3 luglio 1676

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Galatea socchiuse gli occhi e scorse Ottavio davanti a sé; c'era qualcosa, però, che non le tornava e, benché la mente fosse ancora offuscata dal sonno appena infranto, quella sensazione si faceva sempre più nitida. Si coricò prona, puntò i gomiti nel materasso e si sollevò un poco. Nel farlo, gettò un'occhiata alla propria destra, dove sarebbero dovuti essere l'orlo del letto, la cornice lignea e poi la parete. Ripiombò di colpo giù, chiudendosi tra le spalle, sbirciando a malapena; Ferraris dormiva placidamente accanto a lei.

Guardò nuovamente a sinistra, per assicurarsi di aver visto bene; Ottavio da un canto, Ferraris dall'altro, il primo vicinissimo, il secondo un po' discosto. Mosse gli occhi su entrambi senza sapere cosa pensare di loro. Perché quella strana situazione? Forse, rincasando, l'avevano trovata già in mezzo al materasso e avevano deciso di non svegliarla. Questa era l'unica spiegazione.

Galatea scivolò istintivamente dalla parte di Ottavio finché non sentì il contatto del suo braccio contro il fianco; quel movimento fece sussultare il materasso e Ferraris, disturbato, socchiuse gli occhi. Di certo non portava la benda di notte, ma la penombra camuffava la cecità dell'occhio destro. Quando poi fu ben sveglio e si fu accorto che anche lei lo era, si premurò di nascondere la propria disabilità affondando la guancia nel cuscino.

«Madama...» sussurrò sorridendole. Lei si mostrò timida, abbassò lo sguardo e si fece piccola piccola. Lui, al contrario, si ringalluzzì e, fremendo, domandò: «Dorme?»

Galatea non si accorse di stare annuendo. E la pupilla di Ferraris brillò, il suo sorriso si distese meglio sul viso. Strisciò a propria volta per farsi più vicino e, strisciando, gemette di proposito in modo che lei lo sentisse. Si inumidì le labbra, le mordicchiò, quindi, quando l'ebbe chiusa tra sé e Ottavio, sollevò una mano e le accarezzò la guancia. Lei non si sottrasse; chiuse semplicemente gli occhi. Percepì il suo tocco delicato, premuroso e pur così ardente. Il suo palmo era caldo e liscio, piacevole sulla pelle.

La mano di Ferraris si spostò sulle sue labbra e lei reagì infastidita all'inevitabile solletico; lui ritrasse il braccio per poi posarlo pian piano sulla sua schiena.

«Alessandro... vi prego...» si lamentò, ma buona parte della sua voce si perse nella coltre del cuscino contro cui aveva premuto il viso al sommo dell'imbarazzo.

«Shhht... Non c'è nulla di male, no?»

«Non saprei. Ottavio non ne sarebbe contento...»

«E chi lo sa?» ammiccò malizioso. E il suo braccio si insinuò sotto le lenzuola e scivolò giù. Galatea mugolò sommessamente e lui ne rise, pizzicandole il fianco sinistro.

«Basta, Alessandro. Non sono cose da fare, queste», ribadì, stavolta con tono più netto. Ferraris annuì, alzò il braccio e con esso le lenzuola, scoprendole la schiena fino alle anche. Galatea si risollevò sui gomiti, in atto di chi voglia porre fine a una tiritera noiosa; ma Ferraris la spiazzò, allungando la mano a cercare Ottavio.

«Che cosa fate adesso?» domandò nervosa, chiudendo i pugni nelle lenzuola. Lui non le rispose, afferrò il polso destro del marchese e abbandonò la sua mano in fondo alla schiena di lei, che ammutolì all'istante. Probabilmente avrebbe voluto ripetere la domanda, ma il gesto inaspettato la sorprese.

«Ora vi sentirete più a vostro agio, madama. Lui può», disse Ferraris. «Ma io non faccio nulla di male a toccarvi più su», e mentre parlava le rimboccava il lenzuolo fino al collo e vi nascondeva di nuovo il braccio sotto, assestando la mano tra le sue spalle. Tuttavia, il suo modo di toccarla era tutto fuorché distaccato o soltanto affettuoso e Galatea se ne rese subito conto. Allo stesso tempo percepì un lieve movimento delle dita di Ottavio sul gluteo destro, come se, nel sonno, avesse compreso la situazione.

«Voi due mi nascondete qualcosa», sussurrò storcendo il naso. Ferraris prese un respiro e: «Trovate ancora scomodo il materasso?»

«No.»

Al risveglio, qualche ora più tardi, Galatea rimase seduta a letto mentre gli uomini si rivestivano guardandola di sottecchi. Ottavio le sorrideva rassicurante quando i loro sguardi si incontravano per caso; Ferraris, invece, restava serio, parlandole in altri modi, attraverso le sensazioni, i movimenti impercettibili.

Allo scoccare delle sei, Ottavio socchiuse la porta. «Vado, Tea. Forse tornerò a casa per il pranzo», si congedò traendo una focaccia dalla madia per fare colazione lungo la strada. Lei annuì soltanto, senza muoversi dal letto. Ferraris, nel frattempo, aveva svegliato i bambini, aveva fatto loro detergere viso e braccia in una tinozza d'acqua fredda e li aveva fatti vestire, quindi aveva promesso di portarli a fare una passeggiata. Pronto, con il borsello dei soldi alla cintura per comprare qualche dolcetto, si affacciò nella camera da letto e trovò Galatea sempre lì, in mezzo al materasso, le lenzuola tirate sul petto e lo sguardo vacuo.

«Andiamo anche noi,» le annunciò, «devo comprare qualcosa?»

Galatea si volse, esitò, quindi scosse la testa abbassandola progressivamente. Ferraris si sentì attratto da lei in modo irresistibile; avanzò piano, raggiunse il letto, vi si sedette. Lei lo scrutò per tutto il tempo, studiando la sua gestualità e il suo atteggiamento, senza abbandonare mai un'espressione mista di diffidenza e curiosità.

«Volete uscire anche voi? Una passeggiata vi farà bene», disse lui, prendendole la mano. Lei guardò in giù e non rispose. Ferraris, allora, si rialzò, andò alla porta e ordinò ai bambini di scendere in cortile ad aspettare. Dopo qualche risata e qualche strillo, tutto ritornò calmo e silenzioso; solo l'eco delle voci della piazza li raggiungeva attraverso le finestre aperte della cucina.

«Alzatevi, su. Non vi lascerò qui a poltrire nella vostra pigrizia», la esortò, prendendola in giro. Le fu subito incontro, le prese entrambe le mani e la tirò dolcemente fino all'orlo del letto; solo in quel momento lei cominciò a fare resistenza, perciò Ferraris si inginocchiò a terra e abbandonò le braccia sul materasso, non troppo lontane dalle sue cosce. Galatea, pudicamente, si copriva il seno con il braccio, sebbene la camicia fosse spessa e null'altro giustificasse quella premura.

«Voglio sapere che cosa vi siete detti ieri sera», asserì con voce e volontà fermissime. Ferraris sospirò, lasciando intendere che l'argomento fosse a buona ragione segreto; Galatea inclinò la testa in atteggiamento tipicamente materno; l'altro si sentì sotto pressione e ammise: «La vita è noiosa qui».

«Siete evasivo, signor Ferraris», lo rimproverò alzandosi. Gli passò accanto, diretta al cumulo di vestiti che aveva lasciato in disordine sulla cassapanca la sera precedente. Ferraris la fissò per tutto il tempo e lo fece in maniera tale da non poter passare inosservato. Galatea avvertì su di sé la potenza di una passione mai sopita e mai rinnegata e ne fu quasi lusingata.

«A cosa pensate?» le venne spontaneo dire, senza intenzioni realmente provocatorie. E quando gli ebbe dato le spalle si morse le labbra, pentendosi di avergli dato corda.

«Penso», rispose lui con civetteria, «che è un vero peccato, in certi casi, avere un occhio solo.»

Galatea si morse di nuovo, questa volta il dito indice, e trattenne il respiro. Lo sentì risollevarsi, fare due passi. Le posò le mani sulle spalle seminude, immerse le dita nella sua carne morbida e cominciò a massaggiarla.

«Spero di non essermi arrugginito dopo tanti anni senza esercizio», sussurrò, alludendo al periodo della sua prima gravidanza. Galatea chiuse gli occhi e si appoggiò al muro di fronte con le mani; una lacrima ruzzolò sulla sua guancia sinistra, subito seguita da altre che le rigarono il volto. Ferraris se ne accorse, ma non desistette.

«Siete bella, madama,» le disse ancora, rinvigorendo la presa sulle sue spalle, «e gli uomini di tutto il mondo farebbero a gara per conquistare un vostro sorriso.»

Le lacrime si moltiplicarono, accompagnate da una leggera scossa di capo e da un brivido. «Io non sono più bella e le vostre attenzioni mi mortificano», replicò, la voce rotta dai singhiozzi trattenuti.

Ferraris non si diede per vinto: «Se un candido cigno dovesse riflettersi in uno specchio rotto, penserebbe d'essere un'idra spaventosa, ma resterebbe comunque un bellissimo, candido cigno. Non credete?»

Galatea, ora, non rispose e lasciò che lui continuasse il massaggio, cominciando a percepirne i benefici. Si rilassò, il respiro si distese più regolare e le lacrime smisero di gocciolarle dalle ciglia. Sussultava sotto le manovre energiche, sempre appoggiata alla parete; e ora, tornata tranquilla, udiva gli ansiti di lui che prima erano camuffati dal suo pianto. Assecondando quella che le sembrava essere la sua tendenza a spingerla contro il muro di fronte, pian piano vi si appoggiò tutta, tenendo le braccia piegate e le mani all'altezza del viso. Con la guancia destra premuta contro l'intonaco freddo e un po' umido, si guardava indietro e contemplava il viso di Ferraris lievemente contratto dalla fatica e dall'impegno che profondeva nel massaggio. Avvantaggiato dalla nuova posizione di lei, spostò le mani dalle sue spalle alla schiena, quindi ai lombi, con l'intenzione di portare a termine il lavoro nel migliore dei modi; dopo qualche minuto Galatea, sopraffatta dalla calda sensazione sui muscoli, chiuse gli occhi e sospirò di piacere. E Ferraris, in quel preciso istante, si schiacciò tutto contro di lei, le mani salde sulle sue anche, le gambe leggermente divaricate, e le stampò un bacio sonoro su quella guancia offerta senza schermi né pudore; le sue labbra premevano ancora contro la sua pelle e lui decise di sovrapporre le proprie mani alle sue e di spingere il bacino in avanti finché poté. Rimasero alcuni istanti in quella posizione con il respiro in affanno, il tiepido contatto dei corpi e la dolce sensazione di libertà e liberazione. Lui la baciò ancora, la sentì fremere e rabbrividire, poi, rispettoso, si fece da parte. Lei mandò un altro paio di sospiri ad occhi chiusi, quindi si riscosse e si accinse a vestirsi. Rimasero zitti per il resto del tempo; solo quando furono sulla soglia, sul punto di uscire, Galatea si rivolse nuovamente a Ferraris e gli disse: «Non faremo parola di questo a Ottavio, vero?»

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