32. In fuga

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Eravamo alla banchina di Roma Termini, in attesa del nostro treno che puntualmente viaggiava in ritardo a causa di un guasto sulla linea. Con i contanti che avevo in tasca, comprai due biglietti per Latina. Avevamo deciso di ricominciare insieme, lontani dal passato e dal pericolo, cercando di costruire un futuro diverso basato sul nostro amore appena sbocciato e sulla fiducia reciproca. Nonostante la pioggia battente che segnava con un'aura grigia i contorni delle pensiline e dei binari inzuppati, dentro di me c'era un arcobaleno di colori, felice di essere tra le braccia di Valerio.

Mi sedetti sulle sue gambe e giocai con i ciuffi ribelli dietro la sua nuca, ma all'improvviso vidi da lontano il profilo di Renato che ci cercava freneticamente tra la folla della stazione, spostando il volto da un lato all'altro senza sosta.

«Corri» dissi a Valerio, mettendomi con un solo balzo dritta davanti a lui e cercando la sua mano per non perderci o separarci. Valerio iniziò a guardarsi intorno, poi in un attimo prese la sacca e me. Correvamo tra la folla della stazione e facevo del mio meglio per restare aggrappata al suo braccio. La pioggia battente rendeva difficile il passo e quando ci ritrovammo fuori sul marciapiede, il terreno scivoloso e la scarsa visibilità ci impedivano di trovare una via di fuga. I nostri abiti, in pochi istanti, si fecero due volte più pesanti. Potevo sentire il battito accelerato del cuore del mio ragazzo. Non conosceva Renato, ma capì che l'uomo che ci inseguiva a pochi metri di distanza doveva essere il sicario di Marcello. L'uomo aveva un volto impassibile e gli occhi fissi su di me. Si avvicinava sempre di più mentre cercavamo di sgusciare tra le persone dentro e fuori dall'edificio. La suo fisico atletico, la sua altezza e robustezza, non sembravano risentire della stanchezza della corsa, a differenza di me, che già sentivo fitte profonde ai fianchi. La sua determinazione era evidente in ogni suo movimento, mentre noi, come topi in trappola, cercavamo un posto dove riprendere fiato.

All'improvviso, sentii una mano ruvida afferrarmi per una spalla. Mi voltai e mi trovai faccia a faccia con Renato, che mi guardava con occhi furibondi.

«Vieni con me, il signor Murgia vuole solo parlarti» disse con voce rude.

Mi aggrappai al braccio di Valerio, che era diventato un fascio di nervi, cercando di opporsi alla forza dell'uomo che mi tirava verso di sé. Il petto mi tremava dal terrore all'idea di dover rinunciare di nuovo alla mia libertà. Valerio si posizionò di fronte al mio corpo, facendomi scudo con il suo, pronto a difendermi. Non avrebbe mai permesso a Marcello di riavermi. Cercò di trattenere Renato con tutte le sue forze, ma un pugno diretto al volto lo fece cadere a terra. Rimase atterrito e dolorante, mentre il sangue gli sgorgava dal naso. Alzò le braccia per proteggersi dai calci che lo spostavano di qualche centimetro ad ogni colpo.

«Scappa!» Urlò Valerio preferendo di lasciarsi usare come una busta di carte per darmi la possibilità di allontanarmi.

«Lascialo» gridai. Gettai il mio corpo su quello di Renato senza ottenere nessun grande effetto.

Approfittando della distrazione momentanea Valerio cercò di fermare il nostro aggressore con decisione, ma fu colpito da un altro pugno al volto che lo fece ricadere a terra, il suo viso era ormai una maschera di sangue.

In ogni modo provai a divincolarmi, ma l'ex soldato era troppo forte per me. In quel momento, mi sentii perduta, devastata all'idea di aver perso la mia occasione di rivalsa. Poi, sentii dall'altoparlante della stazione l'annuncio del nostro treno in partenza. Era l'ultimo avviso. Lo vidi in lontananza, sarebbe stata la nostra salvezza. Dovevamo salire a tutti i costi. Era la nostra unica possibilità di fuga.

Con tutte le forze rimaste, riuscii a sfuggire alla presa di Renato, lasciandogli tra le mani la mia maglietta fradicia. Aiutai Valerio a rialzarsi e iniziammo a correre verso il treno che stava per partire. Renato continuava ad avvicinarsi minacciosamente, pronto a riprenderci. La pioggia aveva creato tante pozzanghere difficili da evitare, rendendo i nostri passi meno certi ed equilibrati. La nostra corsa non si fermò di fronte a nessun ostacolo, travolgendo persone e valigie. Corsi così veloce da riuscire a scivolare nella prima porta dell'ultimo vagone. Sentimmo il lungo fischio del capo treno e vidi il tirapiedi afferrare solo una maniglia che lo fece poi slittare a terra. Il treno partì, lasciando Renato in mezzo alla stazione, imprecando e sputando parole incomprensibili.

Guardai Valerio, esausto e ferito, e poi me stessa con addosso solo i jeans e il reggiseno sporchi di fango. Avevamo lasciato la sacca sulla banchina, ma in quel momento non contava nulla. Eravamo salvi. Valerio mi abbracciò con un sospiro di sollievo e, troppo affaticato per parlare, mi fece cenno di entrare nel bagno del vagone per ripulirci.

Controllai che nella tasca del pantalone ci fosse ancora l'agendina nera. Per fortuna era rimasta intatta e non era caduta durante i vari strattoni. Ci abbracciammo in quell'angusto ripostiglio un metro per un metro. Valerio come una bambola mi mise a sedere sulla mensola usata per lo spazio del lavandino, prese tanti fazzoletti di carta per aiutarmi ad asciugarmi e pulirmi mentre io facevo lo stesso con lui cercando di chiudere il taglio sul naso che continuava a perdere sangue.

«Sapevo che non sarebbe stato facile, ma dobbiamo trovare un posto dove stare. Non posso pensare di perderti» disse Valerio con la voce quasi spezzata, lontana dal suo solito atteggiamento sorridente.

«Hai ragione. Ti ho coinvolto in una situazione assurda, mi dispiace».

«Non mi pento di nulla, per te farei qualsiasi cosa» Valerio si avvicinò ancora di più e i nostri occhi si incrociarono, sentivo il suo respiro sulla mia pelle, sul mio viso, non potevo resistere alla sua presenza magnetica e mi avvicinai alle sue labbra. Chiusi gli occhi sentendomi sospesa dalle sue braccia. Le sue mani erano ovunque su di me, tra miei capelli.

«Guardati, Lia,» sussurrò dolcemente all'orecchio. «Non hai bisogno di trucco o vestiti eleganti per essere la cosa più bella che io abbia mai visto. Sei un angelo, con quegli occhi grandi e profondi che riescono a guardarmi dentro e vedere la persona che sono veramente. Ma c'è qualcosa di ancora più speciale in te, qualcosa che brilla dentro di te come una luce radiosa che traspare dal tuo sorriso. È il tuo cuore, che batte forte, lo sento». Poggiò con delicatezza una delle sue grandi mani al centro del mio petto. «Ogni cosa si annulla quando sorridi. Ecco perché ti amo, perché sei così bella dentro e fuori».

Resistere alla sua presenza che mi sovrastava, mentre mi guardava languida e gentile, sembrava impossibile. Era come se non mi avesse mai guardato in quel modo prima, forse perché ero io che riconoscevo i miei occhi nei suoi. Mi avvicinai baciandolo con trasposto.

«Sei ancora bagnata e non puoi restare così» disse, togliendosi il suo cardigan e rimanendo in canottiera e bretelle, per poi avvolgermi nel pesante maglione di lana ancora umido.

Cercammo un vagone vuoto dove sederci, stanchi ma sollevati di essere lontani da Roma.

«Non riesco a credere che ce l'abbiamo fatta» disse in un sospiro, sollevando un lato del labbro come se trattenesse la soddisfazione di aver sfidato e vinto. «Siamo riusciti a seminare Renato e a scappare da Marcello».

Annuii sorridendo dolcemente al mio amante. Guardavo fuori dal finestrino mentre il paesaggio scorreva rapidamente davanti ai miei occhi.

«Sì, ce l'abbiamo fatta. Ma adesso dobbiamo capire dove andare. È inutile pensare di andare a casa di Alberto. Sicuramente Renato starà già guidando verso casa sua e resterà lì di vedetta almeno fino a quando Marcello non gli dirà di rientrare» dissi sospirando e portando una ciocca ribelle di capelli dietro l'orecchio.

Valerio annuì. «Hai ragione ma non abbiamo nulla con noi, solo i biglietti del treno e pochi euro in tasca».

«Dobbiamo trovare un nascondiglio temporaneo, almeno fino a quando non avremo un piano più concreto» mormorai, mordicchiando il labbro, persa nello sguardo fuori dal finestrino.

«Ma dove possiamo andare?» mi chiese Valerio, con un'aria di incertezza.

Lo guardai, pensando intensamente. Forse non tutto era andato perduto.

«Aspetta» gli dissi, puntandogli un dito sulle labbra incerte. «Chiamerò Ginevra, lei troverà per noi un posto dove dormire e così non sarò costretta a raccontare tutto ad Alberto».

Valerio annuì entusiasta, mentre prendevo il cellulare e componevo il numero del Commissario di Polizia, la moglie di mio padre.

«Ciao, Ginevra. Come stai?» rispose una voce gentile al telefono.

«Ciao...». La mia voce tremava, così come le mani che stringevo, le unghie che si conficcavano nella mia pelle. «Ti ricordi che mi hai detto di chiamarti se avessi avuto bisogno».

«Certo, dimmi tutto» il tono delle sue parole divenne immediatamente serio, quasi preoccupato.

«Non sto bene, sono in una situazione difficile e ho bisogno del tuo aiuto» cercavo di trattenere le lacrime pronte a scivolare oltre le ciglia.

«Ma certo, dimmi tutto» mi interruppe come se avesse indossato una divisa istituzionale. «Che cosa sta succedendo?».

«Sono scappata da casa di Marcello, è successo un disastro e sono in fuga con Valerio da ieri notte. Volevo raggiungerti a casa di Alberto, ma penso che nemmeno quel posto sia sicuro. Abbiamo bisogno di un rifugio sicuro, un posto dove nessuno ci conosca. Ma papà non deve sapere nulla di tutto questo, promettimelo». Cercai la mano di Valerio, cercando un sostegno forte e sicuro.

«Mi odierà per questo, ma te lo prometto: non dirò nulla».

«Non voglio coinvolgerlo in questa situazione» continuai con voce sottile, spezzata dai singhiozzi. «Ma spero di poter contare su di te».

«Certo» rispose con fermezza. «Sono qui per aiutarti. Ti troverò un nascondiglio sicuro e farò tutto il possibile per aiutarti. Non preoccuparti».

Mi sentii sollevata, un peso enorme fu tolto dalle mie spalle.

«Grazie, Ginevra» dissi con gratitudine. «Non so come ringraziarti abbastanza».

«Non è necessario, cara» rispose con affetto. «Siamo una famiglia, anche se tu non ci hai mai creduto abbastanza. Ti voglio bene e farei qualsiasi cosa per aiutarti».

Mi sentii commossa dalle sue parole, colpevole per averla sempre tenuta a distanza o trattata con freddezza, distacco e talvolta arroganza.

«Dove siete adesso?» riprese dopo un breve silenzio. Immaginai già la sua mente all'opera, tracciando ogni mossa per mettere in atto il suo piano.

«Siamo sul treno da Roma, abbiamo appena lasciato la stazione di Campoleone» spiegai, cercando lo sguardo di Valerio per conferma delle mie parole. Vidi il suo sottile naso annuire.

«Scendete alla prossima fermata, verrò a prendervi». Sentii il rumore dei suoi passi scalzi sul pavimento mentre si attivava per mettere in moto il suo piano.

«Grazie ancora» dissi con voce rotta. «Non dimenticherò mai il tuo aiuto».

«Grazie a te, Lia, per aver ascoltato le mie parole e per aver deciso di chiamarmi» concluse Ginevra con sincera gratitudine. «Stai attenta e non preoccuparti di nulla. Chiamami appena arrivate, soprattutto se non mi vedi. Potrei impiegare qualche minuto per spiegare ad Alberto perché sto uscendo di casa a quest'ora». Immaginai un leggero sorriso nelle sue ultime parole prima di chiudere la conversazione. Chiusi gli occhi, trattenendo le lacrime, grata e fiduciosa nella risoluta capacità di Ginevra di rimettere insieme i cocci delle mie scelte sbagliate.

L'ultima tratta del nostro viaggio fu la più tranquilla e Valerio aveva appoggiato la testa al sedile, trovando un po' di riposo con gli occhi chiusi. Lo osservavo nel suo profilo calmo, rilassato, con gli zigomi spigolosi che sembravano appartenere a un'opera d'arte. I suoi occhi erano intensi, trasparenti come la sua anima e il suo sorriso incantevole faceva battere il cuore di chiunque lo incontrasse. La sua pelle chiara, in netto contrasto con i tatuaggi che spuntavano dalla canotta bianca, gli conferiva un'aria misteriosa e seducente. Aveva un fascino tutto suo, un magnetismo che attirava l'attenzione. Era un ragazzo dalle mille sfaccettature, capace di essere gentile e premuroso con le persone a cui teneva, ma anche risoluto e coraggioso quando si trattava di difendere ciò in cui credeva. Era una persona profonda e sensibile, con un cuore grande e un animo generoso. Era il tipo di uomo che si preoccupava per gli altri e si adoperava per fare la differenza nel mondo, nonostante tutto quello che la vita gli aveva riservato.

Sorrisi, pensando. Riusciremo a farcela insieme. Sei la mia forza, senza di te non so come avrei fatto.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro