebbero stati gli stessi. Poi avrei sicuramente un animale domestico, un cane, perché i gatti mi sono sempre sembrati antipatici. Ma soprattutto, avrei l'amore di due persone come punto di riferimento, che non sarebbero i miei genitori, ma probabilmente i miei zii.

E poi le urla di dolore di quell'uomo mi scuotono e le scene della lotta si infilano di prepotenza nella mia testa. Tento nuovamente di trattenere un conato. Ciò che ho visto è reale? Com'è possibile che un ragazzo sia riuscito a massacrare due uomini adulti?

<<Signorina desidera qualcosa?>>

Torno con i piedi per terra e fatico a credere di essere arrivata in una panetteria senza rendermene conto.

<<Si, grazie. Vorrei del pane e qualche panino.>>

La ragazza dietro al bancone non è molto grande, scommetterei che non ha più di tre anni in più di me. Ha i capelli biondi legati in una lunga coda di cavallo, un paio di occhiali da vista neri rotondi ed un grembiule bianco sporco di farina. Va a prendere le mie cose e le posa in un sacchetto, poi me lo porge e mi dice il prezzo. Le do tutte le monete che ho, e noto il suo sguardo un po' perplesso.

<<Mi hai dato quasi il doppio di quello che ti ho chiesto.>> dice sorridendomi.

<<Mi dispiace, sono così sbadata oggi.>> ammetto ricambiando il sorriso.

Mi squadra da testa a piedi e capisce cosa sono. Il suo sorriso si spegne e fa finta di andare nel retro per prendere un'ordinazione di un altro cliente, lasciandomi sola. Sono abituata a questo tipo di trattamento, a questo sguardo, così non ci do peso. Ho già i miei problemi a cui pensare.

Ripenso a ciò che ha detto prima che capisse che sono una senza tetto: le ho dato quasi il doppio di quello che mi ha chiesto, il che mi sembra molto strano, dal momento che altre volte avevamo guadagnato molto di più e Cole diceva che tutte quelle monete erano bastate per un solo pane e del formaggio. E ora sto addirittura tornando a casa con il resto. Quasi a pensarci mi viene da ridere, ma riesco a trattenermi. Come è possibile?

Poi una risposta mi piomba dal cielo. E se per tutti questi anni nostro padre ci avesse mentite sul costo delle cose che mangiavamo, e si fosse tenuto il resto? O se ancora spendeva tutti i soldi per qualcos'altro?

Non mi sorprenderebbe più di tanto. Ho vissuto una vita di sole menzogne e fame, e cosa mi aspettavo da un uomo che ha abbandonato due ragazzine?

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