Aprile 1676 pt. 2

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Anche alla capitale era sorto il sole, ma era bigio e offuscato da nubi che, se non esistevano nella realtà, esistevano sicuramente nell'immaginazione dei più informati gentiluomini del palazzo ducale. Tirava una brutta aria negli ultimi tempi, soprattutto per i pochi commerci che permettevano all'economia interna di strappare qualche respiro sotto la soffocante pressione della concorrenza europea. Da quando la Francia aveva deciso di accanirsi contro l'Olanda, anche il Mediterraneo era sconvolto dalle cannonate dei velieri delle opposte fazioni e l'Italia finiva per essere coinvolta suo malgrado. La guerra era a sud, in Sicilia, ma le ripercussioni facevano tremare la penisola come un terremoto; le bocche dei cannoni si sostituivano ai vulcani, sputavano fuoco e morte ed erano sordi a qualsiasi preghiera.

Ottavio scrutava dalla finestra, spingeva gli occhi fino all'orizzonte e intravedeva i riflessi di quel mare dilaniato e nutrito di cadaveri. Come potevano tante persone arruolarsi per pochi soldi e andare a morire per gli interessi di pochi grandi signori? Quanto dovevano essere disperati o disillusi per accettare di mettere la propria vita a servizio di qualcuno che non si sarebbe fatto scrupolo a sacrificarli al bisogno e che si sarebbe rammaricato non di morti, ma di numeri?

Picchiettò le nocche sul tavolino che stava proprio a filo del davanzale, quindi vi si poggiò con entrambe le mani e scosse la testa: avrebbe volto ben più volentieri lo sguardo nella direzione opposta, verso le montagne ancora imbiancate, per tentare di scorgere un rifugio caldo e desiderato.

Due settimane, tanto era stato lontano e mal sopportava doversi trattenere ancora. Suo fratello voleva i suoi consigli, diffidando di chiunque non fosse suo stretto congiunto; e tutto per via di quel tradimento contro natura di cinque anni prima. Forse, però, Ferdinando avrebbe saputo muoversi con più disinvoltura di entrambi i nipoti nell'ambito del commercio internazionale; forse non avrebbe favorito i mercanti locali, ma avrebbe trovato il modo di risollevare le sorti dell'economia zoppicante del ducato. Odiava dovergli riconoscere una superiorità indiscussa nel campo finanziario. Il marchese si morse due dita fino a trasalire di dolore, si guardò, neanche seriamente preoccupato, i polpastrelli arrossati e, ancora più innervosito, si staccò dalla finestra e si volse a guardare la propria camera. Era piccola, come piaceva a lui: un letto singolo addossato alla parete, cortine nere senza fronzoli, un paio di poltroncine e un tappeto persiano che bastava a ricoprire quasi tutto il pavimento di marmo, permettendogli di camminare a piedi nudi anche di notte qualora non fosse riuscito a dormire. Aveva rifiutato stanze più convenienti al suo rango, aveva espressamente richiesto un materasso piccolo perché così, aveva scherzato, a nessuno sarebbe venuto in mente di mandargli messaggere notturne a comprare il suo appoggio per qualche gioco politico.

«Ci stai pensando di nuovo?»

Si girò di scatto verso la porta, che stava alle sue spalle. Antonio aveva ancora la maniglia in mano e lo osservava con occhio indagatore.

«No...» rispose a bassa voce, un sussurro che poteva essere benissimo un sospiro lamentoso. Il duca storse le labbra e piegò lo sguardo in giù; Ottavio, da parte sua, tornò a contemplare il panorama oltre i vetri con aria meditabonda. Antonio non aspettò un suo cenno per chiudere la porta dietro di sé. mettendo distrattamente la mano in tasca, trasse fuori una lettera che lasciò cadere sulla piccola scrivania a pochi passi dalla finestra. Il marchese le dedicò un'occhiata, quindi, afferratosi il mento, cominciò a camminare per la stanza a lunghe e lente falcate.

«Secondo me ci stai pensando» asserì Antonio, prendendo il posto del fratello, ma dando la schiena all'esterno.

«Se continuerai a farmici pensare, io ci penserò» ribatté innervosito, spostando la mano dal mento alla fronte.

«Avrei fatto meglio a lasciarti in pace sulle tue colline...» constatò l'altro.

Ottavio raggiunse il letto e vi si sedette, quindi: «Non credo che sarebbe stato molto diverso» disse tra i denti.

«Sono ormai tre mesi... Ora e tempo che andiate avanti...»

«Parliamo di cose serie, per favore» tagliò corto, rialzandosi con tutt'un altro modo di fare. Aveva gli occhi accesi, lo sguardo carico di chi sa perfettamente cosa vuole. Antonio, che lo conosceva bene, abbandonò ogni intento di persuasione; prese un respiro profondo e, gettandosi alle spalle una ciocca della parrucca, lo rimproverò: «Al Consiglio devi indossare la parrucca, perciò sbrigati a mettertela»

«Ho detto cose serie» precisò, manifestando un fastidio ancora maggiore.

«Per qualcuno la parrucca è una cosa seria: non fare i capricci. Ti aspetto nel mio studio, poi andremo nel salone»

Con il tono secco dell'ultima battuta, Antonio chiuse del tutto ogni questione; Ottavio si morse il labbro e si fregò le mani una contro l'altra. Il duca, intanto, si avviò alla porta e, raggiuntala, si volse: «Quasi dimenticavo: è arrivata quella lettera per te. Non c'è il mittente, vedi tu se aprirla»

E in un batter d'occhio la porta si richiuse con uno schiocco sonoro. Pur di dilatare i tempi e vedere i ministri di suo fratello il più tardi possibile, Ottavio avrebbe fatto ben altro che leggere una missiva anonima. Per questo si precipitò senza fretta alla scrivania e afferrò la lettera per un angolo, studiando la grafia grossolana che aveva tracciato il suo nome sulla carta: All'illustrissimo marchese Ottavio Edoardo Malancisi della Marca Stellata. Semplice, quasi scarna rispetto alle intestazioni ridondanti che gli venivano spesso dedicate da interlocutori animati da vero e proprio senso di soggezione. Chiunque gli stesse indirizzando quella missiva non dava a vedere alcun sentimento di particolare trasporto nei suoi confronti, come se non avesse ragione di temerlo o di voler fare una buona impressione.

«Niente sigillo, niente di niente...» considerò passando un dito sulla goccia di ceralacca di un rosso vivo venato di striature scure. Contemporaneamente, con un movimento brusco, strappò il lembo del foglio e spalancò la pagina davanti a sé, corrugando immediatamente la fronte: la scrittura era sbilenca, ma ricalcava evidentemente i tratti di un testo stampato. Nessuno che avesse ricevuto un'istruzione nell'infanzia avrebbe mai scritto in quel modo; per di più, le righe non erano dritte, andando talvolta ad accostarsi alla precedente o alla seguente. Ma nulla avrebbe potuto colpirlo più delle parole che lo sconosciuto gli rivolgeva:

«Al marchese Malancisi. Conosco un segreto di quando eravate morto che vi sta a cuore e che potrebbe farvi molto male se la gente lo saprà. Vostra moglie lo saprà presto perché le arriverà una lettera e vedrete come sarà contenta di rivedervi quando tornerete. Intanto vi abbiamo fatto più leggero. Per qualcosa che avete generato qualcosa vi è stato tolto»

Un brivido freddo scosse il suo respiro, prima che si fermasse per un momento.

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