9. Veronica

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Mi svegliai nello stesso letto della mattina precedente, mentre rimuginavo sulla mia pigrizia per non aver chiuso le veneziane la notte prima. Ero tornata senza riuscire quasi a reggermi in piedi. Ricordavo Marcello che si era preso cura di me e poi niente altro. Lo cercai nel letto, invano, perché in realtà ero sola tra le morbide lenzuola bianche che profumavano di bucato. Mi alzai di scatto, volevo correre da Marcello prima che i suoi impegni rubassero tutta la sua attenzione e ancora una volta non riuscissimo a parlare.

Il giorno prima avevo cercato più volte di trovare qualche minuto per chiarire la nostra relazione e cercare di capire il suo interesse per me. Volevo risolvere quella questione che mi consumava dall'interno. Ma non c'era stato tempo per noi. Dalla terrazza quadrata, ci spostammo ad una partita di tennis, dove mi parcheggiò al bar di bordo campo, ordinandomi un Martini dry, per poi scomparire. Dopo molte sigarette e una serie di drink, buttati giù uno dietro l'altro, ritornammo in all'albergo solo per una doccia e per cambiarci per la serata. Ero distrutta. Del party a cui avevamo partecipato non ricordavo quasi nulla. Ero arrivata poco lucida e me ne ero andata accompagnata da Marcello e dall'autista, incapace di reggermi in piedi sulle mie gambe.

Avevo un sapore amaro in bocca mentre la testa era confusa e dolorante. La cosa peggiore era il mio aspetto terrificante nello specchio: occhi scuri per le occhiaie, trucco sbavato dal cuscino, capelli disordinati come una criniera indomabile. Mi gettai sotto la doccia cercando di lavare via tutto. Ero ancora in accappatoio quando sentii bussare alla porta della mia camera. Andai ad aprire.

«Buongiorno» mi sorrise Marcello mostrando i suoi bei denti bianchi.

«Che ora è? Sei già pronto?» chiesi ansiosa, temendo di aver dormito troppo e di farlo arrivare in ritardo ai suoi impegni.

«Ho deciso di lasciarti dormire, ieri ti ho annoiato e mi dispiace,» disse avvicinandosi e abbracciandomi per i fianchi, «quindi oggi ti prendi una giornata per te. Ti stavo monopolizzando». Sorrise e mi baciò diverse volte, soffermandosi sulle mie labbra prima di stringermi al suo corpo.

«Scusami se mi sono svegliata tardi, ma mi vesto velocemente...» la mia voce uscì più frenetica di quanto avrei voluto. «Oppure, se preferisci, lasciami l'indirizzo e mi farò accompagnare in macchina».

La risposta di Marcello fu una fragorosa risata che mi colse di sorpresa. «Mi immagino mentre cerchi di spiegarti con gesti al concierge,» disse, continuando a sorridere con gli occhi. «Scusa se sono scortese» riprese un attimo prima di darmi un bacio.

Odiavo quando le sue parole mi facevano sentire insignificante. Avrei voluto sottrarmi al suo gesto, ma lo guardai solo infastidita e forse nemmeno notò il mio disappunto.

«Non preoccuparti, vai alla spa dell'hotel oppure scendi in spiaggia e goditi un po' di sole. Hai la carta, puoi fare shopping. Ti lascio anche dei contanti» concluse, posando un mazzo di banconote da cento dollari sul primo ripiano disponibile.

«Verrò a prenderti verso le sette. Voglio trovarti riposata e bellissima!» mi stampò un altro bacio prima di allontanarsi senza darmi la possibilità di dire altro.

Rimasi immobile per qualche minuto, incapace di pensare a qualcosa. Presi i soldi che Marcello mi aveva lasciato e gli diedi una rapida occhiata: c'erano circa mille dollari.

Caspita. Sfiorai le banconote con le mani, meravigliata da quella somma. Sarebbe bastata per un mese di affitto e qualche bolletta. Il pensiero mi portò a Marta, non l'avevo sentita da giorni. Le avevo comunicato del mio viaggio solo all'ultimo momento, anche perché Marcello aveva fatto lo stesso con me. Ero sdraiata sul letto, pigra e senza voglia, accesi lo smartphone e cliccai su alcune icone per avviare una videochiamata.

Marta era in ufficio, potevo intuirlo dal suo tailleur bianco con bordi neri e le pile di cartelle dietro di lei.

«Tesoro, ma dove diavolo sei finita?» esclamò, aprendo la conversazione con una voce a tratti lenta e metallica.

«Come stai?».

«Bene. E tu? Racconta, com'è il mondo dall'altra parte dell'oceano?» si fece euforica.

«Be', per ora ho visto solo il mare da lontano... Le spiagge sembrano infinite... Ho una vista spettacolare dalla mia stanza, ma per il resto ci siamo spostati sempre in auto, dall'aeroporto all'hotel, dall'hotel ad altri posti...».

«E lui dove si trova ora?» domandò curiosa Marta.

«Mi ha lasciato una giornata libera».

«Allora perché quella faccia? Non sei felice? Non vi state godendo un fantastico viaggio romantico?» Marta iniziò a chiedere con gli occhi brillanti. «Vorrei essere lì al tuo posto invece di essere in questa noia. Vai, esci, perdi tra le strade, fai la turista con le ciabatte e scatta molte foto». Aggiunse, abbassando il tono delle sue parole per non essere udita dai colleghi anziani dello studio.

«Vorrei che tu fossi qui con me». La mia voce si spezzò per l'emozione, sentivo un nodo in gola.

«Tutto bene con Marcello?».

«Marta, non stiamo passando il tempo a coccolarci e divertirci in giro per la città, siamo qui per lavoro!» risposi con più acidità di quanto avrei voluto.

«Non capisco ancora molto... Lui vuole averti accanto, ti veste con abiti di marca e altre sciocchezze, ma non vuole una relazione con te?».

«Be', ormai Marcello non è più un ragazzino per giocare a fare il fidanzatino» cercai di trovare una scusa valida per il comportamento da maschio alfa di Marcello. «Non so nemmeno se desideri una relazione stabile».

«E cosa vuole da te?» insinuò, interrompendo le mie mezze verità.

«Non lo so nemmeno io». Provai a trattenere le lacrime mentre ricordavo il disagio che avevo provato il giorno prima per il modo in cui Marcello mi aveva trattato.

«Hai sentito Paolo?» cercò di cambiare argomento Marta recuperando il minuto di silenzio che si era creato.

«No». Ripensai all'ultima volta che l'avevo sentito, alla litigata e alle sue parole taglienti. «Da quando gli ho parlato di questa cosa con Marcello, io e Paolo non ci siamo più sentiti». Tagliai corto. «Non capisco perché...» mentii.

«Chiamalo, fatti sentire. Non puoi immaginare com'è. È nervoso, preoccupato, ha accennato a qualcosa ma non ho capito bene... Mi ha chiesto di te, mi ha chiesto come stai». Mi fissò intensamente negli occhi. «Mi ha anche detto che Enrichetta non sta bene, ora è a casa... Ma tu sapevi, non mi hai detto niente?».

«L'hai visto, l'hai sentito... Quando?»

«L'altra sera sono stata allo Shekinà, c'erano un sacco di persone. Io ero con alcuni colleghi, ma ci siamo scambiati solo qualche battuta».

Lo immaginai al bancone senza di me, mentre facevo disastri con gli ordini o rompevo bicchieri. Sentii un nodo allo stomaco. Paolo, bello, alto e statuario come un modello, era in grado di farsi lasciare delle mance da capogiro solo con un sorriso. La sera contavamo le banconote sulle quali le ragazze lasciavano il loro contatto per essere richiamate. Katia al 339..., oppure Susy al 346... Mi mancava. Era ingiusto il modo in cui ci eravamo lasciati.

«Appena torno a casa, proverò a risolvere anche questa situazione» dissi guardando il dolce sorriso della mia amica sullo schermo. Lei che da quasi cinque anni mi faceva da sorella maggiore. Eravamo più che coinquiline, Marta era solo un po' più grande di me, ma tra noi era quella con i piedi per terra, quella che sapeva collegare il cervello al cuore, brava a mettere in ordine anche i miei guai.

«Non farlo soffrire» disse.

«È lui che si comporta male e non vuole sentire storie». ribattei caustica.

«Non prenderlo come un rimprovero, ma sono settimane che non studi, che non segui i corsi all'università. Perché non torni a casa quando rientri da Miami, così stiamo un po' insieme e parliamo. Stai facendo soffrire Paolo e lui non se lo merita. Forse, la scelta di stare con Marcello non ti fa così bene. Ti sei trasformata in una di quelle di cui ridevamo, con i capelli sempre in ordine, i vestiti firmati, ma completamente vuota dentro", si trattenne per qualche istante, rendendosi conto della durezza delle sue parole. Da quando stai con Marcello, non ti vedo più felice» Marta insistette.

«Perché devo dirti ancora una volta che Paolo è solo un amico? Vuoi vedere qualcosa di romantico che non c'è mai stato» iniziai a innervosirmi, sfregandomi il dorso della mano sugli occhi per nascondere le lacrime.

«Beh, vorrei solo vederti felice».

«O forse sei invidiosa perché vorresti essere al mio posto invece di vivere la tua noiosa vita» pronunciai parole vuote senza neanche crederci.

Ci fu un lungo minuto di silenzio, durante il quale ognuna di noi leccò le proprie ferite.

«Okay, adesso devo lasciarti, ho mille cose da fare questa mattina. Ci sentiamo, spero che ti diverta» concluse fredda e risentita, lasciandomi con uno schermo muto tra le mani.

Mi sentivo in colpa per quello che era successo con Paolo. Mi sentivo in colpa per aver ferito i sentimenti di Marta. Mi sentivo in colpa per aver litigato con entrambi i miei migliori amici. Paolo non mi parlava da giorni, e adesso anche Marta. La tristezza impressa nei loro occhi e il dolore delle parole della conversazione appena conclusa si tradussero in un amaro profondo in bocca. Lasciai scivolare le lacrime che avevo trattenuto agli angoli degli occhi. Iniziai a singhiozzare in silenzio, mentre grosse lacrime calde mi riempivano il volto. Mi avvolsi tra le lenzuola ancora disfatte del letto, cercando un rifugio.

La mattina era passata rapidamente. Forse mi addormentai di nuovo. Fu la fame a svegliarmi, scacciandomi dal fortino di cuscini in cui ero sprofondata. Avevo fame.

Strano, feci al riflesso nello specchio, decisi di approfittarne. Contai mentalmente quanti giorni erano passati senza che mangiassi. Avevo bevuto, avevo fumato, ma non avevo mangiato. Lo stomaco si era chiuso in segno di protesta e disappunto nei confronti dello stile di vita che avevo abbracciato nelle ultime settimane. Fortunatamente, nella sala principale della suite, come il giorno prima, un sontuoso buffet riempiva il tavolo.

Pizzicai un po' d'uva e assaggiai uno o due bocconi di una torta, apprezzando la sensazione di freschezza che addolciva la gola irritata dal fumo.

Mi vestii con un abbigliamento comodo, indossando un paio di shorts bianchi e una leggera blusa trasparente che lasciava intravedere un reggiseno di pizzo. Lasciai il viso privo di trucco, coprendolo con degli occhiali ampi in stile anni settanta, mentre raccoglievo i miei lunghi capelli in un pratico chignon.

Abbandonai la stanza senza una meta precisa in mente. Avevo bisogno di mettere in ordine i pensieri confusi, così ingarbugliati che non riuscivo a sistemarli. La scena di sesso con Marcello rimbalzava nella mia testa, mescolandosi a una strana sensazione di disagio. Mi aveva fatto sentire usata, eppure, fin dall'inizio, sapevo che non aveva nessuna intenzione seria nei miei confronti. Ero solo una delle tante, ma sapevo che le sue attenzioni si sarebbero affievolite presto, passando a qualcun altro. Ero solo un passatempo da mostrare e abbellire, senza alcuna utilità se non quella di apparire e farmi guardare. Ero come uno dei suoi orologi Rolex o dei suoi gemelli Cartier, l'ultimo iPhone o un elegante vestito Gucci. Null'altro.

Mi aggirai per le strade interne del resort, finché non mi ritrovai a inzuppare i piedi nudi nella schiuma dell'oceano. Avrei desiderato immergermi completamente in quell'acqua, nuotando a bracciate verso casa da Paolo, ma rimasi lì immobile. Mi sentivo come una prigioniera in una gabbia senza pareti, dove il carceriere era Marcello, che mi teneva prigioniera con il ricatto emotivo di perderlo se non avessi acconsentito a tutte le sue richieste. Decideva arbitrariamente con chi dovevo incontrarmi, quando e dove. In quell'equazione, io non avevo voce.

Capii che Marcello era rientrato quando, entrando nella suite, vidi la sua giacca posata su una delle poltrone e sentii il rumore della doccia provenire da una delle stanze, interrompersi. Dopo un minuto, lo vidi uscire dalla porta della sua stanza indossando solo un asciugamano tenuto sui fianchi. Il suo fisico atletico e l'addome definito dai muscoli mi fecero provare un brivido lungo la schiena. In un istante, l'ansia e il risentimento che si erano attorcigliati nello stomaco svanirono come una leggera bolla di sapone scoppiata da uno spillo, mentre nella mia mente ricomparvero alcune scene di passione e sesso della mattina precedente. Avevo paura di Marcello, ma lo desideravo allo stesso tempo, come una mantide religiosa, e non potevo fare a meno di avvicinarmi e toccarlo. Volevo ancora sentire il sapore della sua pelle, anche se sapevo che alla fine mi avrebbe divorato.

«Ciao» mi sorrise mettendo in risalto le piccole rughette ai lati delle labbra.

«Ciao» risposi avvicinandomi in modo istintivo, come un truciolo di metallo attratto da un magnete. Mi trovai tra le sue braccia forti, avvolta in un bacio lungo e profondo. Ero diventata inerme di fronte al suo fascino, non riuscivo più a resistere al suo profumo.

«Dovrei iniziare a prepararmi» dissi debolmente riprendendo fiato dopo la sua lingua invadente nella mia bocca.

Marcello mi rispose con altri baci leggeri e veloci.

«Sei deliziosa, sai di sale» aggiunse leccandomi il labbro inferiore senza fermare la corsa della sua mano fino al punto più basso della mia schiena.

«Marcello, non mi è piaciuto come mi hai trattata l'altra mattina» spiegai con un filo di voce.

«No?» domandò ironicamente, riprendendo poi a baciarmi.

Cercavo il coraggio di allontanarlo, sentivo nascere l'urgenza di chiarire quello che non mi piaceva della nostra relazione.

«Beh, no, non mi è piaciuto... E non capisco ancora che tipo di relazione stiamo vivendo. Mi tratti come una barista pagata a ore, ma mi tratti come un'escort. Davanti agli altri fingo di essere la tua segretaria, tenendo in ordine gli appuntamenti e gli impegni. Mi fornisci tutto ciò di cui ho bisogno per essere impeccabile: sedute estetiche, trattamenti di bellezza, guardaroba. Non so se fai tutto questo solo per gentilezza o se hai una strana perversione nel vestirmi e svestirmi come una bambola... Ma non è questo che mi interessa... Non voglio essere il tuo giocattolo da vestire e spogliare, portarlo in giro solo per vantartene. Se vuoi che io stia al tuo fianco, devi rispettarmi. Parlo sul serio!» tuonai, ma Marcello non prestò attenzione e si allontanò rapidamente, lasciandomi immobile al centro della grande sala.

«Marcello...» intimai cercando di fermarlo.

«Vestiamoci» rispose aspro, con il solito sguardo freddo, volgendosi verso la sua stanza.

Restai ferma, tesa, con l'irritazione che cresceva nello stomaco. Cercai le parole per bussare alla sua porta, per far capire che il suo modo di trattarmi non era giusto. Interrompere una discussione all'inizio senza darmi l'opportunità di esporre il mio punto di vista. L'attimo svanì e mi ritrovai sola al centro di una stanza vuota. Come me dentro. Chi si credesse di essere per farmi tacere, per mettermi in un angolo, pensai. Nessuno aveva il diritto di mancarmi di rispetto e giocare con i miei sentimenti, con la mia dignità. Avrei voluto prendere la porta e andarmene, ma una scena del genere avrebbe significato perderlo per sempre.

Tornai sui miei passi per rientrare nella camera, pervasa da una piacevole fragranza di menta e vaniglia. Iniziai il rituale di preparazione con indifferenza, tra la doccia, l'acconciatura, il trucco, l'abbinamento degli accessori e dell'abito. Impiegai più tempo del solito, consapevole di irritare la sua impazienza. Uscii dalla stanza con passo leggero, quasi danzante. Ero impeccabile, avvolta in una nuvola di profumo e oli essenziali per il corpo. Indossavo con disinvoltura un vestito rosso aderente sul busto, mentre la gonna si apriva in un volante vaporoso di tulle. Le gambe erano esaltate da un paio di sandali Jimmy Choo dorati.

Sapevo di essere favolosa.

Marcello era seduto su una delle poltrone nella zona salotto, rivolto verso il mare. Vidi un filo di fumo dalla sigaretta che teneva tra le dita. Mi avvicinai. I tacchi sottili non facevano rumore sulla moquette a pelo lungo. Capì che ero vicina solo quando il tocco della mia mano sfiorò la sua spalla. Ci guardammo negli occhi. Ci stavamo scrutando. Dalla spalla, feci scivolare la mano lungo il braccio, sentendo piacere al contatto del cotone setoso della sua camicia blu. Cercai la sua mano. Le nostre dita si intrecciarono. Stavo ancora una volta chiedendo scusa, anche se non ero stata io a mancare di rispetto.

«Credevo che l'altra mattina fossi tu a decidere di concederti a me» disse puntando i suoi occhi su di me come dei fanali.

«Sì» risposi, ripercorrendo mentalmente tutte le scene.

«Allora perché dici che non ti piace il modo in cui ti ho presa?» domandò retorico, cercando di seminare dubbi dentro di me.

«Abbiamo fatto l'amore e te ne sei andato» provai a spiegare rapidamente, anche se nel mio disappunto c'era molto di più.

«Cosa ti aspettavi? Cosa vuoi di più di quello che ti do?» cercò di contrattare.

«Nulla» risposi a malapena, cercando di trattenere il nodo che si stava formando nella mia gola per il risentimento. Le sue parole mi offendevano, per lui ero solo una puttana che cercava di alzare il prezzo.

«Mi sento stupida...» sospirai profondamente, cercando di dare forma alle mie ansie. «Mi fai sentire una stupida bambola di creta nelle tue mani, mi fai paura perché pensi che io debba eseguire ogni tuo capriccio senza protestare. Ho la metà dei tuoi anni e tu sei troppo bravo a manipolare ogni mio pensiero». Per un istante, chiusi gli occhi, incapace di sostenere il suo sguardo.

«Andiamo» tagliò corto, prendendomi per mano.

Dalla stanza all'ascensore, dall'ascensore alla hall, restammo in silenzio mentre attraversavamo l'ingresso per raggiungere l'auto che ci aspettava. Mi sembrava di percepire sulla pelle gli sguardi ammirati di coloro che erano intorno a noi. Negli occhi degli altri sembrava che apparissimo come una coppia perfetta.

Ci trasferimmo dall'hotel al comodo sedile posteriore in pelle chiara della limousine, senza proferire parola. Marcello continuava a compiere gesti cortesi nei miei confronti, sembrava studiarmi e io facevo lo stesso. Durante il tragitto in auto, eravamo seduti vicini, tenendoci per mano, ma continuavamo a rimanere in silenzio, immersi nei nostri pensieri.

«Non puoi trattarmi così,» tuonai, rompendo il silenzio insormontabile che si era nuovamente creato tra noi, come quella mattina. «Ho cercato di esprimere come mi sento dentro di me e tu non dici una parola?».

La risposta muta di Marcello evidenziò la sua totale mancanza di rispetto. Invano continuai a fissarlo, sperando di penetrare la sua corazza. Il suo volto, in risposta, si volse verso il vuoto fuori dal finestrino, perso nella sequenza incomprensibile di cose, edifici e guard-rail sfilacciati.

«Marcello,» lo chiamai con un tono che oscillava tra la supplica e l'imposizione. «Ho bisogno di chiarire le cose. Non riesco a capire cosa vuoi che ci sia tra di noi». Provai a dare voce ai miei mal di pancia.

«Lia,» interruppe il flusso delle mie parole in un solo colpo. «Stai fantasticando troppo su ciò che potrebbe o non potrebbe esserci tra noi» mi spiegò posando la sua grande mano sulla mia piccola e affusolata mano. «Pensi che alla mia età, con i problemi che devo affrontare in questo periodo, abbia tempo o interesse per fare il tuo Valentino? Ti ho chiesto di tenermi compagnia perché sei sveglia, attenta ai dettagli. Quando sono impegnato negli incontri di lavoro, ho bisogno di essere sempre accompagnato. È una questione di etichetta. Non voglio certo imporre nulla. Te lo ripeto per l'ultima volta e ti prego di non tornare più su questo argomento,» disse con un tono brusco. «Pensavo volessi la stessa cosa». Concluse, rivolgendomi uno sguardo ostile.

«Quindi è così che funziona tra di noi...» sussurrai tra i denti mentre l'auto era già in fase di parcheggio.

«Lia, voglio che tu capisca,» iniziò a dire come se si rivolgesse a una bambina. «Sono qui per lavorare e non ho bisogno di complicazioni, ho già abbastanza di cui preoccuparmi. Ti ho portato con me perché mi faceva piacere essere in tua compagnia, ma non ho alcuna intenzione di discutere così a lungo su una cosa del genere. Sei una persona adulta e capace di comprendere che tra noi non c'è alcun flirt romantico».

«Adesso andiamo?» chiese Marcello con cortesia, mentre si sistemava la giacca per aprirmi la portiera dell'auto.

Eravamo arrivati a una festa tenuta in una villa privata, a bordo piscina. Era un trionfo di sfarzo e kitsch. In vari angoli c'erano angeli, mimi statuari, su dei capitelli, messi lì per intrattenere gli ospiti. Alcuni facevano giochi di fuoco, mentre altri ballavano con sfere di vetro, rendendole leggere come bolle di sapone.

Marcello iniziò a salutare chiunque venisse incontro, stringendo mani e rivolgendo cordiali saluti di circostanza, mentre io rimanevo al suo fianco, sorridendo quando necessario. Dentro di me, ero sconvolta dalla notizia che mi aveva spiattellato con rapida indifferenza. Mi aveva confermato di non essere il principe azzurro idealizzato nei miei pensieri, ma solo un uomo d'affari disilluso che riduceva ogni relazione a una transazione semplice e diretta.

Presi un calice di champagne da un cameriere vestito in livrea scura e di tanto in tanto bagnai le labbra. Guardavo continuamente intorno a me, meravigliata dai giochi di luce che provenivano dalla piscina. Improvvisamente, apparve Veronica da chissà dove. Il suo modo di camminare sembrava quello di una pantera dorata, sinuoso e sicuro. Era bella, seducente, perfetta. Indossava un vestito corto, velato, di un verde smeraldo che si accostava perfettamente ai suoi occhi da gatta e ai capelli mossi, quasi ramati. Mi aveva visto e si avvicinò con un sorriso finto di stupore. Il suo sguardo mi stava bruciando lentamente. Probabilmente, se avesse potuto, mi avrebbe strappato la testa a morsi. Era una splendida arpia e non aveva intenzione di cedere il passo, doveva essere lei la più bella del regno. Non lo negava e non cercava nemmeno di nasconderlo, se non con modi eccessivamente gentili ma falsi. Il suo naso snob mi scrutava dall'alto in basso, facendo una veloce valutazione di ciò che indossavo. Anche se il confronto era facile, bastava il suo braccialetto Cartier in oro e diamanti per farla vincere.

«Cara,» iniziò con un tono falsamente gentile, «non pensavo che Marcello avrebbe portato anche te qui stasera». Tradussi mentalmente la sua frase come: "Sapevo che Marcello sarebbe venuto, ma non credevo di dover sbarazzarmi di te per conquistarlo".

Mi baciò sfiorando appena la sua guancia alla mia senza farle toccare, poi si rivolse all'ex marito, che era impegnato a parlare con altri uomini.

«Pensavo che oggi dovessimo solo festeggiare e non parlare di affari» disse tirandolo a sé e dandogli un breve bacio sulle labbra. «Buon compleanno!» esclamò con entusiasmo, mentre Marcello si allontanava rapidamente, lanciandole uno sguardo minaccioso.

«Compleanno?!» esclamai sorpresa.

«Stiamo festeggiando i quarantaquattro anni di questo insaziabile uomo d'affari», disse Veronica rivolgendosi a me e continuando a fare allusioni maliziose. «Oggi, quando sei venuto da me, non mi hai detto che avresti portato la tua segretaria» aggiunse quasi sottovoce a Marcello, ma sapendo che avrei sentito tutto, mi stava rinfacciando ciò che ci eravamo dette al bagno del Retro.

«Veronica,» intervenne Marcello con tono duro, «smettila di fare la stupida». Poi si rivolse a me con un sorriso forzato e disse: «Lia, potresti andare al bar a prendermi un vodka-gin con ghiaccio». Sapevo che era solo una scusa banale per farmi allontanare, ma chiedermi di occuparmi dei suoi drink era come avallare le parole di Veronica.

Con la coda dell'occhio, mentre mi allontanavo, osservai i due. Marcello aveva preso Veronica sotto braccio. Sembravano scherzare, entrambi sorridevano, ma nel suo sguardo leggevo una durezza che ormai riconoscevo quando le sue parole erano affilate come una katana. In qualche modo la stava minacciando, potevo intuirlo dalle smorfie di lei che cercava di dissimulare sorridendo nonostante le sue labbra sembrassero voler cadere.

Intorno a me c'erano molte persone e dopo poco persi di vista sia Marcello, sia Veronica, sia il gruppo con cui lui stava parlando. Conquistai quasi a gesti il vodka-gin per e apprezzai il piacere del ghiaccio tra le dita accaldate nonostante l'assenza del sole. La folla intorno a me, l'ansia di muovermi a tentoni senza sapere dove stavo andando, mi fece accelerare il battito del cuore. Cercavo il volto di Marcello tra le facce sconosciute, ma non riuscivo a trovarlo.

All'altezza del braccio, sentii una forte presa di una mano piccola e affusolata che mi fece trasalire. Mi voltai e incrociai gli occhi infuocati di Veronica.

«Sei solo un nuovo giocattolo con cui si sta gingillando... Si stancherà presto di te! Lo fa con tutte, non pensare di essere speciale» disse con tono profetico, avvicinandosi per evitare di essere ascoltata. «Io sono e rimango la moglie, sono la madre di suo figlio. Tu finirai per essere gettata via» graffiò ogni parola. «Cosa trova in te poi...» mi guardò con disprezzo.

«Veronica,» dissi accarezzando la sua mano che mi teneva il braccio. «Le tue parole non mi feriscono,» mentii. «Tra me e Marcello non c'è niente, ci divertiamo solo a stare insieme. Quindi, quando finirà, come dici tu, poco male, rimarremo amici». Usai le parole di Marcello per mostrarmi agli occhi di Veronica più forte di quanto mi sentissi realmente.

«Piuttosto, sembri soffrire tu, lasciamelo dire,» continuai, imitando le sue stesse maniere finte. «Mi dispiace che ogni volta tu sia costretta a vedere qualcuna accanto al tuo uomo. C'è sempre qualcuna, bionda, bruna, alta, minuta, a accompagnare Marcello, ma tu mai. Povera te». Concluse con una finta smorfia di compassione.

Uno schiaffo colpì il mio viso e sentii l'occhio pulsare. Guardai il viso irrigidito di Veronica, ferita dalle mie parole, ma soprattutto orripilata dal suo stesso gesto che attirò l'attenzione di tutti gli invitati. Un brusio di occhi puntati su di noi la fece scappare.

«Beh, istigare la padrona di casa non è molto educato» disse divertito il cameriere che poco prima mi aveva servito il drink, riconoscendo la mia italianità quando avevo indicato le bottiglie a gesti dietro di lui.

«Potresti darmi del ghiaccio» dissi soddisfatta della baruffa tra gatte che avevo scatenato. Allungai il collo alla ricerca del mio uomo, mentre appoggiavo il tovagliolo freddo sul volto per cancellare il segno dello schiaffo ricevuto.

«Quindi questa è casa di Veronica» commentai con tono sbalordito, appoggiandomi al bancone. Volevo instaurare un'intesa con il tizio e speravo di raccogliere qualche indiscrezione.

«Be', sì, lavoro per la signora Murgia da parecchio tempo e non l'avevo mai vista così... Solitamente è molto...» sorrise facendo un gesto da profumiere.

«Davvero?!» lo incalzai, avvicinandomi per creare una connessione, «e il signor Murgia, lo hai mai incontrato... Che tipo è?»

«Mah, l'avrò visto una o due volte, ma qui, queste persone mangiano e bevono», fece alludendo agli invitati facendo roteare gli indici nell'aria, «senza sapere che è tutto di proprietà dei Sanna. Eh...» sospirò come uno che la sapeva lunga e riprese i suoi compiti allontanandosi.

Continuai a cercare Marcello, intravedendolo poco più avanti rispetto a dove l'avevo lasciato con gli altri. Scrutai il volto assorto dei suoi ospiti, tutti lo ascoltavano divertiti e attenti. Era un oratore capace di catturare lo sguardo e l'attenzione di chi gli stava intorno, era come un incantatore di serpenti, tutti in piedi davanti a lui completamente rapiti dal suono della sua voce, dalla melodia delle sue parole.

Decisi quindi che sarebbe stato inutile raggiungerlo; era impegnato in uno dei suoi teatrini e sicuramente non aveva bisogno di me. Alla fine, contavo così poco da non essere nemmeno informata del suo compleanno. Lasciai la vodka-gin per una vodka semplice senza ghiaccio e mi accomodai su una chaise longue vicino alla piscina, ripensando alla mattina. Marcello mi aveva lasciato in albergo per evitare che fossi un intralcio durante l'incontro con la sua ex moglie. C'erano molte cose che non voleva che sapessi. Non contavo niente, ero solo di passaggio, una tra tante. Mi chiesi quante altre cose non conoscessi e che lui non voleva farmi sapere. Il falso sorriso dipinto sul mio volto si abbassò, cedendo al peso delle paure e dell'ansia che sentivo nel petto. Desideravo la mia piccola casa disordinata, dove potevo sentirmi me stessa. Ero circondata da una folla rumorosa, eppure mi sentivo sola, senza certezze a cui aggrapparmi. Le lacrime minacciavano di spuntare agli angoli degli occhi, ma inspirai profondamente, una, due, tre volte, fino a ritrovare un po' di controllo. Mi sentivo piccola e smarrita, l'unica persona che conoscevo in mezzo a tutta quella gente era un egoista concentrato solo sui propri interessi. Cercai di incoraggiarmi pensando di aspettare il ritorno a casa per dire a Marcello che non volevo più accompagnarlo alle sue serate, che preferivo tornare a essere solo la ragazza del bar. Avrei cercato un altro lavoro, mi sarei tuffata negli studi per cancellare ogni traccia di questa spettacolare e spiacevole esperienza. Il mio sogno era diventato un incubo.

Ero completamente assorta, distratta dalle mie congetture al punto da perdere di vista Marcello. Fino a un attimo prima, lo avevo tenuto d'occhio oltre la piscina, ma la luce verdognola filtrata dai lievi movimenti dell'acqua, i bicchieri di alcol che si susseguivano, la folla intorno impegnata in un chiacchiericcio incessante, mi avevano confusa. Mi sentivo alienata a causa di tutta quella confusione. Allungai il collo per cercarlo in qualche altra parte del giardino, in mezzo alla folla sempre più densa. Nulla.

«Sto ancora aspettando il mio vodka-gin» sobbalzai presa alla sprovvista dalla voce delicata dell'uomo che stava minando tutte le mie certezze, era accovacciato accanto al mio orecchio. Il respiro si bloccò in gola quando sentii il calore della sua mano sulla mia. Mi girai lentamente alla ricerca del suo volto. Prima di rispondergli, mi permisi di osservare il suo profilo illuminato dalla luna, era rilassato, capii quindi che aveva smesso di lavorare, almeno per quella sera.

«Ti va di tornare in albergo, sono stanco» riprese, aiutandomi ad alzarmi.

«Certo» sussurrai a voce bassa, spostandomi dalla chaise longue per appoggiarmi alla sua spalla, che mi sosteneva con forza.

«Vorrei che non succedesse più che ti allontani, non voglio dover venire a cercarti la prossima volta» aggiunse seriamente, tenendomi sotto braccio.

«Perché non mi hai detto del tuo compleanno?» provai a deviare il suo rimprovero mentre l'autista mi teneva aperta la portiera dell'auto.

Quando Marcello si sedette accanto a me, fece un gesto nuovo: mi allungò il braccio come per invitarmi ad accoccolarmi sulla sua spalla. Lo guardai titubante. Volevo una risposta, ma allo stesso tempo non volevo perdere l'opportunità di un suo raro gesto romantico, il primo nonostante il suo comportamento costantemente garbato.

«Stamattina avresti avuto tutto il tempo di prendermi un regalo, ma io ho un solo desiderio...» cercò i miei occhi per riflettere i suoi. «Stanotte voglio stare con te». Rimase immobile, in attesa del mio consenso. Non voleva corteggiarmi. Voleva solo che mi concedessi a lui, spontaneamente. «Lia, ho bisogno di lasciare me e te a un livello elementare, come due persone che desiderano stare insieme. Senza complicazioni». Il suo volto aveva assunto una nuova sfumatura, seria e delicata. «Non ho mai creduto nell'amore dei santi e dei poeti. Quell'amore accecante cantato per secoli, in grado di sopraffare la ragione». Si avvicinò ancora di più al mio viso, tenendomi a un soffio dal suo respiro. «La contemplazione delle cose belle porta inevitabilmente a creare cose belle, e tu sei una di queste».

«Non sono una bambola. Non puoi prendermi o posarmi a tuo piacimento, o mandarmi a prenderti un drink» provai a dire sottovoce, cercando di sfuggire al suo sguardo tanto scuro quanto intenso, che mi teneva intrappolata. «Se vuoi che io sia accanto a te, devi rispettarmi». Le mie parole si trasformarono in una maschera di durezza sul volto di Marcello.

«Lia, io non sono un ragazzino che ama giocare a fare Romeo» vedevo le sue labbra muoversi e, nonostante stesse ancora una volta rifiutando i miei sentimenti, mi venne la voglia di baciarlo. «Devi decidere velocemente se vuoi essere mia e se questo ti può bastare... Non ho intenzione di giocare ancora a questo continuo tira e molla». Si sistemò la giacca prima di continuare, spostandomi da dove mi teneva fino a un attimo prima. «Voglio averti accanto, ma non aspettarti altro. Capisci cosa intendo?» concluse, assicurandosi che le sue parole fossero inequivocabili.

Il fiato si bloccò nei miei polmoni, fermato dal cuore, e la mia risposta fu un labile movimento della testa, un "Sì" silenzioso. Continuavo a fissare le labbra di Marcello, desiderando ardentemente baciarle. Mi spinsi contro il suo corpo, alimentando la passione delle nostre mani che cercavano avidamente la pelle al di là dei vestiti. Apprezzai i sedili posteriori della limousine, morbidi e spaziosi come un divano, quando mi ritrovai sotto il suo l'abbraccio deciso, che mi schiacciava con forza per farmi sentire il suo potere.

Si fermò un istante, prendendo il mio viso tra le sue mani calde.

«Non voglio più avere discussioni come quella di oggi» disse con gli occhi fissi sui miei e le mani pronte ad affermarsi con veemenza. «Lo capisci?»

Per rispondere, mossi di nuovo solo la testa, accettando le sue parole fredde e pragmatiche solo perché volevo continuare a sentire i suoi baci sul mio corpo, sentire le sue mani stringere la mia pelle e fare altrettanto io.

«È un sì?» si assicurò.

«Sì» risposi abbandonandomi inerme a un altro travolgente bacio.

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