3 luglio 1676 pt. 3

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«Che cos'è quella faccia buia? Avete litigato con la mogliettina? Non mi dite che vi ha buttato fuori dal letto!»

Ottavio tirò la barra e quella fu l'unica risposta che diede alle insistenti domande di Bastiano. L'aveva stuzzicato tutto il giorno, indugiando ai doppi sensi più a lungo del solito. Era come se godesse nel vederlo abbattuto per via di Galatea; non aveva fatto parola dei problemi famigliari, eppure il battitore sembrava più che certo di ciò che diceva.

Anche Nicolò, che talvolta gli dava corda, si era bell'e stancato di starlo a sentire; perciò, all'ennesimo riferimento ambiguo, sbottò: «Vuoi piantarla con queste schifezze? Giuro che se non ti tappi la bocca da solo, ti faccio ingoiare la mazza».

Nicolò era mingherlino, niente affatto minaccioso nemmeno quando si arrabbiava; Bastiano rispose con una sonora risata e un sarcastico battere di mani. «Qui parla l'invidia, ragazzo mio! Scommetto che non hai mai visto una donna nuda in vita tua», lo derise con una smorfia. Il compositore, arrossendo, lasciò andare la forma e i caratteri si sparsero sul pavimento.

«Ne ho viste eccome, ne ho viste più di quante ne abbia viste tu!» gridò e le vene del collo gli si gonfiarono tutte. Bastiano rise ancora più forte, si sganasciò letteralmente, poi indicò Ottavio e disse: «Sta' certo che qui l'unico che vede una donna nuda ogni sera è il nostro dottore».

Ottavio contrasse il viso con ira, strinse i denti e, sporgendosi oltre il torchio, brancò il polso di Bastiano e lo strattonò, facendogli perdere l'equilibrio. L'uomo incespicò e si scontrò con il macchinario, appoggiandovisi di peso; trasse indietro il braccio, liberandosi dalla presa dell'altro, e la sua faccia assunse un'espressione animalesca. Chiuse i pugni, strizzò gli occhi e gli ringhiò contro; Ottavio non si fece intimidire e, anzi, inspirò tutta l'aria che poté e si preparò alla lotta.

Bastiano allungò la mano grugnendo, puntando al collo; l'altro si scansò di lato, pronto ad aggirare il torchio per ricambiare il favore con meno ingenuità. Il trambusto, però, aveva attirato l'attenzione del libraio e del maestro, che in quel momento si trovava in libreria. Irruppero in officina con gli occhi fuori dalle orbite e Robertone per primo si mise in mezzo a sedare la rissa. Bastiano, contro ogni logica, si avventò contro il maestro; in quanto a corporatura, i due erano alla pari e la cosa sarebbe andata per le lunghe senza l'intervento di Diodato e Nicolò. Ottavio preferì rimanere in disparte.

«Che cosa ti è preso, bestia d'un matto?!» tuonò Robertone quando riuscirono a separarlo da Bastiano; quest'ultimo, massaggiandosi le braccia, brontolò: «È lui il matto, qui. Chiedete a lui».

Robertone lanciò un'occhiata a Ottavio, che da parte sua non scaricò la colpa, ma si limitò a dire: «A differenza sua, io sono stato provocato».

«Si parlava di femmine, ecco. Quelle sporche femmine non fanno che creare problemi!» sbraitò Bastiano gesticolando animatamente.

«Vai a farti un bagno freddo nel mare e torna quando ti sarai calmato!» tagliò corto Robertone e Bastiano, bestemmiando sottovoce, si avviò alla porta e, una volta fuori, sbatté l'uscio alle proprie spalle.

«Affoga, che è meglio...» sbuffò Nicolò, chinandosi a raccogliere uno per uno i caratteri sparsi a terra. Robertone si tirò su le maniche della camicia e afferrò le mazze, mentre Diodato si lamentava da solo del caratteraccio di certe persone. La giornata proseguì tranquilla da allora fino alla chiusura della bottega; Robertone delegò il riordino e la pulizia degli strumenti e lasciò la stamperia nelle mani dei due giovani dipendenti. Approfittando dell'assenza di Bastiano, Ottavio cercò di parlare un po' a tu per tu con Nicolò.

«È sempre stato così?» domandò, senza bisogno di specificare il soggetto. Il compositore fece spallucce, poi, riponendo la forma pronta per la stampa del giorno dopo, disse: «Sì, più o meno. Ce l'ha sempre avuta con le femmine e tutti lo prendono in giro perché ha trentaquattro anni e ancora non s'è sposato. Dicono che tempo fa avesse una tresca con qualche ragazza, ma non ne è uscito mai niente. Che si può fare? È così...»

Ottavio schiarì la voce e cambiò discorso: «E tu, Bastiano a parte, come te la passi? Non hai una ragazza per la testa?»

«Ne ho più di una, signore.»

«Furbo, vedo», constatò per accattivarselo. «E dimmi, sono qui a Vallebruna o a Trestalli? So che è da lì che vieni...»

«E spero di non tornarci mai più, francamente. Le mie ragazze sono tutte qua.»

«Come mai tanto astio? Non hai la tua famiglia là?»

Nicolò sbuffò di nuovo gettandosi un mantello leggero sulle spalle; Ottavio indossò la giacca con la segreta speranza di non aver osato chiedere troppo.

«Da quando si è risposato, mio padre non ne vuole più sapere di me. Pensate se si può cacciare il proprio figlio di bottega quando ha appena ricevuto l'attestato di compositore! Mi ha detto che dovevo farmi le ossa, che la casa era troppo piccola, che bisogna viaggiare e farsi conoscere. Ho girato il ducato senza trovare un impiego e se non fosse stato per mio zio sarei peggio di un mendicante.»

Ottavio si scrollò di dosso una sottile patina di polvere e raggiunse la porta di servizio; proprio in quell'istante, Diodato si affacciò e disse che avrebbe serrato lui l'uscio in assenza di Robertone. I due dipendenti salutarono e uscirono in strada: Nicolò alloggiava sopra la libreria, ospite dello zio, perciò prese la direzione delle scale, mentre Ottavio si avviò sulla strada di casa.

«Mi dispiace,» borbottò, attardandosi, «ma guarda il buono della faccenda: hai un posto sicuro dove stare e la speranza di poter affiancare Robertone, un giorno. Fai esperienza qui, dove tutto è tranquillo, e poi guarda pian piano sempre più lontano.»

Nicolò aveva già salito i primi tre gradini della scala di legno, ma, aggrappato al corrimano, si volse per rispondergli: «Signore, è più difficile di quanto sembri... Neanche Bastiano ci credeva, finché non ci ha parlato di persona, con mio padre».

«Si conoscono?»

«Erano compagni di bevute! Ma tutti si conoscono nel mestiere. Serve per mettersi d'accordo e non stampare tutti le stesse cose e per tenere lontani i nuovi arrivati che vogliono aprire bottega e rovinare i mercati», spiegò il giovane, facendo ancora qualche gradino. «Non credo però che vi importi poi tanto di queste cose.»

«Al contrario,» ribatté Ottavio, fermandosi con le mani sui fianchi, «mi interesso un po' di tutto, in realtà. Ditemi, non avete considerato di lavorare per il Fiordaliso?»

«Sono loro che non mi hanno preso per paura che indirizzassi i clienti a mio padre piuttosto che servire bene loro. Con tutto che ho fatto pure l'apprendistato da loro sotto regolare contratto, come nelle grandi città, e non ho mai sgarrato i patti.»

Ottavio lo guardò con ammirazione e il giovanotto si inorgoglì, benché parlasse di argomenti sgradevoli. Il marchese, deciso a servirsi di tutta la confidenza che gli era concessa, assunse un'espressione complice e domandò con impertinenza: «E quand'è che si è risposato, tuo padre?»

Nicolò abbozzò un'espressione di indifferenza, poi, dopo una pausa, rispose: «Credo fosse luglio; quest'anno dovrebbero essere sei anni; han fatto subito un bambino e a pioggia dietro altri quattro, uno per anno». Poi, alzando la testa e usando della stessa confidenza, sorrise notando: «Voi non siete stato prolifico, signore».

«Ho dovuto fare attenzione... Non è facile sfamare tante bocche senza un soldo», ammise con un ghigno malizioso.

«Ditelo a mio padre: ha rischiato di chiudere la bottega e non ha smesso di figliare, manco che sua moglie fosse una scrofa.»

Ottavio si schiarì la gola e passò una mano tra i capelli, poi guardò al sole prossimo al tramonto. «Vuol dire che la donna è giovane e forte, se può badare a tante bocche», constatò, dissimulando sempre meglio il crescente imbarazzo.

Nicolò tirò su con il naso, quindi gli disse che sì, effettivamente Rosina – così si chiamava la matrigna – era un tipo dalla salute robusta. «Ha fatto la sua parte di gavetta nella locanda dell'Oca storta a Trestalli ed era corteggiata da tanti.»

«Vuoi dire che era la figlia del locandiere?» domandò, ricordandosi di quanto aveva detto Ferraris il giorno prima.

«No, no! Lei è orfana; Cecco Stracci non è suo padre, ma l'ha allevata come se lo fosse. Ha persino pagato di tasca propria una bella dote alla fortunella.»

«Ah, la dote! Un bel respiro, davvero. Parla uno che non ha mai visto un soldo da quella parte.»

«Vi assicuro che mio padre ha tirato il fiato per un anno grazie alla dote e ora campa perché gli affari della locanda vanno bene. I suoi libri, in compenso, fanno schifo.»

«Spero non si arrischi a stampare libri proibiti...»

Nicolò agitò una mano davanti alla bocca, ridiscese giù alla strada e venne vicino a bisbigliare: «Tutti lo fanno, anche noi, solo che mio zio non si fida a farveli leggere. Io so che voi siete una persona dabbene e non vi nascondo nulla. Mio padre è stato multato forte sei anni fa ed è per quello che ha quasi perso la bottega: ha smesso? No! Non so cosa l'abbia fatto andare avanti e non so perché Cecco gli abbia dato la Rosina e la dote e perché si sia associato a una stamperia così malmessa».

Il compositore avrebbe aggiunto volentieri qualche altra considerazione, ma la moglie del Rossi si sporse sul ballatoio della scala, guardò giù e chiamò con voce stridula: «Nicolò! Nicolò, muoviti a salire, che si fredda la minestra e poi tuo zio ti apre quella testaccia a mani nude!»

Nicolò scrollò la testa, si scusò e salutò in fretta; in un batter d'occhio fu in cima alle scale e un secondo dopo la porta si chiuse con lo schiocco del chiavistello. Ottavio se ne tornò a casa mentre il sole gettava gli ultimi raggi come cime agli ormeggi; le mani nelle tasche, la faccia scura e bassa, il marchese ragionava tra un pensiero e l'altro, tra un sospetto e l'altro, convincendosi passo dopo passo che la combutta tra Bastiano e il collega di Trestalli andasse più in là di qualche bicchiere di vino.

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