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"Il destino è il tuo nemico, il tempo un pericolo."

La strada e gli alberi mi scorrono davanti ad una velocità che non avevo mai avuto modo di provare. I bei colori della natura non si vedono attraverso gli opachi finestrini di una lunghissima auto nera. È successo tutto così in fretta, un attimo prima stavo suonando la mia bella chitarra gialla, un attimo dopo due uomini in giacca cravatta e occhiali da sole scuri ci hanno fatte salire su questa macchina esteticamente ridicola, con dei finestrini scuri e una lunghezza fuori dalla norma. Credo sia una limousine, Derek me ne aveva parlato qualche volta. Ci sono dentro da appena dieci minuti e già non la sopporto. Troppo lunga, troppo spazio inutile. Però devo dire che i sedili sono molto comodi, rossi e neri, e in un angolo di tutti e dieci i posti a sedere ci sono dei bicchieri pieni di non so che tipo di liquido chiaro, con un odore che pizzica il naso. Sopra le nostre teste c'è una lampada, se così si possa chiamare, più grande della mia testa che illumina tutto il perimetro di una luce chiara ma al contempo opaca. Alba è accanto a me, sta studiando nei minimi particolari uno strano oggetto di vetro contenente del liquido rosso che si muove secondo i suoi movimenti. È divertente vederla concentrata su qualcosa che non ha mai visto, credo perché è raro che veda qualcosa intorno a noi che non aveva mai visto e ben osservato. Su un ripiano davanti ai sedili c'è del cibo, frutta e chissà cos'altro che non ha un aspetto molto invitante.

Davanti a noi c'è una televisione: dopo una breve musichetta compare un uomo con uno sguardo freddo e dei fogli nelle mani.

<<Sono stati rinvenuti due cadaveri questa mattina, riteniamo appartengano a due poliziotti di pattuglia nella zona. Il colpevole non è ancora stato identificato, preghiamo chiunque avesse visto qualcosa di chiamare il seguente numero.>> una serie di numeri compaiono sullo schermo. <<Le parole della moglie di uno dei due poliziotti.>> dallo schermo scompare l'uomo e compare una donna di colore in lacrime. <<Il colpevole pagherà per questo, pagherà!>> urla, dilaniata dal dolore.

Diego spegne la televisione e increspa gli occhi.

È di fronte a noi, guarda fuori dal finestrino, sovra pensiero, con un bicchiere trasparente poggiato sulle labbra. Ha finalmente tolto la maschera e con questa strana luce riesco a vedere ogni particolare del suo volto. La cicatrice è davvero brutta e credo anche molto grave, deve aver fatto un gran male. Gli occhi azzurri scrutano il nulla su una strada che ovviamente non avevo mai visto prima, formata da tantissimi alberi di varia grandezza. Le labbra poggiano delicatamente sul bicchiere, ma non sembra abbia voglia di berlo. Il naso è lungo e stretto, le sopracciglia formano un solco in mezzo agli occhi quando è pensieroso. Le mani piccole, le unghie lunghe ma non troppo, un anello rosso su un dito e zigomi spigolosi. Non riesco a credere che è un assassino.

<<Così mi consumi, fiorellino.>>

Le sue parole mi fanno sobbalzare e stacco lo sguardo da lui. Non mi ero resa conto che lo stavo fissando.

<<Quanto manca?>> chiedo.

<<Circa trenta minuti.>> risponde, gelido, non guardandomi.

Sbuffo e sprofondo nel sedile. Che noia. Potrei provare a concentrarmi sulla trasmissione in onda sul televisore, ma non ne ho molta voglia. L'ho già vista in passato, la televisione, in compagnia di Derek. Era un cartone animato con dei protagonisti dalla carnagione gialla e con delle buffe voci. Derek non faceva altro che ridere alle loro battute, mentre io non riuscivo a capirle, quindi sorridevo e facevo finta che mi stesse piacendo.

Gli occhi corrono su tutto il perimetro e si posano su un cuscino bordeaux, posato quasi per sbaglio su uno dei sedili in fondo. Ha due rose ricamate, una nera e una bianca, che si intrecciano l'una con l'altra. Mi è così familiare l'armonia dei colori, la delicatezza dei petali bianchi e la durezza di quelli neri.

<<Quello è lo stemma di famiglia.>> afferma Diego distraendomi.

<<Si, avevo immaginato una cosa del genere.>> passo una mano nei capelli e li arrotolo dietro la testa. <<Molto bello, comunque.>>

<<Lo so.>>

Si alza e si dirige verso l'inizio della macchina, poi apre una finestra interna e dice qualcosa all'autista che non riesco a capire. Sembra quasi un'altra lingua.

<<Manca poco.>> dice poi, risedendosi.

<<Quindi sei davvero un vampiro?>>

La domanda di Alba mi sorprende, ma non la riprendo, voglio sentire la sua ridicola risposta.

<<La mia famiglia è la più potente tra tutte, solo questo dovete sapere. Mio padre è il Re, io sono il suo erede, prossimo al trono.>>

Accavalla le gambe e ci guarda con il suo sguardo gelido. Sembra che si diverta a vederci curiose di sapere e non ricevere le giuste risposte.

<<Cazzate.>> affermo dopo un po', incrociando le gambe a mia volta.

Un ghigno compare sul suo volto. <<Non credermi, avrai modo di capire bene con chi hai firmato la tua condanna a morte.>> passa una mano tra i capelli neri come il carbone, che subito tornano al loro posto. Poi vedo il suo petto alzarsi molto lentamente, annusa l'aria e alza leggermente un po' di più il viso. <<Siamo arrivati.>>

Qualcuno ci apre la portiera dell'auto e Diego si alza. È notte ormai, per questo motivo non ci sono molte luci fuori dall'auto. Sto per fare un piccolo passo, quando Diego mi afferra da un braccio e mi fa voltare. "Prima le più piccole."

Alba sembra non pensarci molto, e scende curiosa di vedere cosa la aspetta.

<<Che vuoi?>> ringhio liberandomi dalla sua presa. Avevo intuito che c'era qualcosa che volesse dirmi.

Diego alza un angolo della bocca. <<Da questo momento in poi tu sarai una domestica, la mia schiava, precisamente. Da questo momento in poi tu dovrai portarmi rispetto.>>

Prende di nuovo il mio braccio, ma stavolta mi tiene stretta, per dimostrarmi tutta la sua forza.

<<Cosa vuole, sua maestà?>> mi sforzo di dire, non nascondendo l'ironia.

Stringe gli occhi, si vede che vorrebbe dirmi ben altro, ma c'è qualcosa che lo trattiene.

<<Prega giorno e notte di non vederci mai nelle nostre reali sembianze.>> sussurra al mio orecchio, mettendomi i brividi. <<Potresti non uscirne viva.>> conclude.

Mi libero di nuovo dalla sua strettissima presa e scendo dalla macchina. Vuole solo spaventarmi ed io lo so bene.

Quello che vedono i miei occhi, la mia mente non aveva mai provato ad immaginare. Un palazzo enorme sorge di fronte a me, il più alto e grande che io abbia mai visto. Mi sento così piccola in questo momento, così inutile davanti a tale bellezza. Le lunghe e rettangolari finestre sono numerose e di ogni misura, alcune dotate anche di ampi balconi. Delle scale che sembrano non finire più portano ad un portone altissimo, credo in legno, e per la strada ci sono dei rampicanti verdi tappezzati da boccioli di rose nere. Mi volto e mi rendo conto che per entrare abbiamo varcato un cancello in ferro, anch'esso altissimo e imponente. Ai lati del palazzo sorgono file e file di alberi verdi, che conducono in un punto così lontano che non riesco a vederlo. Alba è incantata quanto me, ma contrariamente alla mia espressione, lei sorride e i suoi occhi esprimono ammirazione e felicità. Io sono curiosa di vedere l'interno, ma al contempo vorrei rimanere qua fuori ad esplorare centimetro per centimetro di questa meraviglia. I due uomini che ci hanno portati qui stanno parlando con Diego, non so di cosa, sono troppo concentrata a godermi il panorama.

<<Benvenute nella dimora del Re.>>

Diego ci sorpassa e, per non perderlo di vista, ci affrettiamo a seguirlo. Non abbiamo bagagli, ci hanno fatto lasciare la chitarra in quel capanno e non possediamo abiti da mettere in valigia. Diego cammina spedito verso l'ingresso, solcando le numerose scale come se in realtà fossero appena tre o quattro, mentre io sono all'inizio e sono già stanca. Arriviamo finalmente alla fine, con un po' di fiatone e tanta curiosità. Sul grosso portone c'è un enorme parola scavata nel legno, di cui ovviamente non conosco il significato. Diego bussa alla porta, ben tre colpi secchi e decisi.

<<Se questa è casa tua, perché non hai nemmeno le chiavi?>>

Non sembra far molto caso alla mia provocazione, si limita ad aspettare che qualcuno ci venga ad aprire. La porta dell'ingresso si spalanca e compare una figura alta e dritta, con degli occhiali tondi sugli occhi e un completo nero con una camicia bianca. I capelli sono anch'essi neri, tirati all'indietro non permettendo alcun movimento non autorizzato da sé stesso. Le spalle sono ben dritte e ci guarda alzando un sopracciglio, che chiaramente significa 'e adesso queste chi sono?'. Non può dare sfogo ai suoi pensieri, si capisce dalla sua espressione.

<<Principe Diego, già di ritorno?>> chiede e fa una cosa che non mi sarei mai davvero aspettata di vedere: si inchina davanti a lui.

<<Si Hobbes, sono appena tornato. Dov'è mio padre?>>

<<Temo non sia un buon momento, mio principe. Nel salone principale è in corso una lite molto accesa. Non vi so dire il motivo, naturalmente.>>

La sua voce è tesa e inespressiva, perfezionata da chissà quanti anni di lavoro. Mi chiedo da quanto tempo sia chiuso in questo palazzo.

<<Grazie Hobbes, puoi ritirarti.>>

Abbassa la testa e si inchina di nuovo, poi si posiziona su un lato, con una mano sulla maniglia della porta, già pronta per chiuderla appena noi saremo andati via. Diego prosegue e noi lo seguiamo, guardandoci intorno. Il portone si chiude alle nostre spalle, e sento il rumore delle scarpe di Hobbes subito dopo di noi. Siamo ammaliate da tanta bellezza, il lungo corridoio è tappezzato da quadri di uomini di bell'aspetto, tutti della stessa grandezza. Qualche porta chiusa corona il tutto e, nonostante il perimetro sia privo di finestre, c'è una particolare bellezza che lo contraddistingue. Ma insieme alla bellezza, una sensazione di timore mi assale. Saranno i colori, scuri e opachi, oppure la sensazione di essere osservata dai numerosi quadri di gente sconosciuta, vestiti tutti con abiti di epoche diverse. Stringo la mano di mia sorella, e lei ricambia il gesto. Ci diamo coraggio l'un l'altra, come facciamo ormai da tantissimi anni.

L'uomo alla porta aveva detto che era in corso una lite, eppure io non sento voci provenire da questo salone di cui ha parlato. Il corridoio lungo prosegue fino ad una grossa porta con delle decorazioni credo in oro, ha una maniglia ben lavorata e di una strana forma che non saprei descrivere, ma la cosa che mi colpisce di più è che non si apre come una normale porta, bensì è come se ne avesse due, che si spingono dal centro e si aprono all'unisono. Diego la spinge con l'aiuto di una sola mano e davanti a noi si apre una vastissima area di puro lusso. Mai avrei creduto di ammirare tale sciccheria, e ora tutto ciò è diventata casa mia. Cinque divani neri lunghissimi posizionati in perfetta armonia, un televisore così grande che sembra di essere al cinema, dei lampadari che pendono verso di noi dotati di eleganti gemme dove prevale il colore bianco, delle finestre altissime ricoperte da delle pesanti tende scure, e infine, un angolo appartato dove sono posti una marea di bottiglie di ogni genere e colore. Ogni cosa è decorata con oro, ogni minimo dettaglio di tutta l'enorme sala.

Mi sento quasi svenire davanti a tutto ciò. Io vedo tutto questo lusso, ma di certo non vedo persone.

<<Siete rimaste senza parole eh? E immaginate il salone principale, questo è solo un piccolo assaggio.>>

Diego di nuovo prende a camminare e noi lo seguiamo, sempre con la sensazione che ci sia qualcuno alle nostre spalle. Arriviamo ad un'altra porta, molto simile a quella di prima, e Diego spinge anche questa con una tale facilità da farmi rimanere di stucco. Le porte si aprono e mi rendo conto che tutto ciò che avevo visto prima non era niente in confronto a questo. Stavolta però la prima cosa che noto sono delle persone che parlano, alcune sedute su dei grossi e dall'aria comodi divani e altre in piedi, visibilmente alterati. Si vede che stanno litigando. Sopra le nostre teste c'è un lampadario grande il doppio di quello precedente, simile nei colori all'altro. Le pareti nere sono tappezzate di quadri altissimi che ritraggono cose che non riesco a capire, cose che vanno ben oltre le mie capacità. Anche qui ci sono le finestre alte e lunghe, con delle tende bordeaux ricamate con delle rose bianche e nere. Un'altra televisione grandissima, un altro spazio riservato a delle bevande, ma più grande. Altri divani, ma stavolta rossi e più numerosi. Sotto i nostri piedi c'è un lungo e pesante tappeto rosso che si intona perfettamente a tutto il resto. Tutto, tranne alcuni particolari, è coperto da oro, tutto quanto sembra essere stato immerso in vasche piene di oro.

<<Diego! Finalmente sei tornato, continuano a dire che...>>

Una donna corre verso di noi e abbraccia il ragazzo. Smette di parlare quando si accorge di me e Alba e toglie le mani da Diego, osservandoci. Osservando me. Tira un lungo respiro come per annusare l'aria, poi sorride radiosa.

<<La cena di stasera ha davvero un odore invitante.>>


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