3 luglio 1676 pt. 4

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I bambini dormivano; Ludovica si era addormentata sul suo cumulo di stracci e paglia prima ancora che suo padre e Ferraris avessero cessato di discutere delle ultime scoperte: Ottavio aveva insistito particolarmente a dire che prima era venuta la multa e poi il matrimonio, ma ciò che gli premeva di più era la conoscenza tra Bastiano e Marco Raspante. Sembrava non potesse pensare ad altro. Ferraris, dal canto suo, si mostrava abbastanza convinto del fatto che Bastiano non entrasse affatto nella faccenda e che piuttosto fosse Nicolò a dover essere tenuto d'occhio.

Galatea pose fine alla discussione annunciando che sarebbe andata a dormire e che, in caso la cosa fosse andata per le lunghe, li avrebbe cacciati sul pianerottolo o sul balcone, perché i bambini non avrebbero potuto riposare con il costante fastidio delle loro voci; non fu tuttavia la minaccia a convincere i due uomini a troncare il discorso, quanto piuttosto l'idea che lei si avviasse alla camera.

Si alzarono contemporaneamente, litigandosi il privilegio di aprire la porta. Galatea, che voleva metterli alla prova per comprendere meglio lo strano risveglio di quel mattino, osservò attentamente i loro modi, i loro vicendevoli sguardi e le frasi lasciate a metà. Fu Ferraris ad abbassare la maniglia e a cederle il passo; dopo di lei entrò Ottavio, che la sospinse avanti a sé incastrandola in un angolo. L'altro, senza dare l'impressione di provare interesse per quanto accadeva, sedette sul letto e cominciò a togliere scarpe e calze; alzatosi a piedi nudi sfilò la giacca e la camicia, poi si ravviò i capelli e sedette di nuovo. Galatea, intanto, si era abbassata da sola l'abito ed era rimasta in sottoveste. Quando si volse al letto, trovò che anche Ottavio si era svestito in modo troppo solerte per lui. Ciò che la fece rabbrividire fu la maniera in cui i due si guardarono: era un'occhiata tesa come una stilettata, un prendere le misure, un mettere in chiaro. Entrambi esigevano qualcosa dall'altro ed erano più che ostinati ad ottenerla.

Galatea si sfilò dall'angolo in cui era protetta dal marito e, nell'affiancarlo, si sentì accarezzare lievemente il braccio; volse lo sguardo indietro e lo trovò sospeso in un sogno ad occhi aperti come quel pomeriggio, al ritorno dal lavoro. Aveva deciso, però, che avrebbe recitato la parte dell'ingenua, quindi si diresse senza indugio verso la parte del letto in cui era solita dormire, la sinistra, precisamente dove Ferraris stava ancora seduto.

«Chiedo scusa...» cominciò a dire per invitarlo ad alzarsi, ma Ottavio la interruppe afferrandole il braccio che prima aveva solo sfiorato.

«Di qui, Tea», sussurrò, tirandola gentilmente verso di sé e indicandole con un cenno di passare dal lato opposto. Poi, rapidamente, la superò, accingendosi a spostare le lenzuola e a coricarsi per primo nel letto; Galatea, interdetta, tuttavia si sentì un poco sollevata all'idea di dormire nuovamente da un canto, sebbene fosse all'opposto del solito.

Ottavio sedette, distese le gambe e si issò sulle braccia, pronto a scostarsi per farle spazio. Ferraris, gettandogli un'occhiata, si schiarì la gola e domandò: «Io non sono stato affatto scomodo stanotte; ve l'avevo detto che lei, in mezzo, avrebbe tenuto meno spazio di voi».

Galatea guardò Ottavio e vide montare una piccola e fastidiosa Discordia sulla sua spalla; sussurrava con insistenza al suo orecchio, ma lui non spiccicava parola, le labbra strette, il respiro trattenuto.

«Ieri notte è stato diverso; ieri notte lei dormiva già», ribatté alla fine, suonando suo malgrado ambiguo; difatti, Galatea e Ferraris intesero due cose diverse: la prima capì che la decisione di farla restare in mezzo dipendesse dal fatto che lei si trovasse già lì al loro ritorno; il secondo, al contrario, intese che sarebbe stato difficile giustificare un tale repentino cambiamento senza sollevare sospetti. Tacquero tutti e tre, rimasero immobili tutti e tre a fissarsi. Poi Ferraris si sentì pronto a rispondere: «Trovo che si possa ripetere, visto che abbiamo dormito molto bene stanotte. Se la signora è d'accordo, ovviamente».

La Discordia sulla spalla di Ottavio si gonfiò come la sacca di una zampogna, montando di rabbia. La sua voce stridula era così turbata da non permettere a Galatea di carpirne i suggerimenti velenosi che dispensava con tanta generosità; ma nessuno si stupì quando il marchese, stizzito, sbuffò dicendo: «Non m'importa di ieri notte, non m'importa!»

Ferraris fu sul punto di insistere, ma si limitò a guardarlo in modo molto eloquente, più eloquente, forse, di mille discorsi. Ottavio sostenne il suo sguardo con tenacia capricciosa, come se rigettasse qualcosa di ineluttabile. Si morse le labbra, corrugò la fronte. Galatea pensò che, all'ennesima insistenza, suo marito sarebbe esploso dalla gelosia. Contro tutte le previsioni, invece, Discordia di colpo si afflosciò, dibattendosi per non scivolare giù; Ottavio prese un respiro e si fermò con gli occhi bassi, si trasse indietro e sussurrò: «Tu che cosa ne pensi, Tea?»

Galatea, d'istinto, cercò Ferraris: le parole che gli aveva rivolto quella mattina rimbombavano nella sua mente, ma assecondarle avrebbe significato dar ragione a un altro e non al proprio marito. Eppure, la attraeva la prospettiva di dormire in mezzo a loro; e quel comportamento anomalo di Discordia risvegliava in lei tanti dubbi, cui si aggiungevano le promesse di Fortuna e i moniti di Prudenza. Tutto la chiamava a quel posto al centro del letto; anche Ottavio, con quella semplicissima domanda, sembrava chiedere la sua approvazione, più che il suo rifiuto; sembrava chiedere la spinta che lo facesse tuffare in un abisso, piuttosto che la mano che lo aiutasse a risalire.

«Stanotte sono stata comoda in mezzo», rispose in un soffio mentre già scavalcava le gambe di Ottavio. Lui non protestò, ma, non appena l'ebbe superato, la cinse con il braccio e la tenne presso di sé.

Il letto era stretto e i due uomini si tenevano abbastanza larghi; per quanto si schiacciasse contro Ottavio, Galatea non riusciva a trarsi a più di una spanna da Ferraris. E Ottavio l'aveva capito, aveva intuito che questo la infastidiva e ne era in un certo senso soddisfatto: la sua ritrosia nei confronti dell'intruso la costringeva a spingersi contro il marito, la obbligavano ad accorgersi di tutte le piccole dimostrazioni di affetto che, senza volgarità, la facevano sentire al sicuro. Ottavio ne dispensò parecchie quella notte, lo fece finché il sonno non lo vinse, ben oltre il momento in cui si accorse che lei si era addormentata.

In principio, Ferraris assistette in silenzio, senza avanzare pretese; notò, non senza una stretta al cuore, che Galatea era docile e remissiva tra le braccia di suo marito, che si godeva le sue attenzioni e non aveva tempo per altro. Era giusto così: mai si era sognato, e mai l'avrebbe fatto, di strappare una donna – quale che fosse – dalle braccia dell'uomo cui era legata. Troppi impicci, troppi grattacapi ne sarebbero venuti; e questo l'aveva spiegato bene a Ottavio la sera prima, quando, sulla via del ritorno, lui si mostrava ancora un po' riluttante. Non gliel'avrebbe portata via; il suo scopo non era averla tutta per sé per sempre. E sapeva, eccome se lo sapeva, che lei aveva spazio solo per un uomo e quell'uomo non era lui. Ne trovò conferma mentre li guardava languidamente abbracciati tra le lenzuola, casti amanti che fingono a vicenda di non volersi più, ma che si vogliono più di prima.

Il suo compito era questo: farli avvicinare. Ci stava già riuscendo e senza grandi sforzi. Ma la ferita avrebbe dovuto spurgare o l'infezione avrebbe fatto marcire la carne. Il suo compito, dunque, era farli riavvicinare mediante una rottura, mediante uno spargimento di sangue: era necessario alla loro salute come il salasso che, pur indebolendo il malato, lo depura di tutte le scorie altrimenti mortali.

Perciò decise di avvicinarsi; Galatea dormiva già, il suo respiro era regolare e il suo viso calmo e sereno tra una carezza e la successiva. Ottavio gliela lasciò guardare al lume della candela ancora accesa, gliela mostrò come avrebbe mostrato un neonato in fasce adagiato nel suo gomito. Avevano entrambi una faccia seria e impenetrabile, segnata da un sentimento comune: la venerazione. Presto, però, gli occhi del marchese si inumidirono di lacrime che solo una forza sovrumana poté trattenere; tuttavia, la sua voce tremò nel dire: «Attento a non svegliarla».

Ferraris mosse cautamente la mano e la adagiò sulla sua fronte cinta di capelli castani lunghi e sciolti sulle spalle e sul cuscino; glieli scostò dal bel viso e rimase a contemplarla. Ottavio, invece, glieli aveva scostati dal collo con il medesimo gesto delicato, poi si era chinato e le aveva baciato la guancia in modo così impercettibile che Ferraris lo confuse con un improvviso desiderio di respirare il profumo della sua pelle.

«Mi dispiace», bisbigliò, cominciando ad accarezzarle la tempia con il dorso dell'indice.

Ottavio saettò un'occhiata scettica e lo provocò: «Perdonatemi se non ci credo». Ferraris sorrise, ma il suo sorriso era più malinconico di quanto volesse sembrare: «Mi dispiace davvero».

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